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tegamini

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Le ferie si avvicinano, le ciabatte di gomma non vedono l’ora di portarci in spiaggia e i parei sventolano all’orizzonte. Insieme al consueto mantra del “quest’estate non faccio niente: mangio, mi riposo, non guardo le mail dell’ufficio e nuoto con la tavoletta” riaffiora anche un grande classico, il sempreverdissimo LEGGERÒ UN CASINO. Perché, come al solito, siamo assolutamente convinti che d’estate si possa finalmente leggere tutto quello che in una vita intera abbiamo più o meno volontariamente trascurato. Non è detto che ci si riesca, ma quel che conta è partire con le migliori intenzioni – e una trolley pieno di romanzi da imbrattare di crema solare.
Visto che non di sola caccia ai Pokémon può vivere l’uomo, mi sento in dovere di sostenere i buoni propositi dei villeggianti di ogni latitudine spiattellando la mia ambiziosa reading list e illustrandovi molto volentieri quello che sto combinando su Snapchat.

Parto da Snapchat, che è la roba meno importante a livello geopolitico.

Pur continuando a detestare il filtro-cagna, Snapchat sta cominciando a piacermi davvero e – in barba ad ogni più rosea previsione – ho scoperto che è un buon posto dove parlare di libri. Anzi, dove consigliare cose da leggere agli altri esseri umani – esseri umani che, inspiegabilmente, sembrano fidarsi di quel che dico.
All’inizio mi limitavo a fare due chiacchiere sull’ultimo libro che avevo letto e a sistemarlo sullo scaffale – scatenando una reazione a catena di roba che si sposta e polvere che si alza – ma, in qualche settimana, l’intera faccenda si è trasformata in #LibriniTegamini, una rubrica giornaliera in cui frugo nella libreria di casa e faccio del mio meglio per rispondere alla precisa richiesta (o alle domande) di chi vuole scoprire letture nuove.
Chi vuole un consiglio può felicemente scrivermi un messaggio – spiegandomi in rapidità i suoi gusti e che cosa sta cercando – e io, nella prima “puntata” utile di #LibriniTegamini provo a scovare il libro giusto per quella persona.
Cioè, niente che un libraio normale non faccia già da millenni… ma tant’è: #LibriniTegamini prospera e la gente SCRINSCIOTTA copertine con un’abnegazione che non cessa di commuovermi.
Ma perché ve l’ho detto?
Un po’ perché sono felice che #LibriniTegamini funzioni, ma anche un po’ perché potrei soccorrervi tempestivamente mentre vi aggirate per la Feltrinelli di Finale Ligure in cerca di un libro capace di surclassare il Novella 2000 della vicina d’ombrellone.
Non sono ancora abbastanza colta per sconfiggere la micidiale combo Gente più materassino gonfiabile in omaggio, ma se vi va di divertirvi con #LibriniTegamini (e di sorbirvi le fandonie che racconto quotidianamente), su Snapchat mi chiamo Tegamini e potete trovarmi qui.
Per il resto, c’è chi prende anche appunti.


Ma veniamo alla mia irrinunciabile wishlist estiva
– ovvero, due settimane al mare e un irragionevole milione di pagine.
Che cosa butterò in valigia – facendola poi portare ad Amore del Cuore?
Ecco qua.

***

Julian Fellowes, Belgravia

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Pubblicato a puntate su un’apposita applicazione a partire dal mese di gennaio di quest’anno – iniziativa assai vittoriana, devo dire -, Belgravia dovrebbe essere uno splendido polpettone storico-romantico pieno di balli, intrighi di società, collane di perle, uniformi tintinnanti, cannonate e personaggi arguti che si mandano a quel paese. L’autore è Julian Fellowes – quello di Downton Abbey e Gosford Park, per capirci -, quindi credo ci si possa fidare.
Io leggerò la versione “integrale” in inglese, ma il libro c’è anche in italiano – pubblicato da Neri Pozza e tradotto da Simona Fefè.

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Elena Varvello, La vita felice

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Per stemperare la spensieratezza delle barzellette del Cucciolone – che non fanno ridere, maledizione -, un romanzo di formazione dall’aria misteriosa e tagliente.
Il protagonista è un ragazzo di sedici anni che, ormai cresciuto, ricorda la fatidica estate che gli ha azzoppato per sempre la vita. Dovrebbero esserci rapimenti, un padre pazzo, cotte adolescenziali e oscuri segreti.
Gettiamo i Cuccioloni oltre l’ostacolo e vediamo che cosa succede.

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Ransom Riggs, La casa per bambini speciali di Miss Peregrine

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Una sperduta isola gallese, una schiera di scherzi della natura, un nonno che nessuno prende sul serio, mostri, nazisti e un ragazzo che parte dalla Florida per indagare sul passato bizzarro – e tremendamente reale – della sua famiglia.
Tim Burton ci ha fatto un film (in uscita a dicembre), ma voi potrete dire di essere arrivati prima… e criticare spietatamente tutto quello che vedrete – anche se, a dire il vero, l’atmosfera somiglia troppo a quella di Big Fish per trasformarsi in un conclamato schifo.
In italiano lo trovate da Rizzoli, con la traduzione di Ilaria Katerinov.

***

Ben Lerner, 10:04

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Va bene, di trentenni in crisi esistenziale che vivono a New York coltivando ambizioni letterarie e inanellando fallimenti amorosi e variegate goffaggini ne abbiamo visti passare parecchi, ma hanno sempre il loro fascino. Nello specifico, il trentenne di Ben Lerner riesce addirittura a sfondare come scrittore, ma ciò non basterà a metterlo al sicuro. Malattia potenzialmente mortale diagnosticata in un momento poco propizio? C’è. Migliore amica che vorrebbe essere fecondata senza però diventare la tua compagna? Presente. Certezze che si sgretolano? Ovvio.
Facciamoci venire l’ansia e buonanotte.
Potete leggerlo in inglese o regalarvi l’edizione italiana di Sellerio.

***

Elena Ferrante, Storia della bambina perduta

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La serie dell’Amica geniale è piaciuta a così tanta gente che ci ho messo all’incirca vent’anni a decidere di cominciarla. Ero certa che avrei deplorato ogni pagina, ma mi sono tragicamente invasata. Dopo i primi tre romanzi, però, ho deciso di prendermi una pausa: l’odio per Nino Sarratore, infatti, era semplicemente troppo per proseguire. Riuscirò a scoprire come finisce la storia senza lanciare il libro in mare? Staremo a vedere.

***

La vostra sporta dei libri è ancora vuota e non sapete dove sbattere il cranio? Lasciatevi soccorrere da #LibriniTegamini.
La vostra wishlist finirà per somigliare alla mia? Felice di esservi stata utile.
Leggerete qualcosa di diverso? Raccontatemelo senza indugi.
Per il resto, tanti cuorini. Ricordatevi la protezione 30 e non buttatevi in acqua con la pancia piena di focaccia.

