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tegamini

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Ebbene, l’eterno ritorno della settimana del Salone sta per investirci con tutta la sua dirompente potenza. Il sindaco ha profetizzato ingorghi e traffico, ma ce la caveremo egregiamente: a Rho Fiera ci si arriva meglio prendendo la metropolitana. E dov’è che vogliamo andare (anche)? Proprio lì. Che cosa succederà di bello quest’anno? Ci sono novità? Appuntamenti peculiari da segnalare? Imprese creative spigliatissime? Mobilio francamente incredibile da ammirare? Temi? Correnti? Idee? La risposta generale è SÌ MOLTO. La risposta precisa è ecco qua una guida sintetica e funzionale all’edizione 2024 del Salone del Mobile. Spero vi tornerà utile per razionalizzare visite, scovare tesori inattesi e orientarvi meglio nella miriade di proposte a disposizione.
Procedo?
Procedo.

LOGISTICA DI BASE

Dal 16 al 21 aprile il Salone del Mobile vi attende a Rho Fiera con i suoi 1900 e passa espositori internazionali.
Qui trovate le informazioni principali per spostamenti, biglietti e orientamento.
Qui si può scaricare l’app ufficiale che vi aiuterà a pianificare i giretti e a navigare i padiglioni grazie a una mappa interattiva. Potrete anche contrassegnare gli stand da visitare – e l’app vi consiglierà il percorso più efficace per arrivarci – e creare un archivio/promemoria dei pezzi che più hanno catturato il vostro interesse, fra i numerosi che troverete dotati di QR code d’approfondimento. Inoltre, mostrando il vostro biglietto (disponibile in app) agli ingressi dei vari stand, a fine fiera riceverete un video showreel che ricapitolerà tutti gli espositori a cui avete fatto visita.

 

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La novità grande di quest’edizione? Gli spazi sono stati completamente riprogettati, razionalizzati e “umanizzati” – è il caso di dirlo. Gli espositori saranno raggruppati per aree tematiche ben discernibili, i percorsi sono stati allargati e troverete qua e là anche oasi di quiete e installazioni che vi aiuteranno a “decomprimere”.
Per iniziare a discernere i raggruppamenti tematici, ecco qua un ricapitolone concettuale dei padiglioni.


LE INSTALLAZIONI

Il Salone può diventare in maniera ancora più incisiva un punto d’incontro tra design, cultura e arte? Altroché. Ecco qua le tre grandi installazioni che troverete nell’edizione di quest’anno.

“Interiors by David Lynch. A Thinking Room”
[Padiglioni 5-7]

David Lynch ha saputo immaginare stanze al confine tra realtà e simbolo, dentro e fuori, sogno e materia. Le due stanze “del pensiero” che ha progettato per il Salone – e che sono state materialmente realizzate dal Piccolo Teatro – continueranno ad abitare questo confine affascinante. Cosa ci troveremo, a parte quiete e vuoto? Una poltrona di legno, degli strumenti per scrivere o disegnare, delle nicchie che ospitano immagini enigmatiche, uno specchio, un orologio, dei cilindri di ottone e del doveroso velluto blu. Che ci combineremo? È il mistero che Lynch ci affida.
Vi va di approfondire? Ecco un’intervista ad Antonio Monda, che ha curato l’installazione e può giurarci che Lynch si diverte a piallare il legno.

“Under the surface” – Emiliano Ponzi
[Padiglione 10]

Date un occhio alla vostra libreria e troverete di sicuro qualche copertina disegnata da Emiliano Ponzi. Artista della sintesi e mago dei microcosmi, Ponzi ci invita a visitare un paesaggio sommerso – realizzato con Accurat e Design Group Italia – e a riflettere sull’importanza dell’acqua come risorsa vitale. Stupore scenico ma anche dati sul consumo idrico da lasciar filtrare lungo il percorso, perché unendo meraviglia “immersiva” e data visualization diventa più semplice affrontare anche grandi questioni del nostro tempo.
Per sviscerare meglio l’approccio, ecco qua un’intervista alla squadra creativa.

“All You Have Ever Wanted to Know About Food Design in Six Performances”
[Spazio centrale EuroCucina – Padiglioni 2-4]
Come si fa a riflettere sul cibo? Bisogna disporre di uno spazio per maneggiarlo/prepararlo ma anche di un posto in cui rifletterci su, ascoltando o leggendo chi sta indagando quel che mangiamo in senso storico, economico, spirituale, filosofico, emotivo, materiale. Questa, insomma, più che un’installazione visitabile è una sorta di festival fatto di una “grande” performance giornaliera (dalle 9.30 alle 17.30) e di un palinsesto di talk e interventi collegati che animeranno la Food Design Arena (ogni giorno alle 14.30). L’intero “impianto” è affidato a sei magazine internazionali indipendenti che hanno fatto della cucina e del cibo il loro punto focale. Ve li elenco agilmente qui, lasciandovi anche il link per esplorare la proposta di ogni magazine per questo spazio: Family Style (USA), Linseed Journal (UK), The Preserve Journal (Austria), Magazine F (Sud Corea), Farta (Portogallo), L’Integrale (Italia).

I tre “pilastri” della proposta culturale allargata del Salone, insieme al calendario completo delle tavole rotonde e degli eventi è consultabile qui.


CORRAINI (in fiera e in centro)

Dopo l’ottimo debutto del 2023, il bookshop del Salone sarà affidato nuovamente alle edizioni Corraini (padiglione 14). E sì, un bookshop così io lo considero una meta, un’esperienza suggestiva, un ANDATECI. Lo spirito eclettico, autorevole e giocoso è quello delle librerie che Corraini ha presidiato per anni felicissimi qui in città: in vendita troverete volumi di ogni genere e provenienza dedicati a illustrazione, arte e design – sia per “grandi” che per piccoli -, ma anche riviste, oggettistica, pezzi unici, curiosità, rari reperti, cartoleria e grafiche.

C’è altro? Chiaro. In Piazza della Scala troverete il Design Kiosk, uno spazio-libreria (con assortimento sempre a cura di Corraini) che fungerà anche da campo base del Salone in centro città. Oltre agli stupefacenti prodotti editoriali, infatti, il Design Kiosk ospiterà anche un palinsesto di incontri e conversazioni – gli appuntamenti si possono consultare qui.

Ho finito? Inevitabilmente no. Ma il tantissimo che vi lascio da scoprire ci aspetta allegramente in fiera. Un cuore e felice Salone a noi!

Vi risparmierò lunghi preamboli, perché la mole di informazioni da gestire è già di considerevole portata. Manca un mesetto all’inaugurazione dell’edizione 2024 del Salone del Libro di Torino – la prima affidata ad Annalena Benini, come vi raccontavo già in questo succulento contenutone di backstage – e il programma è finalmente disponibile per consultazioni, pianificazioni di visita e redazione di bellicose incursioni.
Qua di seguito trovate una selezione di incontri, eventi e appuntamenti da tenere d’occhio. Il criterio? Personalissimo: sono gli eventi che seguirei potendo disporre del superpotere del teletrasporto, del dono dell’ubiquità o di un bagaglio di energie illimitato. Il programma completo è spulciabile qui, mentre gli eventi già prenotabili (o che lo diventeranno) abitano qui. Fine dell’introduzione.


GIOVEDÌ 9 MAGGIO

Ore 12:00-13:00
Annabelle Hirsch
Autrice di Una storia delle donne in 100 oggetti (Corbaccio)
Palco LivePiazzale 5
Con Carlotta Sanzogni

Annabelle Hirsch crea un universo fatto di donne e delle loro cose. Che siano un papiro di Saffo, una spilla di Hannah Arendt o una macchina per cucire, il mondo femminile è indagato attraverso le connessioni sensoriali con gli oggetti più diversi.

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Ore 12:45-13:45
I libri sono belli ma la vita di più: lavoro editoriale e sfruttamento
In collaborazione con Redacta, sezione di Acta
Sala MadridCentro Congressi

Una conversazione su come si lavora in editoria a partire dai dati del sondaggio “Vale davvero la pena di lavorare in editoria?” e dalla proposta di compensi dignitosi per le persone freelance, uno strumento pratico a disposizione di tutti e tutte.

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Ore 13:45-14:45
Cenere. Storia di amore e di dolore
Omaggio a Grazia Deledda ed Eleonora Duse
Sala GranataPad. 1
Con Paola BertoloneClaudia Gianetto e Angela Guiso

A 120 anni dalla prima edizione, un approfondimento sul romanzo del Premio Nobel Grazia Deledda ‘Cenere’, in correlazione all’omonima trasposizione cinematografica del 1916 che vede la grande attrice Eleonora Duse per la prima e ultima volta sullo schermo.

