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Ottone von Accidenti va per i cinque anni. È nato in agosto insieme a un mucchio di altri gattini che non abbiamo mai conosciuto perché erano stati tutti smistati prima che arrivassimo noi. La cosa, devo confessarlo, un po’ mi aveva dato da pensare. Questo qua è l’ultimo, avrà sicuramente qualche devastante turba comportamentale che ci renderà la vita impossibile. O qualche menomazione irreparabile – nascosta da qualche parte sotto a quei sei metri cubi di pelo che lo ricoprono – che non lo farà campare a lungo, condannandolo a sofferenze atroci. Un gatto omicida con un femore attaccato con il nastro adesivo, tipo. Un gatto distruttore di mondi, con tre occhi, il dono dell’invisibilità e il pancreas grosso come un melone. Insomma, ero sicura che stessero per appiopparci un Ottone von Fregatura. Dopo cinque minuti in compagnia della signora Gattara che l’ha allevato, però, ci siamo resi conto che Ottone era l’ultimo, certo, ma per un motivo molto semplice: la signora Gattara ADORAVA Ottone. E, potendo scegliere, non se ne sarebbe mai e poi mai separata. E, quasi cinque anni dopo, non c’è stato un momento in cui mi sia venuto in mente di pensarla diversamente.

Bé… magari qualche momento c’è stato.
Ma proprio un paio.

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Ottone che mi corre in faccia alle cinque del mattino, quando abitavamo in una casa a forma di cubo, del tutto sprovvista di porte.
Ottone che salta sulla macchina del caffè, ribaltandola in terra e crepando il parquet.
Ottone che ricopre di lanugine NERA tutto quello che possediamo.
Ottone che si fa le unghie sulla televisione.
Ottone che fa esplodere una boccetta di smalto, verniciandosi di verde.
Ottone che capovolge l’albero di Natale, dopo aver frantumato ventisei palline glitterate.
Ottone che salta in un vaso alto un metro e lo riduce a una montagna di taglientissime molecole di vetro.
Ottone che mi mastica i capelli.
Ottone che si avventa su sacchetti di ogni tipo nel cuore della notte, terrorizzandoci oltre ogni immaginazione.
Ottone che minaccia i pesci rossi entrando nella vaschetta con entrambe le zampe.
Ottone che trita ogni caricabatteria a sua disposizione.
Ottone che deposita un epico merdone nel bidet dopo essere stato redarguito per aver sgranocchiato una cotoletta che attendeva, incolpevole, di essere buttata in padella.
Eccetera.

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Mi sto di certo dimenticando qualcosa di fondamentale, ma non importa. Perché la sporadica distruzione dei nostri averi, i rumori improvvisi che ti atterriscono mentre cerchi di dormire, le grattate all’armadio quando la ciotola non viene prontamente riempita all’orario abituale (spaccando il minuto), i tappeti manomessi, l’obbligo di vivere con un roll antipelucchi appeso al collo e con il terrore perenne che i tuoi Supercoralli vengano azzannati fino all’irriconoscibilità, ecco, tutte queste (credo) inevitabili sciagure sono assolutamente trascurabili. Perché Ottone, nella sua sconfinata e vastissima idiozia, mi ha dato una mano a capire com’è che funziona una famiglia, che cosa significa prendersi cura – tutti insieme – gli uni degli altri, che cosa succede quando a casa c’è qualcuno che ami… e che ti aspetta. Mi ha aiutato a capirlo nel suo piccolo, da gatto – perché è un gatto, insomma, non un premio Nobel in grado di rivelarti il funzionamento dell’universo e del cuore umano -, ma anche le sue dannosissime zampe sono servite ad aggiungere un pezzettino importante all’idea di “noi” che stavamo cercando di creare. Ed è vero, qualche tenda ci ha smenato, mentre imparavamo a volerci ancora più bene, ma ne siamo usciti bene. Anzi, meglio. E mi piace pensare che un po’ sia anche merito suo.

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Un Ottone lo augurerei a tutti, e il più a lungo possibile. Il che, senza bisogno di ricorrere a collegamenti mentali super contorti, è anche un po’ la mission di Hill’s Pet Nutrition… e il motivo per cui mi sembra bello dare una mano.


Da ottant’anni, Hill’s si impegna ad architettare alimenti sani, sicuri e controllati per rendere migliore – e più lunga – la vita delle bestie che coccoliamo ogni giorno, senza dimenticare i cani e i gatti che attendono ancora di essere adottati. E, fino al 22 maggio, anche noi possiamo contribuire a riempire di pappe gli animali dei rifugi, facendo una cosa che credo possa riuscirci del tutto naturale: CONDIVIDERE LA FOTO DI UN CANINO O DI UN GATTINO!
Come si fa?
Fate un giro sulla pagina Facebook di Hill’s, postate una foto del vostro animalino e raccontate in allegria com’è la vita con lui. Per ogni testimonianza raccolta, Hill’s donerà un pasto a un rifugio. L’obiettivo è raccoglierne 10.000, per migliorare l’esistenza delle creaturone che non hanno ancora la fortuna di avere un padrone sollecito come voi. O come la signora Gattara che ha deciso di consegnarci un Ottone – qui impegnato ad osservare un carico di crocchette con lo sguardo dell’amore infinito.

 

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Ce la faremo?
Penso proprio di sì.
In alto le ciotole!

*

[Qui trovate tutte le informazioni per partecipare e il regolamento della campagna].

DISCLAIMER: in questo post utilizzerò (finalmente) tutte le parolacce che vi ho risparmiato in sei anni di blog.

Diciamocelo, i coloring book hanno rotto i coglioni. E le forme geometriche, e la natura, e i film, e i paesaggi, e le città e gli animali. A tediarmi oltre ogni immaginazione, però, non sono tanto i temi, ma l’immancabile premessa: colora, che ti fa bene. Colora e placati. Colora e recupera la serenità perduta. Colorare è terapeutico, è un’attività rilassante. È come fare yoga, ma senza la puzza di piedi. Colora e salvati dal male e dai tormenti!
Certo, come no.
Se penso a una cosa in grado di farmi venire un nervoso senza fine è un’immensa pagina piena di piume di pavone e maestosi tulipani che dovrei mettermi lì a colorare. Spazietti piccolissimi. Ansia da prestazione. Cento colori da decidere. Colorare mi fa imbestialire, santo cielo. Certo, magari non capisco niente io, ma mi sembra un approccio troppo generico. RITROVARE LA PACE. Perché mai un pavone gigante dovrebbe riuscire ad arginare le mie tribolazioni? Se sono arrivata ad accumulare un odio tale per l’umanità da aver bisogno di un libro da colorare, dubito fortemente che un pavone possa aiutarmi. Un pavone non può capirmi, così come non può capirmi un libro da colorare qualsiasi. Perché la rabbia – sacrosanta – che spesso ci sconvolge deve per forza essere soffocata? Qui non si parla di nuocere al prossimo, ma semplicemente di accettare la propria furia, scatenandola e incanalandola in modo da ricavarne un minimo di soddisfazione, senza maltrattare gli altri.
Ebbene.
Adesso si può.
Perché esistono i libri da colorare per gente incazzata.
Gli unici libri da colorare utili di questo mondo.
Gli unici libri da colorare per cui consumerei volentieri dei pennarelli.
MARCITE, TULIPANI!
VAI A CAGARE, PAVONE!
Non c’è più posto per voi, stronzi! Non ci servite più!
Perché l’universo, finalmente, ha creato i libri da colorare degli insulti e delle parolacce… e sono strabilianti. Non hanno senso e sono pieni di cose orrende, offensive e cretine, ma sono bellissimi.

Dunque, c’è il libro degli insulti – da utilizzare quando vorreste mandare qualcuno a farsi fottere ma, purtroppo, non ve la sentite.

fottiti sto colorando

Rallegriamoci insieme con qualche illuminante esempio – mentre facciamo la punta ai pastelli.

paraculo

rompicoglioni

testa di cazzo

E c’è il libro delle parolacce – perché dentro ognuno di noi alberga un bambino di sette anni che non vede l’ora di arrampicarsi sulla cima di una montagna e gridare fortissimo CULO! MERDA! FIGA PELOSA! Ma così, senza una ragione.

porca puttana calma la rabbia

Anche in questo caso, la meraviglia è vasta – quasi quanto la necessità improvvisa di investire in una collezione sterminata di variopinte penne a punta fine.

faccia di merda

sticazzi

suca

Ogni libro contiene ben 40 espressioni agghiaccianti e versatilissime, da selezionare accuratamente in caso di bisogno, e le pagine sono molto robuste (che si calca, quando ci si incazza) e, oserei ipotizzare, agevolmente asportabili.
Non sapete come arredare l’ufficio? Colorate un bel SUCA e attaccatevelo sul muro. O sulla porta. La gente capirà subito come rapportarsi a voi. E magari vi verrà a rompere le palle un po’ di meno.

Sono libri assurdi, volgari e fondamentalmente imbecilli? Ovvio.
Dobbiamo per questo amarli di meno? Non direi, anzi. 
Ci farebbero dell’autentico bene? Temo di sì.
Non vi garbano?
È un gran peccato.
…ma c’è qualcuno che vorrebbe comunque salutarvi.
Chi?
STOCAZZO.

 

Lo griderò fieramente al mondo – possibilmente dalla cima di una collina verdeggiante: la Guinness è la mia birra preferita. Credo che l’imprinting si sia verificato in vacanza studio dove, oltre a mangiare tonnellate di Pringles, bucarmi ripetutamente le orecchie in un baracchino su una spiaggia falciata dal vento e mettere su circa 9 chili in tre settimane, mi sono bevuta anche la mia prima birra al pub. CIAO MADRE DOPO UNA QUINDICINA D’ANNI POSSO DIRTELO. Nessuno di noi aveva l’età per ordinare alcunché, in un pub irlandese, ma il barista era un tizio elastico – e forse non pienamente in possesso delle sue facoltà. Ad un certo punto ci siamo girati e ci siamo accorti che si finiva i fondi dei bicchieri mentre sparecchiava i tavoli.
Che grazia!
Che spirito!
Che avversione allo spreco!
Purtroppo per noi, però, i mastri birrai del museo della Guinness di Dublino non si sono dimostrati altrettanto contrari alle convenzioni… e il giro è finito, sfortunatamente, senza che potessimo brindare ai folletti, ai quadrifogli e alle arpe magiche. Ma di questo si parlerà fra pochissimo – con una signora che di Guinness se ne intende. Quel che importa, adesso, è predisporci a festeggiare St. Patrick’s Day con il giusto spirito. Noi, per dire, ci siamo spinti fino alla fine dell’arcobaleno e abbiamo rinvenuto un party-forziere.

