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tegamini

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Perdonatemi e siate pazientissimi, ogni tanto si risveglia la Meredith Grey che è in me – insieme all’insopprimibile necessità di esordire con una gag assolutamente strabiliante e originalissima.
Ma lasciamo perdere.
Dunque, perché ci troviamo qui.

Ci troviamo qui perché, anche quest’anno, siete stati pazzescamente cari e avete deciso di mandarmi in gita ai Macchianera Internet Awards. Non avendo più alcun controllo sul tempo che passa o sul quello che faccio al mondo, ho scoperto di essere candidata a qualcosa più o meno una settimana dopo l’annuncio ufficiale. Me l’ha detto Amore del Cuore mentre stavo sul terrazzo coi piedi appoggiati sulla ringhiera a fissare la palma morta dei dirimpettai del mare, nel tentativo di radunare le forze per tirarmi su dopo una sessione particolarmente intensa di MINICUORE DORMI BISOGNA FARE LA NANNA CHE È TARDI.
Ma Tesoro di Cuccioli, sei di nuovo ai Macchianera.
Ma quando mai!
È uscito l’elenco, guarda. Sei nei siti letterari.
Oh, cavolo. E Snapchat?
Snapchat non c’è più.

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Le categorie andavano sfoltite, credo. E insieme a “Miglior post di satira socio-economica scritto con l’ausilio della sola mano destra durante una tempesta di sabbia nelle immediate vicinanze di un vulcano in attività” è sparito anche il premio per Snapchat. Mi dispiace, perché ci tenevo a difendere il titolo. Cos’è, adesso rimarrò in carica in eterno? Monarchia assoluta e addio? È qualcosa di tramandabile a Cesare?
Chissà.
Comunque. Quest’anno la grande priorità sarà la seguente: non arrivare ultima nei siti letterari. Come vedrete, sono in ottima compagnia. Ci sono riviste online, blog editoriali, magazine, l’Ilenia Zodiaco – evviva l’Ilenia! -, librai battaglieri, poeti laureati, premi Nobel, Michiko Kakutani e pure l’inventore della pastina per bambini a forma di letterine dell’alfabeto.

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Insomma, sarà dura, ma spero di cavarmela con un piazzamento onorevole.
A tal proposito, appiccico qua sotto il link alla scheda di votazione per chi avrà voglia/tempo/sufficiente benevolenza per continuare a sostenere la mia improbabile candidatura. I siti letterari sono un po’ in fondo – al 20 -, ma ci sono. Si può votare fino al 15 settembre (la premiazione sarà il 16… e spero caldamente di incontrare Alberto Angela).
Grazie per avermi sospinta fin qui, davvero. Per me è già motivo di grande commozione.

SI VOTA QUI, ALÉ.

Visto che sono bravissima a desiderare delle cose, ho deciso di mettere questo fondamentale talento a disposizione della collettività. Una volta alla settimana, dunque, condividerò qui sul blog un mini elenco delle cose che ho scoperto di bramare nei giorni precedenti. Ci sarà un po’ di tutto, temo, ma spero che anche voi riuscirete a trovarci dentro qualcosa da amare. Amici e parenti, inoltre, potranno utilizzare questi preziosi post per azzeccare sempre i regali. AVETE SENTITO AMICI E PARENTI. ECCO.
Bene, cominciamo allegramente a bramare.

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Una (o tutte) le spilline letterarie di Ideal Bookshelf, uno shop adorabile dedicato agli amanti dei libri che vende un po’ di tutto, dalle stampe di “scaffali ideali” di ogni genere – si può anche richiedere un quadro personalizzato, con i nostri titoli preferiti – alle immarcescibili borsine di tela.

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Uno (o più) cuorini smaltati di Iccio, creati a mano da una ragazza milanese – Beatrice Pagani – che ha deciso di aprire un laboratorio orafo dopo una laurea in economia e un po’ di sogni che si erano stufati di rimanere nel cassetto. I gioielli sono tanti (collane, bracciali, ciondoli, anelli), ma la costante sono le linee sottili e i dettagli colorati. Amo fortissimo anche i Fiammiferi.

FIAMMIFERO-ROSSO
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Non smetterò mai di comprare quaderni, blocchi, cancelleria, carta assortita, penne, matite, pastelli e via così. MAI. Non importa se poi è roba troppo carina per scriverci sopra, io voglio tutto. E ogni volta che compro una cosa nuova, mi ripeto immancabilmente “ma no, questa volta la usi. Poi si crepa, che senso ha non usare le cose belle?”. Ecco, vorrei esclamarlo con fragore anche adesso, dopo aver adocchiato un pregevole blocchetto che dovrebbe esortarmi a fare quello che devo fare senza mettere la testa sotto la sabbia.

struzzo

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I tre capisaldi della mia infanzia cinematografica sono stati La storia infinita – ARTAX STUPIDO CAVALLO NON MORIRE ARTAX ESCI DA LÌ -, La storia fantastica Labyrinth. Con buona pace dell’Imperatrice Bambina e della Principessa Bottondoro, però, il vincitore indiscusso è David Bowie con i suoi goblin rompicoglioni. E, visto che ho sempre nove anni, mi piacerebbe parecchio sfogliare l’artbook definitivo di Labyrinth. È pieno di schizzi, foto inedite dal backstage e interviste al vasto staff di creativi che ha contribuito a inventare il mondo del film. E pure la pettinatura di Jareth, immagino.

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Sono molto curiosa di vedere l’intera collezione autunnal-invernale di Lazzari, ma ho già deciso di affezionarmi molto alle felpette e ai maglioncini con i volant.

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Concluderei con qualcosa di assolutamente insensato, visto che mi pare di essere stata molto ragionevole. Tié, allora, beccatevi un nobile pennello per il trucco a forma di scettro lunare. Perché sì, va bene? Comodissimo, poi. Soprattutto in viaggio.

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Non so che cos’abbia di speciale la spiaggia, ma in spiaggia si legge a una velocità supersonica. Nessun altro luogo, contesto o stato d’animo è vagamente paragonabile. Mi stendo al mare e, nonostante il sudore, gli esuberanti COCCOBELLI – l’argomento di vendita dell’estate 2017 era il seguente: COCCOBELLO TI TIRA IL PISELLO! -, le anziane che enumerano a gran voce i loro guai e i bambini che protestano perché secondo le loro madri non è praticamente MAI il momento di fare il bagno, ecco – nonostante tutti questi insormontabili ostacoli, io leggo. Molto rapidamente.

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Qui, in ordine di apparizione, troverete tutti i libri – non molto voluminosi, perché avevo bisogno di una botta d’autostima – che ho fagocitato al mare nelle due ore scarse che mi è talvolta capitato di trascorrere in spiaggia mentre Minicuore dormiva e i nonni o il papà vegliavano su di lui.

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Michele Mari, Leggenda privata
Einaudi

Mai ci fu libro meno ombrellonabile di questo, ma in Sardegna sono riuscita a portarmi in spiaggia un Millennio, quindi nulla può più spaventarmi. Comunque. Leggenda privata è un’autobiografia labirintica che procede per mostri e ossessioni, passioni (più o meno disdicevoli) e spettri in agguato nell’ombra. Se amate Mari – come non posso esimermi dal fare – questo libro diventerà uno dei vostri incubi più interessanti. Quel che è certo è che non guarderò mai più un uovo sodo con gli stessi occhi.

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Silvia Bencivelli, Le mie amiche streghe
Einaudi

Silvia Bencivelli – giornalista scientifica – ha scritto un libro per mandare garbatamente a quel paese chi, all’improvviso, decide di abbandonarsi all’irrazionalità più assoluta. Dalla dieta del gruppo sanguigno ai rituali esoterico-alternativi per far girare dalla parte giusta i bambini podalici, dai vaccini all’oroscopo, Alice – la protagonista – passa in rassegna le stupidaggini più clamorose del nostro tempo, nel tentativo (forse troppo ottimistico) di aiutarci a rinsavire e di rispondere a una domanda dalle conseguenze potenzialmente devastati: perché, di grazia, LA GENTE crede a queste colossali cretinate? È un libro godibile e arguto, che risponde a un nobile intento. Vorrebbe essere un romanzo, ma non mi sembra che ci riesca moltissimo. Prendetevi quel che c’è di buono.

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superzelda

Tiziana Lo Porto e Daniele Marotta, Superzelda
Minimum Fax

Si sa, ai casi editoriali ci arrivo sempre con almeno un paio d’anni di ritardo. Comunque, Superzelda è la biografia disegnata di Zelda Fitzgerald, donna imprevedibile e turbolenta, appassionata e anticonformista, splendente e folle – sia in senso metaforico che clinico. Avrei potuto dire “Zelda Fitzgerald, la moglie di Francis Scott Fitzgerald”, ma un “moglie di” con lei non avrebbe funzionato. È una storia di creatività, difficoltà quotidiane, squilibri, talento, inquietudini e violente oscillazioni, scritta e disegnata a partire da un grande lavoro di documentazione e ricostruzione. Com’era davvero Zelda? Chissà, forse non lo sapeva nemmeno lei. Con questo libro, però, mi piace pensare di essere riuscita a conoscerla almeno un po’. Magari di sfuggita, a una festa che dura da tre giorni.

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exit west

Mohsin Hamid, Exit West
Traduzione di Norman Gobetti
Einaudi

C’è già un #LibriniTegamini, ma ripetere quanto questo libro sia straordinario non fa mai male. Hamid esplora il tema della migrazione e della fluidità delle società globali attraverso una storia d’amore che nasce nel momento meno propizio, in un paese sull’orlo del baratro, spaccato da una guerra civile che spazzerà via ogni speranza di normalità. I due protagonisti, come tanti altri, scelgono di abbandonare il loro mondo per avventurarsi verso l’ignoto, attraversando clandestinamente una delle tante “porte” che conducono verso un altrove incerto. È un romanzo prezioso, saggio e umanissimo… e sospetto sia anche la cosa più bella che leggerò quest’anno.

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piastrellista

Lars Gustafsson, Il pomeriggio di un piastrellista
Traduzione di Carmen Cima Giorgetti
Iperborea

La nuova collana Luci – con copertine infallibilmente bellissime – raccoglie i titoli che hanno contribuito, negli anni, a fare la storia di Iperborea. Il pomeriggio di un piastrellista è una specie di trionfo di mestizia scandinava. Racconta la giornata di “lavoro” di un vecchio piastrellista solitario, impegnato a sistemare un bagno in una casa sinistra e apparentemente disabitata. È una storia di abbandono e rimpianto, isolamento e bottiglie vuote, equivoci e menti ingarbugliate dal tempo. Non sono in grado di capire se mi sia piaciuto o no… perché non capita spesso di trovare un libro capace di emanare una malinconia così contagiosa.

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sofia

 Paolo Cognetti, Sofia si veste sempre di nero
Minimum Fax

C’è un #LibriniTegamini, ma diciamo due cose anche qui. Sofia si veste sempre di nero è un romanzo di formazione, credo. O una raccolta di racconti. O una riflessione collettiva sui legami che stringiamo e su come ciascuno di noi scelga di costruirsi un rifugio sicuro. Ogni capitolo è affidato a un personaggio o a una voce diversa. Tutti, in qualche modo, hanno fatto parte della vita di Sofia e, nel raccontarla – inseguendola, fraintendendola, allontanandola o salvandola -, spalancano una finestrella sul loro mondo, sui compromessi che hanno accettato e sui tentativi di afferrare un po’ di felicità. O di pace, almeno. Bello? Bello.

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hoban leone

Rusell Hoban, La ricerca del leone
Traduzione di Adriana Motti
Adelphi

Un padre che fugge dalla vita che ha sempre conosciuto e un figlio che lo insegue, cercando la propria strada. Due personaggi che si spostano, divergendo per poi ritrovarsi, sulla mappa di un mondo che sembra non avere più zone inesplorate o misteri da scoprire – leoni a parte. La ricerca del leone è un romanzo che trasforma la quotidianità in mito, in una fiaba avventurosa che ridisegna confini e luoghi per rovesciare all’esterno – e rivestire di denti e pelliccia dorata – i nodi irrisolti che ci appesantiscono il cuore. È un libro strano e misterioso… e non somiglia a nient’altro.