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Dalla grafica alla scrittura, dalla fotografia al digitale: l’IA è uno dei temi del momento. Un’analisi dell’impatto che questo tipo di tecnologia ha, o potrebbe avere, sulla traduzione editoriale.

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Ore 14:00-15:00
Elizabeth Strout
Lezione inaugurale: l’inizio molto lento della mia carriera molto veloce
Sala OroPad. Oval

I ricordi, gli incontri, i libri della giovinezza e la fatica della scrittura, la curiosità insaziabile e l’ironia nel ‘racconto di formazione’ di una delle voci più importanti della letteratura americana contemporanea.

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Ore 15:00-16:00
I ferri del mestiere
Politica editoriale dei testi razzializzati e traduzione
Sala AmbraPad. 1
Con Isabella FerrettiCorrado MellusoIgiaba Scego e Tiziana Triana

Come confrontarsi editorialmente con un testo razzializzato? Una riflessione sul tema tra sensibilità e problematiche traduttive.

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Ore 15:30-16:30
L’amore ha bisogno di spazi
Desideri e piaceri al di là degli stereotipi
Arena BookstockPad. 4
Con Marina CuolloMartina Fuga e Sabina Minardi

Ci sono tanti tipi di amore come sono tanti i corpi e le esistenze. Lasciarsi sorprendere dai desideri, i piaceri e la felicità oltre gli stereotipi e la fatica del quotidiano attraverso ‘Diciotto’ (Salani) e ‘Viola’ (Fandango).

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Lo Statuto dei lavoratori è in vigore in Italia dal 1970. Irene Soave ne rivisita alcuni articoli leggendoli alla luce di quanto succede oggi alle donne e tra le donne – ma non solo – nel mondo del lavoro.

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Scrittore e drammaturgo, autore di ‘Colazione da Tiffany’ e di ‘A sangue freddo’, che gli diedero la notorietà mondiale e ne fecero anche un personaggio pubblico, Truman Capote è il precursore di molta narrativa di oggi.

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Ore 16:15-17:15
Teresa Cremisi dialoga con… Antonio Sellerio
Chi e cosa fa un editore: Sellerio
Sala BluPad. 2

Per la sezione dedicata all’editoria, curata da Teresa Cremisi, una conversazione con un editore nato libero e lontano dalle ideologie e dai centri di potere.

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Ore 17:00-18:00
Francesco Costa dialoga con… Daniele Raineri
Informazione: come si racconta una guerra
Sala OroPad. Oval

Se è vero che le guerre si combattono anche con l’informazione, la stampa come dovrebbe raccontarle? Daniele Raineri, inviato di Repubblica, è uno dei più esperti giornalisti di guerra in Italia. Ha lavorato nei luoghi più pericolosi del pianeta, dalla Siria allo Yemen; ha trascorso in Ucraina buona parte del 2022 e del 2023, spesso lavorando dal fronte; quest’anno ha fatto la spola tra Israele e Palestina.

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Nella prima traduzione italiana a opera di Ilide Carmignani, il romanzo che Cortázar ha scritto nel 1973 alternando finzione e ritagli di giornale. Racconta le disavventure di un commando argentino rivoluzionario alle prese con l’organizzazione di un attentato contro un gerarca in visita a Parigi.

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Con la capacità di rendere i personaggi storici attraverso la lente romanzesca, Francesca Diotallevi scrive un romanzo dedicato a Gustavo Adolfo Rol, ponendo interrogativi di fronte ai quali anche l’anima più razionale vacilla.


VENERDÌ 10 MAGGIO

Può il giornalismo contribuire a promuovere il cambiamento in un contesto in cui tutti gli attori della società, dalle istituzioni alle imprese, sono chiamati ad attivarsi per affrontare le grandi sfide ambientali e sociali? Il solution journalism per esempio propone un’informazione orientata a mostrare non solo i problemi ma anche le soluzioni.

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Ore 10:30-11:30
Premio Vero (Il Post)
I sedici candidati
Sala GranataPad. 1
Con Ludovica LugliMarino Sinibaldi e Luca Sofri

Presentazione dei candidati del premio dedicato alla non fiction italiana, pensato per libri che raccontino e spieghino la realtà.

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Ore 13:15-14:15
Lezioni di scrittura con Stefania Bertola
Romanzo rosa
Sala VerdeGalleria Visitatori

Un incontro organizzato in occasione della seconda edizione del concorso letterario “A/R Andata e Racconto – In viaggio con amore” organizzato dal Salone del Libro e Gruppo FS.

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Ore 14:30-15:30
Giovanni Lindo Ferretti e Antonio Spadaro
‘Noi portiamo il fuoco’. Il padre e il figlio di Cormac McCarthy
Sala RossaPad. 1
Con Alessandro BanfiGiovanni Lindo Ferretti e Antonio Spadaro

‘La strada’, capolavoro del celebre romanziere americano, racconta di un padre, di un figlio e di un fuoco di cui sono custodi. In quella storia ci siamo anche noi. Perché l’apocalisse non è questione di fine del mondo, ma del nostro presente.

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Ore 15:00-16:00
Alessandro Barbero
La storia immaginaria
AuditoriumCentro Congressi
Con Giuseppe Laterza

Il passato è stato raccontato da molti diversi punti di vista: dai testimoni e dai cronisti, dagli storici e dai romanzieri… Con Alessandro Barbero un viaggio lungo i secoli, tra avvenimenti e protagonisti, nello specchio della storia immaginaria.

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Ore 15:00-16:00
Melania G. Mazzucco dialoga con… Francesca Cappelletti
L’arte da leggere: dirigere la Galleria Borghese di Roma
Sala BluPad. 2

Che cosa vuol dire dirigere una galleria sovrabbondante di capolavori d’arte antica e moderna, tra le più visitate d’Italia: come si espone, si rinnova e si divulga un patrimonio consolidato, che però ha bisogno di dialogare col presente? Cos’è davvero un museo? Ne parla Melania G. Mazzucco, curatrice della sezione arte, con Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese di Roma, storica dell’arte, studiosa del collezionismo e di Caravaggio, docente universitaria, ricercatrice, saggista.

*

Cosa succede quando la diffidenza inquina lo sguardo e il confine tra colpa e pettegolezzo si fa labile? Ilaria Gaspari costruisce una storia ambientata nella Roma degli anni ’80 per riflettere sulle maldicenze, sul confine tra chi siamo veramente, e quello che gli altri dicono di noi.

*

All’età di otto anni, Juliette si innamora dei cavalli. Amèlie predilige i volatili, specialmente se in volo. Se Juliette nel suo ultimo libro racconta l’infanzia con sua sorella, Amèlie si concentra invece su un trauma della sua adolescenza: un abuso subito e il potere salvifico della scrittura.

*

Cosa accade quando una casa si tramuta in un’entità senziente? Se l’inconscio di chi ci abita diventa un tutt’uno con i libri, le stampe, i ricordi d’infanzia? Un romanzo sul senso che diamo agli oggetti, tra struggimento e ossessioni.

*

Il nuovo romanzo di Claudia Durastanti, dopo il successo mondiale di La straniera è un libro percorso dalle figure magiche e sfuggenti di tre donne, unite da una rete di corrispondenze invisibili, tra epoche antiche e future, in cui riusciamo a vedere, ora da vicino, ora da lontano, tutto quello che potremmo essere.

*

In questo laboratorio Sio conduce all’interno del suo processo creativo, mostrando i principali passi che lo portano dalla semplice idea alla storia ultimata.

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Ore 16:45-17:45
Non è mai morto nessuno
Miti e fake news nella scienza
Arena BookstockPad. 4
Con Dario BressaniniBeatrice Mautino e Alessandro Mustazzolu

Tre divulgatori scientifici ci aiutano a sfatare i miti e le bufale collegati alla chimica e alla microbiologia di tutti i giorni.

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All’inizio del 2020 a New York giunge notizia di un nuovo virus. Mentre la scrittrice Lucy Barton si aggrappa alla vita di sempre, William, scienziato e suo primo marito, intuisce la catastrofe e la convince a partire con lui alla volta di una casetta in affitto sulle coste del Maine. È necessario fare appello all’amore, alle sue forme strane e imperfette, per salvarsi la vita.