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Mentre brindiamo alla salute dell’Irlanda tutta, però, possiamo anche farci raccontare qualcosa di saggio e avvincente sulle tradizioni e lo spirito del St. Patrick’s Day da Eibhlin Colgan, responsabile dell’archivio Guinness e depositaria di magici segreti.

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TEGAMINI – Ho visitato il museo della Guinness a Dublino quando avevo 15 anni… ed ero tragicamente underage. Niente birra per me, alla fine del tour. Non mi sono ancora ripresa dalla profonda tristezza di quel momento, ma col tempo sono riuscita a recuperare, e oggi la Guinness è una delle mie birre preferite dell’universo. Tutti conoscono bene la classica Guinness Draught, ma le opzioni a disposizione dei birrofili sono parecchie. Qual è la “sua” Guinness? Perché è speciale?

EIBHLIN COLGAN – Ogni variante di Guinness ha un’occasione appropriata. Per me, una pinta di Guinness Draught vicino a un bel camino nel pub di quartiere è semplicemente perfetta! La celebre schiuma azotata è nata da un’innovazione tecnologica sviluppata da uno dei ricercatori Guinness negli anni Cinquanta e ha rivoluzionato il nostro modo di bere la Guinness.

Quello che ha reso la mia esperienza al museo a Dublino veramente indimenticabile – per la rubrica, trovare il lato positivo anche se non puoi bere – è stato il giro nella galleria pubblicitaria. Ho adorato le illustrazioni degli anni Trenta e Quaranta, ma da dove arrivano quegli animali gioiosissimi?

Negli anni Trenta, la SH Bensons, l’agenzia pubblicitaria che Guinness utilizzava, era in cerca di un modo per rappresentare l’azienda. Un giorno, uno dei loro artisti – John Gilroy – è andato al circo e ha visto un leone marino che teneva una palla in equilibrio sulla punta del naso. Al che, si è domandato se il leone marino fosse abbastanza sveglio da riuscire a tenere in equilibrio sul naso anche una bottiglia di Guinness. Più tardi, tornato in studio, Gilroy disegnò il leone marino e, poco dopo, allargò l’idea fino a includere un intero serraglio di animali – il più famoso dei quali è poi diventato il tucano. Ma in tutti i poster, dettaglio da non trascurare, gli animali non bevono mai dalla bottiglia!

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La pubblicità è, tra le altre cose, un prodotto dell’epoca a cui appartiene. E le pubblicità, oggi, sono anche decisamente reactive, specialmente a livello di social media. Succede qualcosa nel mondo e BOOM, tre ore dopo il web è invaso di branded content che tenta di cavalcare l’onda e di far leva sull’evento che si è appena verificato. C’è stato un momento in cui la pubblicità della Guinness ha davvero rispecchiato – o commentato – quello che stava accadendo nel mondo?

Potrei fare parecchi esempi della rilevanza sociale di Guinness come brand. Mi viene in mente l’elasticità della comunicazione social per l’ultima Coppa del Mondo di rugby. Abbiamo identificato una serie di momenti emblematici – la storica e inaspettata vittoria del Giappone, ad esempio – e li abbiamo celebrati come solo Guinness sa fare, ritagliando uno spazio al termine di ogni partita.

Qualche anno fa ho festeggiato St. Patrick’s Day a New York. Avevamo degli strani cappellini e ci siamo bevute diverse birre verdi. Non ho scuse – al tempo Instagram neanche esisteva, quindi non c’era proprio motivo di bere una birra schifosa colorata di VERDE – e vorrei redimermi. Che cosa consiglia a chi vorrebbe celebrare un autentico St. Patrick’s Day? Lo so, essere irlandesi potrebbe rappresentare un buon punto di partenza, ma proviamo a farcela lo stesso.

St. Patrick’s Day è l’unica giornata dell’anno in cui chiunque, nel mondo, diventa irlandese – e di certo non è necessario essere irlandesi per festeggiare con noi! St. Patrick’s Day ci avvicina agli altri – attorno al significato che ha l’essere irlandesi, e celebrare St. Patrick’s Day con una Guinness in mano unisce le persone.

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La Guinness ha una storia lunga e avventurosa. E molto dev’essere cambiato, dai tempi di Arthur Guinness. Che cosa è rimasto?

Quando, nel 1759, Arthur Guinness firmò (con uno svolazzo) un contratto d’affitto di 9000 anni, lo fece con l’intenzione di produrre birra di alta qualità. Nonostante il mondo sia cambiato fino a diventare irriconoscibile nel corso degli ultimi 250 anni, la passione che ci spinge a produrre birra di qualità è la stessa, nella Brewery di oggi, che c’era anche ai tempi di Arthur. La sua eredità – investire nella forza lavoro, la fiducia nella qualità della sua birra e un grande senso della comunità – è fatta di valori che mettiamo in pratica ancora oggi.

Qui c’è molto amore per i libri. Sappiamo bene che non si deve bere prima di guidare, ma possiamo felicemente bere mentre ci leggiamo qualcosa. Qual è il libro migliore per accompagnare una pinta di Guinness?

L’Irlanda è celebre per i suoi giganti della letteratura, molti dei quali hanno parlato della Guinness nella loro prosa e nelle loro poesie. C’è l’imbarazzo della scelta… Seamus Heaney, Patrick Kavanagh, WB Yeats, James Joyce, Oscar Wilde.

Gli italiani sono fierissimi della loro cucina, ma siamo anche pronti a provare nuove ricette e non disprezziamo gli esperimenti. Qual è un buon piatto irlandese che possiamo servire, durante una cena a base di Guinness?

La Guinness funziona bene sia come ingrediente che come bevanda da accompagnare al cibo. Il mio piatto preferito da preparare con la Guinness è lo stufato di manzo alla birra. Il nostro chef alla Guinness Storehouse raccomanda sempre di marinare la carne nella Guinness per una notte intera, per renderla più morbida prima di preparare lo stufato. Delizioso!

Bene. Ora siete equipaggiatissimi per festeggiare degnamente San Patrizio. O per tenere una pinta in equilibrio sul naso. Vedete un po’ voi.
Cheers, #tipidaguinness! E grazie a Eibhlin Colgan per aver avuto la pazienza di starmi a sentire.

Dover gestire un bambino appena nato mi ha tragicamente ricordato il mio rapporto con la matematica al liceo: non è che non sapevo le cose, è che le capivo con circa un mese e mezzo di ritardo – in tempo per la verifica successiva, per dire. Con i bambini funziona più o meno così.

Sei finalmente diventata brava a sistemare la medicazione del cordone ombelicale? Il cordone ombelicale saluta e se ne va.
Sei finalmente riuscita ad assemblare un parco-abbigliamento sufficientemente ampio da scongiurare l’emergenza continua? Molto bene, peccato che ormai ci voglia la taglia in più.
Hai finalmente capito come lavare tuo figlio in una vaschetta col riduttore? Stupendo, ma mi pare che ormai abbia i piedi fuori.
Padroneggi finalmente ogni recondito segreto della frutta grattugiata? Buon per te, ma adesso bisogna cominciare con la pappa.

Insomma, si cerca di creare una routine in grado di adattarsi a un fenomeno in continua ed imprevedibile evoluzione. E appena ci si stabilizza su una certa sequenza di azioni (o sull’utilizzo di determinati utensili, canzoncine, giocattoli pazzi, elettrodomestici, accessori, attività), tutto va puntualmente a farsi benedire.
Certo, le economie di apprendimento esistono e ogni volta non è necessario ripartire da zero, ma confesso che non mi dispiacerebbe una salutare settimana di stallo. Così, tanto per sentirmi vagamente padrona della situazione.
L’orologio a pendolo segna le quattro pomeridiane, mio carissimo Reginald. Il nostro giovane rampollo dorme, come è sempre solito fare a quest’ora del giorno. Si sveglierà alle diciassette e quindici e consumerà esattamente tre quarti di mela e cinque rondelle di banana, che digerirà senza particolari tribolazioni durante la sua abituale sessione ginnica in compagnia dei suoi balocchi stropicciabili.

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Comunque.

Dopo cinque mesi di onorato servizio materno, vorrei rendermi vagamente utile alla collettività raggruppando in questo umile post un po’ di cose (che col senno di poi mi sembrano assai elementari) che ci hanno semplificato la vita in questo periodo di affascinante e rocambolesca incertezza.

Pronti?

Ecco alcuni gioiosi e necessari DISCLEIMERZ per evitare interpretazioni asinine di quanto seguirà.
– Ogni bambino è diverso. Ogni genitore è diverso. Qui troverete una lista super basic di quello che ci è stato veramente utile e che ha funzionato PER NOI e per Minicuore, dopo un prolungato utilizzo quotidiano. La speranza è che possa servire a chi ha le idee ancora poco chiare su che cosa comprare (o farsi regalare e/o estorcere ai propri conoscenti) in vista dell’arrivo di un bambino, o a chi è in cerca di nuove strategie di sopravvivenza.
– Siete già genitori provetti e vi imbatterete in cose che a voi non sono piaciute? L’intento non è quello di convertirvi. Se vi siete trovati meglio con un altro passeggino sono solo contenta per voi e per il vostro infante.
– Dobbiamo ad Amazon la nostra sanità mentale. E molte delle cose che troverete qui (con relative foto brutte ma funzionali) saranno anche acquistabili lì sopra. Perché con un bambino che mangia ogni due ore la gente non può passare le giornate a vagare per centri commerciali e astruse parafarmacie.
– L’elenco comprende roba che ci siamo comprati noi, roba che ci è stata donata da parenti e amici, roba che mi hanno regalato i brand. Non c’è tutto quello che abbiamo ricevuto. C’è solo quello che mi è sembrato valido, sensato, comodo e degno del nostro rispetto.

