MADRE, non si sa perché, non capisce le vacanze. Ami viaggiare? Ti piace visitare posti nuovi? Non vedi l’ora di passare del tempo lontano da casa – a scopo ludico-ricreativo? MADRE ti disapproverà. Non so che cosa le impedisca di intuire le innumerevoli ricadute positive che il viaggio può produrre sullo spirito umano, ma siamo messi così. Una persona che va in giro, per MADRE, è una persona che perde tempo, una persona frivola, superficiale e poco incline a comprendere il senso più autentico della vita. Perché la vita è sofferenza, sacrificio e stridore di denti. Allo stesso tempo, però, MADRE è in grado di esprimere dei desideri. Ad esempio, sono circa quindici anni che proclama di voler visitare la città di Perugia. Perugia, mica la Guyana Francese. C’è gente del West Virginia che prende l’aereo e attraversa appositamente un oceano per vedere Perugia. MADRE abita a Piacenza ed è pure in pensione, ma non ha ancora trovato il modo di raggiungere l’Umbria. Le ho chiesto se voleva che le prenotassi un albergo. Le ho chiesto se potevo guardarle i treni o stamparle un sapiente itinerario con le mappe di Google. Niente da fare. Eh… vediamo. Non adesso. C’è brutto tempo. Il papà non è molto in forma. Ho il fuoco di Sant’Antonio. Zero, non ci si riesce. È una roba che mi manda al manicomio. In fondo, però, credo che a MADRE vada bene così. Anzi, la faccenda di Perugia fa di lei un esempio di autentica abnegazione. “Ma hai visto quei due là? Sono sempre a spasso. Beati loro che hanno del tempo da perdere, guarda. Pensa che io non ho mai visto neanche Perugia!”. A quel punto, MADRE si aspetta di ricevere dei complimenti per la morigeratezza e la modestia che la contraddistinguono. E se proprio non vi viene da congratularvi, il minimo che potete fare è insultare insieme a lei tutte quelle persone che, invece, amano vagare per borghi, paeselli e remoti continenti in pace e tranquillità. Lo so, credetemi. A livello teorico, è un ragionamento che non ha alcun senso. In pratica, è il primo caso di Sindrome di Stoccolma auto-inflitta.
Comunque.
Il fatto che i miei genitori siano così poco inclini a spostarsi mi fa molto comodo. Perché, d’estate, so a chi lasciare il gatto. Sono ormai tre anni che Ottone von Accidenti va in ferie in campagna, dai nonni. MADRE, pur detestando le vacanze, non vede l’ora che io parta. E non perché viaggiare è bello, emozionante, istruttivo e interessante. Macché, MADRE mica è contenta per me. MADRE vuole che mi levi dai coglioni perché le piace tenere il gatto e informarmi, periodicamente, di quanto Ottone sia più felice lì con lei che a casa nostra. A me, di base, basterebbe sapere che è vivo e in buona salute, ma MADRE è convinta di dover fare di più. Oltre ad attribuire al gatto una vita interiore degna di William Blake, MADRE sente il bisogno di educare Ottone. Cerca a tutti i costi di dimostrare che il mio gatto è un genio e che, grazie ai suoi impareggiabili sforzi pedagogici, riesce finalmente a fare un casino di cose che, normalmente, non gli passerebbero neanche per l’anticamera del cervello. Le gloriose gesta che MADRE interpreta come miracoli, ovviamente, fanno parte delle dimostrazioni di follia-standard che ogni gatto regala giornalmente al suo padrone, ma non c’è verso di convincerla. Anzi, quando glielo facciamo timidamente notare, parte la sfida. Siamo noi che non gli dedichiamo abbastanza attenzioni. Siamo noi che non stimoliamo nella maniera più corretta la sua creatività. Siamo noi che non gli compriamo le tempere per fargli dipingere tramonti e paesaggi mozzafiato. Ah, che paesaggi vuoi che veda, poi, lì a Milano? Qua è tutta un’altra cosa. E il pelo? Quando è qui è molto più lucido. Bisogna spazzolarli, i gatti. Mica come fate voi.
I documenti fotografici che riceviamo dalla campagna, poi, non fanno che confermare i progressi di Ottone von Accidenti.