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Ore 18:00-19:00
Luciana Littizzetto dialoga con… Stefania Bertola, Diego De Silva e Alessia Gazzola
Giallo e rosa, i colori dei libri “leggeri”
Sala OroPad. Oval

Luciana Littizzetto, curatrice della sezione dedicata alla leggerezza intesa come sollievo o come esercizio intelligente dell’ironia, ragiona con due autrici e un autore, tra i più amati dai lettori italiani. I romanzi di Bertola, Gazzola e De Silva, sono sempre attesissimi, radicati nei deliri del presente, disincantati ma acuti. I protagonisti non sono mai sicuri di niente, tranne di una cosa: che solo robuste dosi di leggerezza possono difenderci dalla paura.

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Goliarda Sapienza è un personaggio romanzesco, a cominciare dal suo nome, e a un romanzo assomiglia anche la sua storia. Accompagnati dalle letture di Donatella Finocchiaro, il collettivo Mis(S)Conosciute insieme alla sceneggiatrice Ippolita di Majo ci guidano in un viaggio attraverso la scrittura e i temi fondamentali dell’autrice dell’’Arte della gioia’. Lettura finale di Paola Pace da ‘Lettera aperta’. Per l’evento è previsto l’uso di cuffie.

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Ore 18:15-19:15
Francesco Costa dialoga con… Ben Smith
Informazione: per un pugno di clic
Sala AzzurraPad. 3

Nell’era dei blog, Ben Smith (‘Traffic’, Altrecose) era uno dei più importanti blogger statunitensi e una macchina da scoop. In quella dei social media, è stato il direttore che ha portato BuzzFeed a vincere un Pulitzer. Poi è diventato il più letto editorialista del New York Times. Ora ha fondato una testata con ambizioni globali, si chiama Semafor. Come si fa un giornale nuovo?


SABATO 11 MAGGIO

Ore 11:30-12:30
Teresa Cremisi dialoga con… Stefano Mauri
Chi è e cosa fa un editore: GeMS, il Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Sala BluPad. 2

Per la sezione dedicata all’editoria, curata da Teresa Cremisi, una conversazione con un editore espressione di uno sviluppo famigliare che si è costituito in senso inverso: da leader della distribuzione a secondo gruppo editoriale italiano.

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Donne troppo pigre per essere ribelli, razionali eppure scaramantiche, capaci di inventare mondi immaginari solo per mandarli in frantumi. Fanno sesso, disinibito o goffo, hanno le idee chiare oppure mentono, molto spesso. Hanno tanti progetti ma gli impegni sono gabbie. Un filo unisce i racconti dissacranti di Veronica Raimo: lo sguardo libero sulle donne e le loro relazioni.

*

Quando Amanda torna a casa non è più la stessa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento. Vorrebbe proteggerla, ma c’è un segreto che non può più nasconderle, un luogo che ha sempre cercato di dimenticare.

*

Ore 12:45-13:45
L’eredità di Carla Lonzi
Storia e nuovi filoni di pensiero del femminismo italiano
Sala GranataPad. 1
Con Francesca ArchibugiAnnarosa ButtarelliClaudia Durastanti e Tiziana Triana

A distanza di oltre quarant’anni dalla scomparsa di Carla Lonzi, i suoi scritti, insieme a quelli del gruppo Rivolta Femminile, sono al centro di dibattiti, discussioni, riflessioni e danno vita a nuovi filoni di pensiero. Un’eredità viva e poliedrica per una pensatrice legata indissolubilmente alla storia del femminismo italiano.

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Ore 12:45-13:45
Omaggio a Moana Pozzi
A partire dal libro Moana Pozzi: tutto deve brillare di Francesca Pellas (Blackie)
Sala RosaPad. 1
Con Matteo B. BianchiFrancesca Pellas e Laura Pezzino

Moana Pozzi è stata il volto e il corpo di una rivoluzione personale che è diventata collettiva.

Quella di chi non accetta un destino imposto – la famiglia l’aveva avviata verso studi rigorosi dalle suore – e sceglie per sé stessa una strada diversa, sfidando lo sguardo di chi giudica e quello di chi si sente offeso.

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Ore 13:45-14:45
Nadia Terranova racconta Alba de Céspedes
In occasione della pubblicazione di Romanzi (I Meridiani Mondadori)
Sala GranataPad. 1

Scrittrice, poetessa, giornalista e partigiana, autrice anche per il cinema, per la radio e per il teatro, Alba de Céspedes è stata una delle figure più eclettiche e innovative della letteratura italiana del Novecento, apprezzata anche all’estero fin da ‘Nessuno torna indietro’.

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In Chi dice e chi tace niente rimane mai fermo, le passioni, le inquietudini, le verità e gli enigmi, i silenzi del presente e il frastuono del passato: tutto sempre si muove, tutto può sempre cambiare. Il nuovo romanzo di una delle scrittrici più eclettiche e coinvolgenti del panorama letterario italiano.

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Ore 15:30-16:30
Zerocalcare
Autore di Quando muori resta a me (BAO)

Dopo molti anni, Zerocalcare torna a raccontare la sua famiglia. ‘Quando muori resta a me’ comincia con un viaggio in macchina insieme al padre verso un piccolo paesino del Veneto in cui si pone molte delle domande senza risposta dell’infanzia.

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Dopo una vita frenetica, un ottantaduenne prende in affitto una casa in una cittadina ventosa apparentemente tranquilla dove si trova a districare le matasse di un variegato catalogo umano fatto di dispetti e pettegolezzi.

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Tradimenti che sono essi stessi miracoli, occasioni per fermarci un momento e cogliere l’opportunità di sfuggire a noi stessi, oppure di esserlo più che mai. Valeria Parrella torna alla forma del racconto, cara ai suoi esordi.

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Ore 17:15-18:15
minimum fax 30
Trent’anni di libri, di storie, di persone
Sala AmbraPad. 1
Con Veronica GallettaGiordano MeacciValeria Parrella e Valeria Veneruso

A raccontare la casa editrice due autrici e un autore che hanno pubblicato nelle tre diverse decadi della casa editrice. Con un saluto lampo di Nicola Lagioia.

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L’incontro si inserisce nella maratona di eventi “Cento anni di amore e di lotta” promossa da Fandango Libri per celebrare uno dei più grandi scrittori del Novecento, saggista, drammaturgo, attivista, voce della comunità afroamericana e cantore di passioni e diritti.

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Dopo ‘Lessico famigliare’, Natalia Ginzburg ha consegnato il suo lessico intimo in ‘Vita immaginaria’. Con voce limpida, assertiva, assorta, la scrittrice spalanca la propria vita dall’infanzia alla vecchiaia. Una lezione di Domenico Scarpa con letture di Jasmine Trinca per scoprire il “parlare di notte” e conoscere “i noi”, facendo emergere qualcosa di essenziale sul nostro lato notturno.

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Ore 18:15-19:15
Francesco Piccolo dialoga con… Paolo Sorrentino
Cinema: l’officina del regista, scrivere e fare un film
Sala OroPad. Oval

Paolo Sorrentino racconta come nasce un film nella sua testa, come scrive e realizza una storia per trasformarla nel suo cinema originale e inimitabile.

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Daria Bignardi racconta il carcere e gli incontri che ha fatto in trent’anni di esperienze e confronti con chi ci è stato rinchiuso, con chi ci vive e con chi ci lavora. Una storia di prigioni reali e interiori.

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Ore 19:30-20:30
Ricordatemi come vi pare
Michela Murgia amava il Salone, il Salone ama Michela Murgia
Sala OroPad. Oval
Con Maurizio De GiovanniAlessandro GiammeiValeria ParrellaRoberto SavianoChiara Tagliaferri e Chiara Valerio

La voce dell’intellettuale più lucida e appassionata dei nostri tempi torna a farci visita, attraverso quella degli scrittori che l’hanno amata.

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Ore 19:30-20:30
Raccontare con la voce
Perché un podcast non è un libro
Sala AzzurraPad. 3
Con Mario CalabresiFrancesca MannocchiPaolo Nori e Sara Poma

Come si trasforma un testo letterario in narrazione orale? Come si scelgono le parole per farle suonare reali e autentiche nel racconto parlato dei podcast? E come interviene il suono e la musica? La prospettiva secondo uno scrittore, una giornalista e un’autrice di podcast.


