Ebbene, l’intero catalogo Adelphi è in promozione fino al 15 febbraio. C’è il -25% su tutto quanto e, visto che gli Adelphi costano spesso una fucilata, la notizia è da accogliere con gioia e vaste celebrazioni. Non ho letto ogni titolo mai pubblicato da Adelphi, mio malgrado, ma un paio di preferiti vorrei comunque provare a consigliarli. Metti mai che possano servire d’ispirazione a qualcuno.
Ecco dunque una rapida e minuscola lista della spesa, in ordine casualissimo ma pieno di sentimento.
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Neil MacGregor, La storia del mondo in 100 oggetti
(Traduzione di Marco Sartori)
La storia “materiale” credo sia la mia preferita – insieme a quella simbolico-iconografica (sempre che una definizione del genere possa dirsi accettabile). Comunque, questo magnifico volumone di Neil MacGregor racconta i punti di svolta dell’evoluzione umana attraverso cento oggetti emblematici, oggetti che hanno saputo ridefinire un’epoca o cambiare per sempre la civiltà – più o meno antica – che li ha concepiti. La forbice temporale è molto ampia (si va dagli albori dell’umanità ai giorni nostri), così come lo spettro geografico (che non trascura continenti che spesso, da Europei, tendiamo a studiare solo come potenziali mete di colonizzazione).
Godibilissimo da leggere, curiosissimo ma assai rigoroso, pieno di splendide fotografie e sicuramente già presente sullo scaffale di Alberto Angela.
Andrew Sean Greer, La storia di un matrimonio
(Traduzione di Giuseppina Oneto)
Ecco qua un riassunto stringatissimo: Pearlie e Holland, San Francisco, 1953, quel che rimane della guerra, l’amore, quel che rimarrà di loro. Il romanzo racconta, mettendo alla prova in quasi tutti i modi possibili la coppia protagonista, l’impervio tentativo di conoscere davvero la persona che amiamo. E gli sforzi che siamo disposti a fare per riuscirci, o per rassegnarci al fallimento, o per vivere affrontando le conseguenze di quello che abbiamo scelto di sapere. Tanti punti di svolta, una voce narrante battagliera e disincantata e, sullo sfondo – anzi, mica tanto sullo sfondo – i pregiudizi che più hanno segnato la società americana.
Edward von Keyserling, Principesse
(Traduzione di Anna Rosa Azzone Zweifel)
Un romanzo che somiglia ai deliziosi salottini popolati dai suoi personaggi: preziosi, ordinati, eleganti, sfarzosi… ma, a guardar bene, potremmo notare la carta da parati un po’ stropicciata dall’umidità, in un angolo. O una frangia annodata del tappeto. O una poltrona col velluto leggermente liso sul bracciolo, dove si appoggiano i gomiti. Keyserling racconta è la storia di Roxane, Eleonore e Marie, tre principesse baltiche che attendono di capire, fondamentalmente, che cosa ne sarà di loro. Per rango e “posizione” non possono certo aspirare alla libertà di seguire il cuore e galleggiano, quindi, in una specie di stagno fatto di piccole e grandi malinconie, minuscole rivincite ed estemporanei moti di ribellione.
Guardi, signora mia, proprio una meraviglia d’atmosfera. E come mi sono commossa, non le dico.
Mervyn Peake, Tito di Gormenghast
(Traduzione di Anna Ravano)
Il primo capitolo di una poderosa trilogia gotico-fantastica che racconta le gesta dei superstiti di una dinastia di personaggi superbamente strambi, che si aggirano nella monumentale fortezza di Gormenghast, un maniero vivo come solo le costruzioni sinistre e labirintiche possono esserlo. Il punto di svolta di questo primo romanzo sarà la nascita di Tito, erede designato e ultima speranza della famiglia De’ Lamenti.
Immaginazione sconfinata, scrittura sontuosa e stanze piene zeppe di gatti bianchi.