PROCEDIAMO.

Il passeggino (anzi, il sistema TRIO)

Inglesina Trilogy colors

Ci siamo comprati il Trilogy Colors (che è un Trilogy City con i colori zarri) dell’Inglesina.
Perché?
Volevamo un aggeggio che entrasse nell’ascensore (largo ben 50 centimetri), che si potesse chiudere/aprire con una mano sola, che fosse leggero (e sollevabile da me senza bisogno dell’intervento di un prode cavaliere), che non costasse ventottomila trilioni di euro e che non ci obbligasse a comprare separatamente mille pezzi aggiuntivi (ma indispensabili). E abbiamo scelto questo. Telaio, navicella (LA CULLA), ovetto per la macchina, passeggino, borsa (con fasciatoio portatile), parapioggia. E tanti cari saluti.
Io volevo la carrozzina da principino d’Inghilterra, ma per questa volta ho lasciato vincere la realtà.

*

Fasciatoio e culla

Stokke cameretta

Abbiamo estorto ai nonni l’intera cameretta Stokke, in pratica. Il lettino non l’ho ancora collaudato – quindi starò zitta -, ma il resto si è rivelato provvidenziale. E contiamo di poter usare tutto ancora per parecchio tempo, visto che i mobili sono scomponibili e combinabili per adattarsi alle diverse fasi della crescita del bambino.
Il mobilotto è una cassettiera con un piano aggiuntivo che funziona da fasciatoio. Nella cassettiera abbiamo cacciato tutto l’occorrente per il cambio e i vestitini di Minicuore, lasciando nello scomparto laterale del fasciatoio le cose da tenere a portata di mano. Ma la mia vera passione è la culla – che all’inizio neanche volevo. Ma figurati, prendiamo una navicella omologata per il sonno e lo teniamo lì per un po’, poi va nel lettino.
E INVECE, LA VITA.
Perché la mia culla – oltre ad essere incredibilmente carina – ha una caratteristica fondamentale e miracolosa: OSCILLA. E oscillazione = SONNO. Oscillazione = PACE. Sono in debito con quella culla, santo il cielo. E sono terrorizzata, perché sta diventando un po’ troppo piccola. Ma non ci abbandonerà. Perché le gambe della culla e il piano del fasciatoio sono studiati per incastrarsi e creare un tavolo. Così, come Megazord.
I mobili della Stokke costano poco? Non direi. Ne vale la pena? A noi pare di sì.
Grazie, nonni. E grazie anche a Valeria, che mi ha fatto scoprire le camerette Stokke.

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Mangiapannolini

mangiapannolini

Abbiamo fugacemente considerato l’ipotesi di dotarci di uno di quei mangiapannolini che insacchettano ogni singolo pannolino in una specie di bustina di plastica antiproiettile per evitare al 1000% ogni genere di odore sgradevole, ma poi il braccino corto ha avuto il sopravvento – mica te li regalano, i sacchettini, maledizione. E, alla fin fine, direi che è andata bene così. Abbiamo preso il mangiapannolini Chicco (dal rassicurante design anni ’80), che funziona con qualsiasi genere di sacchetto della spazzatura e rimane ermeticamente chiuso. Abbassi il maniglione, il pannolino si inabissa, tiri su il maniglione e non t’accorgi di niente. Ovvio, quando lo apri per cambiare il sacchetto è consigliata un’apnea di una decina di secondi, ma non mi pare un problema insormontabile. E il fetore, nell’ordinaria amministrazione, non fuoriesce. Vittoria!

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Cestone

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L’area del fasciatoio va sistemata bene. Deve somigliare un po’ a un nastro trasportatore per lo smaltimento di scorie nucleari. Tutto dovrebbe essere raggiungibile allungando un braccio (mentre con l’altro fate il possibile per evitare che vostro figlio si sfracelli sul pavimento) e non richiedere movimenti inconsulti per funzionare. Il mio cestone per i vestitini sporchi è a circa 5 centimetri dal fasciatoio e non è particolarmente romantico. Ma fa il suo egregio dovere e siamo ormai un grande team. Là fuori esistono anche cestoni molto frufru e super carini, ma a me premeva poterlo chiudere (evitando i coperchi staccabili), poterlo lavare senza problemi e poterlo riempire senza l’ansia di farlo tracimare ogni venti minuti. Plastica, capienza, modestia, funzionalità.

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Telini per il fasciatoio

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Che un bambino spisciazzi o dissemini il fasciatoio di palatine di cacca – e anche con una certa soddisfazione – è inevitabile. Ma mica puoi passare la vita a lavare degli asciugamani. E ti senti una brutta persona ad appoggiarlo sul cuscino imbottito (per quanto lavabile e comodo) senza metterci sotto niente. Dopo aver esaurito gli asciugamani a nostra disposizione, dunque, ci siamo lanciati sui provvidenziali tappetini pisciosini – con grande sollievo della nostra esausta lavatrice. Visto che al supermercato costano quanto la mia istruzione universitaria e che comprarne due in croce non ha senso, prendiamo il giga-paccone-mega-convenienza su Amazon. E zampilliamo in allegria. A casa e in giro, se necessario.

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Cuscino per l’allattamento

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Sono piuttosto certa che il Boppy sia all’incirca l’unico modo per sopravvivere all’allattamento senza sviluppare deformazioni articolari permanenti. E poi ci sono mille foderine belline – che si possono levare e lavare.

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La sdraietta

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Montarla sul seggiolone non mi è mai piaciuto (c’è proprio un po’ troppa pendenza, non so bene come spiegarlo… sembra all’incirca una crocifissione), ma la sdraietta ci ha aiutato tantissimo. Ci ho cacciato dentro Minicuore da praticamente subito e me lo sono portato in giro per casa – senza lasciarlo da qualche parte a pancia per aria come un salame. Ora – che non è ancora bravissimo a stare seduto ma ha cominciato a inghiottire frutta – la uso per dargli da mangiare, dopo averlo infagottato in quattordici bavaglini. Anche questa è Stokke, perché siamo ragazzi facilmente fidelizzabili.

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Straccini

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Per far fronte a sputacchi, rigurgiti, sbavoni, guerre nucelari e invasioni aliene ho ordinato una batteria di straccini di mussola tempestati di gioiose decorazioni… e sono ormai diventati più preziosi del tesoro di Smaug. Disseminati in punti strategici della nostra dimora – e in ogni mia borsetta -, quadrati, lavabilissimi e indistruttibili, accorrono in nostro soccorso ad ogni eruzione di latte semidigerito. Vi sono debitrice, straccini.

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Tiralatte

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Ci sono tiralatte elettrici di rara esosità e prestazioni da industria casearia, ma le mie intenzioni non sono mai state così ambiziose. A me bastava stare fuori di casa per un paio d’ore senza esporre il bambino all’inedia, tutto lì. E un tiralatte manuale – con mille vasetti incorporati e pezzi facili da smontare e sterilizzare – mi è sempre sembrato più che sufficiente al raggiungimento dei miei umili scopi.

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Scaldabiberon

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Avete deciso di andarvene a spasso (MADRI DEGENERATE!) lasciando in eredità del latte? Il latte va scaldato, in qualche modo. E scaldarlo a bagnomaria con un aggeggio elettrico che sa già qual è la temperatura più consona al delicato palatino del vostro infante è un bel passo avanti. Questo si può usare a casa e in viaggio (c’è lo spinotto per accenderlo anche in macchina) e, teoricamente, funziona anche per la pappa.

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Thermos

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Che sia roba vostra o latte artificiale, un biberon caldo – soprattutto quando si esce e si affronta l’ignoto – può servire parecchio. Questo gioioso thermos promette di preservare la temperatura del benedetto latte per cinque ore (il che è rassicurante, anche se siamo decisamente oltre la soglia temporale accettabile per la giacenza di un biberon SECONDO ME VOI POI FATE COME VOLETE CI MANCHEREBBE), è perfettamente ermetico e ci sono dentro degli aggeggi fatti apposta per non far sbatacchiare la bottiglia.

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Biberon

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Visto che Minicuore non è un tipo schizzinoso e mangia indistintamente da qualsiasi attrezzo io gli cacci in bocca, me la sbrigherò da sola. Che lui sarà versatile, ma io mi trovo meglio con i biberon Avent. Non sono troppo larghi, non sono troppo alti, quel che avviti rimane avvitato e la forma della tettarella è comoda. Oserei dire “normale”. Per lavarli bene sul fondo e sulle pareti ci vuole lo scopettino, ma non mi pare un grande ostacolo.

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Sterilizzatore

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Mi hanno regalato anche il modello più PRO, ma è ancora nella scatola… perché ce la caviamo benone con lo SterilNatural 2 in 1. Ci entrano sei biberon (più relative tettarelle e coperchietti), è relativamente rapido e si può allegramente scomporre e utilizzare a pezzi. Noi lo facciamo marciare ad acqua minerale perché l’acqua che esce dai rubinetti di Milano è GESSO, ma di tanto in tanto va comunque fatta un po’ di comprensibilissima manutenzione con l’aceto. Ma se ci riesco io (e senza lamentarmene), direi che può farcela anche un bradipo zoppo.

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Occhiaie, non vi temo

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Per voi, non per il bambino. Perché la vostra faccia lo sa, che vi svegliate due volte a notte. E le vostre occhiaie ci tengono tantissimo a farlo sapere al mondo intero. Uno stick all’aloe non può fare miracoli contro l’insonnia perenne, ma la frescurina vi restituirà almeno un po’ di speranza.