DOMENICA 12 MAGGIO

Ore 12:15-13:15
Maria Luisa Frisa e Chiara Tagliaferri in dialogo con Maria Grazia Chiuri e Levante
Puntata speciale di ‘Sailor – Anatomia del corpo attraverso la moda’
Sala OroPad. Oval
Con Maria Grazia ChiuriMaria Luisa FrisaLevante e Chiara Tagliaferri

Il podcast di Storielibere.fm in collaborazione con Camera Nazionale della Moda Italia, ideato e condotto da Maria Luisa Frisa e Chiara Tagliaferri, arriva al Salone con una puntata live che ha per protagoniste Maria Grazia Chiuri, Direttrice Artistica delle collezioni donna Dior, e Levante, una delle cantautrici e musiciste più carismatiche delle ultime generazioni.

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Ore 13:00-14:00
Non siamo soli
Il traduttore editoriale e il rapporto con la redazione
BookLabPad. 4
Con Rossella Monaco e Thais Siciliano

Corso Book-Makers. Un’introduzione alla traduzione editoriale, una professione che richiede molto più di una semplice competenza linguistica. La lezione esplora le qualità che definiscono il traduttore, tra conoscenze, sensibilità e abilità personali, indagando tra le dinamiche di un mestiere che vive tra solitudine e confronto.

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Ore 14:00-15:00
Il Cavaliere oscuro, Superman e Watchmen
L’importanza nascosta dei fumetti nella narrativa del XXI secolo
Sala del FumettoPad. 1
Con Gianluca Morozzi e Nicola Peruzzi

Watchmen di Alan Moore, il Batman di Frank Miller e il Superman di Grant Morrison hanno avuto e avranno ancora un grandissimo impatto nel mondo del cinema. Ma possono aver influenzato anche l’attuale generazione di scrittori di narrativa? Quand’è che il racconto per immagini tipico del fumetto e quello più tradizionale della letteratura hanno iniziato a parlarsi e influenzarsi a vicenda?

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Una chiacchierata tra autrici e autori BAO Publishing per parlare di una professione che è ancora difficile da spiegare a chi ci sta attorno. Un racconto di come si abbattono gli stereotipi attraverso le storie a fumetti.

*

Adattarsi a circostanze inaspettate, trovarsi a navigare in acque sconosciute e ad affrontare drastici cambiamenti della propria vita. Guadalupe Nettel, una delle scrittrici latinoamericane più popolari e amate in Italia, si muove tra reale e fantastico, rivelando la natura strana e inquietante di ciò che ci circonda.

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Ore 15:15-16:15
Emanuela Fanelli
L’ironia si impara usandola
Sala BluPad. 2

Vincitrice del Premio David di Donatello alla Miglior Attrice Non Protagonista nel 2023 per ‘Siccità’ di Paolo Virzì, candidata anche nel 2024 per il ruolo di Marisa in ‘C’è ancora domani’ di Paola Cortellesi, Emanuela Fanelli illumina il cinema italiano con la sua irresistibile ironia, la stessa che l’ha resa amata in tv nella trasmissione ‘Una pezza di Lundini’ e nella serie ‘Call My Agent’. Da sempre autrice dei suoi testi, Emanuela si racconta al pubblico del Salone e spiega perché l’autoironia può salvarci in ogni situazione.

*

Da una parte, ci sono i “figli del boom”, quelli che hanno surfato sull’esplosione economica; dall’altra, le generazioni nate all’ombra della crisi del nuovo millennio. Matteo Bordone racconta la contrapposizione culturale (e non solo generazionale) che sta dietro il neologismo “boomer”.

*

Ore 16:00-17:00
Abdulrazak Gurnah
Autore di L’ultimo dono (La nave di Teseo)
Sala AzzurraPad. 3
Con Alberto Cristofori e Alessia Rastelli

Il premio Nobel per la Letteratura 2021, Abdulrazak Gurnah, racconta la sua narrativa, segnata dall’esperienza dell’immigrazione e da una profonda riflessione sull’appartenenza, sull’importanza del perdono e del dialogo.

*

Da più di duemila anni il racconto letterario si intreccia con la storia dell’uomo, leggendola, vivificandola, in parte riscrivendola. Ma perché è così importante per noi raccontare storie e, ancora di più, ascoltarne di continuo? In cosa ci ha trasformato la letteratura, a cosa serve oggi, che cosa rappresenta per le creature in cui (forse) ci trasformeremo nel futuro?

*

È in una Tokyo di un futuro non ben precisato che Murata Sayaka, autrice di La ragazza del convenience store per la prima volta in Italia, sceglie di ambientare la sua ultima raccolta di racconti che ritrae una società retta su regole molto diverse da quelle del nostro mondo.

*

Ore 17:00-18:00
Voci tempestose
Chiara Tagliaferri racconta le sorelle Brontë
Bosco degli scrittoriPad. Oval
Con Francesca ManciniSabrina Tinelli e Chiara Tagliaferri

Chiara Tagliaferri, scrittrice e autrice, insieme a Michela Murgia, del podcast Morgana, racconta la storia delle tre sorelle Brontë e di quell’unico fratello privilegiato e disgraziato. Di quell’infanzia isolata nella campagna inglese e dei giochi di bambini che hanno dato vita alla scintilla creativa riversata anche in Cime Tempestose. Il suo intervento è parte di ‘Voci Tempestose’, una serie podcast del Salone del Libro, in collaborazione con Chora Media.

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Da oltre dieci anni Orhan Pamuk, premio Nobel per la Letteratura 2006, scrive e disegna quotidianamente sui suoi taccuini. Vi registra gli avvenimenti del giorno, annota le sue riflessioni sull’attualità, si interroga sull’architettura dei suoi libri e dialoga con i personaggi, dando vita a una straordinaria composizione di testi e disegni che rivela qui per la prima volta ai suoi lettori.

*

Nel 2023 Paolo Nori ha affrontato un viaggio d’altri tempi, tra autobus e attraversamenti di confine a piedi fino a Pietroburgo. Durante la permanenza è stato visitato da fantasmi di scrittori russi e grandi artisti. Tutti gli ponevano importanti quesiti: a cosa serve l’arte in mezzo a una guerra?


 

Con gli audiolibri sono più propensa a fare esperimenti? Forse sì. Ho visto OVUNQUE Divini rivali di Rebecca Ross – tradotto da Stefano Andrea Cresti per Fazi – ma mi son poi decisa ad affrontare la faccenda quando è spuntato in catalogo su Storytel – e il fatto che leggano Martina Levato e Dario Sansalone ha aiutato, credo.
Vi infarino un attimo: Iris Winnow e Roman Kitt stanno facendo l’equivalente di uno stage malpagato nella redazione di un importante giornale. Il direttore ha un solo posto “fisso” da editorialista e se lo aggiudicherà chi tra i due ambiziosi virgulti produrrà i pezzi più strabilianti. Rivalità! Furiosi ticchettii di macchine da scrivere! Schermaglie! Che tra Iris e Roman debba divampare del sentimento è il tacito accordo di base di cui siamo inevitabilmente fin troppo consapevoli – e il trope procede con ineluttabile efficienza.

Come da canone, però, è previsto che subentrino difficoltà ulteriori rispetto a quella che potrebbe ridursi a un’antipatia professionale mista a VOGLIO FARTI LE SCARPE. Iris e Roman provengono da classi sociali agli antipodi – lei pezze al culo e lui rampollo facoltoso – e c’è pure la guerra. È ancora lontana dalla capitale ed è anche avvolta da una nebulosità piuttosto irritante. Sappiamo solo che due grandi divinità di un passato quasi mitologico – ma inspiegabilmente poco storicizzato o tramandato – hanno deciso di riesumare gli antichi rancori e di mettere insieme due eserciti. L’amatissimo fratello di Iris sceglie di arruolarsi per la dea Enva, fa fagotto e innesca una reazione a catena che di fatto demolirà la famiglia. E l’informazione? Il giornale di Iris e Roman tratta la guerra come una sorta di leggenda metropolitana. Che interessi giustificano questa linea editoriale? Non si sa.

Leggeremo mai un articolo di Iris o Roman? Macché. Leggeremo, in compenso, la loro corrispondenza privata. L’aspetto del romanzo epistolare è rilevantissimo nell’economia della storia e visto che è anche l’unico vero “colpo di scena” – telefonato come poche altre cose al mondo – non mi ci soffermo, ma ci arrivate. C’è un colpo di scena anche nell’ultima pagina, ma per il resto – e per quanto mi riguarda – si naviga in un mare di tedio. Loro due DEVONO detestarsi all’inizio per tenere in piedi la baracca, ma è una di quelle contrapposizioni basate su LO ODIO PERCHÉ È TROPPO PERFETTO e te sei lì che pensi MA SE VUOI TI PRESENTO I PAGLIACCI CHE HO CONOSCIUTO IO GUARDA. Dura poco, per fortuna, ma c’è comunque una gran flemma. I contesti sono sbozzati – sia del funzionamento di un giornale che di un fronte di guerra apprendiamo il minimo indispensabile e quel minimo è stereotipato – e ogni speranza di vedere le divinità fare qualcosa di spettacolare (almeno loro, perbacco) si inabissa all’istante. È scritto male? Ma no, ma nell’insieme è un po’ come guardare una lavatrice che gira.