Roberto Bolaño, La letteratura nazista in America
(Traduzione di Maria Nicola)
Dunque, secondo me bisognerebbe leggere anche 2666 e I detective selvaggi, ma si casca BENISSIMO anche pescando tra le opere meno mastodontiche di Bolaño. La letteratura nazista in America è un oggetto narrativo assurdo. È un’antologia critica che raccoglie una vasta schiera di scrittori nord e sudamericani che in qualche modo hanno simpatizzato con il nazismo. Ma c’è tutto, proprio. Biografie, bibliografie, vicissitudini editoriali, rivalità, sodalizi, imprese e catastrofi. È una specie di universo parallelo in cui osserviamo un intero movimento cultural-letterario fatto di autori che non sono mai esistiti e che Bolaño ha inventato per noi, creando un puzzle dal realismo maniacale. Ci sono episodi che fanno spaccare dal ridere, personaggi ripugnanti e meschini, disavventure paradossali. È una follia. Ed è stupefacente.
Benedetta Craveri, Amanti e regine
Sono una ferventissima fan di madame Craveri. Le sue ricostruzioni storiche sono di una grazia unica e di un acume raro. Amanti e regine è una raccolta di ritratti di donne di potere nella Francia dell’Antico Regime. Di potere perché effettivamente investite di una carica ufficiale o perché, “di fatto”, capaci di insediarsi con successo in uno snodo decisivo all’interno di un sistema prettamente maschile. Troni e camere da letto, insomma, ma soprattutto “gestione dell’influenza” e sprezzo delle convenzioni.
Altre segnalazioni dal Craveri-mondo: Maria Antonietta e lo scandalo della collana (dal titolo assai auto-esplicativo) e Gli ultimi libertini (che non ho ancora letto ma ho in wishlist da circa mille anni).
Theodore Sturgeon, Cristalli sognanti
(Traduzione di Gian Pietro Calasso)
Pubblicato nel 1950, Cristalli sognanti è un’avventura fantascientifico-onirica di ambientazione… circense? Un bambino di otto anni, con tre dita in meno alla mano sinistra, fugge dai genitori adottivi e trova rifugio presso il luna park dell’ex-medico Monetre, un tizio super sinistro e misantropo al punto da desiderare l’estinzione del genere umano. Come se ciò non bastasse, Monetre è pure ossessionato dai cristalli e intende utilizzarli per spazzare via il suo prossimo. Da dove vengono? Non ci è dato saperlo. Ma quel che sappiamo è che i cristalli custodiscono il potere di plasmare la vita e la materia e che possono obbedire a ordini telepatici. Serve un tramite, però. E chi se non il piccolo Horty – protetto da una nana assai premurosa – si scoprirà in grado di manovrarli?
E alé, pandemonio.
È un libro bizzarro, che gioca con la realtà (e con l’inconscio) per dimostrarci che sotto la superficie delle cose possono nascondersi meraviglie e mostri indicibili.
Jurgis Baltrušaitis, Il medioevo fantastico
(Traduzione di Zuliani-Bovoli)
Non mi ricordo per quale motivo, ma Il medioevo fantastico era una delle letture richieste per un esame non meglio identificato all’università. E l’ho amato molto, questo libro, anche se non dobbiamo pensare di trovarci di fronte alla limpidezza divulgativa di un Michel Pastoureau, per dire. Baltrušaitis è un po’ più contorto e puntiglioso, ma questo vastissimo saggio – pubblicato nel 1955 – continua ad essere un punto di riferimento per gli studi sull’arte gotica e sulle influenze iconografiche che ne hanno alimentato le imprevedibili diramazioni – più o meno grottesche, dall’antichità classica fino all’estremo Oriente.
Shirley Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello
(Traduzione di Monica Pareschi)
Di questo libro parlo spesso perché se lo merita. È una specie di passeggiata su un lago ghiacciato, in una bella giornata leggermente troppo calda per le medie stagionali. La narratrice è una spensierata diciottenne che vive con l’amatissima sorella e uno zio invalido nella grande casa di famiglia, in una specie di idilliaco microcosmo lontano dalla disprezzata cittadina dove ogni tanto diventa necessario recarsi a fare compere. E il resto della famiglia? Tutti morti avvelenati, sei anni prima. Chi sarà stato? Cos’è successo veramente? Che cosa ci nascondono Marty Katherine e Constance?
Mai un libro è riuscito a calibrare la tensione in una maniera così perfetta, secondo me. E mai l’orrore ha trovato il modo di mascherarsi così bene.
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Diamine, pensavo fossero di più.
È meglio se vado a cercarmelo anch’io, qualche nuovo Adelphi da leggere.
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