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Il ciuccio scaltro

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Il ciuccio non ci affascina e, in generale, l’abbiamo discretamente ignorato. Ma non perché in casa nostra esista una qualche avversione ontologica nei confronti del ciuccio, è proprio che a Minicuore non interessa molto. Nei primi mesi, però, l’unico ciuccio che siamo riusciti a usare – usare = garantire una sontuosa permanenza del ciuccio nella cavità orale del mio erede di più di 5 MIRACOLOSI minuti consecutivi – è questa specie di ibrido tra un succhietto e un dinosauro. Ne esitono di mille tipi – a seconda della bestia che più vi piace -, ma il principio è sempre lo stesso: un pupazzino con un ciuccio cucito in faccia. Sembra un’idiozia (e lavarlo ogni volta è un po’ una menata), ma ha il suo perché. Io, per dire, bloccavo il dinosauro con le bretelline della sdraietta (o lo incastravo strategicamente utilizzando ogni superficie e stratagemma disponibile), aumentando di circa il 2000% la stabilità dell’intera operazione. Al crescere dell’infante (e della sua vacillante coordinazione), il pupazzino diventa anche un giocattolo da stritolare. MA VERAMENTE, TEGAMINI? E NOI CHE PENSAVAMO DIVENTASSE UN DIRIGIBILE.

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Bavaglini magnetici

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E le bandanine. E i bavaglini a punto croce coi laccini da annodare. E i bavaglini col velcro. E i bavaglini coi bottoni. Ci sono bavaglini di ogni genere, E NOI LI ABBIAMO TUTTI. Ma sono tutti comodi? No. Il mio preferito (E ACCIDENTI AI CANI NE HO SOLO UNO) è quello con la chiusura magnetica. Perché sì. Il velcro scartavetra i teneri colli, i nodi non devono essere troppo stretti ma neanche troppo larghi – e fatelo voi un nodo dietro la nuca a un bambino che si dimena -, e i bottoni sono minuscoli e ti scappano. Calamita. Ciao. Addio. Il nostro bavaglino magnetico viene da qui… e non ci sono solo le fantasie con i dinosauri. Anche se, ovviamente, i dinosauri sono la cosa migliore del mondo.

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Sacco termico

sacco termico

Minicuore ha cominciato ad andare a spasso con il sopraggiungere del gelo, e ci siamo dovuti attrezzare per evitare l’ibernazione subitanea. Abbiamo due saccotti termici: uno più piccolo – che ora usiamo per l’ovetto – e uno più grande (e pure impermeabile) – per il passeggino. Il saccotto è comodo (rispetto alle tutine da omino Michelin) perché è più semplice da gestire quando si passa dal freddone dell’ambiente esterno a un luogo chiuso e auspicabilmente più temperato. Il saccotto genera del teporino, non disperde il calore e ti permette di vestire normalmente il bambino, senza imbottirlo tantissimo e semplificando le complesse operazioni di svestizione/vestizione. Col saccotto non c’è praticamente una mazza da fare: apri la cerniera e lo tiri fuori.
Del saccotto più piccolo ho parlato qui, mentre qui c’è il saccotto più simile al nostro – che in più ha la coulisse in cima, cose astutissima per evitare che il bambino vada in giro col collo scoperto.

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Il marsupio

Marsupio Babybjorn

Ho pensato di cimentarmi con la fascia per circa 37 secondi, poi mi sono resa conto che se per capire come usare una cosa ho bisogno di guardare numerosi tutorial su Youtube o di frequentare un corso, probabilmente non è una soluzione che fa per me. Se vi trovate bene con la fascia sono molto felice per voi, ma io sono fatta male e mi ci sarei impiccata, penso. Quindi ho preso un marsupio Babybjorn, dopo averlo provato da un’amica che ci ha già portato a spasso due bambini. Sono marsupi pensati per essere messi e tolti agevolmente, senza l’intervento di partner, buoni samaritani o passanti. Si regolano facilmente (adattandosi anche alla schienona di Amore del Cuore) e distribuiscono bene il peso, senza spezzarvi necessariamente la schiena. Grazie, marsupio – senza di te non sarei mai più andata a vedere una mostra. E non avrei mai raggiunto luoghi della città collegati con tram altissimi e impervi.
(Nota: volete usare il marsupio ma c’è meno venti? Ficcate la vostra creatura in una tutona imbottita – ce ne sono di mille tipi, piuminate e non – e vagate con fiducia. Minicuore ha una tuta “da neve” a forma di orsacchiotto e ne andiamo giustamente fierissimi… oltre a destare l’infinita tenerezza delle vecchiette che aspettano il verde al semaforo).

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Fazzoletti IN SCATOLA

kleenex

Credevo che i fazzoletti in scatola servissero soltanto nei film.
Studio dell’analista. Paziente in lacrime sul divano. Il dottore si avvicina, premuroso, e allunga al malcapitato una scatola di provvidenziali fazzoletti. Coraggio, Mary Jane, non faccia così. Grazie, dottore.
In barba alle difficoltà di Mary Jane, però, I FAZZOLETTI IN SCATOLA SERVONO ANCHE ALLE PERSONE VERE. E ora, sentendomi un premio Nobel, li tengo infallibilmente nel primo cassetto del fasciatoio – da dove vengono estratti per direttissima (tipo prestigiatore coi foulard) in caso di alluvioni, smoccolate, rigurgiti di latte e altre amene deiezioni improvvise.
Lo so, gente, sono scoperte. E forza, Mary Jane. Ripigliati.

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L’orso per la nanna

orso paziente

Abbiamo un carillon con lucina rilassante stellinosa che si aggancia alla culla e un orso con la pancia splendente e la capacità di generare serafiche musichine per una mezz’ora buona. Per la sua espressione pacifica e l’incrollabile fiducia nella sua capacità di far addormentare i bambini, l’abbiamo chiamato l’Orso Paziente. E lo amiamo. Lo accendiamo quando Minicuore comincia a dare in escandescenze per la stanchezza e lo teniamo vicino alla culla fino all’effettivo sopraggiungere di una nanna ben strutturata. Ci gioca anche di giorno, ma l’Orso Paziente ci soccorre soprattutto quando è necessario creare un po’ di atmosfera in vista della buonanotte. E non sarà solo merito dell’Orso Paziente, ma il bambino DORME.

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Una lampada da notte

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La culla e il fasciatoio di Minicuore sono nella nostra stanza. Un po’ perché non ho una castello – Ah, Reginald, vuoi seguirmi nell’ala ovest? È giunta l’ora della nostra visita quotidiana al piccolo Conrad… – e un po’ perché mi sembrava più funzionale minimizzare gli spostamenti notturni con un bambino potenzialmente agitato in braccio. E il bagno di Minicuore è il bagnetto della camera – nell’altro bagno è già un miracolo se ci stanno due accappatoi. COMUNQUE. Dopo tre giorni di accensioni confusionarie di luci e disturbo totale al genitore off-duty (un pannolino a testa, latte sempre io… inevitabilmente), ho riesumato l’unica lampada da terra che abbiamo. Lampada che, tra le altre cose, è anche quella che produce la luce più piacevole, calda e avvolgente. L’ho piazzata vicino al fasciatoio e, non si sa come, ho fatto bene. Minicuore l’ha sempre osservata con un’adorazione che non ha mai riservato nemmeno a suo padre (accolto come Gesù Cristo a Gerusalemme ogni volta che torna dal lavoro) e, in generale, ha contribuito a rendere i risvegli meno traumatici e l’ambiente più piacevole. Anche alle tre del mattino. Nel mezzo di una tempesta di sterco molle.

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Set bagnetto

beauty

La corroborante semplicità di questo set di prodottini da bagno ci accompagna più o meno dal ritorno a casa con Minicuore. La bustina si può srotolare e appendere, ogni oggettino ha la sua taschina ed è tutto perfettamente indispensabile. Ci sono la spugnetta, la spazzolina morbida, un pettinino per capelli più seri, la forbicina per le unghie e un pesce molto servizievole che misura la temperatura dell’acqua e vi segnala il range consigliato per una serena immersione.

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Vaschetta

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All’inizio l’abbiamo usata con il gioioso cucchiaione per piccolini (che purtroppo va comprato separatamente), e ora facciamo il bagno sollevando tsunami d’acqua saponata… perché ormai la vaschetta è diventata un po’ piccola. Spero di poterla sfoderare ancora per un po’, magari quando Minicuore riuscirà a stare seduto da solissimo, ma ce la caviamo ancora. È di plastica presumibilmente indistruttibile ed è super comoda perché si più ripiegare (lungo quei gommotti blu) e mettere via senza occuparti mezza casa.

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Librini stropicciosini

libro chicco

Ebbene, il primo libro di Minicuore non è stato Delitto e castigo, ma un prezioso tomo stropicciabile di ben tre pagine. È uno degli oggetti a cui si è affezionato di più ed è anche la prima cosa al mondo che l’ha fatto ridere col sonoro – e io là che piangevo come una vitella. AMORE DEL CUORE HAI SENTITO HA RISO! RIDE! Singhiozzi. Comunque, la cosa divertente penso sia il rumore plasticoso-scrocchiettante delle pagine di stoffa, che dentro credo abbiano i sacchetti di plastica dell’Esselunga, quelli che usano per le focaccine. I sacchettini delle focacce dell’Esselunga sono la cosa più rumorosa di sempre. Il libro è popolato da una serie di animalini che tentano di contare fino a sei avvalendosi di magici PROPS rimediati nella giungla o capitati casualmente nel loro habitat. Bonus, la foglia masticabile.
Noi abbiamo cominciato con questo, ma i libri di stoffa rumorosi, afferrabili e pieni di materiali diversi da toccare sono – in generale – una buonissima idea.

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Palestrina

palestrina

Fonte di inesauribile fascino, la nostra palestrina somiglia un po’ a un carro del Gay Pride – cosa che non può che rallegrarci molto. Suona (e non vi libererete mai più della musichetta), si illumina e produce anche rilassanti rumori di foresta pluviale. È dotata di diversi giocattoli penzolanti che fanno cose diverse (sonagliano, roteano, frinfrillano, vorticano…), di una immancabile foglia scricchiolante e di parecchi ganci per appendere un po’ quello che vi pare. È grande abbastanza da ospitare i primi rotolamenti e il tappetino è facilmente lavabile – perché dove c’è entusiasmo c’è anche la bava. Se volete metterci bimbi di un paio di mesi vi consiglio di “limitare” gli stimoli. Magari tenete spente musichine e lucine – o accontentatevi dei rumori rilassanti. Man mano che gli infanti crescono, invece, sarà stupendo vederli prendere a calci in faccia il tucano e interagire quasi contemporaneamente CON OGNI SINGOLO ARNESE.