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Hanif Kureishi, Uno zero
Traduzione di Davide Tortorella
Bompiani

Un anziano regista malmessisimo – sedia a rotelle, pannolone, bava alla bocca e compagnia danzante – si ritrova in casa un ambiguo figuro che procede spedito a trombargli l’adorata moglie, puntando al patrimonio. Waldo, però, non è un vecchio scemo… e non ha la minima intenzione di tollerare in silenzio lo scempio che si sta consumando sotto al suo naso. La vendetta, per quanto caotica nel metodo e dolorosa da infliggere, sarà inesorabile. È un libro amarissimo che contiene una specie di compendio dei nostri istinti più bassi: nessuno è innocente (e nessuno sembra esserlo mai stato, specialmente in amore) e da tutti, prima o poi, potrete attendervi una battuta devastante o una perla di limpidissimo cinismo.

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sirene

Laura Pugno, Sirene
Marsilio

A ogni pagina di Sirene mi sono domandata MA CHE DIAVOLO STO LEGGENDO. Non sono uno spirito facilmente impressionabile, ma PORCA MISERIA CHE COSA STA SUCCEDENDO. Ebbene, in un futuro imprecisato dove l’umanità cuoce sotto a un sole malevolo che divora l’epidermide, la gente campa male e la Yakuza (che vi devo dire) prospera. Samuel, il nostro valoroso protagonista, lavora in uno stabilimento dove le sirene vengono allevate e macellate. Perché sì, ci sono le sirene, le sirene non somigliano per niente ad Ariel – sono solo vagamente umane e non capiscono niente – e le sirene sono buonissime da mangiare. Anzi, tutti hanno completamente perso la brocca per le sirene. Samuel, un bel giorno, decide di accoppiarsi con una sirena dell’allevamento – SAMUEL SANTO IDDIO SANTISSIMO -, devastandosi irrimediabilmente la vita e innescando una catena di eventi che non faranno che confondervi, terrorizzarvi e spappolarvi il cervello ancora di più. Non so come abbia fatto Laura Pugno a inventarsi un simile mindfuck-zoologico-apocalittico-tarantinian-manghesco, ma mi sono divertita moltissimo. Anche se mi è venuto da vomitare a più riprese.

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reza

Yasmina Reza, Felici i felici
Traduzione di Maurizia Balmelli
Adelphi

Mogli, mariti, figli, amici, amanti. Una galleria di personaggi che si muovono sul grande palcoscenico della nevrosi quotidiana. Ogni capitolo è affidato a un personaggio diverso e ogni storia contribuisce a stringere o azzoppare legami, fiducia e speranze, in una sorta di gigantesco mulinello di tradimenti, confidenze e compromessi. Un romanzo “teatrale”, che racconta con allegra amarezza tutto quello che non osiamo dire. Nemmeno sottovoce.

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arminuta

 Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta
Einaudi

Che meraviglia. Che splendida scoperta. L’Arminuta è un libro vivissimo, pieno di una grazia terribile. La farò breve: siamo in Abruzzo. Una ragazzina di tredici anni, un bel giorno, viene scaricata con una valigia in mano sulla soglia di una casa mai vista prima. È la casa della sua famiglia, una famiglia povera e numerosa che non l’ha cresciuta ma che ora è chiamata a riprendersela, una famiglia di perfetti sconosciuti. L'”Arminuta” – la ritornata – dovrà venire a patti con una realtà di cui non sospettava l’esistenza, ricucendo lo strappo dell’abbandono e ritrovando un po’ di terra da mettere sotto ai piedi. È un romanzo affascinante e doloroso, tenace e sanguigno, scritto in una lingua precisa e schietta, ricca di registri e sfumature diverse, di sapori e di ricordi amari. Una gioia.

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E questo è quanto, cari tutti.
Avete letto qualcosa di bello quest’estate? Consigliate! Consigliate!

Ho salutato Amore del Cuore, prima di partire, con un sincero “Ti invidio tantissimo”. Stavo per affrontare una settimana al mare in compagnia dei miei genitori – esseri umani con cui non abito più dal 2009 – e di un sempre più irruento Minicuore – creaturona con cui, invece, abito moltissimo da 10 mesi -, mentre Amore del Cuore sarebbe rimasto a Milano per i fatti suoi. Sette giorni SETTE di perfetta solitudine. Giorni lavorativi, va bene, ma pur sempre giorni completamente privi di pannolini, pastine, piantini e passeggini.
“Ti invidio tantissimo”, dunque.
Ma anche “Cosa credi, la vera vacanza te la fai a Milano quando non ci siamo”.
“Ma no, non è vero. Mi mancherete. Tornerò a casa e non ci sarà nessuno”.
“MA MEGLIO PER TE, AMORE DEL CUORE”.
Tralasciando queste nostre divergenze prospettiche sul tema dell’alienazione e delle gioie domestiche, comunque, ho lasciato ad Amore del Cuore un collaudo da sbrigare. Un’incombenza veramente gravosa. Un fardello quasi intollerabile. Un peso sconfinato. Una menata apocalittica.
Insomma, mentre MADRE mi ordinava di stendere fuori le salviette ogni volta che mi asciugavo le mani – perché altrimenti in bagno c’è umidità e si ammuffisce tutto -, Amore del Cuore ha fatto del suo meglio per obbedire a un semplice imperativo: goditi una serata estiva. A casa tua. In pace. Trovi tutto nella scatola. Fai quello che ti pare.

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Mentre io e i valorosi nonni percorrevamo per la quindicesima volta il lungomare di Loano (garrula località del savonese) spingendo un euforico Minicuore tra palme, gelaterie, gabbiani, anziani col deambulatore e maldestri mimi di strada, Amore del Cuore faceva del suo meglio per mettere a frutto le sconfinate potenzialità di un kit di intrattenimento domestico in grado di capirlo davvero. I Navigli sono pieni di gente sudata che fa l’aperitivo in una di quelle mangiatoie con le frittatine molli e i tramezzini umidicci? Lascia perdere. Cucinati qualcosa di decente, scandaglia Netflix e goditi il wi-fi in una corroborante nuvola di Autan.
“Mi mancherete tanto”.
Ma figuriamoci.

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Foto di Amore del Cuore, che intendeva dimostrarmi tutto il suo impegno.

Lo scopo dell’operazione affidata al mio consorte, comunque, non era prettamente culinario… anche se devo dire che si è decisamente applicato molto. L’idea di base era di collaudare il Fritz WLAN Repeateruno scatolino in grado di amplificare il segnale wi-fi domestico, rendendo la rete fruibile – in tutta la sua potenza – anche negli angoli più remoti della casa.
Ora, noi non abitiamo in un maniero e nemmeno possediamo dieci ettari di giardino, ma il wi-fi non circola con la medesima baldanza da tutte le parti. In salotto siamo messi bene, ma in camera – dove io, teoricamente, avrei il mio “studio” – va col freno a mano. Idem per la stanza da letto e per il bagnettino limitrofo – e che te ne fai del wi-fi in bagno? Presto lo scopriremo. Mi domando come facciano quelli che abitano in posti tipo il castello della Bestia – LUMIÉRE! PERCHÉ NELL’ALA OVEST NON RIESCO A NAVIGARE? Padrone, l’incantesimo che ci ha maledetti genera drammatiche interferenze, porti pazienza e faccia in modo di trovare l’amore, invece di prendersela con un candelabro. -, ma ho poi compreso che, in effetti, ci sono arguti stratagemmi in grado di sostenerci.
Amore del Cuore, in casa nostra, è senza dubbio il più fervente cultore del bagno nella vasca. Non vede l’ora di tornare a casa in motorino sotto a un temporale devastante per potersi concedere una corroborante mezz’ora di ammollo – “Ho preso freddo, mi faccio un bagnetto”. Di solito legge, quando si ritira nella vasca. Un po’ perché ha già buttato il cellulare nell’acqua e non vuole più correre rischi e un po’ perché col cellulare ci farebbe poco, visto che nel bagnetto il wi-fi è storpio. MA ORA NON PIÙ, a quanto pare.
“Amore del Cuore, sono contenta che tu abbia mangiato bene, ma l’aggeggio l’hai provato? Lo devi fare, è importante. Dobbiamo dire se funziona”.
“Sono in bagno. Adesso metto l’iPad sulla seggiola, attacco il coso e finisco di guardare Netflix”.
Ed è andata così. Dalle frammentarie informazioni ricevute da un uomo nudo che riempie una vasca da bagno ho potuto apprendere che il Fritz funziona in maniera assolutamente elementare – potete piazzarlo dove vi pare, basta che ci sia una presa. Per attivarlo e associarlo alla rete di casa vostra bisogna schiacciare un bottone, punto e stop. Non ci sono fili, mostruosità, ponti intergalattici da costruire e, in generale, l’arnese ha un aspetto poco invasivo e assai lineare. Ci sono delle lucette in grado di comunicarvi la solidità del segnale e, per farla breve, Amore del Cuore è finalmente riuscito a godersi un bagno guardando quello che gli piace. Perché diciamocelo, ci sono cose che su Netflix si guardano insieme e cose che, invece, preferiamo coltivare in solitudine. Amore del Cuore, ad esempio, in mia assenza mangia l’amatriciana (perché non sono fan né degli spaghetti né dei sughi prevalentemente a base di pomodoro CHE VI DEVO DIRE DENUNCIATEMI) e guarda i documentari sulla seconda guerra mondiale.
Ma non possiamo certo farci liquidare così, Amore del Cuore.
Ecco, dunque, la lista dei suoi preferiti.

– Better Call Saul
– Designated Survivor
– Limtless (ebbene sì, c’è anche una serie)
– Master of None
– The Propaganda Game
– Going Clear
– Auschwitz: nascita, storia e segreti di un incubo (ma si può?)
– Missione Anthropoid (questo non so come sia, ma se il tema vi appassiona vi consiglio di leggere HhHH)
– E, teniamoci forte, una pietra miliare che è riuscito a descrivermi solo così: “Hitler in Argentina o una roba del genere”

Mi piacerebbe molto mostrarvi il Fritz che garrisce spavaldo dalla presa del bagno di casa mia, ma non dispongo di documentazione fotografica.
“Amore del Cuore, le foto della cena sono utilissime e saresti un favoloso food-blogger… ma lo scatolino l’hai fotografato?”.
“Ah, quello no. Ma serviva?”.
“…”.
Tutto questo, ovviamente, mi è stato comunicato quando era già in autostrada.

Gli saremo mancati davvero? Chissà. Ma sono certa che il prossimo autunno sarà un tripudio di gite nella vasca da bagno. Il bisogno di relax – sostenuto da una solida rete domestica – non conosce stagioni, dopotutto.
Grazie, Amore del Cuore. E ben arrivato al mare, anche se fotografi solo piatti di pasta.

Il parco apre la mattina, nemmeno troppo presto. L’orario è variabile, ma ragionevole. L’infante ha ormai nove mesi… e si desta tra le sette e le otto e mezza, solitamente di ottimo umore. Ti vede e ti sorride serafico, anche se hai ancora la faccia sfigurata dalle pieghe del cuscino. Sei felice, perché è tenero. E la giornata comincia.

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…a dirla tutta, però, l’infante si sveglia tra le sette e le otto e mezza solo durante la settimana. Nel weekend è operativo alle sei spaccate. Non abbiamo idea di come faccia a distinguere i sabati e le domeniche dai feriali, ma ci riesce. Che bello, è sabato! Possiamo dormire un po’ di più! E INVECE.

