Che ne avrebbe fatto Barbero della gemma più celebre del mondo? Non lo sappiamo – anche se immaginare Barbero sul Trono del Pavone mi provoca irrimediabilmente un certo spasso -, ma con Anita Anand e William Dalrymple caschiamo altrettanto bene.
Attualmente esposto alla Torre di Londra, il Koh-i-nur è un diamante avvolto nel mito – la tradizione vuole che uno dei proprietari sia stato, immemorabili secoli fa, addirittura il dio Krishna – e protagonista di un’epopea secolare, sanguinosa e intricata. Questo saggio storico cerca di ricostruirne il percorso, tra fonti dubbie, leggende e opachi passaggi di mano.
Che aveva di tanto speciale? Le dimensioni, tanto per dirne una. Nella sua forma originaria – AKA prima che Lord Wellington in persona tagliasse la prima faccetta per renderlo più appetibile ai sudditi della Regina Vittoria (è una lunga faccenda, ma ci arriverete) – era grosso come un uovo e, per quanto il metro qualitativo della gemmologia sua assai cambiato dai tempi dei Moghul regnanti, la sua limpidezza e luminosità erano incomparabili. Una pietra degna di un dio, “la montagna di luce”, l’ornamento perfetto per i sovrani più potenti. Valore inestimabile, insomma, ma anche fama di portare rogna, perché un sasso di tale importanza non può che agitare i sonni anche del più fortunato tra i suoi proprietari.
Il libro, avvalendosi di fonti relativamente nuove e mai tradotte prima, ipotizza la traiettoria storica del diamante, fornendoci anche una ricchissima panoramica del contesto. Tra Lahore, il Punjab, l’Afghanistan, la Persia e Golconda, la sorte del Koh-i-nur è quella di un oggetto dal valore intrinseco e simbolico fuori scala, una sorta di talismano che, passando di mano in mano, si è ritrovato al centro di momenti di svolta irripetibili per le dinastie Moghul, per i Sikh e per l’ultimo maharaja del regno più eminente e prospero dell’India, un bambino di dieci anni messo con le spalle al muro dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali.
Da ex-studentessa inevitabilmente immersa in una prospettiva eurocentrica delle sorti del mondo, un libro simile è una lettura che illumina una fetta di realtà che tendiamo ad approcciare – confermando proprio quell’eurocentrismo di base – in ottica coloniale. Le fonti, qui, abbracciano invece una pluralità di voci a cui il nostro orecchio non è abituatissimo a prestare ascolto.
A farci da faro in questo viaggio è un diamante sfolgorante che, tra abbondanti spargimenti di sangue, resta conteso e problematico ancora oggi. Feticcio della prima Esposizione Universale della Regina Vittoria, il Koh-i-nur ha demolito destini e aiutato a edificare imperi e, senza smettere di sfavillare, continua ad essere uno degli “oggetti” più ricchi di sottotesti e storia per un ventaglio di civiltà che, a turno, si sono specchiate nella sua luce, finendo per riportare a galla una faccia sempre diversa delle capacità dell’essere umano, nel bene e nel malissimo.