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Pupazzi-frittata… ehm, i DOUDOU

dragopotamo

I pupazzetti bidimensionali, con pezzettini afferrabili e magari anche un mix di stoffe diverse da toccare e/o morsicare ci hanno regalato gioie infinite. Il preferito di Minicuore è questa specie di drago col mascellone da ippopotamo (prontamente ribattezzato DRAGOPOTAMO) che si trasforma anche in marionetta e, oltre ad essere uscito più volte vittorioso da diversi lavaggi spietatissimi in lavatrice, ha anche un gancino per il ciuccio e numerose propaggini aggeggiabili.

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Pupazzi… multisensoriali?

giraffa

Con il passare del tempo, la vostra preziosa creatura imparerà anche a gestire pupazzi in tre dimensioni. Ma devono essere estremamente avvincenti. E fornire stimoli eterogenei. Noi, per dire, abbiamo una giraffa dalle sconvolgenti potenzialità. Non solo è dotata di codine, nastrini e orecchiette da tirare, ma ha anche un anellino morsicabile per la dentizione, una zampa imbottita di plastichine fragorose, una zampa con le palline, il culo che suona se lo schiacci e il collo allungabile. E QUANDO LE ALLUNGHI IL COLLO VIBRA – VIBRA! Il poti-poti del deretano va ancora scatenato da un volenteroso genitore, ma contiamo che Minicuore impari a suonare le chiappe di questa giraffa al più presto. Per ora la maltratta con infinita fascinazione.

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Grattugia per la frutta

grattugia

MADRE ha riesumato la grattugia che usava per me ormai trent’anni fa, un aggeggio di vetro pesantissimo e piuttosto angusto. Per ovviare alle difficoltà – e in barba al romanticismo – ci siamo presi una banalissima grattugia di plastica con un po’ più di spazietto laterale, perché la mela deve pur accumularsi da qualche parte senza il rischio di straripare. E deve anche essere comodamente raccattabile con un maledetto cucchiaino, senza dover tutte le volte fare movimenti di polso da giocatore di biliardo. La mela, comunque, la dovete grattare con un armonioso movimento circolare. E su questo MADRE ha perfettamente ragione.

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Pappe for dummies

cucchiaino d'argento

La mia propensione all’arte culinaria rasenta il ridicolo, ma per Minicuore sto cercando di migliorare. E mi sto applicando un casino. Il cucchiaino d’argento – fratello piccolo del celebre Cucchiaio d’argento – è un ricettario estremamente semplice e chiaro sulla gestione delle pappe e dei primi cibi “veri” per bambini fino ai 5 anni. È diviso per età, è assai orientato alla praticità ed è stato assemblato con rigorose supervisioni pediatriche e anche parecchio buonsenso, mi pare di capire. Ora devo comprarmi un colino per filtrare il brodo vegetale (che non ce l’ho, il colino per filtrare i brodi, scusate tanto) e poi si comincia… veleggiando verso l’ignoto.

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Altalena

altalena

In parole povere, l’altalena è una sdraietta che si dondola da sola – proponendo anche un ricco e stimolante sottofondo musical-sonoro e ben quattro velocità di oscillazione. Minicuore, da sveglio, esige la costante attenzione di un essere umano che interagisca con lui, ma sull’altalena riesce a trascorrere piacevolmente anche dei sontuosi quarti d’ora di autonomia. Il sedilino è regolabile (un po’ come quando in aereo vi viene sonno) e il tutto funziona a pile. E c’è anche il telecomando.
L’altalena mi ha liberato dall’obbligo perenne di far fare su e giù a una sdraietta? Abbastanza. E i miei arti ringraziano.
È un oggetto umile e poco ingombrante? Direi di no. Insomma, se avete già una casa che sembra un Toys’r’Us assaltato da uno squadrone di clown imbottiti di anfetamine, vi sconsiglio di complicare ulteriormente la situazione. Se avete un botto di posto, invece, altalenatevi e buonanotte.

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Non ho consigli su prodotti e/o rimedi anti-colica, perché Minicuore non ne ha sofferto (e perché non sono una pediatra).

Non ho consigli sulla cura della pelle, perché Minicuore non ha il culo rosso o particolari problemi che richiedano un intervento più massiccio di quello che ho già descritto qui.

Non ho consigli su saponini, bagnoschiumini e compagnia spumeggiante, perché abbiamo utilizzato indifferentemente quello che ci hanno donato (Chicco e Mustela) senza reazioni scomposte o HIGHLIGHTS degni di nota.

Non ho consigli su termometri, aerosol, pompette anti-muco o strumentazioni varie per la cura dei malanni, perché non ne abbiamo ancora avuto bisogno. Ogni tanto a Minicuore si tappa il naso e la risolviamo con un lavaggio di acqua fisiologica. La fisiologica serve sempre. Dotatevene.

Non ho consigli nemmeno su una marca particolare di asciugamani o mini-accappatoi. Tutto quello che posso dire è che vi conviene prendere quelli di spugnetta con il cappuccio-angolino, perché mettere subito al riparo e all’asciutto i cranietti è importante, dopo il bagno.

Per i pannolini, abbiamo votato per continuità: Pampers Progressi Newborn (e successivi), esattamente quelli che si usavano al nido dell’ospedale.

L’abbigliamento è una landa sterminata piena di possibilità infinite. Non posso addentrarmici, o riemergerei per la maturità di Minicuore. Vi basti sapere che vi serviranno svariati multi-pack di bodini di cotone (la lunghezza della manica dipende un po’ da quando nascerà la vostra creatura) e una collezione discretamente estesa di tutine coi piedi (per l’ordinaria amministrazione vi conviene semplificarvi la vita). Se poi dovete essere ricevuti a corte o volete fare un giro dandovi delle arie, tutti da Petit Bateau.

Vorrei potervi consigliare un ottimo e solidissimo bavaglino impermeabile, ma lo sto ancora cercando.

Vorrei parlare di scarpine. Ma ogni volta che ho cercato di comprare delle pantofoline adorabili a forma di animale ho sbagliato completamente la misura.

Ma dovrei avercela fatta a finire questo enciclopedico post. Almeno quello.
Spero tanto di essere stata d’aiuto e vi auguro meraviglie di ogni genere.
In bocca al lupo!

Snapchat è un aggeggio social-piattaformoso che consente alla gente di postare video della lunghezza massima di dieci secondi per raccontare un po’ quello che ne hanno voglia. I video spariscono dopo 24 ore – insieme alla “Storia” quotidiana in cui sono confluiti – e possono essere liberamente commentati da chi li guarda – sempre che l’utente in questione abbia “aperto” i messaggi privati e non vi abbia bloccato. Anche i messaggi spariscono, una volta visualizzati, a meno che non riteniate necessario salvarli – schiacciandoci sopra un dito finché non vi esce SALVATO – o screenshottarli per la posterità. Se salvate sono fatti vostri, se screenshottate si vede.
E fin qua, favola.

fetch

Ma sono tutti in grado di gestire saggiamente la magica possibilità di commentare le storie altrui? 
Non sempre. O non moltissimo. 
Anzi, facciamo così: ci sono margini di miglioramento.
Non so bene come sia accaduto, ma su Snapchat c’è parecchia gente che sembra divertirsi a guardare quello che racconto. Di conseguenza, ricevo moltissimi messaggi ogni giorno. Non è una gara a chi riceve più messaggi, che sia super chiaro. Le gare mi fanno pietà e chi si alza al mattino con il chiodo fisso di ACCUMULARE FOLLOWER dovrebbe stare a letto e ciao.

not happening

Il “moltissimi” messaggi quotidiani che mi ritrovo nella schermatina della chat è un dato propedeutico allo spiegone.
Perché?
Il “moltissimi” ci assiste in due modi.
UNO) mi ha aiutata ad elaborare una casistica piuttosto esaustiva (per quanto soggettiva) sull’argomento.
DUE) le persone non sono sempre in grado di mettersi nei panni altrui su un social che non fornisce indicatori numerici “pubblici”. Snapchat non è Facebook, dove un contenuto è visibilmente accompagnato da MIPIACE esplicitamente conteggiati e da una discussione pubblica. Snapchat permette un’interazione diretta molto ricca, ma non abbiamo idea di che cosa succede “a casa” di chi riceve i nostri commenti. E quasi sempre non abbiamo nemmeno modo di “conoscere” chi è che sta effettivamente parlando con noi – faccenda che, in un contesto di scarsa trasparenza, non può che complicare le cose.
Per rendere la faccenda ancor più incasinata, dirò anche che sono una di quelle persone che risponde pubblicamente a domande che potrebbero essere di un qualche interesse per la collettività (mostrando ai popoli del mondo il messaggio originale e partendo da lì) e che c’è anche una rubrica, che si chiama #LibriniTegamini, in cui consiglio – sempre a beneficio di tutti – libri da leggere a chi me li chiede.

interesting

Alla luce di tutta questa roba veramente estenuante che v’ho raccontato, vorrei dunque offrirvi qualche consiglio molto sereno e sincero per chiacchierare civilmente e allegramente con le gente che vi piace guardare su Snapchat.
Non è una predica, non è un “decalogo del bon-ton di Snapchat”, non è un “se fai così vedrai che starai simpatico a tutti” e non è neanche un VI DICO COME STARE AL MONDO PERCHÉ IO LO SO E VOI SIETE SCEMI. È una fenomenologia – personalissima – di quello che trovo inopportuno e che preferirei non dover vedere più. 
Condividerete il mio fastidio? Bene, mi fa piacere.
Vi sembrerò antipatica e insensbile? Ancora meglio. Vuol probabilmente dire che appartenete alla ristretta fascia di utenti che non sa distinguere un commento carino, spassoso e interessante da una bestialità. E leggere questa roba potrebbe esservi d’aiuto – o potrebbe convincervi a non seguire più quella rompicoglioni di Tegamini. Win-win, insomma.

good friend

Bene.