Da giovane l’avrei amato? Forse sì, perché c’è questo cortese romanticismo di fondo – CORTESISSIMO – che un minimo fa il suo. Anche da piccola, però, mi sarei probabilmente aspettata più vivacità, più ricchezza di “mondo” e più ritmo. Pace, ci abbiamo provato.


[Se vi va di collaudare Storytel, vi rammento che qua si può attivare la prova gratuita “estesa” – 30 giorni invece delle canoniche due settimane.]

Io a Scauri non ci sono mai stata, se non leggendo questo romanzo di Chiara Valerio – quindi vale e non vale come visita. In Chi dice e chi tace – in libreria per Sellerio, la città è un personaggio che parla con tante voci diverse, come una sorta di coscienza collettiva fatta di posti, punti di riferimento comunitari, orizzonti liquidi, radici e volontà di fuga, accordi antichi su come convenga stare al mondo e note di merito assegnate sul campo. Si tace quando la verità è palese, si parla quando la realtà dei fatti è fin troppo banale… perché qualcosa bisogna pur fare.
La mente collettiva di Scauri perde all’improvviso una cellula fondamentale: Vittoria, una che a Scauri non è nata ma che ha scelto di viverci “da grande”, senza spiegare a nessuno cosa c’era stato prima.
Vittoria galleggia nella vasca da bagno di casa sua, concretizzando l’idea di disgrazia casuale, di incidente stupido e crudele capitato a una donna che stupida non è mai sembrata a nessuno. Lea, avvocata che per vent’anni ha pensato di conoscerla, non si capacita di come a una persona così magnetica, generosa e lucente possa essere toccata una fine così assurda e repentina, così indegna di lei. E che fa? Indaga. Perché non può farne a meno.

Vittoria non è mai viva, nel libro. È sempre un riflesso, l’oggetto di un ricordo altrui, il pezzo dell’iceberg che affiora e che sceglie di essere visto in un certo modo. Chi dice e chi tace non sbroglia un mistero ritmicamente travolgente, ma è piuttosto un’indagine umana e assai pratica sulla perdita e sul dramma di non poter mai “accedere” davvero al nucleo reale delle persone che ci affascinano o che hanno in qualche modo contato qualcosa per noi. È una storia di asimmetrie informative sentimentali, di omissioni che permettono di immaginare un futuro anche se non è mai davvero possibile sganciare le zavorre del passato. Vittoria si sceglie una vita nuova e stabilisce accuratamente “cosa” essere per chi la incontrerà e la conoscerà da zero. Si amministra con abilità e dosando con cura gli ingredienti – lavora in farmacia, dopotutto… – ma nel ricrearsi non mente. Vittoria inventa un nuovo spazio in cui vivere e traccia i confini necessari a produrre la propria trasformazione.
Lea ripensa a Vittoria e le pare di non averla mai conosciuta, ma Vittoria le lascia di fatto l’eredità migliore. A Mara, la ragazza che ha sempre vissuto con lei e che poteva avere l’età di una figlia, toccheranno le cose, ma a Lea spetterà quello che non si è mai visto a Scauri. Che pretese possiamo imporre agli altri? Perché crediamo sempre che ci spetti la più completa sincerità? E perché, soprattutto, vogliamo esercitare questo potere di controllo anche su passati che non ci appartengono e non ci devono obbedienza? 

Non conosco abbastanza Chiara Valerio da poter immaginare le sue intenzioni – e gliele lascio perché ho imparato e di pretese non ne ho – ma a me è sembrato un romanzo in cui l’ho vista riposarsi, nel senso migliore. È tornata a casa a domandarsi delle cose, con calma e con l’irreparabile ormai successo. A casa propria si litiga con i disastri superati e il tempo ci aiuta a specchiarci con più indulgenza, anche se tantissime cose restano un mistero – come Vittoria.

Qua non so bene come comportarmi, perché La spinta di Ashley Audrain – da noi uscito per Rizzoli con la traduzione di Isabella Zani – è un libro di una sgradevolezza rara. Succedono cose terrificanti, luttuose, traumatiche. E succedono nel territorio della maternità, una landa che già di suo presenta una gran quantità di garbugli e di potenziali pozzi oscuri. È un romanzo tremendo da leggere, difficile da sopportare e a tratti anche fin troppo calcato, ma eliminando tutte le tare del caso penso restino degli spunti di riflessione più che dignitosi. Certo, li si piglia e li si stiracchia fino al limite estremo del plausibile – per quanto possa aver senso stabilire confini -, ma pare quasi un esercizio speculativo. Che succede se deformiamo le domande basilari che una neo-madre può porsi? Da dove spuntano i mostri? Saremo capaci di fare quello che ci si aspetta da noi? Quanto possiamo ritenerci attendibili in situazioni di stress e isolamento? I “cattivi esempi” sono una profezia o un monito che può aiutarci a spezzare un destino fallimentare?

Blythe è il prodotto di una dinastia di madri che la società civile disapproverebbe. È sopravvissuta a un’infanzia infelice e al rifiuto costante, senza avere gli strumenti “anagrafici” necessari per decodificare i patimenti delle donne della sua famiglia. All’università conosce un ragazzo e, per la prima volta, riesce a immaginare un futuro tollerabile – anzi, un futuro felice. Sono innamorati, lui è convinto che in lei si nasconda una madre meravigliosa e lei ha un gran bisogno di crederci, di meritarsi questa vasta fiducia. Nasce Violet, ma Blythe ci capisce poco. Si ritrova inchiodata a casa – è Fox che lavora mentre lei prova a dedicarsi alla scrittura – con una neonata che pare richiedere più di quanto lei possa ragionevolmente darle. Nulla di quanto aveva immaginato trova specchio nella quotidianità con Violet, ma mostrarsi capace e padrona della situazione, dar prova di essere degna di quell’immagine di madre esemplare così cara al marito ha il sopravvento sulla realtà dei fatti. Chissà, magari Blythe esagera. Magari è lei che non ci sta dentro. Violet non sarà mica così terribile, dai. Perché la devi sempre dipingere a tinte così fosche? Verrebbe quasi da pensare che non le vuoi bene… ma sarebbe una mostruosità bella e buona. Sei un mostro, Blythe?

Blythe si convince, giorno per giorno, che in sua figlia ci sia qualcosa di anomalo, qualcosa che supera anche le sue potenziali inabilità nel “gestirla”. Chiaro, si sente in colpa per quattordicimila motivi e si vergogna pure di fare così fatica con lei, ma col passare dei mesi – e dei primi anni – quell’inquietudine di fondo resta. Violet è fredda, manipolatrice, crudele con gli altri bambini (e con lei). Insieme agli innumerevoli “ma dove ho sbagliato”, Blythe deve confrontarsi con suo marito, che Violet pare adorare e che vive un’esperienza di genitorialità completamente diversa dalla sua. Fox resta inserito nel mondo, fa carriera, arriva a casa la sera e viene accolto da sua figlia con evidentissimo entusiasmo. Fox, soprattutto, non accoglie i timori di Blythe. Anzi, li respinge con intransigenza. Il perché facciano un altro figlio è ben sviscerato nel romanzo – per quanto possa sembrarci controintuitivo. È come se Blythe avesse bisogno di riscattarsi, di dimostrare in maniera incontrovertibile che il problema è Violet e che lei è una madre capacissima – e capacissima di amare…

Audrain è abile nel gestire la tensione e i diversi piani temporali. Funziona così: sappiamo da subito che qualcosa è andato terribilmente storto, ma occorre l’intero libro per afferrare davvero l’estensione del disastro. Oltre al “piano temporale” di Blythe abbiamo a disposizione anche le storie di sua madre e di sua nonna che, pur in epoche e contesti differenti, rappresentano un precedente significativo. È come se tutto quello che circonda e “costituisce” Blythe lavori per corroborare la sua inattendibilità. È come se la spiegazione più semplice e valida, nel caso esista qualcosa di cui preoccuparsi, sia l’inadeguatezza della madre. Blythe è problematica a modo suo – e non è un personaggio che ispira chissà quali moti di simpatia -, ma non dispone mai di punti di riferimento accoglienti. Smette quasi di essere una persona e diventa una funzione, non ha più un posto o un’identità – a parte quella di madre, in cui sente esplodere tutto il suo fallimento. È un libro orrendo? Sì. Perché Audrain fa succedere orrori. È un libro potenzialmente utile? Anche. Perché può farci pensare, nonostante l’evidente situazione-limite che costruisce.

