Diario

Il dilemma del minibar

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Se vai al bar e chiedi una birra in bottiglia, la pagherai un casino piú cara rispetto alla medesima birra comprata al supermercato. Se poi apri il minibar della tua sontuosa camera d’albergo, la solita bottiglia ti costerà ancora e ancora di piú, diciamo quanto un cucciolo di koala di contrabbando, col pelo ancora un po’ appiccicato d’eucalipto. Il fenomeno sarebbe facilmente spiegabile facendo appello alle piú elementari teorie economiche, ma non sarebbe per nulla divertente. Quello che si potrebbe invece dire è qualcosa tipo “piú piccolo è il bar, piú la birra è cara”. È un problema di contenitore.

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Il supermercato è in grado di contenere te, la tua mamma, il tuo papà, una falange intera di guerrieri macedoni – con cavalcature, vettovagliamenti e macchine da guerra, sempre utilissime quando si tratta di prendere qualcosa sullo scaffale alto -, creature nel passeggino, la sbruffonaggine del tuo fidanzato e, in buona sostanza, tutto quello che ti serve comprare. Ma di piú quello che non ti serve.
Il bar all’angolo è in grado di ospitare i vecchietti che si schiantano di banchini alle ore piú curiose del giorno – e che tra una bestemmia e l’altra sgomitano via le rispettive badanti perché la passeggiata sul viale alberato non la vogliono fare -, i tamarrini che segano scuola per tenere sulle ginocchia ragazzine con scarpe da ginnastica che non si capisce bene come riescano a sollevare da terra, con quelle gambette secche da cicogna. Il bar all’angolo ospita anche quelli che si trovano per un caffè, e basta. Questi consumano solo nei primi quindici secondi, rimanendo poi a raschiare la tazza con il cucchiaino per le sei ore successive, lagnandosi delle inguistizie della vita. A queste persone vorrei dire che potrebbero almeno fare lo sforzo di ordinare un succo, verso la terza ora e quaranta, cosí, come segno di benevolenza verso il gestore, ma anche come gesto carino nei confronti degli altri avventori, quelli che di riflesso saranno investiti dall’ostilità repressa di camerieri indispettiti e che riceveranno, con ogni probabilità, bevande e panini scaracchiati senza meritarlo. Comunque, nel bar all’angolo ci si sta, ma non cosí in tanti, anche perché ti sembra di no, ma i vecchietti occupano un casino di spazio e non puoi spintonarli per raggiungere il bancone o comprimerli in un angolo. Vivono di permalosità, sono delicati e di ossatura croccante, non li scolli da dove si piazzano.
E poi, c’è il minibar.
Nel minibar non ci entri. Non ci entra nessuno. È un posto talmente esclusivo che se non sei una bottiglia di qualcosa o un sacchetto di salatini sarai destinato all’emarginazione.
Il minibar non è nato per scopi di spasso o aggregazione, è un incrocio solipsistico tra un salvadanaio e un piccolo bunker, cioè una cassaforte. Della cassaforte, il minibar non condivide unicamente le dimensioni, ma anche la spiacevole sensazione di essere piú povero e vulnerabile ogni volta che la apri e tiri fuori qualcosa. Insomma, chiunque arrivi in camera alle due del mattino e si avventi su camparini e arachidi sarà soddisfatto e contento per un istante davvero fugace: dopo la prima sorsata e tre pistacchi, l’utente medio del minibar si metterà a pensare, si renderà conto di aver speso tipo quindici euro, da solo, sul terrazzo di un cazzo di albergo con il mare che manco si vede piú all’orizzonte perché è notte. È come quando qualcuno compra una fantasia a zigzag di Missoni, va a una festa col vestito nuovo e la gente non solo non capisce, ma sommerge sistematicamente di complimenti una scema ricoperta da uno zigzag molto simile, comprato da H&M per un qualche prezzo che termina per .99.
Grande stima per la scema di H&M, ci tengo a precisarlo.
Insomma, il minibar ti illude e ti inganna e non ti ci puoi nemmeno sedere dentro, al fresco. Prima ti fa sentire in qualche modo figo e poi ti ricorda con la spietatezza dei un bambino che tiene per il collo un criceto che sei un coglione senza speranza. Uno che si diverte ad aprire l’antina e a far tintinnare le mignon. Uno che magari trova spassoso il pranzo sull’aereo, perché l’efficienza di tutti quei piccoli contenitori di cibo è quasi commovente. I crackerini. I paninini. Le lasagnette in vaschettine ermetiche. Quelle minuscole carote. I panettini di burro. Il bricchino del latte da mettere nel caffè, che quando provi ad aprirlo ti rendi conto che in realtà è un petardo, e lo capisce anche il tuo vicino.
Quindi. L’ingiustificabile mark-up praticato dagli assortitori di minibar è in realtà frutto di una legge economico-comportamentale mirata a debellare il flagello della debosciaggine dal mondo attraverso il meccanismo della vergogna solitaria. E non c’è difesa, perché hai poco da sdrammatizzare disinvioltamente quando fai figure di merda con te stesso. Lo sai benissimo che non sei poi tutto questo gran burlone. Sai anche che non te lo dimenticherai, questo entusiasmo per gli adorabili succhetti di frutta, che guarda un po’ sono proprio dei tuoi gusti prediletti.
Pirla.
Pirla.
Pirla!

…è chiaro che, se siete in viaggio aziendale, tutto questo è un’eresia.

 

 

2 Comments

  1. Ci hanno ficcato i minibar anche nei cellulari seperquesto. E c’è di peggio: “il minibar intelligente” batte qualsiasi cosa, è il vincitore indiscusso dell’automazione ai fini dell’inaridimento vitale dei viaggiatori, come avere uno gnomo nero in stanza, non sai mai cosa aspettarti da un minibar automatico.

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