Ci sono tantissimi problemi geopolitici e macroeconomici di cui potremmo discutere in maniera proficua e costruttiva – ma perché affrontare questioni di spessore, quando si può parlare di piedi? Perché tendere al progresso e all’elevazione intellettuale, quando possiamo invece rimanere saldamente ancorati al terreno e soffermarci sulle nostre estremità?
C’è tutto un mondo, alla fine delle nostre gambe.
I piedi sono importanti.
I piedi ci permettono di spostarci da un luogo all’altro.
I piedi ci offrono indirettamente una possibilità di felicità.
Perché, avendo dei piedi, ci servono necessariamente delle scarpe.
E le scarpe, da che mondo è mondo, sono il bene.
A meno di particolari impulsi feticistici o di un impiego nel settore calzaturiero, ai piedi non è che si pensi poi un granché. D’inverno si tende a combattere strenuamente contro pozzanghere e geloni – cercando, al contempo, un paio di stivali in grado di non soffocarci i polpacci -, ma lo sforzo di mantenimento è oggettivamente piuttosto contenuto. Bene, ho dei piedi. Li terrò al caldo, mi taglierò le unghie e prenderò in giro gli stivali UGG. Per tutto il resto, se ne riparla a giugno.
Giugno.
Quando comincia a fare caldo.
Quando, all’improvviso, ti viene in mente di tirare fuori i sandali.
L’inizio dell’estate è il fatidico momento in cui, rivolgendo lo sguardo al suolo, ci rendiamo conto della gravità della situazione. 
Magari voi avete dei piedi bellissimi. Ma io no, purtroppo. Non solo i miei piedi somigliano a delle sciagurate spatole da cucina, ma sono pure assai delicati. Magari voi vi cacciate su il primo paio di scarpe aperte che trovate e riuscite a deambulare dignitosamente per la città. Ma io no, purtroppo.
Io sembro Gesù sul Golgota.

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Ma soffermiamoci un attimo sulle tipiche fasi dell’approccio al sandalo estivo.

Che il sandalo sia vecchio o nuovo, poco cambia. Certo, la situazione si aggrava leggermente in presenza di calzature sconosciute alla mia fragile anatomia, ma una ciabatta dell’anno scorso non risolve il dramma – ve lo assicuro.
Ma che succede.
Apri la finestra e t’accorgi che fa caldo. Travolta dal tipico entusiasmo da clima mite che rinnegherai puntualmente appena le temperature supereranno i 23 gradi – la prima volta che esci senza maglione sei felice come una crostata e inneggi alla meraviglia della bella stagione (SUCA, JON SNOW! L’INVERNO QUA È PASSATO!) una settimana dopo sudi come un cinghiale e vuoi solo arruolarti come mozzo su una rompighiaccio -, MA DICEVAMO. Galvanizzata dal tepore, deciderai di buttare sottosopra la scarpiera e di ripescare i tuoi sandali preferiti. Dopo aver constatato che i tuoi piedi sono brutti come te li ricordavi (faccenda sulla quale, tuo malgrado, non puoi intervenire tempestivamente) e che, tutto sommato, non hai degli artigli da velociraptor, decidi di indossare i maledetti sandali e di affrontare baldanzosamente la giornata.
Nel tragitto tra casa tua e la fermata del tram inizierai a percepire un leggero fastidio. Come un presagio di sventura.
Arrivata in ufficio, un po’ claudicante, raggiungerai la tua sedia e ti ci abbandonerai con gratitudine – accogliendo di buon grado la prospettiva di rimanerci per le successive otto ore (centordici ore per chi lavora in un’agenzia pubblicitaria).
In pausa pranzo, però, costretta a uscire dall’edificio per procurarti del cibo, ti renderai inesorabilmente conto che qualcosa di molto grave sta accadendo.
Percepisci dell’attrito.
Percepisci del calore appiccicaticcio.
Percepisci l’incubazione di un dolore lancinante.
Ma non guardi. Perché se guardi nell’abisso anche l’abisso guarderà dentro di te.
Durante il pomeriggio, dopo aver constatato che la sedia è dotata di tre rotelle girevoli, valuterai l’opportunità di farti spingere al cesso da una collega particolarmente comprensiva. Ma andrai a fare la pipì autonomamente, come una bambina grande. E non perché sia la soluzione più dignitosa. Ti alzerai e camminerai solo perché la tua collega è in riunione da un cliente.
Tornata a casa – strisciando sulla pancia come un pinguino imperiale -, cercherai di levarti i sandali. Ma non ci riuscirai.
I listelli, infatti, dopo aver generato una molteplicità di bolle e averne salutato l’inesorabile esplosione con sadico compiacimento, sono riusciti a superare gli strati più superficiali di epidermide e derma per raggiungere, finalmente, la carne viva. O l’osso… lì dipende da quant’era brava la commessa che v’ha venduto le scarpe. Signorina, questa pelle qua… mi sembra un po’ dura. MA SI FIGURI. DIVENTANO UN GUANTO. SI AMMORBIDISCONO SUBITO. IL PELLAME È DI OTTIMA QUALITÀ, LE PARE. MEIDINITALY. CI FA IL CAMMINO DI SANTIAGO SUONANDO L’ORGANETTO. CI FA ROCCIA, COME UNO YAK. NON SI PREOCCUPI, LE SFRUTTERÀ TUTTA L’ESTATE!
E voi là. Monche. In una pozza di sangue.
Dopo aver separato – con l’intervento di un’équipe chirurgica dell’ospedale San Raffaele – il sandalo dal vostro piede, avrete tutto il tempo per contemplare il mesto spettacolo. Vi troverete di fronte a un panorama di tagli trasversali, talloni sanguinanti, bozzi, aree inspiegabilmente variopinte (in base al colore della vostra calzatura), sudorini calcificati, vesciche in vari gradi di deterioramento, impronte da cinturino mordace, dita affettate.
Uno schifo di merda. Che vi fa pure un male senza senso.
Zoppe ma furibonde, vi recherete scalze in farmacia e acquisterete una fornitura di cerotti, Compeed, garze e protesi di ultima generazione – carbonio ultraleggero, microchip, sensori di parcheggio -, nella speranza di poter in qualche modo gestire il problema. Prevenire è meglio che curare, certo, ma che ne sapevate. Scarpe vecchie? Pensavate di esservi abituate. Scarpe nuove? Non c’è modo di stabilire con sufficiente certezza dove il sandalo deciderà di colpire. E poi quando te le provi in negozio sono sempre così comode. È una cazzo di congiura – sicuramente ordita dai tedeschi per farsi finalmente dire MA CERTO, AVETE RAGIONE VOI A METTERVI LE CIABATTE COI CALZETTONI BIANCHI DI SPUGNA.
Comunque.
Nonostante i rattoppi, il vostro supplizio sarà destinato a continuare. Perché le scarpe del delitto mica potete rimettervele subito, ma manco con gli alluci foderati di cuscinetti al silicone. Per consentire alle ferite fresche di rimarginarsi più o meno correttamente, frugherete nella scarpiera alla ricerca di un altro paio di sandali da utilizzare.
E il ciclo si ripeterà.
Scarpa dopo scarpa, bolla dopo bolla, settimana dopo settimana, sandalo dopo sandalo, i vostri piedi si trasformeranno in un abominio epidermico non dissimile dalla faccia di Freddy Krueger. E, quando le vostre piastrine – ormai esauste, sfinite e disilluse – saranno riuscite ad assicurarvi un livello gestibile di resistenza plantare (generando una specie di tessuto cicatriziale in grado di sopportare ogni scarpa aperta in vostro possesso), riaprirete la finestra e scoprirete che è settembre.
L’estate è finita.
E ogni sforzo è stato vano.
Ancora una volta.

