Il genitore piacentino medio, se la sua prole decide di andare all’università a Milano, è molto difficile che dica “O prole mia, ma che sarà mai, ti affitto una simpatica e ammiccante garçonnière in zona Colonne, che così puoi razzolare felice coi tuoi compagnucci di corso… e se poi trovi anche il tempo di studiare, insomma, tanto meglio. Uscire di casa, uscire di casa vi sveglia, a voi giovani!”
Ecco.
Il genitore piacentino medio, invece, prenderà il suo studente-figlio e gli dirà “C’è il regionale delle 7.08 che fa Rogoredo, Lambrate e Milano Centrale. T’ho preso l’abbonamento… e se anche solo pensi a finire fuori corso ti sego le dita dei piedi e poi ti diseredo”.
Molti dei senzatetto che bevono birrette da due euro in Colonne con gli studenti dotati di garçonnière sono ex-studenti piacentini pendolari, tragicamente deragliati fuori corso e scacciati come cani. Stanno lì insieme a quelli con la garçonnière per farli svaccare definitivamente. Il loro scopo finale – a parte la conquista del mondo – è di mettere insieme un’armata di ex-studenti piacentini senza fissa dimora e assaltare gli atenei che li hanno ripudiati prima che a ripudiarli fosse la famiglia.
Ma stiamo divagando.
Io il su e giù Piacenza-Milano l’ho fatto per cinque anni, col papà che mi comprava l’abbonamento in prima classe perché non poteva credere che i treni fossero ancora uguali a quelli che prendeva lui trent’anni fa, quando lavorava da qualche parte vicino a Lodi. In prima classe c’era tutta la gente che arrancava verso l’ufficio, poi c’eravamo io e il mio amico delle superiori col genitore ferroviere. Se hai un genitore ferroviere, si è scoperto, tu e tutti i tuoi consanguinei sarete automaticamente ammessi gratis sul treno che più vi piace. Lo invidiavo un casino. Aveva anche questo tesserino che testimoniava la sua appartenenza alla stirpe dei ferrovieri… e secondo me avrebbe dovuto vantarsene un po’ di più.
Insomma, grazie al mio papà che finanziava la prima classe, capitava addirittura che si trovasse posto a sedere. Lo stare seduti, però, non assicurava che tutto il resto andasse a finire bene. Se avevo un esame alle 10 – orario che all’intero mondo sembra, giustamente, onestissimo e normale – partivo in media alle sei e venti del mattino, che se un caribù sveniva sui binari vicino a Secugnago, a Milano non c’era speranza di arrivare. Certe volte rinunciavo proprio al viaggio e la notte dell’esame stavo a casa della mia amica Flavia, che aveva una gatta grassissima che mi svegliava sempre. Paprika era l’unica gatta del mondo ad avere il passo pesante. Arrivava in salotto e faceva scricchiolare tutto il parquet… e io mi svegliavo, sbraitando modelli macroeconomici e indici di bilancio.
Ma stavamo parlando di treni. Anzi, dell’orrore dei treni… però non siamo qua per fare del blog-dolore, come delle Barbare d’Urso qualsiasi. Siamo qua per parlare dell’evoluzione fenomenologica della ferrovia, del passeggero che muta al mutare del vagone che lo ospita, delle distanze che si accorciano perché le velocità si impennano, dei “salumi di alta qualità” e del “scegliete una pausa di gusto!”.
Siamo qua perché da settembre prendo due Frecciarossa al giorno (pagandoli profumatamente, questa volta di tasca mia).
E siamo qua perché, più di tutto, non riesco a capire com’è che si siedono le persone.