“Domandare è lecito, rispondere è cortesia”, diceva mia nonna – che in vita sua parlava all’incirca con 14 persone complessivamente. Se diamo la possibilità alle persone di parlarci, è saggio ed educato rispondere alle domande e ai commenti che ci arrivano. Ma il grado di “complessità” e di ricchezza della risposta non è qualcosa su cui vi consiglio di sindacare. Perché è possibile che il vostro commento sia un po’ sciocco o non offra particolari spunti di dialogo. Ed è anche possibile che il vostro commento sia poco educato.

white

Ci sentiamo tutti degli irripetibili fiocchi di neve, ma forse sarebbe più opportuno commentare di meno ma commentare quando abbiamo effettivamente qualcosa da dire (rispettando chi ci legge e tenendo presente che la gente non può e non deve perdere tempo dietro alle scortesie).
Esempi.

Inviare un HAHAHAHAHA ad ogni snap di una storia, per un totale di 23 HAHAHAHAHA consecutivi. Mettervi allegria mi fa piacere, ma contenetevi, ve ne prego. Adoro gli HAHAHAHA, ma ne basta uno. Giuro che capirò.

shall we not

Volete delle precisazioni su qualcosa che avete visto?
Non siamo su Depop.
Marca? Negozio? Prezzo? Mi fai la foto dell’etichetta? Non benissimo. E soprattutto, molto spesso, dimostra una scarsa propensione all’ascolto. Se mi compro una cosa bella e mi prendo la briga di farla vedere su Snapchat, è assai probabile che vi spieghi da dove viene e come procurarvela. Se poi volete domandarmi che taglia ho scelto perché non avete idea di come veste quel brand (quesito sacrosanto e dubbio amletico perenne), c’è modo e modo. Ciao Tegamini, quel maglione lo voglio tantissimo anch’io! Ne vale la pena? Veste piccolo o dici che me la cavo con la S? A quel punto, vi risponderò probabilmente con una dettagliata nota vocale in cui vi racconterò pure come si chiama la pecora che ha fornito la lana per quel maglione. Marca? Negozio? Prezzo? Vi risponderò con un monosillabo.

rules

Approfondire una questione rispondendo volentieri a delle domande poste con educazione è bello e civile, ma non vi autorizza ad utilizzare le persone come un motore di ricerca. Se, ad esempio, vi informo che il rossetto VAVAVOOM lo trovate da Sephora, non chiedetemi di individuare il punto vendita più vicino alla vostra abitazione. Non chiedetemi di decifrare per voi il funzionamento dei resi di Asos. O di mandarvi l’URL di un sito che, se vi interessava così tanto, potevate screenshottare negli snap precedenti. Insomma, se vi interessa sapere qualcosa di facilmente reperibile utilizzando Google per un secondo, non chiedete a un’altra persona di farlo per voi.

carb

Ma come dobbiamo intendere la faccenda dell’educazione?
Snapchat non è certamente il luogo adatto ad ospitare slanci d’eccessiva formalità – Baronessa Tegamini, anche Voi qui a corte! Qual diletto! Mi rallegro della Vostra compagnia e Vi esorto ad avvalerVi dei miei servigi in caso di periglio o di necessità. Vostro sempre devotissimo. -, ma non deve nemmeno diventare la sagra del cappone ripieno di Campiofiorito.
Un minuscolo accorgimento per partire con il piede giusto? Provate a presentarvi, se è la prima volta che scrivete a una persona – acquisterete all’istante 1000 punti serenità e farete una gentilezza a chi vi legge.
È un po’ che “parlate” con una persona che seguite? Non ci sarà certo bisogno di sciorinare convenevoli ogni volta, ma non date mai per scontato che l’universo intero abbia precisamente in mente chi siete, che numero di scarpe portate e qual è il vostro colore preferito. Siate pazienti, insomma. E mettete gli altri nelle condizioni di capirvi il più possibile.

girls

Ah, nel “non è educato” inserirei anche la casistica dei maniaci ai giardinetti. Non c’è bisogno di ricevere foto inopportune per aver voglia di unirsi al programma di protezione testimoni dell’FBI. È sufficiente uno sconosciuto che ha la brillante idea di scriverti “vorrei una tua ciocca di capelli per poterti clonare e tenere sempre qua con me”.
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.

phone

Un’altra cosa ESTREMAMENTE spiacevole sono gli utenti che parlano male degli altri. In chat. Con te. Senza che voi abbiate fornito loro alcun appiglio o input.
Un conto è dire pubblicamente “GIANLUIGI NON LO SOPPORTO” e ricevere dei commenti in merito – ve la siete cercata? Gestitevi i “Ma che cazzo dici, Gianluigi è fantastico! Sei una stronza” o i “Gianluigi non piace neanche a me” – e ben altro è leggere, dal niente, una cattiveria gratuita su un’altra persona. Pensate di risultare simpatici? Credete di poter creare una qualche specie di “alleanza” fondata sulla disapprovazione nei confronti del Gianluigi di turno? Siete in cerca di “complicità”? Complimenti, avete appena fatto una figuraccia.

tell her

C’è una persona con cui vi piace chiacchierare e che COL TEMPO avete imparato a conoscere un po’ meglio? Potete provare a condividere la vostra opinione su Gianluigi. Ma scrivere al primo che passa che Gianluigi è un coglionazzo non è saggio, non è piacevole da leggere e, soprattutto, nessuno ve lo ha chiesto. Se dovete proprio parlare di un’altra persona, parlatene in positivo. Altrimenti tacete.

shut up

Non pretendete che gli altri parlino di quello che pare a voi. Vi siete inventati un bellissimo # che state cercando di far girare – con la malcelata speranza, spesso, che giri un po’ anche il vostro nome? Non spammatelo a caso. Tegamini si interessa di libri, unicorni e soprammobili imbecilli? Ottimo! Mandiamole 10 snap in chat in cui la esortiamo insistentemente a partecipare a un # dedicato agli attrezzi agricoli! Tegamini non ha parlato di attrezzi agricoli nonostante la mia mirata segnalazione? Tegamini se la tira!
Caso B.
Tegamini non ha partecipato al mio # dedicato ai libri fotografici sui soprammobili a forma di unicorno? Ma se ne parla sempre di quelle cose lì? Tegamini se la tira!
Nel primo caso non meravigliatevi. Mica a tutti interessano gli attrezzi agricoli. Che cosa vi dovrei dire? Che maneggio la vanga con grazia? Che ne so io di vanghe. Me lo state dicendo solo per approfittarvene, e la cosa non vi fa onore.
Nel secondo caso, invece, è probabile che la persona che vorreste coinvolgere non abbia avuto il tempo di reagire ai numerosi stimoli – anche se pertinenti – che le sono arrivati. O, molto semplicemente, non ha voglia di parlarne. O la vostra richiesta, anche se sensata, era un po’ troppo invadente. Insomma, segnalate quello che vi sembra appropriato, ma non attendetevi matematicamente una reazione. Potreste non essere gli unici, quel giorno, ad aver fatto la stessa cosa.

really

Vagamente collegato al punto precedente, c’è la faccenda dell’approfittarsene, soprattutto quando una persona si dedica a sfornare una rubrica in cui si menzionano direttamente altri utenti o si postano richieste in cui il nickname è abbondantemente visibile. Ora, io tendo a non pensar male della gente, ma se mi domandi un libro in chat e io ti rispondo con un suggerimento ben motivato cinque minuti dopo, mi aspetto un “Grazie” o un’eventuale richiesta di ulteriori chiarimenti (“Hai altro da consigliare di questo autore?”, “Ma è molto triste e dici che mi ammazzo a pagina 30?”, “Va bene anche per il mio fidanzato che non è mai uscito dal tunnel dei Librogame?”) e non un “Ma scusa, non mi fai il video pubblico come agli altri?”.

idiot

Una persona ha appena detto che è contenta? Non commentate con un panegirico sull’ineluttabilità del destino e sulla sorte fatale che attende tutti noi.
Una persona si rallegra perché il suo bambino dorme? Non commentate con un “Adesso te la passi bene, ma vedrai quando mette i denti! Vedrai quando va all’asilo, quanti MORBI si prende! Vedrai quando arriva l’adolescenza e comincerà a sputarti in faccia!”.
Una persona dichiara il proprio amore per il marito, la moglie, il fidanzato, la fidanzata, il compagno, la compagna? Non commentate con un “Adesso tutto ok, ma vedrai! Anche le cose più belle finiscono”.
Insomma, se uno è triste provate a incoraggiarlo, se vi sembra opportuno. Ma se uno è felice lasciatelo stare, se proprio non vi va di partecipare alla sua gioia. Non possiamo mica andare in giro con una mano sui coglioni 24 ore al giorno, per la miseria.

ghhhh

Seguite da qualche mese una persona che non parla mai della sua vita sentimentale? O del lavoro? O dei suoi genitori? Potrebbe essere un orfano single e disoccupato con dei traumi inscalfibili. O potrebbe non aver voglia di affrontare quegli argomenti. Se dopo qualche tempo vi accorgete che ci sono cose che un determinato utente NON DICE, non provate a tirargliele fuori con domandine “simpatiche” in chat. Avrà i suoi buoni motivi e, soprattutto, non è obbligato a dirvi più di quello che si sente di dire. Osservate, ascoltate e provate ad adeguarvi al “limite di condivisione” che il vostro utente del cuore ha deciso di tracciare.

obsessed

Vi sembra che vi sia rimasto ben poco da commentare?
Correggete il tiro e provate anche a mettervi nei panni degli altri. E, alla luce della limitata casistica che ho avuto voglia di raccogliere, non biasimate chi “chiude” le chat. Mi sembra che ci siano dei presupposti più che validi.
Ve la cavate già bene?
Continuate felicemente così. Chiacchierate. Fotografate beluga. Parlate di quello che vi piace e che vi rende felici. Approfondite quello che vi sta a cuore. Chiedete consigli VERI a chi pensate possa aiutarvi. Condividete quello che sapete se pensate possa servire.
Snapchat non è una gara di popolarità. Non è la Corrida di Corrado e non è nemmeno una scuola elementare. Prendetevi il tempo per pensare davvero a quello che scrivete. Vi aiuterà a stabilire delle relazioni più positive, piacevoli e divertenti. E credo si starebbe un po’ tutti meglio.

taco bell

Per la rubrica “là fuori c’è tutto un mondo di meraviglie inesplorate” – ma anche “l’universo conosciuto non termina nello stanzino degli accessori di H&M” – e con la complicità di numerose giovani donne piene d’entusiasmo che hanno deciso di scegliere per me dei regali molto belli, ho deciso di compilare (FINALMENTE) una lista incredibilmente esaustiva di splendori-handmade scoperti in questi mesi, mesi pieni di gioia ma quasi del tutto privi di salutari e terapeutici momenti dedicati allo shopping.
Ecco dunque, in ordine assolutamente casuale, un prezioso elenchino di talentuose artigiane, artiste e creative che dovreste immediatamente ricoprire di miliardi. Perché se lo meritano.

