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Melissa Panarello | Storia dei miei soldi

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Con i soldi – quando ci sono – si possono comprare le cose più disparate e di certo anche i libri. Ecco, un po’ dei miei soldi li avevo usati per comprarmi la versione di carta di Storia dei miei soldi – uscito per Bompiani e arrivato a più che buon punto nel percorso accidentato del Premio Strega 2024 –, ma poi mi sono accorta che il medesimo libro lo leggeva l’autrice su Storytel e ho deciso di ascoltarlo, perché ho un debole per chi scrive e poi ci legge la roba sua.
I miei trascorsi con Melissa Panarello risalgono a quando il cognome era ridotto a una P puntata, ma poi l’ho persa. Gli enormi casi letterari – categoria in cui il suo esordio rientrava con veemenza – producono eredità quasi sempre ingestibili e su quelli è raro che ci si possa basare per capire come andranno gli eventuali libri successivi.
Mi è piaciuto molto ritrovare Melissa Panarello qui e, di fatto, conoscerla da capo, con questa pelle nuova pronta a contenere un esperimento che riesce a essere “meta” e profondamente disarmante insieme. Che c’è al centro? I soldi. E quello che ci fanno.

Cosa succede? Una scrittrice incontra per caso per strada l’attrice che una quindicina d’anni prima aveva interpretato il personaggio “scandaloso” del suo libro d’esordio, bestseller lettissimo e chiacchieratissimo. Sia la carriera di Clara T. che della nostra autrice sembrano aver seguito parabole di “contrazione” della fama ipertrofica degli inizi ma, se la scrittrice ha continuato a lavorare e si è costruita una famiglia felice e “regolare”, di Clara T. si sono completamente perse le tracce.
Dopo essere state a lungo la stessa persona – almeno nella percezione del pubblico, all’interno dei meccanismi della finzione letterario/cinematografica -, Clara T. e l’autrice navigano in acque completamente diverse: lo specchio, da qualche parte nel passato, è andato in pezzi e a pagarne il prezzo più salato pare essere stata Clara T. Non avendola mai davvero conosciuta, la scrittrice decide di avvicinarsi e di raccogliere le sue confidenze, compilando una cronaca di prima mano della disgregazione di quella donna a cui sente di essere legata ma dal cui evidente caos si sente anche un po’ respinta.

Quello che risulta immediatamente spiazzante è che Clara T. chieda 10€ alla scrittrice, subito e senza convenevoli o senza vergogne. Una che ha fatto qualche film importante e ha preso fior di milioni per diventare il volto di cosmetici, vestiti, agende e prodotti di largo consumo assortiti non può venirmi a chiedere 10€ o, ancor peggio, farmi capire con questo candore spudorato e naturalissimo, di aver finito i soldi.
I tempi in cui la povertá poteva beneficiare di un qualche tipo di romantica indulgenza sono più che terminati e poche altre circostanze umane ci disarmano, ci fanno paura, ci tirano fuori orrori e demoliscono i teatrini della buona creanza. Cosa è successo a Clara T.? Che fine hanno fatto i suoi soldi? Che persona era prima e chi è adesso? Perché ha così voglia di mettere in mano a una scrittrice – che le ha tecnicamente spalancato le porte del benessere ma che non può certo dire di conoscere – i suoi pietosi estratti conto? Cosa c’è da vergognarsi nell’”aver bisogno”? Parlare di soldi è più sconveniente che scrivere un libro sulle avventure erotiche di una ragazzina? E come è possibile che quella ragazzina si sia trasformata in Clara T. che ti chiede 10€?

Intrecciando il presente di quest’incontro fatidico al passato di Clara – che si srotola come uno di quegli “scontrinoni” eterni che uscivano dalle calcolatrici -, Panarello gioca con i fondamentali dell’identità e gestisce abilmente tutte le sue maschere. Racconta, soprattutto, una storia che sorpassa con intelligenza le circostanze particolari di fama/ricchezza per parlare di come quello che abbiamo in tasca (poco o tanto che sia) tende a modificarci e a deformare il nostro rapporto con gli altri, anche quando sembrano esserci in ballo sentimenti profondi, vasta fiducia, futuri promettenti. Se ne esce a passi incerti, perché il mondo che Clara T. ci mostra non ha niente di solido o rassicurante… e forse non vogliamo nemmeno vederlo, come non vogliamo vedere la povertà “vera” e preferiamo tendenzialmente trasformarla in colpa: da qua sei venuta, Clara T., e da qua (forse) non ti abbiamo mai permesso di allontanarti. Ben ti sta, non ci dovevi sperare. Ben ti sta, per non aver mai davvero considerato i soldi l’unico fine, l’unico motore del mondo. Ben ti sta, perché ti sei rifiutata di diventare come noi.

[Come da tradizione quando tiro in ballo Storytel, ecco il link per la prova gratuita “prolungata” di un mese.]

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