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In casa nostra non vige una ferrea divisione dei compiti. Valutiamo il chi fa cosa in base a come siamo conciati in un determinato istante. In linea generale, ci pensa il genitore meno catatonico – con il tacito accordo di riequilibrare gli sforzi nel corso delle ostilità quotidiane. Ma la faccenda è irrilevante, in fondo. L’unica garanzia è quel che si trova nel primo pannolino.

shit

La cacca non mi stupisce più. Non dico che mi piaccia, chiaramente, ma ormai la considero inoffensiva. Le smorfie le faccio ancora, come riflesso condizionato, ma resto stoicamente indifferente. Va bene, è cacca. Non può nuocermi. Leviamocela dai piedi e tanti saluti. Ne valuto colore, composizione e consistenza – per assicurarmi che la creatura non produca nulla di eccessivamente fantasmagorico o ignoto alla scienza pediatrica – e procedo baldanzosa ai lavaggi di culino.

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Sono una grande estimatrice dell’acqua corrente. Alle salviettine si ricorre in situazioni estreme, quando proprio non c’è un lavandino nei paraggi. Che ne so, in un deserto. In una masseria remota solitamente utilizzata per i sequestri di persona. Se c’è un rubinetto, il culo del bambino va sotto al rubinetto. Peccato che il culo del bambino sia ormai diventato voluminoso – proporzionalmente al resto del bambino, per fortuna – e che l’infante, preso dall’entusiasmo, detesti la staticità. Se prima, dunque, potevo contare su un bambino maneggevole e facilmente rubinettabile, ora detergergli il deretano in un lavandino è una specie di avventura oceanografia, un naufragio su un vascello pirata, una passeggiata su una spiaggia devastata da uno tsunami.

splash

Il cassetto dei pannolini è vuoto. Dove diamine sono i pannolini. Ma soprattutto, come PERDIANA è possibile che siano già finiti. LI ABBIAMO COMPRATI SEI MINUTI FA.

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I pannolini non si volatilizzano, amici. I pannolini vanno smaltiti come le scorie radioattive. C’è chi si ingegna in modo diverso, ma noi abbiamo un onesto e funzionale mangiapannolini che troneggia fiero nel bagno perennemente allagato in cui svogliamo le pregevoli attività di pulitura della creatura. Visto che nessuno freme dalla voglia di cambiare il sacchetto ogni 13 minuti, il mangiapannolini si riempie. E si riempie. E si riempie. E, ad un certo punto, il maniglione si incastra. E tu, con un bambino di quasi dieci chili in braccio – avvolto in un asciugamano e divertitissimo dalle tue difficoltà – ti ritrovi a scuotere un mangiapannolini con la mano libera, bestemmiando i santi di ogni confessione e insultandoti per la scarsa lungimiranza dimostrata ANCHE QUESTA VOLTA. Perché il mangiapannolini ha ragione (ed è anche piuttosto capiente), sei tu che sei imbecille.

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Un tempo, mi ricordo, cambiare il pannolino era un’esperienza rilassante. Disponendo di un neonato pacifico e allegro, l’attività a bordo del fasciatoio non richiedeva un particolare sforzo muscolare e non suscitava pianti e strepiti acutissimi. Minicuore accettava di buon grado abluzioni, pernacchie sulla pancia e, soprattutto, la sostituzione dell’indispensabile arnese. Oggi, invece, sperare che stia coricato sul fasciatoio a farsi cambiare un pannolino è pura fantascienza. Se va molto bene, si alza in piedi contro al muro. Se va male, scaglia in terra quello che trova nel comodo e funzionalissimo vano portaoggetti-indispensabili-all’igiene e cerca di tuffarsi nel cesto dei bodini sporchi – doppio carpiato con avvitamento, coefficiente di difficoltà 9.7. Metterlo sul letto è l’unica soluzione praticabile, ma appena lo appoggi sul materasso si rivolta come una cotoletta mannara, schizza verso l’altiera e si avventa sui cavi penzolanti dei caricabatterie, sradicandoli dalle prese con immensa soddisfazione. E tu là, col pannolino in mano e l’acutissimo desiderio di assumere una tata-wrestler. O un gladiatore, di quelli col forcone e la rete. Fermati, miseria ladrissima. Lasciati mettere questo DIAMINE di pannolino.

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Sono le 9.07. E hai già un polpaccio dolorante e tre stiramenti alla schiena.

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Prepari il latte, collochi il bambino nella sdraietta – le due attività si svolgono spesso in parallelo, con l’ausilio di un secondo paio di braccia che di tanto in tanto spuntano miracolosamente all’altezza delle costole -, metti Mozart a palla – perché la musica fa diventare intelligentissimi, si sa – e consegni il biberon al bambino. Il bambino, che il cielo lo benedica, è capace di sgarganellarselo da solo, quindi tu ne approfitti scaltrissimamente per 1) Fare la pipì, 2) Levarti il pigiama – per indossare roba casuale che somiglia tantissimo a un pigiama, 3) Inghiottire un caffè e un biscotto – senza sederti, il che ti fa sentire molto al bar, 4) Metterti in faccia una crema a caso, 5) Tirarti su i capelli in modo da non farti scalpare nel corso della mattinata.

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Sono stati dodici minuti bellissimi, ma non possiamo aspettarci che durino in eterno. Il bambino accetta di soggiornare nella sdraietta solo mentre beve il suo latte. Il latte finisce, il bambino odia la sdraietta. E, di riflesso, l’intero universo.

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Porre tempestivamente fine al disappunto – e ripristinare la felicità – è uno dei doveri principali di una madre, mi pare di aver capito. Senza indugio, dunque, libero la creatura e la sguinzaglio sul tappeto, terra di vaste opportunità ludico-motorie.

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Trascorro l’ora successiva a domandarmi perché il bambino disprezzi ogni singolo e COSTOSISSIMO giocattolo scandinavo dalle proprietà multisensoriali, sonore e tattili che gli abbiamo comprato per prediligere invece i controller della Wii – debitamente privati delle pile -, un pacchetto di fazzoletti del Carrefour, un sacchetto di carta, l’estremità della mia treccia, il pendaglio delle tende, i telecomandi.

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Nella speranza di distoglierlo dall’insana passione che nutre per il mio telefono, poi, ho cercato di ingannarlo acquistando uno stupendo telefono per bebè alla Chicco – con una musichetta diversa per ogni tasto, tre potenziali contatti da chiamare (la scimmietta, la giraffina e l’ippopotamino) e pure la vibrazione. Si illumina, suona, ronza ed è bellissimo. Ma lui se ne sbatte vigorosamente i coglioni.

mal

Mi ricordo improvvisamente di avere il lavandino pieno di piatti, ventidue chili di bucato da lavare e qualcosa di indefinibile che soggiorna nella lavatrice in attesa che qualcuno decida di stendere. Potrei cacciare il bambino nel seggiolone e intrattenerlo con le mie gloriose e necessarie attività domestiche, ma mi sembra troppo contento per sradicarlo dal tappeto. Regola fondamentale: se il bambino è contento NON LO SPOSTARE NON LO INTERROMPERE VA BENE COSÌ.

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Contro ogni logica e previsione, l’infante decide di devastare ogni tua aspettativa abbandonando il tappeto di sua spontanea volontà e gattonando come un pazzo in direzione della cucina. Nell’illusione di poterlo contenere, superi il pouf con un balzo e fai del tuo meglio per rincorrerlo.

raptor run

Nonostante la velocità del bambino non smetta di atterrirti, i suoi progressi sul fronte pre-deambulatorio un po’ ti commuovono. Fai quattordici video e li spedisci a tutti i tuoi congiunti. E pure agli amici. Alla chat del corso pre-parto no, invece, perché hai paura a scriverci qualsiasi cosa. Sono piene di bambini afflitti da continui problemi insormontabili. Il tuo dorme, mangia, se la ride ed esegue un impeccabile Cassina 2 alla sbarra. Non hai il diritto di lamentarti.

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Visto che in cucina ci siamo in qualche modo arrivati, decido di lanciarmi in un repentino progetto-lavastoviglie. Inserisco l’erede nel seggiolone – legandolo come un criminale di guerra, visto che ha già manifestato l’intenzione di gettarsi fortissimo al suolo – e sfodero il diversivo definitivo: l’onnipotente galletta di riso.

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Le merendine sgranocchiette che elargisco parsimoniosamente a Minicuore costano all’incirca come un Cayenne. Da quando ha la facoltà di nutrirsi di pappe, frutta, carnine e roba appartenente al regno pseudosolido sono diventata una di quelle signore molto a modo che frequentano i NaturaSì. Non ho ancora fatto la tessera – perché spero mi passi, prima o poi -, ma mi sto appassionando. La gente mangia cose incredibili. Ho scoperto cereali mai sentiti, intolleranze alimentari di nicchia, bacche del Mar Caspio. Per Minicuore compro le farine per le varie pappe, le verdurette, le adorabili fettine biscottatine MIGNON di farro, i biscottini a forma di stella senza zucchero senza burro senza lieviti SENZA UN CAZZO alla mela e alla carota… non prendo neanche il cestino, perché se prendo il cestino finisce come da Sephora. E già così è una tragedia, perché gli mollo comunque trentamila euro a botta. Mi ripiglierò? Me lo auguro. Per ora, invece, fingo di essere una ricca milanese eco-bio.

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Il bambino azzanna la galletta di kamut/riso/farro/CEREALE POCO MAINSTREAM A SCELTA, mastica per quindici secondi e la scaglia sul pavimento, cercando di colpire il gatto.

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Mangi la galletta che è caduta per terra – ma proprio per non avere la sensazione di aver scaraventato cinque euro nel cesso -, rinunci a dargliene un’altra e fai partire la lavastoviglie, valutando la possibilità di convertire l’intera famiglia all’utilizzo di piatti, posate e pentolame di plastica. Armata dell’entusiasmo che solo il completamento di un compito semplice e lineare (per quanto fastidioso) può donarti, fai ritorno sul tappeto con il bambino abbarbicato addosso e, mentre lo osservi ogni suo movimento come un condor di montagna, produci cinque minuti di monologhi sconnessi su Snapchat – tanto per perdere ancora di più il contatto con la realtà.

chaos

Nascondi il telefono (PERCHÉ SE LO VEDE È FINITA) e torni a rincoglionirlo con storie di ogni genere. Attacchi con “La sirenetta impanata”, una filastrocca di tua invenzione dalla rara potenza immaginifica. Perché le sirene che siamo abituati a vedere nei cartoni animati, nell’arte e nella cinematografia sono tutte magre, flessuose, belle e figherrime? Semplice: quelle in carne vengono catturate e cucinate dai marinai di passaggio. È tutto spiegato nella canzoncina, tranquilli. INSOMMA, mentre ti sgoli con “La sirenetta impanata” il bambino pesta una costruzione gommosa, perde l’equilibrio e precipita. MA TU LO PRENDI AL VOLO, salvandolo dal trauma cranico.

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Visto che tuo figlio ha l’indole dello stuntman e l’istinto di conservazione del cast di Jackass dopo una piomba a base di tequila, il salvataggio non lo scalfisce più di tanto. E CHE SARÀ MAI, DONNA. NON FACCIAMOLA TANTO LUNGA. Per esprimerti tutta la sua gratitudine, anzi, ti assesta ridacchiando un poderoso sberlone sul naso, impiegando i cinque minuti successivi per artigliarti la faccia – perché se gridi MA AMORE PICCOLISSIMO DEL CUORE MI FI MALE PIANO PIANO AHIA lui si diverte ancora di più.

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Mentre valuti la possibilità di acquistare una tenuta antisommossa da utilizzare sul tappeto, il bambino ti guarda negli occhi e dice distintamente MAM-MA MAM-MA.

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Mentre cerchi di stabilire se si sia trattato semplicemente di un evento fortuito o se, in realtà, la creatura che hai portato in grembo per nove mesi e che sei riuscita ad accudire in questo mondo per un tempo altrettanto lungo abbia effettivamente detto MAM-MA capendo che la mamma sei tu, INSOMMA, mentre piangi di gioia e lo baci moltissimo perché ha messo in fila (più o meno casualmente) alcune sillabe che ti definiscono, il bambino si caga addosso.