Dunque, Walter Fontana per me – e sospetto per la mia generazione nel suo complesso – è stato il genio che ci ha donato Frattale e Carcarlo Pravettoni, tanto per citare i miei personaggi preferiti di quell’epoca SONTUOSA di Mai Dire Gol. Già lì si perculavano con immensa creatività i tic aziendali e le gloriose megastrutture, i rapporti surreali tra umili impiegati e onnipotenti dirigenti, i dispetti da scrivania e le iniquità macroscopiche che avvelenano l’aria di ogni ufficio. Di libri suoi, però, non ne avevo ancora letti… ma il mio cammino di redenzione è iniziato ed eccoci qua con L’uomo di marketing e la variante limone, che sono particolarmente felice di aver approcciato in versione audio su Storytelil libro è riapparso da Bompiani in una nuova edizione con un piccolo expansion-pack. Nell’audiolibro troviamo Fontana che ci legge prefazione e postfazione, mentre la narrazione complessiva è affidata a Luca Ravenna – voce adattissima.

La freschezza “contenutistica” è sorprendente e, per un libro uscito originariamente nel 1995 che ambisce a fare dell’umorismo su un’epoca e su un contesto molto specifici, il fenomeno sconfina nel prodigioso. Fontana ha a lungo militato in blasonate agenzie pubblicitarie e questa storia – che un po’ è un racconto corale e un po’ è uno studio antropologico – ci colloca tra i due fuochi “classici” dell’orrida dinamica. Da una parte troviamo il cliente – colossale conglomerato che ha un nuovo detersivo al limone da lanciare – e dall’altra creativi, account, copy e tutto il cucuzzaro che costituisce un’agenzia. Riusciranno i nostri eroi a mettere insieme una campagna per Bello Bellissimo Lemon Lemon o soccomberanno senza rimedio alla fumosità del brief e ai continui ripensamenti del cliente? Il resoconto che Fontana ci offre era e resta di un’accuratezza dolorosa – verso il terzo “siete dei geni e vi facciamo tantissimi complimenti ma non ci siamo ancora” ho manifestato una gamma completa di gastriti e tic psicosomatici -, anche se si comunica via fax e non ci sono slide spettacolari da proiettare.

Al caso di studio di Bello Bellissimo, Fontana alterna dialoghi al baretto in pausa pranzo e struggenti riflessioni impiegatizie. Si parla di soldi, di processi decisionali demenziali, di intoppi, di gerarchia, di carriera, di colleghi e del quotidiano sforzo per darsi un contegno, pur sapendo perfettamente di essere dei cialtroni – se non proprio delle canaglie conclamate. Si ride assai e, anche nei frangenti più surreali e grotteschi, ho il grande onore di comunicarvi – nonostante i tanti anni che ci separano dal ‘95 – CHE È TUTTO VERO. È COSÌ CHE VA. SUCCEDE SUL SERIO. E mai più guarderete un flacone di detersivo con gli stessi occhi.

[Come ogni volta che vi segnalo un audiolibro, vi segnalo anche la possibilità di collaudare Storytel. Qua trovate un periodo di prova gratuito di 30 giorni.]

Dunque, Christine Coulson ha passato 25 anni a scrivere per il MET. Tra i suoi incarichi più recenti c’è stata una revisione completa delle didascalie delle opere esposte nelle British Galleries, un lavoro che m’immagino estenuante per puntigliosità, vastità della sapienza da mettere in campo e trasversalità delle competenze necessarie. Non paga, si è domandata se il medesimo approccio fosse estendibile anche alle persone.
In sintesi: possiamo immaginarci un’eroina romanzesca e raccontarla come si farebbe con un’opera d’arte? A quanto pare sì e il risultato è questo libro: One Woman Show è il catalogo della vita di Kitty Whitaker, una didascalia museale alla volta.

Prima di indagare sul perché scegliere una “forma” simile per costruire la parabola biografica di una donna nata all’inizio del Novecento risulti potentissimo, analizzerei una pagina, tanto per farvi capire l’andazzo.



Di didascalia in didascalia – con qualche intermezzo dialogico e altrettante incursioni fra le opere minori che la attorniano (i genitori, le conoscenti, la servitù…) – Coulson traccia l’intera parabola dell’esistenza di Kitty, dall’infanzia doratissima agli sconvolgimenti collettivi della crisi del ‘29 e della Seconda Guerra Mondiale, dagli amori agli anni senili, mettendola e togliendola dallo scaffale a seconda dei ribaltamenti di fortuna e di un’inquietudine intermittente, che appare come una crepa che non sempre si può restaurare o nascondere con un’energica mano di smalto.

Perché è stupendo? Perché la struttura matta risponde a una funzione cristallina: indagare la condizione della donna – locuzione tritissima che un po’ di orticaria me la fa venire ma riassume comunque bene il concetto – nel corso del Novecento. I pilastri? Il valore ornamentale e il legame tra soldi e potere. Kitty non incarna di certo le donne di tutte le stratificazioni sociali – perché nasce nella bambagia e da subito è per noi espressione di una squisita manifattura – ma nel suo fondamentale ruolo di oggetto trova fin troppa trasversalità.

Kitty transita da una collezione all’altra in un processo di emancipazione che ha più a che vedere con la sua natura eccentrica che con un’autentica fuga dalle sovrastrutture. Non le tocca mai lavorare sul serio ma, nonostante i benefici materiali, non riesce mai nemmeno a scappare dalla vetrinetta in cui è stata collocata. Il tempo spariglia le carte e lascia intravedere nuovi paradigmi, ma la curatela della mostra traccia confini precisi di decoro, aspettative e ruoli accessibili. Molto semplicemente, ci son posti in cui una Kitty non potrà mai essere esposta. E a lungo il medesimo destino è toccato – e spesso continua a toccare – anche a noi.

Sei la bambina più bella, brava e intelligente del mondo, Sabrina Mannucci. Il tuo sarà un avvenire luminoso. L’universo intero ti deve ammirazione e ti sarà devoto, perché ogni qualità umana e ogni talento confluiscono nella tua personcina. Fama e fortuna, gloria e felicità ti apparterranno di diritto e, di riflesso, eleveranno la tua famiglia, che ti ha amata, “vista” e sostenuta come meriti. È il 1977, Sabrina è pronta per salire sul palco dello Zecchino d’Oro e tutto questo sembra ancora plausibile. Ma i poteri del Mago Zurlì basteranno?

Figlia di un funzionario RAI di caratura irrilevante – ma certo di contare moltissimo -, Sabrina cresce con la ferrea convinzione di essere speciale per davvero. Riccardo, suo padre, la porta in palmo di mano e sembra puntare su di lei – il cavallo migliore tra i figli – per iniziare un’ascesa in piena regola. Da famiglia piccolo borghese – con tutte le grettezze del caso – i Mannucci possono fare di meglio, possono seriamente tentare di insinuarsi nei giri che contano. Sabrina è uno strumento d’interposta ambizione e il prodotto mostruoso delle illusioni e delle frustrazioni altrui. La televisione è sempre accesa, pronta a istruire il pubblico su cosa sia legittimo sognare e a fornire un traguardo sempre visibile da tagliare: se arrivi qua dentro sei a posto, tutto cambierà.
Nel 2007, ritroviamo i Mannucci al capezzale di Riccardo e scopriremo gradualmente che ne è stato di loro. Sabrina sarà riuscita ad agguantare l’avvenire promettente tanto agognato? Sarà riuscita a trovare qualcuno capace d’amarla quanto l’ha amata suo padre? La famiglia sarà finalmente stata accolta nella cerchia dei ricchi e dei potenti? Son davvero tutti stupidi, brutti, grassi, ignoranti e grezzi a parte Sabrina o, nemmeno troppo in profondità, c’è sempre stato qualcosa di tragicamente sbagliato? E per noi che leggiamo, sarà così mostruoso tifare per il fallimento di Sabrina?