Ora, se compri un biglietto Frecciarossa ti assegnano il posto. Se, invece, compri un abbonamento mensile, il posto non ce l’hai e devi vagare come una trottola in cerca di un cantuccio libero dalle terga di qualcuno che, al contrario di te, non ha dato 295 euro (in anticipo) a Trenitalia. E pace per il Milano>Torino delle otto del mattino, che è tutto un susseguirsi di folkloristici riti propiziatori e balletti di “scusi, mi sa che lì ci sono io” e “prego, mi alzo subito”. Alla mattina si sta pigiati e buonanotte… capirai, ci sono esperienze pendolaristiche ben più cruente e chi sono io per fare la zarina sulla slitta. Quello che però non comprendo è che cosa spinga la gente ad agglomerarsi e ammassarsi anche quando non è necessario. Per dire, il Torino>Milano delle 18.40 mi regala sempre momenti di fragoroso stupore.
Ho addirittura prodotto dei diagrammi.
Ecco. Si sale a Porta Nuova e il treno è vuoto. Una roba commovente. Allora ti scegli bene il posto, ti ammucchi intorno tutti i necessari generi di conforto e, finalmente, ALLUNGHI LE GAMBE. Ora, io non sono una modella siberiana di due metri e dieci, sono solamente una persona di un metro e settanta che non vuole passare il tempo rattrappita e compressa. Io le voglio allungare, le gambe. E non mi sembra un’ambizione così bizzarra, anzi, mi è sempre sembrato un desiderio condivisibile da ogni altro essere umano. A chi piace scalciarsi col passeggero davanti? Chi ha voglia di dribblare le centosei borse per il pc che il consulente-medio non può fare a meno di piazzare in terra, sotto al maledetto tavolino e in mezzo ai tuoi piedi innocenti? L’unica cosa che mi consola, quando mi mollano le borse sui piedi è che, quando mi addormento tiro calci. Comunque. Sarò io misantropa, ma non ne voglio di gente davanti, voglio potermi distendere come una paciosa foca monaca sul suo scoglio levigato.
È per questo che, se fossi una che sale a Torino Porta Susa, deciderei di comportarmi in questo modo:
Dove mi siedo?
Semplice, fuori dalle balle.
Mi siedo nel mio cantuccio e allungo le gambe pure io, senza generare disordine, senza offendere le articolazioni del prossimo e obbligarlo a regredire dalla situazione felice e serena del tragitto Porta Nuova-Porta Susa. Che a star bene ci si abitua alla svelta e poi col cavolo che vuoi rimetterti lì con le ginocchia in gola.
Qualcuno potrebbe dire “Eh, ma scusa, il posto che mi hanno assegnato non è mica quello lì dove si possono distendere le gambe”. E pace. Pace e bene. Ci siamo in due, sul treno, ma che ti frega, vai lontanissimo e non intralciare la mia posizione-yoga numero centotredici, diamine. Se poi arriva qualcuno che effettivamente quel posto ti rimetti a obbedire al biglietto. Ma finché non c’è nessuno perché condannarci all’artrosi?
Perché è illogico e insensato, ma quello che succede a Torino Porta Susa è questo:
Perché.
Perché.
Perché.
C’è tutto il treno. Che cosa vuoi da me. Ma non puoi essere un po’ misantropo anche tu, viaggiatore sottovuoto che arrivi all’improvviso a turbare la mia tranquillità?
All’inizio non mi spostavo, che magari sembrava maleducato. Adesso, invece, ho deciso di infischiarmene dei sentimenti altrui e di rispondere con boria e tracotanza all’insensatezza della gente che non si sa sedere. Di solito, stacco il caricabatterie dalla mia spinetta personale, lo attacco alla spinetta vicina (anche se è distante tipo un centimetro) e, sbuffando come un bufalo con gli zoccoli scheggiati, mi trasferisco pesantemente nel sedile LIBERO alla mia destra. Tiro la levetta sotto al sedile e, facendo tutto il rumore che posso, allungo il sedile con cattiveria. E basta, mi rimetto com’ero prima, viva Dio. E non avrei più nessun problema con l’illogico passeggero appena arrivato se non mi accorgessi, tutte le maledette volte che, appena mi sposto, anche lui distende le gambe. E anzi, le distende con un certo scocciato sollievo, come se ogni sua scomodità fosse tutta colpa mia. “Oh, finalmente ti sei levata. Ma pensa te, sta stronza, neanche le gambe mi faceva stendere, che è tutto il giorno che lavoro come un bastardo in un campo di patate, brava, brava, mettiti da quella parte, fuori dai coglioni”.