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Sono nove mesi che sbottoni e riabbottoni bodini e minuscoli indumenti. Ma ancora non padroneggi gli automatici. E sbagli a chiuderli almeno due volte al giorno. Carissimo inventore degli automatici, devi sapere che non sono automatici per un cazzo.

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Espletati i doveri di lavaggio/cambio/vestizione, t’accorgi magicamente che è mezzogiorno e mezza. Il tempo si srotola in maniera bizzarra, quando si sta a casa con un bambino. Non ti sembra che passi mai e, ad un certo punto, ti sembra che passi tutto insieme.

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È ora di mangiare. SEGGIOLONE!

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Preparare la pappa è fonte di continui enigmi e perplessità – di cui probabilmente ti libererai soltanto fra numerosissimi anni, quando tuo figlio ti chiederà dei soldi per andarsi a mangiare un cheeseburger coi suoi amici, per esempio. In attesa che quel rinfrancante momento arrivi, però, ti arrangi schiacciando verdure bollite, miscelando granaglie polverose, sminuzzando finemente petti di pollo e producendo ettolitri di brodo vegetale. E il bambino MANGIA TUTTO, VIVA LA MADONNA.

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Il fatto che Minicuore ingurgiti di buon grado quello che gli propino non è però garanzia di pasti pacifici. Perché può accadere che, preso da un’incontenibile emozione, il bambino decida di vaporizzarti negli occhi una cucchiaiata di frutta frullata, spernacchiandola senza pietà in ogni direzione e deturpando irrimediabilmente ogni essere vivente o arredo nelle vicinanze del seggiolone.

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Ma può anche succedere che, gesticolando come uno sbandieratore fiorentino, il bambino decida di assestare un poderoso manrovescio al cucchiaino colmo di cibo che stai tentando di avvicinargli alla bocca, costringendoti ad effettuare un’attenta esegesi della sua postura e del suo stato d’animo prima di arrischiarti a proporgli una nuova cucchiaiata.

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La famiglia dispone di una vasta selezione di bavaglini. Bavaglini grandi, bavaglini piccoli. Bavaglini di tessuto – con fodera sottostante di plastica, bavaglini-poncho in pura plastica, bavaglini di plastica con vano raccoglitore per la pappa che precipita. Nonostante quest’abbondanza di bavaglini – fornitura che a me, all’inizio, pareva addirittura eccessiva -, il bambino troverà comunque il modo di gettarsi almeno una palata di pappa sulle ginocchia e di insozzare a più riprese il pavimento della cucina.

pappa finita

Ma la mossa che ogni volta mi stronca definitivamente è lo stropicciamento di faccia (già parzialmente ricoperta di pappa) per mezzo di pugnetto che stringe una manciata di – METTIAMO – carotine spappolate.

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Ma affrontare una situazione di profondo caos nella sua interezza non ha mai fatto bene a nessuno: il disagio va scomposto, frazionato e gestito un po’ alla volta. Non è un bambino ricoperto di pappa che mi osserva con una certa belligeranza dalla sommità di un seggiolone non lindissimo, posizionato nel bel mezzo di una cucina da ripiastrellare – GIAMMAI! È un bambino sazio e soddisfatto, un bambino BRAVISSIMO che ha mangiato quel che doveva mangiare e che ripulirò senza farmi prendere dal panico, un ditino alla volta.

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Con un immane dispendio di acqua corrente, carta da cucina, spugnette a forma di pesciolino e teneri asciugamani tempestati di orsacchiotti, riesco a debellare lo strato di cibo semidigerito che ricopre il mio primogenito. E lo abbraccio teneramente, anche se non può fare a meno di starnutire ogni volta che gli bagno il naso.

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Dopo un’intensa mattinata di ginnastica da tappeto, giochi vorticosi, gattonamenti e lauti pranzi, l’infante sembra stanchino. Me lo isso su una spalla, abbasso la tapparella e attacco con la procedura standard di disinnesco a base di passeggiatina per la cameretta e rassicuranti massaggini circolari sulla schiena, coadiuvati dalla mia personalissima interpretazione mugugnata della devastante ninna nanna di Brahms. NEMMENO UNO SCOIATTOLO IMBOTTITO DI ANFETAMINE PUÒ RESISTERE A BRAHMS. Nonostante alcune flebili proteste, il bambino si assopisce.

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Ma non lasciamoci ingannare. Un conto è tenere in braccio un bambino addormentato… e ben altra faccenda è adagiare un bambino addormentato sul suo materasso. Un bambino che ti russa sulla clavicola potrebbe destarsi strepitando alla minima variazione posturale – e i movimenti necessari a depositarlo nel suo lettino sono numerosi, complessi e variamente destabilizzanti. Mentre fingi di poterlo mettere giù senza correre alcun rischio, lo riempi di minuscoli bacini nell’incavo del collo (area tra le più morbidine, teporosine e profumatine del creato) e cerchi di raccogliere il coraggio per effettuare la manovra.

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Le menate, come minimo, sono due.
UNO – Sostenerlo correttamente mentre vi piegate sul lettino, tentando di raggiungere un materasso che vi arriva all’incirca alle caviglie.
DUE – Riuscire a riprendervi i vostri avambracci una volta depositato l’infante nel lettino – sfilandoglieli di soppiatto da sotto la testolina e dal retro-coscini.
Al mondo ci sono sicuramente robe più complicate, ma quando riesco a preservare il sonno del bambino nel passaggio spalla-lettino mi sento sempre un po’ miracolata. Nonché un genio assoluto del pilates.

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Giuro, è come se tutti i giorni dopo pranzo prendessi di nuovo 110 e lode alla specialistica. La soddisfazione è quella. Fiera del traguardo conseguito, contemplo Minicuore per quindici minuti. Perché non c’è niente di più bello di un bambino che ronfa a pancia per aria.

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MA IL BAMBINO DORME IL BAMBINO DORME È IL MOMENTO DI COMPRIMERE LA MIA INTERA ESISTENZA NON MATERNITÀ-RELATED NELL’ESIGUO SPAZIO DEL SUO PISOLINO! Apro il computer e cerco di capire di che cosa dovrei occuparmi con urgenza. Della roba che rimando da un mese? Del blog? Dei 13 libri che dovrei tradurre fingendo di avere effettivamente a disposizione una giornata lavorativa normale? Della situazione disperata delle mie cespugliose sopracciglia? Dei pacchetti arrivati la settimana scorsa? Delle fatture da preparare? Dei romanzi che vorrei leggere? Delle domande della gente su Snapchat? Delle mie amiche che mi invitano a pranzo e non ricevono risposta?

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Nel vano tentativo di riordinare le idee, vado a fare la pipì – spostandomi per casa come un ninja. Il minimo rumore scomposto potrebbe destare l’infante… ed è decisamente troppo presto, non ho ancora combinato una mazza di niente. Anche fare la pipì comporta dei rischi. Per evitare che lo scroscio risulti troppo perentorio, butto una palla di carta igienica nel water per attutire i decibel e penso alla regina Elisabetta. La regina Elisabetta fa una pipì impercettibile, ne sono sicura.

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Torno al computer, ma mi dimentico dov’è e lo cerco per dieci minuti. Il mio “ufficio”, in teoria, è nella cameretta del bambino e, non potendo disporne durante il suo sonnellino – né mai, a dire il vero – vago per casa con documenti, fogli, chiavette, caricabatterie, scanner, astucci, post-it e agende sotto al braccio, contribuendo grandemente all’accrescimento della confusione che già provo.

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Colta da un raptus igienista, resetto il salotto – riponendo tutti i giocattoli al loro posto – e pulisco la cucina.

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Apro Facebook – ERRORE!!111!!! – e mi imbatto in un post antivaccinista. Sapendo perfettamente che discutere è inutile (e quasi controproducente) blocco e mi incazzo come una bestia per i fattacci miei.

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I muratori, impegnatissimi ad infierire sulla facciata del palazzo di fronte ormai da due mesi, attaccano col martello pneumatico.

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Muratori, lo so che anche voi dovete campare, ma perché vi ostinate a trapanare SEMPRE E SOLTANTO durante la siesta di Minicuore? State su quel ponteggio tutto il santo il giorno e non producete il minimo rumore. Lo metto a dormire e vi parte all’improvviso l’acutissima necessità di demolire il balcone della signora Fumagalli? Perché, dico io. Spiegatemelo. Mettiamoci d’accordo, a questo punto. Se appendo un drappo rosso alla finestra vuol dire che il bambino dorme e che dovete ficcarvi quei martelli là dove nessun martello è mai giunto prima (o almeno così mi piace pensare), se invece appendo un drappo verde vuol dire che potete martellarvi felicemente anche le corna, se vi va, perché il bambino è attivo. VA BENE, PERDIANA? VE LI FONDO, QUEI MARTELLI.

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Il bambino, non si sa come, riesce a non svegliarsi. Venti minuti dopo, però, faccio l’errore di tossire, provocando istantaneamente uno di quei piantini interlocutori che preannunciano un repentino ritorno dal mondo dei sogni. Mi stramaledico più e più volte, mi levo le ciabatte e mi avvicino come una spia russa alla camera del bambino. Potrebbe continuare a dormire. O potrebbe svegliarsi. O potrei svegliarlo io nel tentativo di capire se vuole svegliarsi. La terza ipotesi, ovviamente, è quella che si verifica più spesso. MA CIAO AMORE ECCOTI QUI LA MAMMA È CRETINA PERCHÉ È VENUTA IN CAMERA PERCHÉ SE ME NE STAVO FUORI TU CONTINUAVI A SONNECCHIARE MA NO IO DEVO ENTRARE A VEDERE COME STAI E POI FINISCE CHE TI SVEGLIO IO COME UNA DEMENTE BUON POMERIGGIO AMORE PICCOLO DELLA TENEREZZA BEN TORNATO.

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Il pomeriggio comincia ufficialmente – anche se sono tipo le 13.49 e il bambino ha fatto il pisolino più corto del mondo.

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Sollevi la tapparella e ti accorgi che la creatura ha qualcosa in faccia.

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DUE PUNTURE DI ZANZARA DUE! Una in mezzo alla fronte e una – oltraggio massimo – sul guancino tondeggiante. ROSSE GIGANTESCHE PUNTURE DI ZANZARA DETURPANO IL VISO DEL MIO BAMBINO!

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Le zanzare che – di giorno, poi – morsicano gli infanti sui teneri faccini sono la prova lampante della non-esistenza di Dio.

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Mentre giuro vendetta all’intero reame entomologico, il gatto transita incautamente per il corridoio. Il bambino lo scorge e lancia un fragoroso strillo di apprezzamento. Cesare ADORA il gatto. La mera presenza di Ottone riesce a rallegrarlo più di quanto io sarò mai in grado di fare. Cesare brama la compagnia di Ottone che, ovviamente, lo evita come la peste perché teme di vedersi strappare il pelo a ciuffi. E ha ragione da vendere. Ma c’è ben poco che io possa fare per contenere l’entusiasmo di mio figlio… e decido di liberarlo in corridoio alle calcagna del gatto.

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Ottone ha stabilito una soglia-limite. Se Cesare gli arriva a mezzo metro, Ottone si allontana. Se Cesare lo osserva rispettosamente a più di mezzo metro, allora lo tollera. Cesare non ha idea di quanto sia mezzo metro e, in ogni caso, punta a prendere il gatto per le orecchie e a salirgli in groppa, ambizione che rende irrilevante ogni tentativo di misurare le distanze. Ottone, comunque, non è un artista della fuga e finisce regolarmente per cacciarsi in qualche vicolo cieco, esponendosi senza possibilità di riscatto alle potenziali sevizie del bambino.