Un articolo di qualche anno fa – che vi linkerei volentieri, se solo non fosse protetto dal temibile paywall del Sunday Times -, sosteneva che i libri di Terry Pratchett fossero i più rubati nelle biblioteche britanniche. Per quanto il furto e il ladrocinio siano da deplorare, non posso fare a meno di apprezzare un lestofante che, quantomeno, dia prova di ottimi gusti letterari. Perché Terry Pratchett è la vita – ed è ora che troviate il modo di fargli posto anche nella vostra.

In Italia, non si sa bene il perché, i fan di Terry Pratchett sono all’incirca dodici – e hanno un bruttissimo carattere. Invece di girare per la strada elencando a gran voce i pregi della saga di Mondo Disco, passano le giornate a lamentarsi con virulenza sulla pagina Facebook di Salani. Ma con dell’astio serio. E le traduzioni. E le pubblicazioni disordinate. E la lunga attesa tra un libro e l’altro. E il riscaldamento globale. E la gente che ti spoilera i telefilm. E l’olio di palma. E l’intrinseca iniquità dell’umano vivere.
Al mondo c’è qualcosa che vi fa schifo e vi fa incazzare come crotali? Niente panico, un fan di Pratchett l’avrà già abbondantemente rinfacciato a Salani. Ma con la puntigliosità di un vegano crudista.

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Comunque.
Per quanto incontentabili, i fan di Pratchett non hanno torto su tutta la linea.

Pratchett, nel nostro paese, resta una specie di tesoro inesplorato. Un po’ perché la vastità della sua produzione è di difficile gestione, ma anche un po’ perché non si capisce bene come collocarlo – e come spiegare alla gente che quello che scrive è veramente speciale e diverso da tutto il resto. 
Per quel che ci ho capito io, il “pubblico” – qualsiasi cosa sia – è abituato al fantasy “classico” (= il drago Smaug dorme su un mucchio d’oro nelle viscere di una montagna) o alle recenti porcherie sovrannaturali di taglio young-adult (= ho 200 anni, Bella. Ma amo te che ne hai 16 e sei una palla al piede. Che c’è di strano?).
Pratchett, con tutto il bene che gli voglio, non è altrettanto incasellabile. E non somiglia a niente. Ha preso una tartaruga immensa, dei maghi cialtroni, quattro sassi incantati, un gruppetto di megere e la Morte… e ci ha costruito un’intera cosmologia fantastica. E non sto parlando di un universo ultra-complicato (che si regge in piedi solo se ogni atomo viene sviscerato in maniera esasperante) o di Tolkien che vi obbliga a imparare la grammatica elfica (altrimenti siete scarsi). Il solo scopo dell’universo di Pratchett è quello di farvi divertire come pazzi, autoalimentandosi ad ogni pagina. Mondo Disco ha delle leggi, ma anche degli angoli inesplorati e misteriosi. Mondo Disco ha una struttura così solida e viva da potersi permettere anche il paradosso e l’ironia. Anzi, da poter usare l’ironia e l’assurdo come collante.
È per quello che la gente ruba i libri di Pratchett. Perché sono una continua invenzione, una perenne ricerca del piacere vero della lettura. Un’avventura e un’esplorazione di uno spazio narrativo che cresce man mano che ci si cammina dentro – cercando di non rotolare a terra perché si ride troppo.

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La buona notizia è che, dopo tante rotture d’anima e picchetti su Facebook, Salani sembrerebbe aver deciso di ricominciare a dedicarsi a Pratchett con una certa sistematicità. Tipo l’Algida col Winner Taco.  
Il 30 giugno arrivano in libreria i primi tre libri di DiscoworldIl colore della magiaLa luce fantastica e L’arte della magiaNuova grafica – cielo, una Pratchett-collana! -, copertina rigida e grande felicità. Come la maggior parte degli esseri umani, infatti, ho letto la saga di Mondo Disco – composta a sua volta da diversi sottocicli dedicati a specifici personaggi, aree geografiche o filoni narrativi – in maniera totalmente disordinata e tragicamente parziale. I romanzi sono una quarantina, dopotutto. E io ho solo due mani. L’idea, dunque, è di procedere per gradi e di colmare pian piano le lacune, iniziando da questi primi tre volumi – che, incidentalmente, non ho mai letto e che, ne sono certa, mi rallegreranno in ogni modo possibile.

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Che fare, dunque?
Amate già – un po’ a caso – Terry Pratchett? Mettete ordine nella vostra adorazione.
Non avete mai letto Terry Pratchett? È un buon momento per cominciare.
Fate già parte della schiera dei dodici fan italiani di Pratchett? Ve ne prego, trovate pace. E aiutate il resto della penisola a divertirsi con voi.

 

Come si può tristemente constatare dalla categoria Cinema & TV di questo scalognato blog, le mie preferenze filmiche coincidono all’incirca con quelle di un bambino di nove anni che ha appena fatto la varicella. Adoro i robot giganti che prendono i mostri a petroliere sul muso, mi emoziono tantissimo appena vedo un velociraptor e tiro le mutande a Tom Hiddleston con del vero sentimento.
Di film non capisco praticamente niente, ma adoro parlarne. E adoro leggere quello che dicono gli altri – metti mai che imparo qualcosa.
Nel vasto universo dell’opinione cinematografica, il mio preferito è sempre stato Leo Ortolani. Di cose belle per il mondo ne ha disegnate tante, ma nulla riesce a farmi felice come una delle sue recensioni a fumetti sull’ultimo polpettone Marvel, o sull’ultima saga fantascientifica che qualcuno ha deciso di sbolognare a J. J. Abrams, o sull’ultimo disperato tentativo di fare un film con i Fantastici 4. Pur continuando a non comprendere come è riuscito ad apprezzare Prometheus, ho PRE-ORDINATO Il buio in sala – pubblicato da Bao – e l’ho atteso con lo stesso entusiasmo sprigionato da un biologo imbecille di fronte a una biscia spaziale dall’aria palesemente assassina.

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L’insensatezza di tutta questa HYPE non mi è sfuggita, credetemi.
Cretina, hai praticamente già letto i nove decimi di questo libro sul blog di Ortolani, che cosa speri mai di trovarci dentro?
Va bene, ci sarà pure qualche recensione inedita, ma non mi sembra il caso di agitarsi così tanto.
Cos’è, abbiamo all’improvviso diciassette euro da buttare?
Taci, buonsenso. Taci e lasciami divertire.
Perché è di questo che si tratta.