Sabrina è un personaggio ciabattesco da manuale. Contiene illusioni, vanagloria, megalomania e tutte le spiacevolezze e le robe orrende che vorrei tanto poter dire di non aver mai sentito crescendo, ma nel credersela così tanto si smaschera da sola e ci offre anche la possibilità di trovarla patetica e vittima di un contesto altrettanto “piccolo”. È l’eterna lotta tra pezzenti e ricchi, ultime ruote del carro e blasonati dirigenti, umili ingranaggi e macchinari pesanti. Nel rifiutarsi di restare al proprio posto possono emergere virtù e meraviglie che migliorano l’universo, ma non è il caso dei Mannucci. In loro si riassume molto di quello che non va nella “catena alimentare”, ma fanno parte del problema. Sperare non è peccato, ma è l’assoluta ineleganza con cui falliscono a risultare ripugnante. Anche quella, però, è una pura questione d’apparenza. Volete leggere qualcosa di malvagio? Sabrina è qua per voi.

[Vi va di ascoltarlo come ho fatto io? Trovate I giorni felici di Teresa Ciabatti su Storytel. Vi ricordo che passando per di qua vi donano un periodo di prova gratuito “prolungato” – 30 giorni invece di due settimane.]

Cinema! Sogni! L’età d’oro di Hollywood! Cellulosa! Divi! Dive! E Lucia Wade, sceneggiatrice. Insieme al marito Vincent – istrionico regista e assiduo sollevatore di bicchieri – forma una promettente coppia creativa. Lì per lì innamoratissimi, affiatati e pieni di idee, i coniugi Wade si fanno in quattro per racimolare i finanziamenti per il loro debutto sul grande schermo e, tra mille rogne e soluzioni creative, approdano ai tanto agognati successi. Si fanno un nome, si trasformano in acclamati autori e li troviamo pure candidati all’Oscar. Lui, vulcanico e umorale, si gode il prestigio riservato ai registi emergenti mentre Lucia macina pagine alla macchina da scrivere, senza badare troppo al ruolo evidentemente defilato che Vincent tende ad accordarle. È sicura del suo amore e farebbe di tutto per sostenerlo, anche se i rospi da ingoiare non sono pochi, i soldi scarseggiano sempre e l’ambizione (spesso frustrata) scava solchi di non facile gestione. Tutti quanti – Lucia compresa – sono convinti di vivere un Grande Amore Speciale, superiore alle tribolazioni e alle meschinità che distruggono i legami degli altri, ma scopriremo all’istante che nemmeno i Wade sono fatti per durare.
Chi siamo diventati?
Dov’è la persona che ho conosciuto?
Chi ho amato io è mai esistito?
Ne vale la pena?
Lucia si rifiuta di trasformarsi nel cliché della moglie abbandonata e affranta che tanto detesta scrivere e si aggrappa all’unica certezza che ha – che è proprio la scrittura, incidentalmente. Con o senza Vincent, lei è una sceneggiatrice. Brava, pure. Avrà vita facile fra produttori, studios, agenti e agghiaccianti consulenti con le competenze di nostro cugino chiamati a rivedere le sue pagine? Certo che no. A Hollywood o fai l’attrice o fai la segretaria… di sceneggiatrici in giro ce ne sono poche. E quelle quattro gatte già sembrano troppe…

Lucia Wade è Eleanor Perry e Pagine azzurre è una versione romanzata della sua vita e delle sue peripezie sentimental-lavorative. Uscito nel ‘79 negli Stati Uniti, il libro spunta qua da noi per la prima volta per SUR nella traduzione di Marco Rossari – che riesce a preservare mi pare assai bene il taglio da commedia brillante e a mantenere scoppiettanti e caustici i dialoghi.
La struttura non è lineare ma procede per balzi temporali e “scene”, come in un buon copione che non abusa dell’esposizione o dello spiegone trito. Lucia e Vincent ci appaiono a diversi gradi di deterioramento, anche se l’ossatura principale è fatta dal presente di Lucia, tra lavori frustranti, rivendicazioni di competenza che cadono tendenzialmente nel vuoto e relazioni con emeriti imbecilli. Il passato è fulgido e miserabile insieme, pieno di segnali che solo il senno di poi fa risultare ovvi. Lucia è disillusa ma battagliera, stufa marcia ma abbastanza scafata da godersi gli episodi più grotteschi che le capitano come uno spettacolo. Questo libro è uno sberleffo e una rivincita, il ritratto di un’epoca e di un settore specifico – molto meno favoloso di quanto vorrebbe la leggenda.
Ci son signore che hanno preso più di un pesce in faccia, risparmiandone forse qualcuno a noi, signore del futuro. La rete è ancora piena, ma Perry – facendoci ridere e schiumare di rabbia – è una voce degnissima di essere ancora ascoltata.

Appunto sparso: c’è pure Capote. Ovviamente camuffato. Ma si vola altissimo lo stesso.

All’avventura!

Infarinatura introduttiva.

  • Siamo stati a Marrakech a metà febbraio. Che clima abbiamo beccato? Caldo fondamentalmente estivo di giorno e un bel freschino di sera o la mattina presto. Una gioia per la valigia, insomma. Se tendete a patire il gelo come me, a parità di periodo vi consiglio di partire con una giacca da mezza stagione – vi tornerà utile al calar del sole e per cenare all’aperto senza patemi.
  • Sì, serve il passaporto e le operazioni di arrivo/partenza in aeroporto non sono molto rapide. Noi siamo arrivati di giovedì sera – un momento che ci pareva piuttosto “neutro” e lontano da grandi flussi di traffico turistico – ma ci abbiamo messo un’ora abbondante a superare i controlli. Il ritorno un po’ più snello ma piuttosto laborioso lo stesso.
  • Procuratevi dei contanti in valuta locale perché tanti posti non accettano le carte. Con “posti” intendo ristoranti alla buona, bancarelle per strada, esercizi commerciali dei suk, attrazioni assimilabili ai musei e taxi. Potete cambiare i soldi o ritirare al bancomat senza rogne.
  • I taxi sono TANTISSIMI e fermabili per strada senza dover usare app, chiamare centralini o chissà cosa. Dall’aeroporto alla medina abbiamo pagato 200 dirham – che son 20€, arrotondando per eccesso – mentre la tratta dalla medina al quartiere “nuovo” (Gueliz) viaggia sui 100. Spiegate bene prima dove volete arrivare e chiedete se il prezzo è ok. Quasi sempre i riad della medina prevedono un trasferimento privato per gli ospiti – domandate, perché certi riad incagnati più all’interno sono poi complicati da scovare a piedi coi bagagli.
  • Se volete avere sempre il telefono funzionante dovete prendere una SIM locale. Noi abbiamo deciso di approfittare del wi-fi dei posti in cui ci siamo fermati a mangiare o dell’albergo perché passiamo già tutta la vita a spippiolare al telefono e ci giova di tanto in tanto astenerci.
  • Il terremoto di quest’autunno ha purtroppo colpito Marrakech e ci sono ancora danni visibili nella medina, dove ci sono gli edifici storici o, banalmente, le costruzioni più datate. Troverete qua e là puntelli di legno, ponteggi e volenterosi cantieri. I ragazzi del riad ci hanno raccontato spaventi e momenti decisamente non rosei, ma le ricostruzioni procedono con buona lena e intralcio zero per i visitatori. Si tifa.
  • Prenotazioni? Dipende. Noi abbiamo prenotato dall’Italia l’hammam, una cena e un biglietto d’ingresso – dopo troverete i dettaglini precisetti. Le altre due cene le abbiamo prenotate il pomeriggio del giorno stesso, dopo esserci orientati un po’ meglio con le distanze e i tempi. È estremamente possibile che, in periodi di turismo più HARDCORE, sia saggio bloccare tutto con un certo anticipo per non restare a piedi.

Benissimo. Procedo per aree tematiche.


ALLOGGIO

Il mio consorte ha saggiamente pescato il Riad Dar Saad nella medina – la parte “vecchia” della città. Nella medina le auto non possono circolare, ma se vi fate mollare dal taxi nel più vicino punto ancora raggiungibile in macchina – il museo Dar El Bacha o il palazzo reale sono punti di riferimento validi – al riad ci arrivate a piedi in tre minuti d’orologio. La posizione è comoda perché per esplorare la medina e veleggiare verso la piazza centrale siete già “dentro” ma se volete riprendere un taxi e andare altrove arrivate con semplicità all’area esterna. Noi abbiamo sempre trovato taxi pronti a partire.
Altro sul riad? I ragazzi dello staff sono simpaticissimi e gentili. L’atmosfera è matta e variopinta e c’è anche una sorta di caotico giardino pensile sul tetto, molto piacevole. I prezzi mi son sembrati ragionevoli, anche se opterei per una stanza diversa perché la nostra – proprio questa, per l’esattezza – era davvero minuscola e pure un po’ umida.