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Salvo il gatto – perché, insomma, voglio bene anche a lui e, soprattutto, voglio evitare che cavi gli occhi a Minicuore durante una manovra difensiva -, abbevero il bambino con un po’ d’acquetta, trascino il seggiolone in bagno e mi appresto a rendermi presentabile per l’uscita pomeridiana.

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Posizioni il bambino in modo che, dal seggiolone, non possa allungarsi fino al ripiano del lavabo – su cui troneggiano i tuoi investimenti BIUTI più riusciti e una miriade di utensili che potrebbero rivelarsi letali per un essere non ancora completamente padrone dei suoi arti superiori. L’infante la prende BENISSIMO.

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Lo plachi con una confezione ancora sigillata di Lines Intervallo dal rassicurante packaging rosa e procedi con le operazioni. Non si sa come mai, ma il bambino trova spassose le persone che si fanno la doccia. Il che è molto positivo, perché puoi utilizzare i preziosi momenti dedicati all’igiene personale come una specie di intermezzo cabarettistico. Mentre fai le pernacchie sul vetro e ti esibisci in buffi gargarismi gorgoglianti, ti ricordi all’improvviso di non aver pranzato.

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Ti asciughi, ti spalmi addosso della crema rassodante a casaccio – va rassodato TUTTO, è inutile star lì a selezionare una zona specifica -, ti lavi le mani e, nuda come una salamandra di fiume, ti rechi in cucina alla ricerca di banana, bavaglino (di quelli con vano raccoglischifo) e coltello. Distribuisci rondelle di banana sul tavolino del seggiolone (precedentemente sterilizzato con l’Amuchina) e fai del tuo meglio per truccarti un po’ mentre l’infante fa merenda ghermendo la banana con le ditine.

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Non sarai diventata bellissima, va bene, e hai guardato più il bambino che lo specchio, ma almeno sei pulita, pettinata, vestita e truccata al minimo sindacale. Poi guardi i piedi per capire se ti sei già messa le scarpe o se sei ancora in ciabatte di gomma e ti accorgi che il pavimento del bagno è pieno di bananine masticate.

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Prendi il telefono per scoprire che ore sono e ti casca l’occhio sulle notifichine di WhatsApp. La chat del corso pre-parto sembra essersi rianimata! Quali incredibili quesiti ci riserverà oggi il destino? Trovi 378 nuovi messaggi che trattano dei seguenti argomenti: lenticchie sì o lenticche no? Dentizione e ano infiammato: reale correlazione o semplice sfiga sistemica? Il mio nano continua a svegliarsi quattro volte a notte: è normale, ragazze? Ma voi quante volte siete uscite a cena da quando sono nati? E, dulcis in fundo: ho visto che ci sono i guinzagli per i nostri puffi, voi li avete provati?!?!111!!
Scelgo di contribuire alla discussione utilizzando Cesare come un meme. Di foto ne ho in abbondanza e mandare il mio KUCCIOLO che ride mi sembra molto più garbato rispetto all’opzione scrivo-quello-che-penso-davvero. Che è più o meno una roba di questo genere:

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Sciacqui la creatura e un rapido esame olfattivo ti porta a constatare, con una certa soddisfazione, che il bambino ha cagato (di nuovo, già) con un tempismo favoloso, risparmiandoti l’incombenza di doverlo cambiare in mezzo a un prato. O sul sagrato del Duomo. O nell’angusto bagno, sprovvisto di un piano vagamente adatto, di un qualche locale.

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Solita manfrina del pannolino, più cambio DI OUTFIT. Si esce carini, perbacco. Dopo innumerevoli contorsioni e aver sventato svariati tentativi di cruentissimo suicidio, riesci a infilare al piccolo umano un paio di braghette adorabili tempestate di palmette e una maglietta con un bradipo appeso a una liana tropicale. COME SEI TENERO TATONE PICCOLO.

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Inserisci la creatura nel passeggino e, mentre infierisce sul ripiano della libreria a cui l’hai incautamente accostato, ispezioni il contenuto della borsa del cambio. Non ci capisci niente, quindi ci butti dentro un biberon d’acqua, un pacco di gallette al kamut ECO BIO CHILOMETRO ZERO FATTE A MANO INTEGRALI SENZA SALE AGGIUNTO SENZA GLUTINE, una manciata di pannolini, un ombrello e un pupazzo che suona, sfrigola e scrocchietta. E decidi che va bene così. C’è un limite al caos che puoi controllare.

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Usciamo, finalmente. E trascorriamo il resto del pomeriggio a vagare paciosamente per zone casuali – ma ombreggiate e piacevoli – della città. Ormai conosco a memoria la conformazione dei marciapiedi, l’assortimento merceologico di ogni vetrina, la collocazione di negozi impensabili e le scorciatoie più esotiche per tirarla in lungo (nel caso il bambino sia tranquillo) o correre rapidamente al campo base (nel caso si sia rotto l’anima di farsi scarrozzare).

gyrosphere

Se l’infante è particolarmente ben disposto, posso arrischiarmi ad entrare nei negozi meno affollati e labirintici – escludendo a priori quelli dotati di numerosi piani o porte troppo complicate. Se va di lusso (e se trovo qualche commessa dal cuore di cioccolato che si fa commuovere dalla coccolosità di Cesare, bambino che sorride immancabilmente a TUTTI, ma pure a gente che somiglia a Pacciani, Himmler e Sauron), posso anche provarmi due vestiti in croce, che spesso finisco per comprare più per la soddisfazione di essere riuscita a provarmeli come una persona normale che per la loro effettiva resa addosso a me.

not a good idea

UNA PIADINERIA! PRESTO, DATEMI QUALCOSA RIPIENO DI QUALCOS’ALTRO!

megalo

In un tratto particolarmente agevole (marciapiede ampio, pianeggiante, senza pendenze laterali che ti costringono a spingere il passeggino come farebbe un grosso granchio), mi arrischio a controllare la mail. Che bello, la prossima settimana ci sarebbero cento cose stupende da fare! Scarto a priori il 98% di quello che mi propongono, guardo il CALENDAR mentre aspetto che il semaforo diventi verde e chiamo i miei per sapere se mercoledì – PER CASO SE SIETE LIBERI SE VI VA SE AVETE VOGLIA SE VI MANCA CESARE – sono disposti a venire a Milano a stropicciare il bambino mentre io vado a svolgere delle attività piacevoli ma comunque configurabili come lavorative.

behind

MADRE il mercoledì gioca a tennis…

cry

…ma per amore di suo nipote troverà una sostituta.

smile cast

Mi dirigo baldanzosa verso casa, fiera di aver quasi sfangato il pomeriggio e sperando fortissimo che Amore del Cuore abbia deciso di sua sponte di recarsi al supermercato per ovviare alla vastità del nulla che alberga nel nostro frigorifero. Mentre immagino cenette meravigliose – cucinate senza il minimo sforzo da parte mia, ma nemmeno di pianificazione – Amore del Cuore mi telefona per sapere che cosa deve comprare.

right

Io non lo so, va bene? Non lo so. Mangio tutto quello che ti pare, non mi interessa.

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Perché devo dirtelo io che cosa comprare per cena. Chi sono, Sonia Peronaci? Ingegnati! Non ci abiti anche tu insieme a noi? Non lo sai che cosa manca? DAI FACCIAMOCELA SU.

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Dopo aver attaccato senza troppe cerimonie, cinque minuti dopo gli mando un messaggio in stampatello per ricordargli che non abbiamo niente da bere PER CARITÀ RISOLVIAMO IL PROBLEMA.

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Cesare saluta con la manina i passanti che gli piacciono e rivolge grida agghiaccianti a quelli che intralciano il suo cammino, costringendomi a superarli per salvare l’intero quartiere dalla sordità.

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Il portinaio mi consegna i quattro scatoloni arrivati durante la giornata. Ringrazio sentitamente e cerco di capire come portarli di sopra senza sfondare il passeggino. O senza sfondarmi io.

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Il bambino apprezza i giretti, ma dopo un po’ vuole spostarsi da solo. Non è mai stato un soprammobile o un particolare fan di sdraiette, palestrine e forme d’intrattenimento basate sulla compostezza della posizione supina. Disprezza legacci e cinturine e si sta allenando con caparbietà per divincolarsi definitivamente dalle ridicole costrizioni che gli impongono di stare seduto nel passeggino. Ogni volta che lo libero la gioia è grande e vibrantissima.

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Ottone, lì per lì contento di vederci rincasare, corre al riparo.

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Mi levo le scarpe e crollo, così come sono, sul tappeto. Il bambino riabbraccia i suoi giocattoli (più i materiali non concepiti per il gioco che siamo stati costretti a considerare comunque giocattoli) come se l’avessi appena riportato a casa dopo cent’anni di guerra di trincea. Bordeggia, mi calpesta, lancia cubi di gomma, morsica i fenicotteri, scaraventa al suolo tre telecomandi e, in generale, sembra dilettarsi.

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Sta provando ad alzarsi in piedi. Appoggia le manine per terra e cerca di stendere le gambine. Ce la farà? Forse fra qualche settimana. Ma sono comunque fierissima e gli consegno mentalmente un Nobel motorio.

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Una zanzara sorvola la zona di gioco. La POLVERIZZO a mezz’aria, abbandonandomi a grida di trionfo piuttosto inconsulte.

gnam

E la mia felicità non è destinata ad esaurirsi. Perché, all’improvviso, avverto il suono celestiale delle chiavi che girano nella toppa. AMORE DEL CUORE È TORNATO AMORE DEL CUORE È ARRIVATO A CASA SONO SALVA C’È AMORE DEL CUORE GRAZIE DIVINITÀ DI OGNI LATITUDINE FORMA E COLORE CE L’HO FATTA!

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AMORE DEL CUORE SEI QUI SEI QUI COME SEI BELLO NON TI RICORDAVO COSÌ BELLO NON ANDARE VIA MAI PIÙ!

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PRENDITI TUO FIGLIO! TIENILO OCCUPATO! LASCIAMI QUI A CONTEMPLARE PACIFICAMENTE IL NIENTE PER ALCUNI MINUTI!

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A seguire, scene di ragionevolezza familiare. Io che mescolo la pappa mentre Amore del Cuore prepara la cena – senza consultarmi, per fortuna -, birrette e fette di salame fanno la loro comparsa, Cesare – opportunamente seggiolonato – monitora la situazione mangiandosi cucchiaiate e cucchiaiate di pastina col formaggetto e le verdurine, cercando di coricarsi nel piatto e di cacciarmi contemporaneamente le dita negli occhi. Ma va bene lo stesso, perché ci siamo tutti.

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Amore del Cuore è incaricato delle procedure serali di avvicinamento al sonno, incombenza che ha assunto con mio grande sollievo per potersi coccolare un po’ il bambino e sfogare, al contempo, le sue ambizioni canore. Perché io ho le mie tecniche, ma lui va di karaoke, prediligendo i cantautori italiani delle epoche più disparate (e disperate) o le ballate romantiche della tradizione folk americana. Ho rinunciato a capire e non c’è niente che io possa fare per migliorare la playlist. Finché funziona, per me va benissimo. E mi limito a ridere, nascosta dietro alla porta. Come spesso accade quando si cerca di cavarsela con un infante simpatico e ben disposto ma parecchio energico, il procedimento rasenta il surreale… ma il risultato è assolutamente portentoso.

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E chi l’avrebbe mai detto.
Il parco è chiuso, per oggi.
Buonanotte a tutti!