C’è chi sta peggio, comunque. Quest’anno, per dire, siamo andati in vacanza con il nostro amico Lorenzo. Lorenzo, da circa tredici anni, vive con Chicco. Chicco è un gigantesco norvegese delle foreste, bellissimo e incredibilmente irascibile. Chicco tollera solo Lorenzo, mangia come un frantoio, detesta essere disturbato e si butta a pancia per aria al solo scopo di artigliare le mani ai pochi incauti che ancora non lo conoscono bene. Lorenzo, come noi, ha fiduciosamente portato il gatto dai nonni. Al contrario di Ottone, però, Chicco non ha reagito granché bene al trasferimento. Oltre a cagarsi addosso nel trasportino, infatti, ha passato due giorni e mezzo ad ansimare come un mantice, nutrendosi esclusivamente dei brandelli di carne che riusciva a strappare dalle caviglie dei padroni di casa. La mamma di Lorenzo, tanto per farlo partire sereno, ha concluso l’opera con un commento da manuale: “Vai pure, ci mancherebbe… spero soltanto che il gatto non muoia di dolore”. La cosa interessante, però, è quello che è accaduto dopo. Mentre MADRE, nonostante le menate già abbondantemente descritte poco fa, mi illustrava vicende plausibili – Ottone ha preso un grillo! Ottone ha rotto una bottiglia! Ottone ci corre sulla pancia nel cuore della notte! -, la mamma di Lorenzo ha praticamente inventato un altro gatto. Da immane palla di pelo indemoniata, Chicco si è trasformato in un soave soprammobile da salotto. Tanto per cominciare, è diventato una femmina. Chicca sta molto bene. Segue tuo padre da tutte le parti. Corre da noi appena la chiamiamo. Sta in braccio e salta su e giù tutto il giorno. Ed è diventata BELLISSIMA… santo cielo, è così affettuosa!
Lorenzo, ad un certo punto, era convinto che Chicco fosse morto e che, per non farlo preoccupare, sua madre si fosse messa a raccontargli un mucchio di panzane rassicuranti e felici, finendo per peggiorare la situazione. Io, nel frattempo, ascoltavo il quotidiano – e dettagliatissimo – resoconto delle prodezze di Ottone von Villeggiante. Ha mangiato quasi tutte le crocchette! Ha cercato di catturare un calabrone, ma l’abbiamo salvato in tempo! Ha dormito sulla panchetta, nella vasca da bagno, sul tavolo fuori e sul comodino di tuo padre. Ha portato Paperella nella doccia. Ha raspato la porta. Ha miagolato nove volte in mezzo al salotto. Gli abbiamo dato l’umido alle 22 e 24. Ha giocato col topino del tiragraffi.
Quel che è peggio, come al solito, è che non possiamo lamentarci. Perché, innegabilmente, ci hanno fatto un favore. Nonostante adori prendere il gatto in ostaggio per due settimane, però, MADRE – la mia, almeno – farà sempre passare l’impresa come una dolorosa incombenza, offendendosi a morte ogni volta che ci viene in mente di contestare i suoi metodi – soprattutto quando le si fa notare che, forse, il regalo più grande che si può fare a un gatto è lasciarlo in pace per cinque minuti. E anche che, magari, quando si tratta di un gatto che vive con te da tre anni, ne sai un po’ più tu di lei. Ogni argomentazione, comunque, crollerà miseramente di fronte a una lucida e saldissima muraglia d’irrazionalità. Perché, qualunque cosa tenterete di spiegare a MADRE, lei risponderà sempre allo stesso modo: Sai cosa ti dico? La prossima volta il gatto te lo curi tu, visto che sei così brava. Anzi, fai come tua madre e stai a casa, che è meglio.
8 Comments
Io non ci vedo assolutamente nulla di strano nel fatto che MADRE non ami viaggiare.
Esaminando la storia dell’umanità in un’ottica di lungo periodo ha infatti ragione MADRE.
Il concetto del Viaggio come crescita culturale è un’invenzione romantica: il presupposto che viaggiando si possano conoscere posti, luoghi e persone, completamente differenti da quelli che conosciamo e questo ci possa arricchire interiormente è un pregiudizio culturale che abbiamo ereditato.