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Non vi siete mai imbattuti in una recensione di Ortolani? Stolti, vi invidio profondamente! Se vi piacciono i supereroi, le astronavi e avete (giustamente) paura dei vecchietti in coda alla posta, questo libro sarà per voi fonte di inesauribile sorpresa e probabili convulsioni.
Siete convinti di sapere ormai a memoria l’intero blog? Vi sbagliate: avete trent’anni e il vostro cervello non è più quello di una volta. Il buio in sala riattiverà le vostre esauste sinapsi e vi farà ridere come la prima volta – o quasi. Insomma, dipende da quanto vi siete effettivamente rimbambiti. Io, per dire, sono stata scacciata dalla camera da letto alle due del mattino perché sghignazzavo con eccessiva foga (rischiando, probabilmente, di rompere le acque).
Nell’augurarvi un consorte più comprensivo di Amore del Cuore, vi esorto ad acquistare questo prezioso volume e a trovare un luogo appartato dove godervelo in santa pace. Che con diciassette euro, ormai, non ci comprate più manco un pezzo di pizza. Tanto vale buttarli via con stile.

 

Siete gravide, e poco potrà prepararvi all’enormità di quel che sta per accadervi. Così come nulla – o quasi – sarà in grado di aiutarvi a fronteggiare i commenti, le domande e gli interessamenti (più o meno bene accetti) degli altri esseri umani.
Perché tutti, ve lo giuro, avranno qualcosa da dirvi. O da consigliarvi. O da spiegarvi.
Perché voi non sapete niente, mentre la cugina della vicina di casa della moglie dell’autista del tram conosce la verità. E non vede l’ora di raccontarvi come gira davvero il mondo. Perché voi siete stolte, ma loro no.

Siete gravide, e la gente vi dirà delle cose.
Non sarete mai pronte ad accettarlo, ma capiterà comunque. Tanto vale documentarsi.
Ho utilizzato questi preziosi sei mesi di gestazione – non sempre particolarmente spensierati – per compilare una utile, agilissima (e inevitabilmente parziale) fenomenologia della conversazione con la donna IN STATO INTERESSANTE.

***

Gli inermi

Sinceramente felici di vivere, ti chiedono solo cose totalmente irrilevanti.
Oppure, sinceramente atterriti dal fatto che tu sia gravida, tentano di superare l’imbarazzo chiedendoti solo cose totalmente irrilevanti.

E quando nasce?
A settembre.
Ma quando, di preciso?
Il termine è fissato per il 21, ma chissà. L’ultimo mese è sempre un po’ così.
Il 21… che cos’è, quindi?
…umano, ci auguriamo. Che cosa dovrebbe essere?
Ma no! Il segno! Il segno!
…non ne ho idea. Non so niente di oroscopi.
Ma come! Il 21. Vediamo un po’. Il 21 dovrebbe essere Vergine. Ma se poi è cuspide dipende tutto dall’ascendente. Cambiano un casino di cose, a livello di personalità. Bisogna andarci coi piedi di piombo. Sai più o meno a che ora nasce?
…purtroppo no.
E voi che segno siete?
Io sono pesci. Amore del Cuore è capricorno.
Pesci e capricorno? Sono due segni assolutamente incompatibili!
Veramente? Ormai il danno è fatto, mi pare.
Pesci, capricorno e vergine.
Eh.
Chissà come andrà a finire.
Già.
Ve la giocate con l’ascendente, dai retta a me.

*

I motivatori

Non t’hanno ancora chiesto come stai, ma sono sicuri che – grazie al loro provvidenziale intervento – tu abbia il dovere di sentirti MEGLIO. Animati dalle migliori intenzioni, ti propineranno menzogne spudorate o ti narreranno leggendari trionfi materni per dimostrarti che nulla è impossibile – persino partorire.

Ma a che mese sei adesso?
Al sesto.
Già al sesto? Ma se non si vede niente!
…insomma. In realtà sono una betoniera. Ma ti ringrazio.
Ma scherzi? Se non me lo dicevi non m’accorgevo neanche che eri incinta!
Grazie ma, davvero, non c’è bisogno. Ho una pancia così.

Ma per favore! Dovevi vedere mia cugina! Al quarto sembrava una scrofa! Non sto scherzando, non le entravano più neanche le scarpe! Tu sei un figurino, complimenti!

Ti vedo proprio bene, sai? Quando partorisci?
Il 21 settembre, in teoria.
Andrà bene, vedrai. Una mia amica, una piena di problemi di salute – il morbo di Heisemberg-Pinkman è una brutta roba, te lo assicuro -, niente, questa mia amica ha fatto un parto naturale stupendo, senza neanche l’epidurale. Un bambino di tre chili e nove. E lei è una scricciola di un metro e quaranta che rischia un colpo apoplettico ogni volta che inclina il capo a più di trentotto gradi, pensa un po’. Vai tranquilla, sarà una passeggiata. E non farti fare l’anestesia, se puoi. Il parto è un’esperienza bellissima, va vissuta in tutte le sue sfaccettature.
Non sapevo avessi dei figli…
Io? Non ne ho, infatti.

Che bella pelle! E anche i capelli, sono più lucidi, che meraviglia!
…mi è venuto un brufolo due mesi fa e ho ancora rosso. Giuro. Guarda qua.
Ma va! Sei RADIOSA. Non c’è niente da fare, le donne incinte sono più belle! I capelli. I capelli!
Mi sono cresciuti molto velocemente, in effetti. Ma non mi sembrano diversi dal solito.
Fidati. Non c’è paragone.
Ho comprato la piastra nuova. Quella da 15 euro s’è rotta e me ne sono presa una un po’ più sofisticata.
Scema! Sei bellissima. E sarai un’ottima madre.

*

Gli account

Futuri genitori o neo-genitori pieni di senso pratico. Vogliono darti una mano, ma riusciranno soltanto a farti sentire ancor più inadeguata. Perché loro hanno cominciato ad organizzarsi circa sei mesi prima di concepire. E te hai una pancia grande come lo stadio Maracanà ma non hai ancora capito che cosa faccia di preciso un’ostetrica.

La toxoplasmosi l’hai fatta?
No, purtroppo. Sono qua che m’ammazzo di esami del sangue. Guarda qua, devo ancora riprendermi dall’ultimo prelievo. Sembro una ragazza dello zoo di Berlino.
Ti capisco. Io avevo fatto gli esami a gennaio, prima della gravidanza.
…prima?
Certo! Anche a Gigi ho fatto fare tutti gli esami. Lo screening genetico e compagnia. Le solite cose, no?
…assolutamente.
Tutto a posto con la curva glicemica?