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Per un lungo periodo della mia vita ho cercato di ignorare i libri Taschen, un po’ come Ulisse che supera lo scoglio delle Sirene riuscendo a non gettarsi in acqua come un miserabile marinaio boccalone. Io idem, all’incirca. Osservo le copertine tenendomi a debita distanza. Se un libro Taschen si manifesta inavvertitamente nel mio perimetro d’azione mi auguro fortissimo che sia INCELLOFANATO – e quindi impossibile da sfogliare. Non mi sono iscritta alle newsletter, non visito il sito e, tendenzialmente, provo a fingere che Taschen non esista. Perché non mi fido delle mie capacità di autocontrollo… e non ho la certezza di uscirne indenne. Potrei venir trascinata in un glorioso gorgo di folli tomi giganteschi che acquisterei a un ritmo sostenutissimo e caparbio – pur non avendo un tavolino di design su cui appoggiarli -, fino alla rovina definitiva.
Il destino, però, trama ai miei danni.
Durante una delle mie peregrinazioni pomeridiane con passeggino da spingere, infatti, sono capitata davanti alla libreria Taschen di via Meravigli. E una sorta di campo magnetico mi ha risucchiata al suo interno. Ho istantaneamente adocchiato un libro STRABILIANTE e ho mandato il seguente messaggio ad Amore del Cuore, approfittando di una ricorrenza a dir poco pretestuosa: BENE AMORE GRANDE IL 15 MAGGIO È L’ANNIVERSARIO DEL NOSTRO INCONTRO QUINDI REGALAMI MOONFIRE.
Moonfire, per capirci, è questo:

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Norman Mailer ha raccontato la missione dell’Apollo 11 in un lungo reportage commissionato da LIFE Magazine. Il reportage, ampliato e rivisto, è poi diventato un libro – Of a Fire on the Moon – che rimane una delle cronache più straordinarie dello sbarco sulla Luna e della sua genesi. Taschen ha preso gli articoli di Mailer e li ha accompagnati a una miriade di fotografie (spesso inedite) pescate direttamente dagli archivi della NASA, producendo la meraviglia che è Moonfire – che ora soggiorna felice sul ripiano d’onore della mia libreria.
La gioia.
La saggezza.
La beltà.
Ma per quanto Moonfire riuscirà a placare il mio entusiasmo per Taschen? Non per molto. Soprattutto perché mi sono abbandonata, quasi doverosamente, a una delle attività che mi riescono meglio al mondo (e che più al mondo riescono a farmi desiderare lo status di ricchissima ereditiera nullafacente): la compilazione di assurde wishlist.
Il catalogo Taschen offre, a livello tematico, cose felici praticamente per tutti. Qui ci sono i miei preferiti – ammassati con un improbo sforzo di sintesi che mi ha condotta a una già dolorosa autocensura. Volete vedere altro? Spulciatevi il resto – ricordando di farvi legare all’albero maestro.

 

t1

100 Illustrators
Una ricognizione internazionale sul meglio dell’illustrazione contemporanea.

*

t2

20th Century Fashion
Cent’anni di industria della moda raccontati in 400 campagne pubblicitarie della Jim Heimann Collection.

*

t3

Alchemy & Mysticism
Le nozioni base dell’alchimia e una storia iconografica del misticismo cristiano, fino all’arte Romantica. Medicina, miracoli, santi e cabalisti.

*

t4

William Blake. The Drawings for Dante’s Divine Comedy
Le 102 illustrazioni di William Blake per la Divina commedia sono conservate in sette diverse istituzioni. E poi c’è questo libro che le riunisce tutte.

*

t5

CCCP. Cosmic Communist Constructions Photographed
Frédéric Chaubin ha scovato e fotografato 90 edifici sovietici costruiti tra gli anni ’70 e ’90 – in un’epoca di relativa rinascita per l’immaginazione e la fantasia progettuale dell’URSS. Il risultato è un viaggio che riporta alla luce una fanta-architettura quasi surreale, raccontando le aspirazioni impossibili di un sistema prossimo al collasso.

*

t6

Ingressi di Milano
Che cosa si nasconde dietro ai portoni di Milano? Una guida – con tanto di indirizzi esatti, mappette e saggi artistico-architettonici – per esplorare gli ingressi dei palazzi più (o meno) celebri della città.

*

t7

Expanding Universe
Le immagini catturate da Hubble – oltre a rappresentare una vittoria indiscussa della tecnica – hanno cambiato il nostro modo di studiare e di comprendere l’universo. Questo libro, uscito in occasione del venticinquesimo anniversario del telescopio, raccoglie le foto più affascinanti e quelle più rilevanti dal punto di vista scientifico.

*

t8

Her Majesty
Che vi devo dire, The Crown ha lasciato il segno.

*

t9

Living in the Countryside
Perché un giorno manderò tutti a stendere e mi ritirerò in campagna a fare marmellate come una vera signora.

*

t10

Mad Men
Un cofanetto curato da Matthew Weiner in persona per ripercorrere e commentare le sette stagioni della serie. Ci sono le foto dal set, le battute più memorabili, Don Draper che non lavora mai, Peggy che si risente, gente che beve alle 9 del mattino, il guardaroba DI DIO di Betty e le interviste a chi ha lavorato al programma, dagli sceneggiatori ai costumisti. In sintesi, la gloria.

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t12

Menu Design In America
Uno degli obiettivi più nobili della mia esistenza è avere una cucina straordinariamente luminosa con un bel muro da riempire di menu incorniciati, tutti quelli che ho scovato e rubato negli anni nei ristoranti in cui ho mangiato. Perché i menu sono una forma d’arte, c’è poco da fare.

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t13

Mucha
La vita e le opere del mio maestro preferito dell’Art Nouveau.

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t14

The Complete Costume History
Auguste Racinet pubblicò la sua “enciclopedia della moda” tra il 1876 e il 1888. Originariamente era un’opera in sei volumi, che affrontava gli stili e le tradizioni sartoriali dei popoli di tutto il mondo ripartendoli in base alla cultura di provenienza e ai modelli più riconoscibili. Taschen ha riproposto il libro di Racinet in versione originale, tavole comprese.

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t15

The Book of Symbols
350 saggi per esplorare gli aspetti psicologici, artistici, religiosi e culturali dei simboli, per capirne meglio il significato e, soprattutto, per comprendere perché alcuni oggetti, immagini o codificazioni finiscono per diventare archetipi o contenitori di messaggi più vasti.

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t16

The World of Ornament
 Un libro-reference che combina due blasonatissime enciclopedie decorative del diciannovesimo secolo (quella di Racinet, ancora lui, e quella di Auguste Dupont-Auberville). Ampio spettro e ampio orizzonte temporale, dagli antici egizi all’arte dell’Ottocento. Quanta bellezza.

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Ma il libro che desidero di più – e che avrà agilmente la precedenza su tutti gli altri – è PaleoartL’arte di rappresentare i dinosauri è un’impresa colossale e affascinantissima, perché ci chiama a immaginare con precisione qualcosa che arriva ai giorni nostri in maniera incompleta, frammentaria e “ridotta”. È un’arte fallibilissima, che ha spesso colmato le lacune attingendo alle leggende e a un immaginario truculento e sensazionalistico, ma è anche la storia dell’incontro tra scienza e disegno – e dei mille modi che abbiamo escogitato per rievocare creature praticamente impensabili.

t17

Non è forse strabiliante?
Non è adattissimo a me?
Non me lo merito, forse?
L’anniversario di matrimonio è vicino. Preparo già il messaggio per Amore del Cuore.

Partirò con un commento che rallegrerà molto l’editore.
Io, di base, non sono una “lettrice Garzanti” – se con “Garzanti” intendiamo quel che ho sempre inteso io fino a questo momento. Per farla breve, non sono un’annusatrice di foglie di limone, il massiccio utilizzo di vegetazione in copertina mi fa sfasare, odio le fascette e ogni titolo composto da più di cinque parole tende a insospettirmi.
La buona notizia, però, è che il catalogo Garzanti non offre solo romanticismo a sfondo botanico-olfattivo, ma ci assiste valorosamente anche sul fronte letterario. Ed è una scoperta magnifica, che devo a un’autrice giovanissima (già finita nella lista dei migliori scrittori under40 di Granta, che è un traguardo di una certa rilevanza) e al suo esordio, contesissimo in tutto il mondo e pagato negli Stati Uniti con una bella milionata di dollari. Buon per te e per i tuoi ventisette anni, Yaa Gyasi. E buon per noi, che abbiamo un romanzo importante da leggere.

gyasi tegamini

Non dimenticare chi sei è un libro ambizioso, che racconta sette generazioni di uomini e donne accomunati da un’unica matriarca ma separati dal destino – quasi mai clemente. Il grande spartiacque è l’arrivo dei bianchi in Ghana – anzi, in Costa d’Oro – agli albori della tratta degli schiavi. Dal castello di Cape Coast, una delle fortezze da cui partivano le navi cariche di prigionieri africani da vendere oltreoceano, all’America dei nostri giorni, Gyasi ricostruisce la personalissima saga di una famiglia allargata e dispersa, alla ricerca della propria identità in un mondo che si riconfigura per istituzionalizzare il razzismo e legittimare il possesso e lo sfruttamento di un altro essere umano.
Dalle lotte tribali all’eroina che stravolge Harlem negli anni Sessanta, dalle piantagioni di cotone alle miniere di carbone, dal palazzo reale degli Ashanti ai jazz-club di New York, Gyasi ci accompagna in un viaggio lunghissimo, incaricando i suoi personaggi – uno diverso per ogni capitolo – di farsi portavoce di una storia gigantesca e di una “questione” ancora irrisolta. Il risultato è un romanzo epico ma personale, un’indagine importante alle radici di un problema che continua ad accompagnarci, nostro malgrado.
Che brava, perbacco.
E che bello trovare una Gyasi in quel di Garzanti.
Evviva!

Siete giunti fin qui con la certezza di trovare grandiosi annunci e cambiamenti radicali? Il felice completamento di progetti millenari? Vite che svoltano e poderosi capitoli che si chiudono? Costanza, caparbietà e il raggiungimento di obiettivi ambiziosi?

Bride Kill Bill

Peccato.
Là fuori ci sarà sicuramente qualcuno che saprà darvi la soddisfazione che meritate. Gente che si allena per due anni per poter scalare l’Annapurna senza bombole. Giovani che comprano un pezzo di terra e ci costruiscono sopra una casa con le loro mani. Storie INSPIRESCIONAL di imprenditrici coraggiose che dopo anni a pane e cipolle sono riuscite a trovare il modo di campare vendendo braccialetti di canapa intrecciata.
Qua no, desolata. Niente.
Ma procediamo con ordine.

Elle Driver walk

Ci sono lingue interessanti che riescono ad esprimere con un’unica parola un concetto complesso e articolato. Per dire, se vi comprate sempre tantissimi libri ma poi finisce che non li leggete ma vi piace comunque accumularne delle tonnellate e vi viene un po’ d’ansia ma non riuscite lo stesso a farne a meno e molto presto sarete costretti a traslocare perché in casa non ci state più però insomma siete felici ed è questo quello che conta, ECCO, in giapponese c’è un preciso termine che descrive sinteticamente il fenomeno. Anche le lingue scandinave riescono a fare magie di questo genere – specializzandosi, di solito, in concetti teneri. La felicità che si prova bevendo una cioccolata calda dopo una camminata di tre ore sotto a una bufera di neve >>> vocabolo norvegese precisissimo. L’odore di buono che i neonati lasciano sulle copertine che li avvolgono >>> vocabolo danese super sintetico. La tipologia molto caratteristica di sonno tombale ma piacevole che ti assale dopo un pranzo festivo >>> vocabolo finlandese di rara efficacia.
Bene.

Elle Driver pretty cool

L’italiano ha tante belle qualità, ma non la gloriosa capacità di conglomerare vasti ragionamenti, concentrandoli in una sola parola. Io, ad esempio, oggi vorrei parlare della grande soddisfazione che ricavo dal finire un flacone di bagnoschiuma, ma ho delle difficoltà a dirlo in maniera rapida. E comincio a pensare che si tratti di una sorta di fissazione patologica che riguarda solo me, perché se ci trovassimo alle prese con un concetto universale come il rancore, l’allegria, l’invidia o la gioia, probabilmente esisterebbe anche una parola ben definita per descriverlo.

