Forse per continua esposizione alle stupidaggini più disparate, per diffidenze sviluppate sul campo (corroborate spesso da realtà non limpidissime) e per un’esigenza quasi difensiva che ci spinge a rifugiarci nella più granitica razionalità – ecco, per tante ragioni potremmo avvicinarci al vasto universo dei tarocchi con un bagaglio assai greve di preconcetti stratificati. Facciamo bene? Un po’ forse sì. Faremmo bene in questo specifico caso? Credo di no.
Quello che costruisce Valentina Divitini in questa guida è, in fin dei conti, un esperimento di narrazione e un viaggio simbolico. Leggere i tarocchi – in libreria per Magazzini Salani – è una cassetta degli attrezzi “extra” basata sulla fiducia nelle nostre capacità interpretative e “interrogative” – AKA “come farci le domande giuste”, calibrando le aspettative per renderci conto che nulla dipende da un fantomatico DESTINO che ci tocca o non ci tocca in sorte.
Che il tema incuriosisca o meno – e che poi questa curiosità spinga o meno a intraprendere una pratica strutturata di “lettura”, per noi o per gli altri -, il grande valore aggiunto è davvero Divitini. Si parte da una fascinosa carrellata storica (dagli oracoli alla riappropriazione contemporanea della dimensione “divinatoria”) per assestarci su una principale linea programmatica: i tarocchi sono uno strumento… neutro, come ogni strumento di cui possiamo servirci. Come funzionano? Come sono fatti? Che possiamo chiedere a queste benedette carte? Dipende. Utilizzano una simbologia condivisa – basata su grandi archetipi e dettagli che evocano reazioni profonde – per aiutarci a raccontare una storia, in un continuo rimescolamento di prospettive e possibili angolazioni. Sono una sorta di grande catalizzatore sistematizzato che si serve di figure e numeri per aiutarci, se vogliamo imboccare una strada alternativa, a tirar fuori quello che già sappiamo ma mettiamo male a fuoco.
Insomma, l’intento non è nozionistico – favola, impariamo a memoria tutti i trentordici miliardi di potenziali simbologie di ogni carta del mazzo! – ma liberatorio, mi vien da dire. Si riflette sul metodo, più che sulla regola. Si crea uno spazio per creare domande “sane” e produttive, più che per applicare acriticamente un insieme di dogmi. Quel che ne esce, al di là dei consigli pragmatici per cominciare, è un felice incoraggiamento a percepirsi come artefici e non come soggetti passivi di un gramo disegno inamovibile che non controlliamo mai. C’è dell’incontrollabile in quel che ci succede, chiaro, come sono incontrollabili tante condizioni di partenza, ma c’è anche il potere di riconoscerci forti, capaci, equipaggiate e saldamente al timone. Non si “crede” ai tarocchi, penso d’aver capito. Si “crede” alla propria curiosità, alla propria capacità di scrivere una storia in cui ci piacerebbe abitare.
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[Segnalazione extra: esiste un mazzo “curato” da Valentina per i 23bassi. I mazzi possono basarsi su ogni possibile tema e declinazione grafico-visiva… ecco, questi sono tarocchi che raccontano il patrimonio architettonico italiano.]