…in realtà non ho ancora fatto l’esame. Non avevano il glucosio e mi hanno detto di comprarmelo e di tornare un altro giorno.
Devi farlo, è fondamentale! E dove partorisci?
La mia dottoressa è della Mangiagalli, quindi andrò là.
Ti ha portato a vedere la sala parto? È importante. Bisogna acclimatarsi con l’ambiente, conoscere la struttura, parlare con le operatrici. Meglio ancora se vai con l’anestesista. Hai fissato il colloquio per l’anelgesia in travaglio? Com’è il tuo consultorio di zona? Ti sarà molto utile quando dovrai allattare e imparare il massaggio neonatale. Poi rimani in contatto con le altre mamme, è molto bello e, se hai dei dubbi, c’è sempre qualcuno che può aiutarti. Hai ordinato la culla e la carrozzina? Se partorisci a settembre hai le vacanze di mezzo, devi spicciarti – che poi chiude tutto. Io non volevo ansie e al quarto mese avevo già in casa l’ordine. Meglio così, t’assicuro. E quando cominci il corso pre-parto?
Lo sto ancora cercando. Anche quello dovevo farlo in Mangiagalli, ma hanno finito i posti alle 8 e 17 del mattino.
Ovvio. Io avevo chiamato alle 7 e 59.

*

Gli oracoli

Sarà che hanno avuto sfiga, sarà che le sfighe le vedono anche quando non ci sono, ma la loro missione è metterti in guardia. Perché fare i genitori è difficile e faticoso, il mondo è brutto e crudele e, in generale, non c’è un cazzo da ridere. Sei serena e hai trovato il modo di viverla bene? Stai sbagliando. E sei una povera sprovveduta. Grazie al cielo, però, a riportarti con i piedi per terra ci penseranno loro.

Come procede?
Meglio direi. 
E nasce a?
A settembre, se tutto va bene.
Settembre…
Eh.
Dammi retta. DORMI. 
E quando?
Ora. Sempre. Ogni volta che puoi. DORMI. Perché non dormirai mai più. Per anni. La notte sarà un calvario. Ti sveglierai ogni mezz’ora, tra pianti e urla lancinanti. Passerai le tue giornate in un torpore innaturale e sarai sempre più esausta. Ad un certo punto, anche se riuscirai a malapena a stare in piedi, il terrore che tuo figlio possa svegliarti di nuovo ti impedirà di addormentarti. Credimi. Riposati adesso, finché puoi.

Come va con Marco?
Benissimo, ti ringrazio.
Nel senso, scopate?

SCOPATE. Dovete scopare. Scopate, fidati. Dopo il parto sarai una specie di carcassa di gnu… e ci metterai un paio di mesi a riprenderti – sempre che non ti diano i punti. Ma mica è finita. Quando il tuo apparato riproduttivo si sarà vagamente ricomposto arriverà il peggio, fidati. Vivrai in vestaglia per settimane, ricoperta di vomito, con le tasche piene di pannolini sporchi. Scopate, finché sei ancora una persona. Ascolta me. 
Dormire, scopare. Ricevuto.
Come siete messi con le cose del bambino? Il passeggino. L’avete trovato?
Stiamo valutando un po’ di modelli. Abbiamo un problema con l’ascensore, che è molto stretto e piccolo. Volevamo uno Stokke, ma a pensarci bene potrebbe essere troppo un baraccone. C’è l’Inglesina, però, che ne ha uno che…
TROVATI UN OSTEOPATA. Non credere a niente di quello che ti dicono le commesse: i passeggini comodi non esistono. Pensi di andare in giro a chiudere passeggini con una mano sola, col bambino in braccio e sei sacchetti della spesa. Figuriamoci. Pensi di passeggiare spensierata sul Naviglio con un mazzo di fiori e una carrozzina che va pure sui ciottoli. Scordatelo. Ti spaccherai la schiena e bestemmierai i santi. Fai stretching da subito. Allenati. Non servirà, ma almeno sarai preparata.
Dormire. Scopare. Osteopata. Altro?
Guarda, ci sarebbe un sacco da dire… ma non voglio spaventarti.

Gli unicorni sono tutto.
Gli unicorni sono la gioia.
Gli unicorni squarciano l’oscurità e generano miracoli.
Diffidate di chi li disprezza e onorate chi li ama – utilizzando, possibilmente, del glitter molto luccicante.
Nel tentativo di affrontare al meglio l’età adulta (senza soccombere all’impellente desiderio di nascondermi a piangere sotto a un piumone) ho deciso di attorniarmi di unicorni. Possiedo indumenti tempestati di unicorni, pantofole a forma di unicorno, una tuta intera che dovrebbe – in teoria – trasformarmi in un unicorno parecchio credibile, cranietti di unicorno che fungono da auricolari e un serissimo UNICORNER da scrivania. Perché gli unicorni illuminano il cammino, ispirano la mente e favoriscono la produttività.
L’immotivata collezione – assemblata in maniera assolutamente non sistematica – si sta espandendo, anche grazie ai contributi di estemporanei benefattori. Si va dalle colleghe di Amore del Cuore – che mi donano magliette con unicorni floreali – a rispettabilissimi portali di e-commerce, tipo Troppotogo – che è appena balzato in cima alla classifica di chi si è maestosamente guadagnato la mia imperitura gratitudine.

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Vivete sotto a un sasso e non sapete che cos’è Troppotogo? Male – ma non malissimo. L’incresciosa lacuna è facilmente colmabile.

Troppotogo, in buona sostanza, vende tutto quello che vi verrebbe in mente di chiedere a Babbo Natale ora che avete trent’anni buoni.
È un ottimo luogo per scegliere regali (volete continuare ad essere i noiosoni che arrivano con una sciarpa beige o con lo Smartbox degli APERICENA? Peggio per voi, verrete presto banditi dal regno) o per compilare floride wishlist, nella speranza che – prima o poi – qualche regalo arrivi pure a voi. In caso di necessità, potete sempre andare su Troppotogo e compratevi da soli quel che vi pare: il catalogo è vasto e ricco di meraviglie – tra cui mille soluzioni per chi, giustamente, non riesce a contemplare una vita priva di unicorni.

Grazie a Troppotogo, il mio UNICORNER ha appena accolto due nuovi e benvenutissimi esemplari di ronzino incantato.
La lampada da tavolo a forma di unicorno.
La boccia di gin glitterato – ricavata da purissime lacrime di unicorno.

Ma procediamo con calma… cercando di non iperventilare.

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La mia lampada è rosa, ma nell’universo ne esistono anche di bianche. La mia è la versione più piccola, ma c’è anche l’unicorno da pavimento. Da spenta è bella. Da accesa scaccia il male, gli incubi e le creature delle tenebre – continuando comunque ad essere bella. Va a pile e non serve nutrirla con della biada magica. Tutto quello che occorre è un posto carino dove appoggiarla.
Studiatevela bene qui.

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Date le mie attuali condizioni, non posso diffondermi sul sapore, ma posso comunque venerare questa bottiglia di gin come una reliquia. Per quanto riguarda i sentori d’arancia e sciroppo d’acero mi fido (volentieri) di Troppotogo, mentre posso rassicurarvi in merito alla vorticosa presenza di lacrime argentate di unicorno (a scaglie).
Il possibile utilizzo di questa prodigiosa bottigliona è duplice. A) Stappatela, scolatevela e affrontate l’esistenza con rinnovato ottimismo. B) Tenetela lì, ammiratela e agitatela nei momenti di difficoltà. Comunque vada, sarà un successo.

Basta, vi ho fatto perdere anche troppo tempo.
Andate. E unicornatevi.