Bride vedi tu

Ma che cos’è che succede, alla fin fine.
L’inconcludenza ci circonda. Viviamo immersi in un perenne vortice monsonico di stimoli eterogenei e di entità differenti – più o meno corporate – che tentano di pungolare la nostra curiosità proponendo di continuo cose da fare, da vedere, da leggere, da comprare, da collezionare e da ascoltare. Uno non è in pace neanche quando lavora, perché per ogni mail a cui rispondi te ne arrivano 12 e, mentre tenti di stabilire un nuovo record di slide create consecutivamente senza nessuno che ti telefoni, arrivano in sei e ti trascinano in riunione – e te sei ancora lì che provi a centrare il titolo.
C’è chi sostiene di riuscire a fare tutto, di avere il tempo e le capacità organizzative necessarie a gestire il binge-watching di intere serie televisive nel giorno esatto dell’uscita, c’è chi torna a casa dall’ufficio alle dieci di sera e in due mesi scrive un romanzo, c’è chi va ai concerti, vede gli amici, dipinge Cappelle Sistine senza vacillare e riesce a fare la spesa andando oltre il minuscolo orizzonte della cena di quella sera lì. C’è chi, in sintesi, va a letto con la consapevolezza di aver fatto, ogni giorno, tutto quello che doveva fare. Di aver chiuso il cerchio. Di non essersi perso niente.
E poi ci sono io, che osservo i cestoni del bucato e mi rendo conto che mai e poi mai ne vedrò il fondo. E se mi pare di non poter governare il cestone del bucato, vi lascio immaginare il resto.

Oren silly rabbit

Ecco perché sono così contenta quando finisco il bagnoschiuma. O lo SCIAMPO. O la crema idratante per la faccia. O il mascara. O una confezione di Saccottini all’albicocca. O lo scatolotto delle pastiglie per la lavastoviglie. O il sale grosso. Il sale grosso non finisce mai. Quando riusciamo a finire il sale grosso mi sento come Cristoforo Colombo che mette piede a terra dopo sedici anni di navigazione. Mi sembra di aver portato a termine una grande impresa. Lo zucchero. Lo zucchero che finisce è una specie di miracolo. Un’autentica testimonianza di abnegazione e incrollabile costanza. Se sono riuscita a finire un pacco di zucchero, un cucchiaino alla volta, un caffè alla volta, non ho nulla da temere. Io le torte non le faccio, finire lo zucchero è un evento epocale. Un traguardo nobilissimo. Se riesco a finire lo zucchero, allora posso sperare di finire anche qualcosa di più significativo – prima o poi. Se lo zucchero finisce, anche le altre cose possono finire – almeno in teoria.

pai mei

In un universo dove la lista delle cose da fare non finisce mai è assolutamente necessario scegliere con cura le proprie battaglie – e rendersi conto dei propri limiti, con garbo e razionalità. Il grande romanzo americano. La visione completa delle stagioni “nuove” del Doctor Who – quelle coi dottori fighi. Il lavaggio puntuale dei maglioni invernali a fine stagione. La costruzione di un guardaroba coerente e funzionale. Imparare il giapponese. Capire qualcosa di vino. Una galleria Instagram cromaticamente coerente. Una casa Pinterest. Nulla di tutto questo è possibile. MA ARRIVARE IN FONDO ALLA CONFEZIONE DEL PRIL SÌ. E IO CI GODO TANTISSIMO.

oren happy

Che hai fatto quest’anno, Tegamini?
Bé, dunque…
Io ho seguito una campagna che ha vinto l’oro a Cannes, ho completato il ciclo di epilazione definitiva di gambe, braccia, baffi, inguine (patata inclusa), ho ristrutturato una casa, ho raccolto centomila euro per gli orfani del Korbenienstan, ho letto la quadrilogia della Ferrante in due sere e non mi sono persa una lezione del corso di meditazione. Tu?
…io? Sono arrivata in fondo a un ombretto glitterato di Sephora – ci lavoro dal 2005, su quell’ombretto. Che altro? Ah, già. HO FINITO SEI PACCHI DI TAMPAX VERDI. QUELLI PIÙ GROSSI. E SCUSAMI SE È POCO.

Bride bloody satisfaction

I libri non fanno tutti lo stesso lavoro. Ci sono libri che vogliono mostrarci quello che non c’è – portandoci anche molto lontano – e ci sono libri che sembrano accontentarsi di quello che abbiamo già. I primi, spesso, costruiscono per noi interi universi dalle caratteristiche più o meno fantasiose e spericolate. I secondi, invece, fanno i modesti – ma può capitare che ci raccontino qualcosa di ancor più prezioso, scegliendo forse il modo più difficile. Perché lo sappiamo tutti com’è fatta una Panda. Sappiamo tutti com’è una casa piena di soprammobili o com’è fatto un paio di anfibi. Non sembra, ma raccontare il quotidiano in maniera meticolosa e “credibile”, con i suoi dettagli, le sue minuscole epifanie e le sue piccolezze, è molto complicato. Ma ogni tanto ci vuole.
Ecco, Il giro del miele di Sandro Campani è proprio uno di quei libri lì. Racconta la storia di una manciata di abitanti di un paese dell’Appennino tosco-emiliano. Ci sono boschi pieni di funghi da raccogliere, cani nevrastenici che abbaiano senza sosta, una falegnameria mandata avanti da due artigiani, abiti da sposa cuciti a mano, il bar in piazza. Tutto comincia – o ritorna – quando Davide bussa alla porta di Giampiero nel cuore della notte, finalmente pronto a raccontargli che cosa è andato storto. Giampiero era l’apprendista di Uliano, il padre di Davide, nella falegnameria dove lui giocava da piccolo ma che non ha voluto (o saputo) ereditare una volta diventato grande. Giampiero ha visto Davide innamorarsi di Silvia, sposarsi con lei – nonostante fossero così diversi – e vivere qualche anno di luminosissima felicità. E Davide ha visto gli affari di Giampiero rallentare sempre di più, fino a un incendio che gli ha portato via una mano e parecchie speranze. Chi si sfoghi con chi davanti al camino acceso non è chiaro e non è nemmeno importante. Ma c’è una bottiglia di grappa e la volontà, almeno da parte di Davide, di non arrendersi. Perché ha molto da farsi perdonare. E le parole giuste, spesso, vengono in mente sempre troppo tardi.

Campani Il giro del miele Tegamini

È una storia comune, una storia di provincia. C’è un matrimonio che si sfascia, una lince in agguato nel bosco, una lunga serie di discorsi mai affrontati, soldi che non bastano e che finiscono per metterti nei guai. Ci sono mogli, mariti, figli e sorelle che lavano la macchina, partono per un pic-nic in riva al lago, lavorano in una fabbrica di torte, incontrano soci poco raccomandabili, comprano un’ape regina che governi le nuove arnie o fanno trenta chilometri tutti i sabati per andare in piscina. Potremmo esserci tutti quanti, in questo libro. E parlare proprio come Campani fa parlare i suoi personaggi. La lingua è bellissima. Pulita, semplice, punteggiata di modi di dire e sfumature dialettali che sembrano invitarti al tavolo con Davide e Giampiero, come se da un momento all’altro arrivasse qualcuno a offrirti una fetta di torta.
Non è un romanzo fatto di avventure sconvolgenti e luoghi impossibili – …insomma, si arriva appena fuori Bologna, un po’ in collina. Ma di strada, senza spostarsi troppo dal soggiorno di Giampiero, se ne fa parecchia.
Una sorpresa meravigliosa.

È ormai palese e assodatissimo: gli eroi Marvel ricevono sempre un sacco di complimenti. Belli! Simpatici! Vispi! Interessanti! Complessi! Ironici! Sodissimi! Ben vestiti! Ben pettinati! Spiritosi! Presi bene – non come quei menagrami piagnucoloni della DC! Viva gli eroi Marvel! Insomma, da Iron Man a Groot, gli esseri umani adorano i supereroi Marvel con una costanza a dir poco granitica – che non vacilla nemmeno di fronte a conclamati pastrocchi, tollerati di buon grado in nome dell’integrità di un glorioso e formidabile “cinematic universe” che culminerà con le presumibilmente orgasmiche Infinity Wars.
Ah, le Infinity Wars. Dopo le Infinity Wars posso anche crepare, ho deciso.
Pur non potendo nascondere il mio entusiasmo tragicamente fanciullesco per gli Avengers – e i Guardiani della Galassia, e il Doctor Strange e pure Ant Man, ovviamente -, vorrei però tentare di riconquistare un minimo di razionalità. Fingerò di essere una consumatrice assennata di prodotti d’intrattenimento. Cercherò di arginare la mia ormai decennale euforia esercitando un sacrosanto diritto: il fastidio. Perché certo, va bene, adoro Peter Quill e sono sconvolta dalle formidabili capacità atletico-manipolatorie della Vedova Nera, ma non sono mica tutti così. Dopo quattordici film, perbacco, anch’io ho sviluppato qualche antipatia. Ed è ora sputare il rospo, senza timori e senza disonore. Marvel, ti adoro, ma devo darmi un contegno. Qui, dunque, ho deciso di elencare i personaggi dell’universo Marvel (Avengers-related – quindi niente X-Men, vecchi Spiderman, reboot di Spiderman e compagnia cantante) che mi sono più invisi. Quelli che mi stanno sull’anima. Quelli che mi hanno quasi (o del tutto) rovinato un’esperienza cinematografica potenzialmente favolosa.
Ebbene sì, Marvel, ci sono personaggi che andrebbero presi a calci nei denti. O compatiti per la loro inutilità. O per il tedio che ispirano nello spettatore. O incitati a farci vedere qualcosa in più, magari. Perché nessuno è perfetto, insomma, nemmeno i supereroi.
Ecco qua, dunque, le creature Marvel che – A TITOLO DEL TUTTO PERSONALE E SENZA ALCUNA PRETESA DI SERIA CRITICA CINEMATOGRAFICO-ONTOLOGICA – non sopporto. Ci provo, ma non li godo.

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Aldrich Killian

Aldrich Kilian

Un uomo che ha dedicato una vita intera alla vendetta, senza rendersi conto del proprio scarsissimo tempismo. Killian, Tony Stark è sbronzo, circondato da sgnacchere in tanga, felice come una crostata di prugne e stufo marcio di parlare di scienza (almeno per una sera). E tu che fai? Vai lì e gli proponi una discussione seria e PESISSIMA sul futuro della genetica subatomica. Alle due del mattino. In mezzo a una festa. Ma che cosa ti doveva dire? Ma che ti aspettavi? Ma che vuoi? Certo, Tony Stark è un cafone, ma pure tu hai delle difficoltà. E cercare di trombargli la moglie (una ventina d’anni dopo) trasformandoti pure in una montagna di Diavolina per il barbecue non migliorerà di certo le cose. Aldrich Killian, chi? Ecco che cosa continuerà a risponderti Tony Stark. E ben ti sta.
CATEGORIA | Malvagi per futili motivi.

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Odino

Odino

Odino ci offre un esempio lampante della labilità del confine che separa il vecchio saggio dal vecchio scemo. Grida e sbraita, scaccia gente da Asgard senza tanti complimenti e, quando ci sarebbe veramente bisogno di lui per fronteggiare una minaccia letale e potenzialmente devastante che fa? Va a fare un pisolo. E tanti saluti.
CATEGORIA | Pessimi genitori. / Narcolettici.