“ATTRAZIONI”

Dunque, la medina è nella sua interezza un’attrazione, mi verrebbe da dire. La locuzione iper trita “perdetevi fra le viuzze” mi fa venire l’orticaria ma in questo caso è un buon consiglio. Il mio senso dell’orientamento è pessimo e non ho speranze di indicarvi un punto preciso fra i millemila suk tentacolari percorribili a piedi, ma vagate con fiducia e meravigliatevi delle imprevedibili mercanzie esposte. In caso di bisogno, mia zia Pinuccia è disponibile a fornirvi una consulenza su come contrattare con i venditori, ma confido nel vostro spirito d’iniziativa.

L’unica “via dello shopping” che mi sento di segnalarvi con sicurezza – e che brilla per eclettismo delle proposte – è il tratto che separa il Riad Dar Saad dal Dar El Bacha. Il resto è una scoperta perenne e davvero affascinante, gatti compresi.

E la piazza “grande”? Forse è l’agglomerato meno interessante di tutti. Indubbio folklore – incantatori di serpenti, scimmie che passeggiano, pavoni, bancarelle… – ma anche l’unico posto dove mi son sentita a disagio. Volete farvi fare un disegno tradizionale all’henné sulle mani? Ne avete facoltà. Meno piacevole è essere afferrata per un braccio da un’energica tatuatrice che comincia a colorarti le estremità senza dar retta ai tuoi fin troppo urbani “no grazie” e pretende a gran voce dei soldi per un lavoro che non le hai chiesto tu. Insomma, occhio. Non fate la fine della turista polla come me.

Occhio ulteriore? I motorini. I carretti con gli asini. I motocarrettini. Le strade della medina sono strette e certi suk son proprio dei vicoli – o delle gallerie coperte -, ma il traffico “leggero” persiste, anche a velocità sostenuta. Lì per lì la cosa è piuttosto spiazzante, ma ci si abitua. Voi, nel dubbio, fatevi in là e ricordatevi quello che vi diceva la mamma quando c’era da attraversare la strada.

Il Jardin Majorelle è uno dei posti più instagrammati del globo? Sì. Isola felice di Yves Saint-Laurent e Pierre Bergé, i giardini e gli squillanti complessi architettonici sono una sorta di luogo ideale che sintetizza arte e verde, vitalità e meditazione – calca permettendo. Mentre zelanti addetti alla manutenzione girano con pennello e secchi di blu Majorelle per mantenere la giusta tonalità cromatica delle costruzioni, piante di ogni genere prosperano in un poetico caos controllato. Gli abbondanti flussi di visitatori sono gestiti con rigore marziale ed è obbligatorio fare il biglietto online.
Non siamo stati al museo YSL – chiuso temporaneamente per riallestimento – ma nel padiglione centrale del giardino c’è il Museo Bergé dedicato all’artigianato berbero… dimensioni contenute ma da vedere, intanto che ci siete. Se dovete dare una rinfrescata ai muri di casa, poi, segnalo che al gift-shop si possono comprare dei bei barattoli di pittura – un souvenir eccelso? Totale.

La Medersa Ben Youssef è stata costruita nel quattordicesimo secolo come scuola islamica ed è stata a lungo la più grande del Nordafrica. Dopo fortune alterne, abbandoni e ritorno all’attività originaria, è ora un sito UNESCO più che visitabile e restaurato con grande attenzione al rispetto dei materiali originari. C’è un magnifico cortile centrale e si può salire al piano superiore per esplorare le “cellette” degli studenti.
Il biglietto si fa all’ingresso e accettano solo i contanti.

Le Jardin Secret è una gradevole bombonierina ripescata dall’oblio. La base è quella di un riad – uno dei più antichi della medina – poi disgregatosi per frazionamenti di proprietà e vari gradi di incuria. L’opera di ripristino è relativamente recente e nella struttura odierna troviamo una torre e dei padiglioni che delimitano un giardino esotico e un giardino islamico. Piacevolissimo e indubbiamente d’impatto, ma il baretto posizionato strategicamente sulla terrazza e il gift shop pretenzioso mi han lasciato un po’ una sensazione di posticcio.


L’HAMMAM

Vuoi non cimentarti? Non sia mai! Per Les Bains de Marrakech devo ringraziare molto una collega di Cuore – Viola, ciao! Ti siamo debitori!
Qua è indispensabile prenotare con anticipo sul sito, perché per certi percorsi serve del tempo e loro sono ORGANIZZATISSIMI. Si possono selezionare diversi trattamenti e combinarli insieme, scegliendo anche se procedere individualmente o in coppia. Noi ci siamo donati tre ore: hammam, fanghi, massaggio. In pratica vi prendono e da bruchi vi trasformano in farfalle.

L’hammam parte con una lenta cottura a vapore, seguita da innumerevoli abluzioni. A un certo punto arriva una signora con un guanto grattosino che vi friziona energicamente fino a staccarvi di dosso circa tre etti di pelle morta. Lisci come delfini e rincoglioniti dal tepore verrete poi scortati in un ambiente “asciutto”, cazzuolati di fanghi profumati e avvolti come salami nel cellophane e in tre strati di coperte soffici. Vi farete una dormitina? Sì. Una volta estratti dal bozzolo e lavati come bambini vi frolleranno per un’altra ora, massaggiandovi dall’alluce ai lobi delle orecchie. Raramente in questi ultimi due anni posso dire d’essermi sentita meglio.
Ambiente bellissimo, non si incrocia mai altra gente, bicchierini di tè alla menta che si materializzano dal nulla e staff impeccabile. Credo non sia fra le strutture più economiche della città ma quanto volentieri li ho spesi, porca miseria.

Bonus: la zona attorno all’hammam è molto vispa e interessante da girellare a piedi. Salutateci le numerose cicogne che nidificano nei paraggi.


MANGIARE

Le opzioni streetfoodesche sono innumerevoli. A ogni angolo della medina c’è qualcuno che spadella uova, cuoce a fuoco lento qualcosa, smercia pane – PANE BUONISSIMO -, ammucchia dolcetti, sbadila datteri, spreme melagrane, allinea fragole ENORMI. Insomma, se vi gira c’è di certo materiale. Qua trovate qualche posto dove piazzarvi con le gambe sotto al tavolo per un pasto meno estemporaneo – devo confessare la mia parzialità per questo tipo di soluzione, principalmente perché non son capace di mangiare in piedi e dopo aver scarpinato per ore ho bisogno di mettermi a tavola in pace per ripigliarmi. Ho un’età.

La prima sera abbiamo cenato alla Terrasse des Épices, pescato in maniera piuttosto estemporanea perché non mi ricordo dove ne avevo letto bene e perché era vicinissimo al nostro riad. Si mangia all’aperto su questo tetto a ferro di cavallo, servono alcolici – bar “serio” compreso – e la cucina è marocchina con qualche incursione internazionale per non far prendere paura ai turisti americani. Servizio di rara premura, abbondanza di porzioni e atmosfera molto gradevole. Il nostro felicissimo battesimo a base di tajine e couscous.

Il Petanque Social Club, nel quartiere nuovo di Marrakech, è dotato di campo da bocce – altrimenti non l’avrebbero battezzato così, mi vien da dire – giardino rigoglioso e un eclettico ambiente interno con diverse sale decisamente d’impatto. Anche qua servono alcolici e il menu è decisamente più virato alla clientela “estera” – l’ho trovato infatti da un suggerimento del New York Times Travel… e mi vien da alzare più di un sopracciglio. Non abbiamo cenato particolarmente bene, ma i cocktail sono apprezzabili e il posto è oggettivamente bello. Se bazzicate da quelle parti e vi va di bere qualcosa fateci un pensiero.

Cena finale? Grand Café de la Poste, locale storico aperto negli anni Venti e frequentato da monsieur Majorelle e sodali del bel mondo. Cucina francese, servizio attento e piacevolezza generale dei luoghi.

Pranzo assai ben riuscito nei pressi della piazzona grande: Amasia. Rooftop estremamente ameno – penso che al tramonto renda benissimo, ma noi siamo andati a fare le lucertole diurne – e cucina marocchina davvero apprezzabile. Servizio non fulmineo, ma eravamo così contenti di starcene in maniche di camicia a febbraio su una terrazza che non ci è proprio venuto in mente di sindacare sui ritmi.


Spero di aver prodotto qualche spunto utile. In ogni caso, buon giro! C’è favolosità. 🙂