 

Ma dov’ero quando La canzone del mare è stato candidato all’Oscar come miglior film d’animazione? E che cosa avevo di così importante da fare due anni fa, quando strabiliava le genti al festival di Toronto?
Nel recinto delle capre, ecco dove stavo.
Meglio tardi che mai, però. Consoliamoci così.
La buona notizia è che questo splendido lungometraggio animato arriverà al cinema alla fine di giugno anche in Italia – perché il tempismo è sempre il nostro forte – grazie al provvidenziale intervento della Bolero Film.

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La canzone del mare di Tomm Moore (quante M può ragionevolmente contenere un cognome?) è una storia di onde, conchiglie, tristezza da sconfiggere, civette, storie da tramandare e giganti pietrificati. I protagonisti sono Ben, la sua sorellina Saoirse, un cane adorabile megapeloso e una solidissima impalcatura di miti irlandesi.
Saoirse, infatti, è una selkie, una bambina magica capace di trasformarsi in foca e di liberare, grazie al suo canto miracoloso, la scintilla delle emozioni dimenticate. Ma mica è facile, perbacco. Ogni selkie ha bisogno di un mantello e di una voce… e per Saoirse le cose saranno un po’ più complicate del previsto. Ad aiutarla ci sarà Ben e, insieme, si imbarcheranno in un’avventura fiabesca, un lungo viaggio che avrà il potere di ridare vita alle leggende che sonnecchiano sotto la superficie del mondo visibile.

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Era tanto che non mi capitava di scoprire qualcosa di così bello dal punto di vista visivo e di così toccante, delicato e ben orchestrato da quello narrativo.
Sarà il folklore irlandese, saranno le fochine, sarà la musica – la colonna sonora è un misto di composizioni originali e di motivi tradizionali interpretati dalla band Kila -, sarà che ogni tanto è bello vedere che la tristezza e la paura non possono vincere, sarà che non lo so – ma ho adorato profondamente questo film. E ho pianto come una pecora sgozzata per una mezz’ora buona. Pensavo di essermi rincoglionita – sei gravida e non sei più in grado di gestire la tua emotività -, ma all’improvviso ho scoperto di essere circondata da una vasta platea di giornalisti sessantenni che singhiozzavano fortissimo. E ho capito che per il mondo c’è speranza. E che le selkie, alla fine, cantano un po’ per tutti.
Trovate il modo di vedere La canzone del mare. È una meraviglia vera.

 

 

Questa ondata di remake, adattamenti con le persone vere e rilanci in live-action delle pietre miliari della mia felicissima infanzia sta cominciando ad agitarmi. Mentre attendo con un certo terrore il trailer della Sirenetta (perché sì, stanno manomettendo pure quello) e accendo un cero in vista dell’arrivo in sala del GGG, trovo più che doveroso condividere le prime immagini del nostro (potenziale) problema più imminente: La bella e la bestia.
Disney, parliamoci chiaro. Non potrei tollerare un disastro. Ho fisicamente bisogno che questo film sia fantastico. Lo desidero ardentemente. Ho ancora l’album di figurine di quando ero piccola –  l’UNICO mai completato. Volevo il bambolotto della Bestia, quello con la testa posticcia che se gliela staccavi scoprivi che sotto c’era il principe. PARLAVO CON GLI STRACCI DELLA POLVERE DI MIA MADRE, MALEDIZIONE. La situazione è critica.
Ma vediamo quel che c’è.
Il teaser, che trovate gloriosamente qua sotto, è una specie di visita guidata del castello della Bestia (e ben poco altro). Ora, non so se si tratti di una mia reazione pavloviana alla colonna sonora o se, in effetti, il castello sia bello veramente, ma mi pare tutto al posto giusto – cardini scricchiolanti compresi. Continuo a non avere idea di come Mrs Bric potrà interagire con Emma Watson – Belle -, ma affidiamoci alla provvidenza.

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Il film uscirà il 17 marzo 2017 e, oltre ad Emma Watson – palesemente scelta perché ad Hermione Granger la biblioteca della Bestia sarebbe piaciuta un casino – il cast comprende personaggi strabilianti.
Dan Stevens sarà la Bestia – per chi non ce l’avesse presente, Dan Stevens è Matthew Crawley di Downton Abbey… diventato inspiegabilmente figo subito dopo aver abbandonato gli agi della campagna inglese -, Luke Evans sarà Gaston – Amore del Cuore è arrivato all’ultima audizione, ma è stato scartato e deve ancora riprendersi dalla cocente delusione -, Ewan McGregor sarà Lumiere – ADORO! – e Ian McKellen sarà Tockins – IPERVENTILO.
Per non farci mancare niente, ci saranno pure Emma Thompson – nel ruolo della magnifica teiera parlante – e Stanley Tucci… che interpreterà un pianoforte a coda. Nel cartone non c’era un pianoforte, ma chi sono io per protestare. Anzi, un principino presuntuoso che studia pianoforte di malavoglia ci sta perfettamente.
L’angoscia rimane grande, almeno quanto la sala da ballo del castello. Teniamoci per mano.

Mi sono affezionata a Snapchat con una certa riluttanza. All’inizio, un po’ come tutti gli esseri umani nati prima del 2000, non avevo idea di come si usasse. Il buio. Il nulla. L’ignoto. Il mistero. È raro che una persona installi un’app e, nonostante la buona volontà, non riesca a capacitarsi del suo funzionamento… ma neanche vagamente, proprio. Mi sono sentita una cretina per giorni, mesi e secoli ma, grazie al cielo, ad un certo punto mi sono resa conto di non essere l’unica. Là fuori, infatti, è tutto un fiorire di BELLO SNAPCHAT MA NON CI VIVREI. Ma scusa, perché ti fa schifo? …perché non lo so usare.
Ecco.
Non va bene. Non è dignitoso. Che ne è stato del nostro amor proprio? Il “so di non sapere” è una mirabile e saggia ammissione dei propri limiti, ma poi bisogna fare qualcosa per risolvere l’incresciosa situazione. Riscattarsi dall’ignoranza è importante, maledizione, anche quando si tratta di padroneggiare un’applicazione per quattordicenni.
Comunque.
Dopo svariate sessioni di training – in cui amici e conoscenti hanno pigliato in mano il mio telefono e, a suon di ditate, mi hanno illustrato le funzionalità principali – e un’assidua frequentazione del blog del mirabile Stefano Perazzo – The Snapchat Journal – sono diventata autonoma e ho cominciato a produrre contenuti di cui nessuno al mondo sentiva il bisogno. Mi sono messa a seguire persone che mi stanno simpatiche, mi sono sciroppata le storie di magazine e publisherS assortiti (sezione DISCOVER, caroni) e ho usufruito – quasi sempre volentieri – degli imprevedibili momenti LIVE offerti dalla piattaforma.
Tutto molto bello.
Tutto molto ENGAGING.
Tutto molto AMAZING.

MA MAI COME I FILTRI.