E ve lo giuro, è così che va.
Ed è questo quello che davvero mi sconforta. Che posso quasi quasi capire che uno voglia sedersi dove il biglietto gli dice di sedersi, ma il resto no. Il resto è di una stupidità che sfiora la superstizione.
E allora, come salvarsi?
Niente, mi siedo nei sedilini appaiati, quelli che hanno davanti solo gente messa di spalle. E mi guardo bene dal lasciare la giacca nel posto libero che mi rimane vicino, che questi posti sono preziosi e vanno condivisi con chi è ancora in grado di sedersi normalmente.
12 Comments
La gente che non si sa sedere è una piaga di molti mezzi di trasporto: tipo, dell’autobus e dei suoi sedili accoppiati due a due. Quando prendevo l’autobus mi ritrovavo puntualmente il viaggiatore bisognoso d’affetto che ad una schiera di sedili doppi assolutamente vuoti preferiva quello vicino al mio. Così, giusto per farsi compagnia. E in quei casi, bloccati tra il finestrino e il viaggiatore bisognoso d’affetto, è ancora più sgarbato andarsene.
son quelli i momenti in cui un culo enorme farebbe comodo!
Questo è giornalismo-verità, altroché. Ti sottopongo un altra situazione tipica. Io sul mio regionale quotidiano, di solito, sfodero il mio portatile e lavoro. Assumo anche io lo schema del posto vicino al finestrino. Alla prima fermata, dei tre posti liberi, nel mio caso viene sempre odiosamente occupato quello DI FIANCO A ME. Sono piccolina, tengo poco spazio, ma comunque sto attenta a tenere i gomitini stretti usando la tastiera. Ma regolarmente qualcuno si siede accanto a me, magari un voluminoso pendolare che decide di non togliersi il giaccone e di spalancare il Corriere. Oppure si siede accanto a me e praticamente mi appoggia il naso sul monitor per vedere cosa faccio. Un bel modo per iniziare/finire la giornata lavorativa
ma è ovvio. tu e il tuo portatile siete lì per intrattenere il prossimo. e se il vicino è uno da giornale, il suo diritto all’informazione avrà il sopravvento su qualsiasi necessità spaziale che potresti mai avere tu. signorina, guardi che io mi sto informando, non son mica qua a giocare a Tetris come lei!
e quelli che sull’autobus si siedono lato corridoio lasciando deliberatamente vuoto quello lato finestrino E NON SCORRONO? Allora tu devi sgusciare dentro, e se poco poco arriva una frenata tu e il simpatico che non scorre avere rifatto il kamasutra?
e sicuramente sarà pure gente brutta, quella che non scorre. gente non degna di un kamasutra.
Stessa situazione (con meno distanza da percorrere, ma con altrettanta rabbia). Pendolari misantropi di tutto il mondo, unitevi (ma mantenete le distanze nei posti a sedere)
se ci pensavi prima a quest’ora avevamo già le elezioni in pugno!
Secondo me sottovaluti il fatto che c’è gente per la quale la direzione è importante e che segna una x su dei posti che – in teoria ! – nei tuoi schemi sembrano liberi, ma che loro cancellano dalle possibilità che gli offre la vita.
ci ho pensato… e per scoraggiare ulteriormente quelli che hanno bisogno di andare “nel senso del treno”, mi ci metto già io, in quel posto lì che va nel senso del treno. e l’enigma rimane… perché quelli che mi si piazzano davanti non solo scelgono di rattrappirsi, ma di andare pure al contrario. GESOO, devo avere qualcosa.
Io invece, a un certo punto della mia vita, dopo anni di andirivieni su rotaie ho deciso di amare i posti corridoio (se non trovo posto nei sedilini appaiati). Perché così, chiunque mi si venga a sedere davanti, le gambe le posso stendere di lato a discapito di chi vorrà passare (nei limiti, non riesco a essere fastidiosa fino in fondo). Però se vogliono la guerra, che guerra sia…
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