Ma siamo sicuri che le persone, i luoghi, gli incontri possano davvero arricchirci in sé e per sé, per il solo fatto di muovere il culo da casa?
Naturalmente dipende da quali persone, luoghi o posti incontreremo.
Voglio dire: andare ad Ibizia e sballarsi di rave party arricchirà più o meno di starsene a casina propria a leggere il “Tractatus logico-philosophicus ” di Wittgenstein?
Ma anche lì, cerchiamo di non essere troppo dogmatici:
dipende.
Dipende da chi sei nella vita, cosa fai, cosa vuoi fare.
Se sei Umberto Eco, è probabilmente meglio se leggi il Tractaus.
Se sei Jimi Hendrix meglio se vai a Ibiza (o a Woodstock, visto i generi musicali) e il Tractatus, se proprio te ne trovi una copia in mano non si sa bene perché, puoi metterlo al posto del piede della poltrona, ché si è rotta ieri, mentre ci saltavi sopra.
Se sei Cecco, come io sono e fui, puoi fare l’una o l’altra cosa, tanto è più o meno indifferente (nel senso che non verranno prodotti risultati memorabili né in un caso, né nell’altro).
Insomma, riavvolgendo il nastro, il nostro concetto di viaggio come arricchimento culturale è un preconcetto ereditato dai Romantici: basti pensare al viaggio in Italia di Goethe.
Però, anche in questo caso, le varie cose andrebbero poi viste nel loro contesto:
Goethe viveva in un mondo in cui non avevano ancora inventato le fotografie e i dipinti erano il miglior modo per trasmettere immagini del reale.
Non aveva fotografie, internet, televisione.
Se non muoveva il culo da casina sua, Pompei mica poteva vedersela con Google dal satellite.
Quindi il “Viaggio in Italia” era un po’ un passaggio obbligato per gli aristocratici e l’alta borghesia per conoscere il mondo.
Noi oggi mica abbiamo quel tipo di esigenze lì: se voglio vedere le teste dell’Isola di Pasqua mi connetto a internet e ne vedo una quantità infinita. Una volta viste, posso anche prendere un pezzo di legno e intagliare una delle teste dell’Isola di Pasqua (a essere capaci ad intagliare il legno).
Siamo sicuri che vedere dal vivo le teste dell’Isola di Pasqua e dedicare tanto tempo, risorse ed energia al viaggio, mi arricchisca di più che vedere queste benedette teste in fotografia e nel frattempo imparare l’antica arte dell’intaglio su legno?
Ma allora perché il concetto di crescita personale dovuta al viaggio è tanto bene radicata nella nostra testa?
Naturalmente perché è “pompata” dal commercio.
Voglio dire, c’è tutto un mondo di compagnie aeree low cost, tour operator, agenzie di viaggi, alberghi, residence, pensioni, bungalow, guide turistiche in carne ed ossa, guide turistiche stampate, venditori di souvenir e compagnia cantante che è interessata al fatto che la classe media desideri sperperare i proprio sudati risparmi viaggiando e vedendo cose nell’illusione che questo vedere cose non sia un’attività frivola e insensata, ma sia invece in qualche modo utile e profittevole per il proprio spirito.
(Tra parentesi:
in realtà anche il fatto che la diversità sia positiva è un concetto che abbiamo ereditato culturalmente noi post-moderni. Vallo a dire a un talebano dei tempi nostri o a un crociato dei tempi che furono, che la diversità è un bene: vediamo che cosa ne pensa.
Non sto dicendo che la diversità in sé sia un male; sto dicendo un’altra cosa: che cioè attribuire un valore positivo o negativo alla diversità in sé fa parte del nostro bagaglio culturale.
Quindi una cosa diversa è diversa e basta; poi l’attribuzione di una valore positivo o negativo alla diversità dipende dal contesto culturale.
Chiusa parentesi).
Fino a tre secoli fa (che nella storia dell’umanità sono un periodo assai breve) non c’era affatto tutta questa frenesia di viaggiare per conoscere.
Viaggiavi se eri un lanzichenecco, un conquistatore, un missionario (quindi anche qui in un certo senso un conquistatore), o se dovevi commerciare.
Anzi, viaggiando ti sottoponevi all’inutile rischio dei masnadieri e dei briganti; e all’epoca era assai meglio stare all’interno delle maleodoranti mura della propria città medievale.