Dopo analisi rigorose e meticolosissime, sono arrivata alla conclusione che – una volta comprese le funzionalità basilari dell’app – con Snapchat ci si piglia tutti bene perché ci sono i filtri scemi. 
E buonanotte.

Snapchat, facendo astutamente leva sulla megalomania delle masse e sull’inesauribile serbatoio di cialtronaggine che qualunque essere umano serba nel proprio cuore, ci allieta quotidianamente con filtri imbecilli che possiamo utilizzare per sfigurarci variamente mentre raccontiamo i fatti nostri al prossimo. Per indagare il fenomeno – che merita senza dubbio di diventare materia di tesi di laurea – mi sono chiesta come si comporterebbe un giornalista di Vice e ho deciso di collaudare i filtri più spettacolari, screenshottandomi senza pietà. L’obiettivo finale di questo inutile progetto è vagamente classificatorio: i filtri di Snapchat hanno un senso? Sono raggruppabili in filoni controllabili e gestibili? Come scegliere il filtro che più si addice ai nostri scopi?

Parliamone.

I FILTRI CHE FANNO FARE I SOLDI A SNAPCHAT

Vuoi vendere qualcosa – pure ai ragazzini? Chiedi a Snapchat di fabbricarti un filtro e di metterlo al primo posto tra quelli disponibili in una determinata giornata. A quel punto, sgancia un casino (immagino) di soldi e goditi il preoccupante show.
Coraggio, ringraziamo tutti Ariana Grande per averci dato l’opportunità di indossare un mascherone fetish da coniglia dominatrice – con tanto di luce della santità sullo sfondo e possibilità di evocare dal nulla un gigantesco bacio glitterato – e al Magnum Double per aver finalmente permesso alla panterona che è in noi di balzare allo scoperto – proprio come nello spot!

snapchat tegamini sponsored

Non so voi, ma attendo con ansia il filtro-Gardaland per potermi finalmente tramutare nel drago Prezzemolo.

***

I FILTRI SFIGURANTI

Snapchat adora manomettere i nostri già disperati lineamenti.
Somigliamo a un copertone sgonfio? I filtri sfiguranti sapranno fornirci un ironico alibi. Sei una figa apocalittica ma vuoi dimostrare al mondo che non te la tiri? I filtri sfiguranti sapranno riavvicinare il tuo volto celestiale a quello di un comune mortale. Sei una persona normale? I filtri sfiguranti ti permetteranno di aggiungere un prezioso livello d’espressività ai tuoi monologhi.

snapchat tegamini filtri sfiguranti

Lo so, ho delle felpe irresistibili.
I filtri sfiguranti, almeno dal punto di vista narrativo, possono risultare utili. Il problema è che, spesso, la gente rimane intrappolata nella grottesca magia del filtro dimenticandosi, di fatto, di narrare qualcosa. Perché, amici. Perché. Il risultato? Snapchat abbonda di persone variamente modificate dal punto di vista morfologico che ridacchiano del proprio riflesso, convinte che anche noialtri dovremmo trovare la faccenda divertentissima. Ricordate: usare un filtro sfigurante con la più totale nonchalance è assai più spassoso che assistere all’increscioso spettacolo di una persona di trent’anni che passa 10 secondi a gridare NO, HO GLI OCCHIETTI PICCOLI. LA VITA!

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I FILTRI ZOOMORFI

Internet è dei gattini, ma Snapchat vuole bene a tutte le bestie del creato. E ce lo dimostra ogni giorno.
I filtri zoomorfi sono di diversi tipi. Ci sono i filtri zoomorfi a mascherone e i filtri zoomorfi minimalisti. Le due grandi famiglie sono popolate, a loro volta, da animali immaginari e da animali reali.
Ma non stiamo qui a farci troppi pipponi.

snapchat tegamini filtri zoomorfi minimalisti

I filtri zoomorfi minimalisti sono tipicamente composti da orecchie pelose e nasone. Spalancando le fauci o alzando le sopracciglia avrete altresì la possibilità di scatenare effetti secondari di rara ripugnanza. Potrete evocare lingue, zampine o tramutarvi in belve mannare e minacciose (il leprottino furibondo, nonostante io lo conosca benissimo, non smette mai di terrorizzarmi).
Tra i filtri zoomorfi minimalisti che più detesto c’è quello del segugio-leccone. Il filtro del segugio-leccone pare intramontabile. L’umanità lo ama e Snapchat, di conseguenza, non ce lo leva dai piedi.

snapchat tegamini filtri zoomorfi

Il procione, pur essendo un filtro zoomorfo minimalista un po’ meno minimalista degli altri, nulla ha a che vedere con la magnificenza dei filtri zoomorfi a mascherone. Grande è il dispiacere per non essere riuscita ad immortalare il filtro PANDA-GONFIO-CON-CORONCINA-FLOREALE, ma accontentiamoci di quel che c’è. I filtri zoomorfi a mascherone hanno la capacità di rievocare armoniosamente e realisticamente le fattezze (e di frequente anche l’habitat) del vostro animale esotico del cuore, riuscendo comunque a rendervi vagamente riconoscibili e a donarvi una certa plasticità.
Menzione speciale, all’interno della categoria, va al filtro SFINGE DORATA, che è semplicemente il più bello di sempre e che, se solo il mondo fosse giusto, dimorerebbe d’ufficio in cima alla lista – al posto di quello da CAGNA MALEDETTA, magari.
Comunque.
Non abusate dei filtri zoomorfi. O si impossesseranno di voi… e perderete l’uso del pollice opponibile.

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I FILTRI SACCHETTO IN TESTA

I filtri sacchetto in testa sono di un’invadenza rara. E mancano di garbo. Dal teschio fiammeggiante al tronco d’albero, potrete godere di una temporanea ma completa perdita d’identità. Sono filtri che possono soccorrervi in una giornata che non vi ha donato altro che brufoli, inspiegabili sfoghi cutanei e scottature devastanti ma, a parte quello, non li trovo un granché affascinanti. Molto spesso, poi, l’inquadratura fatica a contenerli e sono accompagnati da effetti sonori destinati a coprire qualsiasi altro genere di rumore, discorsi compresi.
Insomma, sono i classici filtri che a Snapchat s’inventano di venerdì pomeriggio alle sei e un quarto.

snapchat tegamini sacchetto in testa

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I FILTRI AUTOSTIMA

Per incoraggiare la produzione di contenuti e la vispa partecipazione degli utenti, Snapchat ha magistralmente deciso di puntare sulla vanità. Accanto ai filtri buffi, ai filtri per Licia Colò e ai filtri per i bambini che trovano fantastico avere la faccia ricoperta di corteccia, Snapchat ha messo a punto anche una nutrita batteria di filtri cosmetici, studiati per farci sembrare più belli. O meno brutti, a scelta.
I filtri autostima si basano su un elementare ma sacrosanto presupposto: l’attivazione della fotocamera interna del telefono è sempre un trauma. E non tutti possono permettersi di spendere un capitale in creme di Guerlain. Ma Snapchat sa. E Snapchat capisce. E Snapchat vuole aiutare anche chi, magari, non ha ancora trovato il modo di convivere serenamente con l’esuberanza delle proprie occhiaie.
Beccatevi dunque il filtro Kardashian.
I filtri autostima si avvalgono di diverse strategie. Si va dalla piallata epidermica con illuminazione a un milione di kilotoni (già utilizzata con ottimi risultati in ogni studio televisivo italiano) al trucco posticcio (con inturgidimento delle labbra), fino al filtro golden shower imperiale – con vittoriosa corona d’oro zecchino.