Juiceforbreakfast

Character-designer di rara coccosità, Giulia sviluppa VISUAL AIDENTITIES per chi ne ha bisogno (dai piccoli business a chi, semplicemente, deve spedire le stramaledette partecipazioni di matrimonio) e sforna una vasta gamma di teneri prodotti pieni di pattern adorabili.

Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

Gioielli e Conigli

Esplorando ogni possibile sfumatura cromatica inventata dalla natura (e ogni tecnica esistente di combinazione delle perline) da Gioielli e Conigli troverete collane, orecchini, anelli, braccialetti e carinerie a profusione a base di pietruzze luccicanti, fiocchi e nappine. Belle, luminose, comode e solide – e per solide intendo resistenti alle manine infernali di un bambino di quattro mesi.

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Tamago Craft

Pupazzi grassi, giacche dalle fodere imprevedibili, pois minuscoli e animali coloratissimi (e glitterati, nel mio caso) che fanno capolino su ogni genere di micro-capo d’abbigliamento. Vestiti allegri per bambini ancora più allegri.

tamago craft drago

 

Some Wood Ideas

Arredamento, design e accessori pazzi, completamente in legno. Tra le ultime invenzioni, una collezione di animaletti-spilletta che rasenta la perfezione zoologica.

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Cicilla Handmade

Abbigliamento per minuscoli umani, con una magnifica selezione di stampe (CIAO NOI ABBIAMO I DINOSAURI), una grande cura nella scelta dei materiali e un saggissimo orientamento alla praticità. Troverete vestitini, pantaloncini, bavaglini, copertine e bustine (da riempire con i generi di prima necessità più disparati). Sto seriamente pensando di fregare il bavaglino a Minicuore e usarlo come FÙLAR.

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Nigutindor

Oggetti per la casa in ceramica e argilla, rigorosamente dipinti a mano – o decorati in bella calligrafia, come avrebbe detto la mia maestra delle elementari. Ciao, maestra Silvana. Si va dalle tazze piene di gatti agli scatolini portagioie che si fingono musicassette.

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Petit Pois Rose

Grafica, crafter e illustratrice, Clara cuce cuscini a forma di fette di pizza e ha la capacità di trasformare qualsiasi cosa in un unicorno. Il tutto, ovviamente, avvalendosi dei colori più pastellosi di sempre. Che qualcuno le affidi il restyling dell’intera civiltà occidentale.  

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Prettyinmad

Fatto a mano, con amore. Erika non ha praticamente più bisogno di presentazioni, ma una tote, una bustina o una fascia per i capelli con una stampa bellissima (in solido ed estroso cotone americano) è sempre una buona notizia. La gamma viene continuamente aggiornata con nuovi modelli e invenzioni… quindi andate e frugate. Io viaggio con fenicotteri e costellazioni nella borsa e sono una ragazza felice.

Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

Bene. Rompete i porcellini e sbizzarritevi.
E cuorosità handmade a tutti.

La nascita di un infante viene solitamente celebrata da amici, congiunti e conoscenti con un profluvio di doni, di solito classificabili in tre principali categorie: vestitini, giochini, cremine. Il vasto mondo delle cremine può comprendere prodotti da bagno (e il bagnoschiumino delicato, e lo SCIAMPINO, e il saponino) e cremine a tutti gli effetti, inventate dai brand più disparati per combattere ogni genere di alterazione cutanea.
Ecco.
Io ho due tonnellate di cremine complicatissime che vorrei smerciare a qualcuno, visto che il deretano del mio bambino si è rivelato piuttosto resistente. Quasi antiproiettile. Dove dovrei spalmargliela, tutta quella roba? DOVE. Tegamini, vorremmo farti provare questi prodotti altoatesini mega naturali e super testati che si trovano solo in farmacia e nelle parafarmacie più illuminate, ti mandiamo uno scatolone pieno. MA IO CHE COSA CI FACCIO. MINICUORE NON HA UNA MAZZA DI NIENTE. TENETEVELI.
Ma a nulla è servito protestare. E ho ricevuto la mia eclettica fornitura di prodottini Mama Natura da collaudare.

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La gamma non è sterminata, ma decisamente ben costruita. L’idea di base è quella di fronteggiare, con soluzioni sicure e scientificamente architettate, i problemi più comuni che possono affliggere un piccolo essere umano. Ci sono le goccine Colikind a base di fermenti lattici e camomilla, il gel con l’estratto di malva per le gengive piene di dentini bellicosi che vogliono spuntare, lo spruzzino per combattere il raffreddore, l’olietto Sebokind con le mandorle dolci per la crosta lattea, la crema Dermakind con betaglucano, calendula e pantenolo per le irritazioni e gli arrossamenti. Insomma, poche cose ma assai mirate e progettate nei minimi dettagli, senza conservanti, parabeni, petrolati, coloranti e profumazioni aggiunte.

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Sull’integratore allevia-coliche non posso fortunatamente pronunciarmi – visto che non ne abbiamo mai avuto bisogno, che il cielo benedica l’apparato digerente di Minicuore – e per il gel-dentini è ancora presto, ma con l’olietto per la crosta lattea stiamo facendo amicizia (batuffolo di cotone sul cranietto e massaggi delicati) e la crema Dermakind, alla fin fine, si è rivelata utile. Vuoi il freddo, vuoi il bagno e le posizioni “nuove” – il culotto ora serve anche a sedersi, gente – qualche rossore e screpolamento da risolvere c’è stato. Visto che non è solo una crema lenitiva “da cambio” e che c’è pure dentro il sempre miracoloso olio di mandorle, l’ho usata anche come idratante. Sui polpacciotti. E sugli stinchi. Che temo abbia ereditato da me – “Tesoro, qua hai proprio la pelle secca come un serpente”, mi disse l’estetista in una giornata particolarmente buia. E lo spray per il raffreddore? Il Rimikind va usato da due anni in su. Cesare, in caso di bisogno, viene soccorso con i lavaggi di fisiologica, ma io ho decisamente più di due anni e il raffreddore mi viene. Quindi ciao, me lo sono sparato nel naso. E ho fatto bene. Anzi, me lo porto pure in giro, come un talismano… anche perché una roba che contiene aloe, acido ialuronico e acqua termale salsobromoiodica delle Terme di Monticelli deve per forza possedere una qualche proprietà salvifica.

Insomma. Bene. Testoline splendenti, nasi sturati e chiappette morbide a tutti.

Di base, le sorprese non mi piacciono. Nulla mi terrorizza più della possibilità che qualcuno, armato di ottime intenzioni, decida di organizzarmi una festa di compleanno a sorpresa. Mi viene l’ansia anche quando partecipo alle feste a sorpresa degli altri, per dire. Mi nascondo dove mi dicono di nascondermi e fisso il vuoto, pensando al peggio. E se poi non ci vuole vedere. E se entra in casa e rutta. E se aveva altri programmi. Detesto anche che la gente mi dica una cosa e poi, per farmi una sorpresa – e rallegrarmi, ipoteticamente – si comporti in un’altra maniera. Panico.
Mi agito, non so che dirvi.
Non sono predisposta ad accogliere serenamente le sorprese.
Le uniche sorprese che riescono a infondermi felicità sono le sorprese postali.
Adoro aprire i pacchetti. Stravedo per il portinaio che ogni tanto mi ferma per informarmi che è arrivata della roba per me. Percepisco come meravigliose sorprese anche le cose che mi compro da sola, ma è quando in giacenza ci sono dei pacchetti sconosciuti e imprevisti che perdo completamente il senno. E, date le premesse, non potevo che invasarmi con le subscription-box – che in pratica sono delle sorprese, ma riesco a gestirle perché si può scegliere il concept (= quello che più o meno ci troverai dentro) e perché arrivano sempre e comunque al signor Amabile, il portinaio di cui si parlava poco fa.
Si può avere un nome più bello di quello del signor Amabile? Secondo me no, anche se Hoppípolla ci prova.
Hoppípolla è una parola islandese di certificata intraducibilità che significa, più o meno, “saltare nelle pozzanghere”. Mi sono brevemente chiesta come faccia un islandese a saltare allegramente in una pozzanghera gelata, ma poi ho deciso di dedicarmi a quesiti più importanti. Tipo, che diavolo c’è in una subscription-box di nome Hoppípolla.

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Il progetto è appena partito e l’idea, che già amo, è quella di recapitarci “cultura indipendente per corrispondenza”. La scatola dovrebbe raccogliere, ogni mese, progetti creativi e bizzarri, per farci scoprire qualcosa che ancora non conosciamo. I mattoncini promessi sono i seguenti: un oggetto di design, un prodotto editoriale, un suggerimento musicale, un qualcosa di illustrato e un aggeggino “jolly”.

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La prima scatola mi è felicemente arrivata qualche giorno fa. Che ci ho trovato dentro? Un porta riviste di cuoio da inchiodare al muro (di La Marchegiana), un numero delle rivista Effe (un’antologia di racconti e illustrazione), una canzone da ascoltare su Hoodooh, 16 cartoline di Donne con le palle (nostra vecchia e gradita conoscenza) e dei tatuaggetti temporanei da sfoggiare per le vie della moda in SABÒ.
Sono intrigata? Molto.
Ho voglia di vedere che cosa si inventeranno al prossimo giro? Assolutamente.
Quanto amo tifare per i progetti nuovi pieni di roba insolitissima e intrigante? TROPPO.
In bocca al lupo a Hoppípolla e buona conquista del mondo. Per chi volesse informarsi bene e donarsi/farsi donare un abbonamento, qui ci sono tutte le informazioni utili.
E pozzaghere (sgelate) a voi.