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Arnim Zola

Arnim Zola

Partiamo serenamente dal presupposto che l’Hydra fa schifo. Qualsiasi cosa c’entri coi nazisti fa schifo per definizione, ma dell’Hydra ho sempre apprezzato l’organizzazione, il fatto che – per quanto orrendo e sbagliato – ci fosse un piano di fondo, un ideale malvagio e ributtante, ma preciso. La Marvel, secondo me, ha mille problemi con i cattivi, specialmente nei film dedicati a un unico supereroe. Non ti viene mai veramente il dubbio, a volte, che i buoni possano perdere e che il male trionferà, non ci sono antagonisti che ti fanno paura per davvero. E, molto spesso, ti sembra che rincorrano scopi sciocchi, dettati da una megalomania troppo umana e meschina per trovare posto in una narrazione che dovrebbe scuotere le sorti del mondo. Ecco, l’Hydra no. Con l’Hydra mi sono sempre agitata davvero. L’Hydra è un “cattivo” pensante e ben strutturato. Peccato che, sovente, gli “uomini dell’Hydra” non mi sembrino all’altezza della terrificante organizzazione che dovrebbero rappresentare. Il dottor Zola, per dire, suscita in me reazioni contrastanti – anche se quella prevalente è un po’ un BASTA! DI NUOVO LUI?. Nel Primo vendicatore si rintana negli angoli e osserva quasi sgomento il Teschio Rosso che sclera e imperversa. Se ne sta lì, tremante e tutto sommato marginale. Nei film successivi, invece, la sua coscienza “virtuale” spunta in giro come il prezzemolo. Speravamo di essercene liberati? Macché, ha continuamente qualche rivelazione importantissima da rifilarci. Salta fuori pure mentre Iron Man e Steve Rogers si corcano di mazzate in un luogo remotissimo e gelido, quando di lui ben poco ce ne frega. E in versione virtuale risulta molto più terrificante, sadico e folle dello Zola in carne e ossa. Decidiamoci, insomma, Zola criceto spaventato o Zola 32 bit malvagio e sghignazzante? Ma soprattutto, quante volte ancora ce lo ritroveremo davanti? Basta, lasciatelo bruciare all’inferno, che ormai vivo nel terrore che in qualche Gemma dell’Infinito si nasconda la faccia verde di Zola.
CATEGORIA | Fastidiosamente funzionali. / Invadenti.

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Malekith

Malekith

Malekith è uno che persino Google ritiene trascurabile. Ci sono tipo sei foto, tutte piccolissime. E non ti biasimo, Google. Gli Elfi Oscuri sono quasi comici. Hanno una bellissima navetta spaziale a forma di vanga gigante e si fanno delle trecce portentose, ma sono un ottimo esempio di cattivi da quattro soldi. Che cosa volete? L’oscurità! Quando la volete? Subito! Dove la volete? Da tutte le parti! E perché? …perché Odino ci ha offesi 5689 anni fa? E perché non vi abbiamo mai sentito nominare, visto che siete così importanti? …perché ci nascondiamo! Siamo discreti!
Dai, Elfi Oscuri. Fateci la cortesia.
CATEGORIA | Sonno e inutilità.

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Rhodey Rodes / War Machine

war machine

Certo, è triste che Stephen Strange non si sia preso la briga di operare un eroe di guerra ferito in combattimento (risparmiandogli probabilmente la paralisi e/o infinite sessioni fisioterapiche), ma diciamoci la verità: se in un film esiste Tony Stark, a nessuno interessa vedere un’altra armatura che svolazza in giro. E Rhodey lo sa, poveraccio. Mica è scemo. E sentirgli raccontare storielle presumibilmente eroiche e gloriose alle feste non mi fa divertire – Ah! Ma che ragazzo autoironico! -, mi spezza il cuore e basta. Vorrei amarti, Rhodey, ma ti impegni troppo. WAR MACHINE. Certo. La verità è che sarai sempre un Iron Patriot, purtroppo. C’è poco da fare.
CATEGORIA | Trying too hard. / Vivere nell’ombra.

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Jane Foster

Jane Foster

Di Jane Foster conosciamo perfettamente la straordinaria intelligenza… ma perché continuano a ricordarcelo, mica perché lo vediamo. Jane Foster ha scoperto questo. Jane Foster dirige un centro di ricerca. Jane Foster ha calcolato le possibilità del viaggio interdimensionale. Jane Foster è un genio. Jane Foster, in realtà, è quella che ha ben pensato cacciare le mani in mezzo a due giganteschi monoliti fluttuanti color tenebra per capire se l’Ether è bagnato. E no, amici, quella roba lì non è curiosità scientifica. È pura idiozia. È un film che fa procedere la trama servendosi dell’imbecillità improvvisa e ingiustificata dei suoi protagonisti. NON CACCIARE LE MANI IN MEZZO A DEI MASSI NERISSIMI CHE VOLANO, ACCIDENTI A TE.
Ma Jane Foster mi suscita anche altre perplessità. La sua presenza è ingombrante, anche se invisibile. Ogni volta che Thor appare sul nostro pianeta (e ci rimane per quelli che allo spettatore sembrano mesi) non posso fare a meno di chiedermi perché non vada a trovare Jane. Cioè, non è una relazione a distanza tipo lui è di Milano e lei è di Novara. È una relazione a distanza Terra-Asgard. Visto che ce l’avete menata così tanto con Thor che s’innamora, il minimo che posso aspettarmi è che Jane ricompaia, di tanto in tanto. E invece no. Riferimenti goffi a Jane che è occupatissima a studiare qualcosa dall’altra parte del mondo. Thor che inventa scuse ridicole – “Non voglio metterla in pericolo” – invece di far girare tre volte il martello e volare da lei in 27 minuti. Jane c’è ma non c’è, e rende le relazioni tra i personaggi super traballanti e artificiose.
Quel che più mi fa arrabbiare di Jane, però, è l’effettivo fallimento dei buoni propositi relativi al suo personaggio. Inventiamoci una ragazza forte, saggia, sveglia, indipendente, non la solita bonazza svenevole che va continuamente soccorsa e salvata! E invece. Mani nell’Ether > coma > malattia incredibile e sconosciuta > viaggio ad Asgard > elfi oscuri incazzati > invasione di Asgard > TERRA IN PERICOLO > UNIVERSO A RISCHIO > MORTE MORTE MORTE. E lei là, con una finta armatura da signora asgardiana e la piega perfetta. Jane Foster, io ti maledico.
CATEGORIA | Personaggi girl-power venuti male. / Palle al piede. / Attori troppo famosi che la Marvel non è riuscita a contrattualizzare per benino.

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Falcon

Falcon

“Amore del Cuore, sto facendo un post sui personaggi Marvel che non apprezzo particolarmente. Te chi è che non tolleri?”.
“Il tizio-gallina”.
“Ma chi? Non c’è nessuna gallina”.
“Quello con le ali. Quello che le ha prese da Ant Man”.
“Ahhhhh, FALCON!”.
“Si chiama Falcon?”.
“Come dovevano chiamarlo, GALLINATRON?”.
“Non mi interessa. È veramente il capo dei pirla”.
CATEGORIA | Con tutti i supereroi fighi che la Marvel ha inventato, proprio lui dovevamo sucarci? Ant Man, hai tutta la nostra stima.

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Darcy Lewis

Darcy

Avrò un cuore di pietra, ma le simpatiche pasticcione non le reggo più. Soprattutto quando non stanno zitte un secondo e non riescono a farmi ridere. Darcy è di un’invadenza rara e, anche se non ripugna quanto Zola (AHHHHHHH!), al terzo dialogo volevo già gettarla giù dal Bifrost. Poi, capisco che le ricerche di Jane Foster non possano di certo essere considerate “ortodosse” – almeno non nel primo Thor – e che di laureati del MIT che fanno la fila per uno stage da lei ce ne siano pochi, ma non puoi neanche risolverla assumendo la scema del villaggio, santo il cielo!
CATEGORIA | Orticaria. / Pagliacci tristi.

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Pietro Maximoff

Quicksilver

I gemelli Maximoff ne passano di tutti i colori. E la guerra, e le bombe di Stark che gli devastano la famiglia, e la simpatica idea di offrirsi come cavie per gli esperimenti dell’Hydra, e la solitudine, e la difficoltà di procurarsi i prodotti per decolorarsi bene i capelli… Insomma, la loro vita è impervia, dolorosa e piena di rancore. Ma io non ce la faccio lo stesso. Passi la Wanda, che ha ancora tante meraviglie da imparare e sortilegi spettacolari da farci vedere, ma Pietro no. Aaron Taylor-Johnson è un bravissimo attore, quindi darò la colpa a Joss Whedon. Joss, di grazia, perché hai detto al Taylor-Johnson che il modo migliore per trasmettere allo spettatore tutta l’angoscia e il furore vendicativo di Pietro fosse una perenne espressione da uomo che si è fatto molta cacca nei pantaloni della tuta – senza avere la possibilità di cambiarseli o anche solo di sbarazzarsene? Perché, Joss. Perché l’hai costretto. E alla fine, non pago, l’hai pure ammazzato. Non si fa così.
CATEGORIA | Mal consigliati. / Resting bitch face.

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Justin Hammer

Justin Hammer

Pensare che quel cialtrone di Justin Hammer e la sua compagnia possano in qualche modo rappresentare, per le Stark Industries, dei seri concorrenti è semplicemente inaccettabile. Certo, Hammer è funzionale all’entrata in scena di Vanko – che è un po’ il cattivo ufficiale del film – ma quella con Tony Stark è una rivalità che nemmeno la più coriacea delle sospensioni dell’incredulità riuscirebbe a sostenere. Non ho problemi ad elaborare un procione parlante, ma non riesco a capacitarmi di Hammer. E lo so, non mi fa onore, ma ho continuato a sperare che il pappagallo di Mickey Rourke gli beccasse via un occhio.
CATEGORIA | Wanna Marchi.

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Bucky Barnes

Winter Soldier

Dobbiamo a Bucky e alle sventure che gli capitano – PER COLPA DEL DOTTOR ZOLA ANCORA LUI MALEDIZIONE BASTA BASTA! – alcuni tra i più bei film (più o meno corali) dell’universo Marvel. Il fatto che lui rimanga muto e catatonico per i tre quarti del tempo non dovrebbe turbarci, perché il suo merito più autentico è quello di scatenare reazioni a dir poco perentorie da parte degli altri Avengers. Non dovrebbe turbarci, dico… però ci turba. Almeno, io me la prendo. Bucky, sono Steve! Sono Steve! Sto sfasciando gli Avengers per amor tuo! SILENZIO. BRONCIO. GRUGNITO. FUGA PRECIPITOSA. Bucky mi fa continuamente venire in mente Michelangelo che prende a martellate il Mosè strillandogli PERCHÉ NON PARLI! Certo, il Mosè non era stato programmato per trasformarsi in una spietata e inarrestabile macchina da guerra da un sadico scienziato nazista, ma la relazione tra Bucky e Steve mi pare un pochino unidirezionale. Bucky, sappiamo che hai il cervello fritto, ma ti prego, ti prego, dilla una cosa carina ogni tanto a Captain America. Se lo merita. Va bene, l’hai ripescato dalle macerie di un palazzo affondato e stai trovando maniere trasversalissime per fargli capire che CI SEI, ma ha bisogno di un amico che non opti per l’ibernazione forzata ogni venti minuti. Esterna i tuoi sentimenti, Bucky, Esterna!
CATEGORIA | Amori non ricambiati. / Dateci di più.

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Stan Lee

stan lee

MA CHE RIDERE IL CAMEO NUOVO DI STAN LEE! Ecco, all’inizio sì, mi facevano ridere. Ma sto notando un certo deterioramento dell’approccio creativo-cialtrone all’arte del cameo. Quando Tony Stark lo scambia per Hugh Hefner mi sono divertita parecchio. Ma vedere Stan Lee parcheggiato su un asteroide a blaterare cose senza senso nel nuovo Guardiani della Galassia un po’ m’ha intristito. Sarò sicuramente io che non riesco a cogliere – per drammatica ignoranza – una REFERENCE colta a un qualche fumetto del 1967, certo, ma ormai sono molto più felice di veder apparire a caso Donald il papero che il povero Stan Lee seduto su un sasso nel bel mezzo di una galassia dimenticata da ogni genere di divinità.
CATEGORIA | Può bastare, grazie.