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Vi amate a sufficienza per non ricorrere a questi mezzucci? Buon per voi.
Siete obiettivamente bellissimi, vi svegliate la mattina e lo specchio tenta di limonarvi? La cosa non può che farmi piacere.

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I FILTRI ACIDO

Non tutti sanno come procurarsi degli allucinogeni. O non hanno i soldi per sostenere una proficua dipendenza da sostanze psicotrope più o meno esuberanti. Snapchat, anche in questo caso, può correre efficacemente in nostro soccorso.
La famiglia dei filtri acido è vastissima, eterogenea e popolata da accrocchi non sempre ben riusciti – ma immancabilmente affascinanti.
Ci sono filtri capaci di trasformare il vostro cranio in un pomodoro gigante che, a sua volta, vomita fettine di pomodoro. C’è il filtro zombie che tutti abbiamo usato per comunicare ai nostri conoscenti di avere un forte raffreddore e/o una malattia potenzialmente letale. C’è un prezioso filtro che ti permette di rigurgitare arcobaleni. E quello che ti regala una moltitudine di sudditi adoranti con le antenne pelose.
Giuro.
Vorrei essere fatta come una mina, ma è tutto vero.

snapchat tegamini acido

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All’orripilante categoria dei filtri acido appartengono anche i famigerati face-swap, che ti fanno ridere per quattro secondi – per poi gettarti del tedio più acuto. Perché un face-swap solo non basta. Il vostro amico che scopre all’improvviso il face-swap vorrà farlo con TUTTI. Voi, se potete, guardatevi bene dall’illustrargli la malaugurata funzionalità in mezzo, che ne so, a Piazza Duomo. O allo stadio. O al concerto di Adele. L’entusiasmo, solitamente, è immediato e – come ogni vera gioia – contagioso e inarrestabile. Il face-swap è come un’epidemia zombie. Non macchiatevi di favoreggiamento.

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I FILTRI CHE CI MERITIAMO, MA CHE NON CI SONO ANCORA

Ora che sappiamo (in maniera incredibilmente esaustiva) quello che esiste, soffermiamoci su quello che ci serve.
Di che cosa abbiamo bisogno?

Vogliamo un filtro con un vero unicorno – mica quella specie di mulo viola che annega nello zucchero filato.
Vogliamo i filtri a tema film e serie TV. E li vogliamo ora, visto che nel cinema girano i soldi.
Vogliamo le correnti artistiche! Pensavi di cavartela solo con la Gioconda, Snapchat?
Vogliamo più roba da mangiare. Il filtro pizza. Il filtro torta. Il filtro con le ciambelle.
Vogliamo i filtri per fare finta di essere usciti di casa, quando in realtà siamo sul divano col mal di pancia. Il concetto è estendibile anche alle vacanze: vogliamo il filtro con la spiaggia tropicale, anche se siamo a Pietra Ligure ai Bagni Ondina.
Vogliamo i filtri romanzo e i filtri tematici degli scrittori. Tipo. Franzen! Occhiali da secchione, aria di supponenza e centomila uccellini che svolazzano. Hemingway! Barba, camicia di lino, caraffa di mojito e gatti con sei dita da tutte le parti.
Vogliamo i filtri delle Fashion Week… con il make-up delle sfilate. I vestiti non ce li possiamo permettere, ma dateci almeno il trucco.
Quello che ci meriteremmo davvero, però. è un filtro CORGI – sponsorizzato, possibilmente, dalla monarchia britannica.

Volevo fare un’introduzione seria, ma poi mi sono accorta che non so niente. Non è colpa mia, funziono così. Il laureato in storia è Amore del Cuore, mentre io sono quella che legge Le benevole in spiaggia. Lui si ricorda esattamente che cosa è successo al Congresso di Vienna, io mi entusiasmo per la macchinosa procedura di lavaggio-capelli della principessa Sissi. Lui ricostruisce agilmente fatti, cause, conseguenze (di breve e lungo periodo) e ripercussioni socio-economiche, io mi prendo bene coi problemi esistenziali delle favorite del Re Sole, voglio sapere che cosa mangiavano i Maya e iperventilo se becco Alberto Angela che spiega alla gente com’è che gli antichi romani fabbricavano le scarpe.
Che vi devo dire.
Mi piacciono le cose – e tutto quello che possono raccontarci sul mondo che le conteneva. Datemi una montagna di usanze, rituali, suppellettili, manifesti propagandistici, uniformi, galatei, feste comandate e superstizioni… e sarò felice – anche di fronte allo sconcertante universo della Russia sovietica.

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Qual è il valore simbolico del samovar?
Com’è che si campa senza carta igienica?
Perché a nessuno viene in mente di rubare il bicchiere “collettivo” di un distributore pubblico d’acqua?
Qual è la velocità accettabile per una scala mobile della metropolitana di Mosca?
Conviene diffidare delle kotlety?
Non esistono le sporte di plastica. E manco quelle di carta. Com’è che fate la spesa (sempre che ci sia qualcosa da comprare)?
Che cos’ha il rosso di così speciale?
Perché uno dovrebbe mettersi in casa una lampadina a forma di cranio di Stalin?
Volete richiudere una bottiglia di vodka e metterla via per la prossima volta? Non si può. E siete gente che non ci sta dentro.
Come si fa a pulire correttamente un pesce essiccato?
Perché c’è coda davanti a un ristorante vuoto?
Non lasciare il cappotto al guardaroba è da villanzoni. Ma perché al cinema si può serenamente tenere?

Dalle famigerate calze di nylon all’acqua di colonia Chypre (la preferita degli alcolizzati), in questo libro troverete l’ideologia e la propaganda, l’onnipresente conflitto tra spazio privato e spazio pubblico, una molecola di nostalgia, svariate badilate di brutale franchezza, numerosi tritacarne, un satellite (il primo) e un cadavere mummificato. La vita privata degli oggetti sovietici (Sironi) è un saggio super curioso, imprevedibile e godibilissimo. Anzi, molto meglio. È una specie di romanzo distopico di storia materiale.
Grazie ai 25 oggetti emblematici individuati da Gian Piero Piretto guadagnerete un punto di vista incredibilmente preciso e “pratico” sulla quotidianità sovietica, ritroverete il fascino per il surreale, imparerete qualcosa – anche se vi pare di saperne già abbastanza – e vi verrà da pensare che, in qualche meandro della lingua russa, debba per forza esistere un equivalente dell’espressione stranger than fiction – applicabile, però, a svariati decenni di vita di un’intera società.
Mentre ci pensate su, vi auguro buona lettura e vi lascio in eredità la formula corretta per un brindisi russo: Za vaše zdorov’e, caroni!