Funziono così. Compro quasi tutti i miei libri online. Ma se entro fisicamente in libreria è praticamente impossibile che io esca a mani vuote. Vado a cercare di rado i libri che popolano le mie svariate wishlist, perché sono quasi sempre certa di non poterli trovare, ma qualcosa riesco sempre a pescarlo. Datemi un quarto d’ora per vagare felice e spensierata e riuscirò a farmi un regalo inaspettato. A scoprire un titolo che non conoscevo. O ad arrivare, chissà per quale strana associazione di idee, a una cosa bella che avevo dimenticato. Frugo, spulcio le quarte, guardo le copertine, mi scandalizzo per le fascette, finisco davanti a scaffali pieni di roba che mai al mondo potrebbe interessarmi – ma ci guardo lo stesso. Perché Amazon mi risolve – brillantemente – ogni genere di problema logistico e di approvvigionamento, ma la curiosità e il gusto dell’esplorazione sono un’altra faccenda. Ho circa millemila libri da leggere – in coda, come dal salumiere – ma quelli che compro in libreria saltano automaticamente la fila. Le librerie, per me, rimangono dei luoghi felici – nonostante tutto. E queste sono le mie librerie preferite di Milano. 

Rizzoli Galleria
Galleria Vittorio Emanuele II
Lunedì-domenica 9 > 20
Giovedì 9 > 22

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Ristrutturata alla velocità della luce e riaperta al pubblico nel novembre del 2014, Rizzoli Galleria è l’unica libreria gigantesca della città che riesce a non terrorizzarmi… e a non farmi sentire al supermercato. Non ho ancora esplorato il piano dedicato agli infanti (si dice sia mirabile), ma ho apprezzato tantissimo la super sezione in lingua inglese al -1 (dove ho inaspettatamente scovato la mia edizione preferita di sempre della Scopa del sistema) e l’ottagono, una sala di rara bellezza dedicata agli illustrati d’arte, moda, fotografia e design. Cento punti a chi ha deciso di arredare con pezzi di Cassina, Vitra e Frau. E anche a chi è venuto in mente di fabbricare un’app piena di informazioni, novità e percorsi tematici (aggiornati settimanalmente).

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Verso Libri
Corso di Porta Ticinese 40
Martedì, mercoledì, domenica 10 > 21
Giovedì, venerdì, sabato 10 > 24

verso libri

Tutte le (rare) volte che una libreria indipendente apre i battenti mi viene da pensarla più o meno così: ma che bello, una libreria nuova, piccolina, coraggiosissima e valorosa! …santo il cielo, ce la faranno? Speriamo bene. Ecco, con Verso è andata esattamente così. E, ormai a un annetto dall’inaugurazione, ogni volta che passo per Corso Porta Ticinese sono contenta di vederla popolata, vispa e aperta fino a tardi. Il catalogo è ricercato e avventuroso (io, per dire, mi ero comprata Lo splendore casuale delle meduse) e gli spazi assai piacevoli. C’è un baretto, un civilissimo wi-fi libero e un vasto calendario di eventi (tenendo a mente che non di sole presentazioni librarie vive l’uomo). Il posto perfetto per farsi cogliere di sorpresa da un bel libro. Sull’aperitivo, purtroppo, non ho ancora informazioni. Ma mi documenterò.

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American Bookstore
via Camperio 14
Gli orari d’apertura sono misteriosi, anche se il sito dice “Il punto vendita è sempre aperto, anche ad agosto”. Rassicurante, no?

Il bannerone superTOP viene da http://www.americanbookstore.it/

L’American Bookstore è un luogo bizzarro, disordinato e stranamente accogliente – e forse anche l’unico posto a Milano dove posso sperare di scovare qualcosa che ho effettivamente messo in wishlist. La libreria è specializzata in narrativa anglosassone, dalle novità applaudite dal New Yorker ai paperback dimenticati da Dio. Ci sono chicche e rarità, ma anche i super bestseller in edizione economica. Il tutto è inspiegabilmente accompagnato da un esuberante assortimento di oggettistica. Tazze, scatole, galletti patchwork, biglietti d’auguri e ninnolame degno di una nonna del Wisconsin. Attendo con ansia un angolo dedicato alle torte di mele.

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Libreria Egea
via Bocconi 8
Lunedì-venerdi 10 > 19.30
Sabato 10 > 13.30 / 14.30 – 19

egea

Ci ho passato secoli, all’Egea. Patendo come un cane. Quando facevo l’università, i libri li andavo a prendere lì, sfidando folle oceaniche di studenti esasperati e commessi trafelatissimi. Non l’ho mai percepita come una vera e propria libreria, era il posto dove bisognava andare a procurarsi la dispensa di Storia Economica o il malloppone di Diritto Privato. E vi assicuro che c’è ben poco da stare allegri, quando vi tocca comprare un libro di Diritto Privato. Anni dopo, però, complice la ristrutturazione massiccia (che ha contribuito a rendere l’intera faccenda un po’ più user-friendly), mi sono resa conto che l’Egea poteva anche essere un bel posto. Al piano inferiore ci sono addirittura la narrativa e un giocoso angolo-bambini, ma il punto forte è sempre la saggistica – non necessariamente iper specialistica. Oltre al super catalogo dedicato al management – sai com’è, è pur sempre la libreria della Bocconi -, gli argomenti frugabili sono i più disparati, dalla moda all’organizzazione aziendale, dalla sociologia ai pamphlet sulle brutture del mondo.

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Triennale Bookstore
viale Alemagna 6
Lunedì – martedì 10 > 21
Mercoledì – sabato 10 > 23
Domenica 10 > 21

triennale bookstore

All’estero – così, GENERALIZZIAMO – i bookshop dei musei sono sempre strabilianti. In Italia un po’ meno. Magari si trovano i cataloghi della mostra in corso, più qualche volume di trent’anni fa vagamente inerente all’argomento. C’è qualche cartolina, ci sono i magneti pazzi da mettere sul frigo. Ed è morta lì. Il Bookstore della Triennale – gestito da Skira – non è sterminato, ma è sicuramente molto avvincente. Si trovano libri di architettura, design, arte moderna e contemporanea e una selezione di riviste di settore. Si vai dai puri coffee-table books (quelli da piazzare in salotto per fare bella figura e passare per persone raffinate) ai saggi con meno figure e più attenzione agli aspetti teorici della creatività. Per la gioia dell’universo mondo, poi, c’è anche una spassosa selezione di aggeggi e gadget insoliti – cosa che trovo sempre di grandissima consolazione, non potendo permettermi la lampada Arco di Achille Castiglioni.

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E niente, questi sono i posti dove amo girovagare. Visto che il tutto è assai soggettivo – e non c’è alcuna pretesa di esaustività, vi esorto ad allungare l’elenco con le vostre librerie preferite. Che si fa sempre in tempo ad imparare qualcosa.

 

Non tutti gli anni ti capita qualcosa di straordinario. Non tutti gli anni sono speciali. Certo, quelli bravi sul serio riescono a tirare fuori il buono anche dai periodi più catastrofici, ma ci vuole dell’impegno. E, comunque, non è detto che un anno pieno delle celeberrime “difficoltà che mi hanno insegnato tanto” si tramuti all’improvviso in un forziere colmo di meraviglie da ricordare con gioia e gratitudine. Io, in tutta franchezza, di anni che dimenticherei piuttosto volentieri ne ho quanti ne volete. Sono serviti? Certo. Me li sciropperei di nuovo? No, grazie assai.
In quest’anno che è appena finito, però, mi sembra di aver combinato qualcosa di memorabile. Quest’anno, chissà poi come, mi pare di aver fatto qualcosa di buono, di felice. La felicità si fabbrica in maniere bizzarre e misteriose, quasi sempre accidentali. È un fenomeno di complicata riproducibilità che spesso ha poco a che vedere con le intenzioni, che ti fa commuovere quando la intravedi nella vita degli altri ma che ti fa anche imbestialire, perché inevitabilmente ti domandi che cos’hai che non va, perché tutti si muovono mentre te rimani sempre lì, perché sembra che ogni volta ti manchi un pezzo per arrivare dove credi di dover piantare una bandierina.
Per certi versi continuo – e temo continuerò sempre – a sentirmi un passo indietro, ma perché funziono così e ciao.
A me, tipicamente, la cosa giusta da dire viene in mente due giorni dopo. Sono quella vestita un po’ troppo bene quando gli altri arrivano (saggiamente) con le ciabatte di gomma – e viceversa. Non sono brava a simulare simpatie e a coltivare relazioni astute. Non ho pazienza per chi significa poco per me ed è impossibile darmi degli ordini. Non mi sento particolarmente indispensabile e, di conseguenza, mi prendo poco sul serio.
Sono sbilenca, e sbilenca resterò.
È un peccato, forse, ma ho deciso che va bene così. Perché, nonostante le mie numerose goffaggini, sto riuscendo a fare cose assolutamente impensabili. Almeno per me. Ed è questa la cosa davvero strabiliante. Scoprirsi capaci di cavarsela in un territorio dove mai avremmo creduto di poter mettere piede, perché ci sembrava un posto troppo remoto e troppo difficile da raggiungere. Un posto che, tutto sommato, non ci sentivamo pienamente in diritto di abitare.
Nulla di quello che mi è capitato in questi ultimi anni felici è riuscito a cancellare completamente il sospetto della candid-camera. Forse è per questo che non ho mai smesso di impegnarmi. O di stupirmi davvero moltissimo di fronte ad ogni mattoncino importante che sono riuscita – non si sa bene come e di certo non da sola – a incastrare al posto giusto.
Quindi sì, è così che è andata.
L’anno scorso non ho fatto nulla di inedito nel vasto panorama della storia umana. Ma mai al mondo avrei pensato di ritrovarmici. E di uscirne indenne. E di scoprire che così tante cose all’apparenza assurde e gigantesche sono, in realtà, assurde e gigantesche ma possibili. Ho fatto fatica e continuo a non capirci un granché, ma sono arrivata in fondo con la sensazione di aver creato, strada facendo, della felicità dove prima non c’era niente. Della felicità nuova.