Il viaggio aveva comunque sempre uno scopo pratico e utilitario, altrimenti era uno spreco di risorse (ad esempio: le vette delle montagne le scalano dall’ ‘800 in poi: prima si pascolava a bassa quota; e che ci andavi a fare in vetta?).
In compenso c’erano altre mode, altre manie, altre costruzioni culturali.
Ecco, ad esempio per dirla con Yuval Harari ( http://www.amazon.it/Da-animali-d%C3%A8i-dellumanit%C3%A0-Overlook-ebook ), nell’Antico Egitto c’era tutto un mondo di sacerdoti, di scribi, costruttori edili, mummificatori, venditori di garze per mummie, orefici, scalpellini di gatti, di scarabei e di altri animali, insomma tutto un mondo di quel genere lì che pompava per la costruzione di belle tombe nel deserto.
L’industria delle pompe funebri ebbe la sua acmè in quell’epoca.
E desideravano belle tombe nel deserto, proprio perché avere una bella tomba nel deserto era uno status symbol. Come comprarsi una pelliccia negli anni ’80.
Se fossimo antichi Egizi il dono migliore per un anniversario di matrimonio sarebbe una bella tomba in stile faraonico e non ci passerebbe neanche per l’anticamera del cervello di regalare un bel viaggio in Mesopotamia per le nozze d’argento.
Invece siamo occidentali postmoderni e sembra più romantico un viaggio a Parigi.
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Disclaimer:
non è che passo la vita a leggere testi sacri in un cubicolo sul Monte Athos, mentre le mie figlie giocano a nascondino nelle catacombe, facendo rotolare la palla nei corridoi silenziosi, avvolte in sciarpe di lana bianca bordate di azzurro, cucite dalle monache, per ripararsi dagli spifferi siderali…
e d’altronde chi siamo noi per poter anche solo immaginare di voler ridefinire questa assurda messe di gioiose e assurde convenzioni in cui viviamo? sarebbe troppo faticoso… meglio lasciarsi portare, euforici e incoscienti, dalla corrente dei nostri tempi.
Quindi e ciononostante io in vacanza ci vado, più o meno negli stessi periodi in cui vanno insensatamente tutti, e ci porto anche moglie e figlie.
Quest’anno al mare: tutti insieme con tutti gli altri, come foche spiaggiate sulla banchisa polare, provenendo direttamente da un documentario di Ambrogio Fogar, spalmando quintalate di crema solare, perché il sole fa bene, ma poi bisogna darsi la crema per non prenderlo.
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Beh, tutto questo per dire che MADRE probabilmente tutto questo in cuor suo lo fa e quindi fa bene a non sentire il bisogno di viaggiare, né per accrescersi culturalmente, né per altri futili e vacui motivi.
PS: A proposito di Otto, hai letto “Le considerazioni filosofiche del gatto Murr” di Hoffmann?
Uff… è venuta fuori di nuovo una lenzuolata di commento…
La semplice verità è che MADRE non viaggia perché non ha voglia di spendere dei soldi.
posso usare la foto di ottone von hugh grant come desktop per il resto della vita?
Hai la mia incondizionata benedizione.
Geniale, ho riso per tutto il tempo di lettura. Poi ho condiviso con mia madre (che mi tiene i gatti quando sono via) e con un’amica che i gatti li affida alla suocera quando ha bisogno…. dopo, non contenta, ho svegliato mio marito che già dormiva x leggergli l’articolo… è così divertente che non mi ha ucciso x avergli interrotto la fase R.E.M….
Splendido… sono tutti uguali… gatti e genitori!
Mi scuso con marito, MADRE e amica. E ti ringrazio <3
Oddio, anche mia madre non si muoverebbe da casa neanche sotto assedio.
Pensavo fosse l’unico essere al mondo ancora incapace di comprendere la beltade del viaggiare, ma a quanto pare no. Ha compagnia. Sono molto più sollevata ora 😀
Ammetto che ogni anno, con l’avvicinarsi delle vacanze estive, rileggo questo tuo post e rido alle lacrime.
Qualche volta ho anche provato a leggerlo ad alta voce ad amici e parenti, ma non respiro dal ridere…