Arriverà un’epoca in cui smetteremo d’aver bisogno dei miti? Non ne sono certa, ma ne dubito. E non perché, a lungo andare, ci si accorge che ogni mito che ci dice qualcosa smaschera anche una nostra debolezza, ma perché lo straordinario ci consola. Attraversiamo da ormai qualche anno un potentissimo revival editoriale dell’eroico e del mitologico: lo si è fatto in mille modi e da mille prospettive, badando a figure tangenziali o romanzando quelle più celebri, commentando valori e società lontane o provando ad accostare i dilemmi più antichi alle rogne del nostro tempo. I miti sono accoglienti, perché sono abituati a cambiare forma e a trovare di volta in volta la chiave d’accesso più efficace al cuore di chi ascolta. E non smettono di funzionare, in fin dei conti, perché erano, sono e resteranno delle storie notevoli. Ecco, un po’ quando pensavamo di averle sentite tutte, è arrivata Paola Mastrocola con Il dio del fuoco. Efesto, il fabbro. Uno che manco le altre luminose personalità dell’Olimpo sapevano che c’era… e per una tremenda ragione.
Efesto, possiamo dircelo tranquillamente, non è uno che ha saputo costruirsi una fandom solidissima. È un dio utile, ma non è che sia molto di compagnia. Brutto, ombroso e sciancato, sfacchina senza sosta nelle sue prodigiose fucine e si tiene abbondantemente alla larga dalla mondanità. Quando ottiene la mano di Afrodite lo si compatisce, più che invidiarlo. Sulla cima dell’Olimpo ci sarà anche una magica città, ma a Efesto toccano corna, scherno, una sostanziale marginalità e assai poca poesia. Paola Mastrocola non esita a indicarcelo come l’unico dio che lavora – nello sconcerto generale -, ma ne rimescola con grazia motivazioni e gesta per immaginare tutto quello che scorre e ribolle sotto la superficie. Efesto è sotterraneo e magmatico come il metallo che forgia e il suo destino è perennemente in salita – e non solo a livello metaforico. Scaraventato giù dall’Olimpo da neonaterrimo, Efesto passerà l’eternità a cercare di vendicare quel violento rifiuto e, soprattutto, a cercare di fare a meno di quell’amore fondamentale che gli è stato negato. Non può dirsi perfetto e splendido come gli dèi e le dee al cui fianco avrebbe pieno diritto di stare, ma tutta la bellezza che gli manca finisce nell’arte che produce e nel comando che esercita sulla materia. È quello il mezzo con cui rovescia all’esterno il sentimento, è quello il suo lascito. Il dio che pare meno dotato di grazia è quello che crea meraviglie capaci di stupire persino gli eterni abitanti dell’Olimpo, che tanto si compiacciono d’aver già visto (quasi) tutto. Figlio di due madri e figlio di nessuno, Efesto arranca alla scoperta delle sue origini, sempre conteso tra vette e abissi, bisogno d’appartenenza e orgoglio ferito.
Maneggiare il mito è complicato, perché le stratificazioni di cui tenere conto sono innumerevoli. Il dio del fuoco – in libreria per Einaudi – è un esperimento affascinante, sia per la scrittura che per i necessari raccordi inventivi. Da Teti al tormentato Dedalo, dal trono letale di Era alle legioni di automi dorati, dai Titani a Ermes, ogni dio è la manifestazione di un frammento dei nostri impicci e delle nostre speranze e nessun eroe può sfuggire al suo destino. Efesto vi butterà addosso molta fuliggine, ma è nello splendore di quello che inventa che potrete a lungo bearvi.