Visto che mi stavano per scadere tutti i punti Cartafreccia, siamo andati a Roma.
Visto che di punti ne avevo un botto, abbiamo viaggiato in Premium.
La Premium è uguale alla Standard, solo che i sedili sono in finta pelle invece che in tessutone forforoso. E ti portano i refreshments. Ho bevuto un bicchiere di Berlucchi tiepido e sgranocchiato un sacchetto di noccioline, come un vecchio macaco.
Amore del Cuore ha mangiato dei tramezzini mollicci, ottenuti non senza qualche sforzo dalle macchinette all’inizio del binario. Io l’ho preso in giro, ma poi sono stata costretta a soccombere. Alla seconda ora di ritardo accumulata dal treno, l’ho mandato al bar a cercare dei viveri. È tornato con un abominio ripieno di gamberi e salsa tonnata. In un sacchetto complicatissimo che faceva finta di essere un bucolico cestino della merenda.
I tramezzini confezionati, si sa, ti fanno puzzare le mani. E i b&b super-economici, come è anche giusto, non hanno sempre qualcuno pronto ad accoglierti… soprattutto se arrivi a notte fonda.
Salve, sono sempre Francesca. Guardi, siamo ripartiti da poco, ma il treno è parecchio in ritardo. Forse arriviamo alle undici e mezza. Riesce ad aspettarci?
Salve, ancora io. Ci siamo bloccati a Firenze. La vocina dice che siamo incolonnati dietro ad altri treni per problemi alla linea. Il ritardo è di duecentodieci minuti. La prego, RESTI LI’. Sono un signora, non posso dormire per strada.
La neve non è una scusa, Trenitalia. Che si sappia – soprattutto quando scopri che la tua destinazione non è stata minimamente interessata dall’intemperia.
Nonostante l’ansia, i torcimenti di mani e le piaghe da decubito, siamo arrivati più o meno indenni.
Il nostro b&b, si è poi scoperto, stava proprio sopra a un cinemino porno dall’incredibile carica reazionaria.
Ma Amore del Cuore, c’è scritto SEXY MOVIES!
…la prossima volta prenotiamo insieme. Anche se è una sorpresa per me.
Roma, grazie al cielo, è un posto che si può girare anche in Enjoy. Abbiamo dunque trascorso un proficuo e piacevole weekend senza doverci avvalere nemmeno una volta dei mezzi pubblici.
Una cosa buffa di Roma è il manto stradale. Roma è un posto veramente sconnesso. Non è una città, è una sovrapposizione infinita di pavimenti che fanno del loro meglio per non mandarsi reciprocamente a cagare.
Una delle cose più belle di Roma, poi, è la luce. La qualità della luce è importante, quando bisogna decidere se una città ci piace. A Roma, anche se c’è nuvolo, la luce è leggera e calda. Credo dipenda dal colore della pietra. Ci sono un mucchio di meraviglie bianche e arzigogolate che ti rotolano davanti. E ci sono i pini marittimi, che sono degli alberi che ti fanno subito venire in mente le vacanze – se vieni da Milano, almeno. O dal piattume mortifiero della Pianura Padana.
Luce, pini marittimi, monumenti, angeli giganti ogni sei metri!
Roma mi piace un sacco. Anche se ad ogni angolo c’è qualcuno che cerca di venderti un bastone per farti i selfie.
SELFI?
SELFI?
SELFI?
O qualcuno che vuole costringerti a salire su un autobus a due piani.
GIRO MONUMENTI!
SPEAK ENGLISH?
HOP-ON!
Per trovare pace, abbiamo cercato rifugio nei Musei Vaticani.
In Vaticano abbiamo scoperto che c’è gente pagata per gridarti di non fare foto nella Cappella Sistina. E che esistono anche le Guardie Svizzere in stage. Perché ci sono le guardie senior – quelle con l’uniforme sgargiantissima di Michelangelo – e le guardie scalognate che smistano il traffico. Han su anche loro una specie di costume bombato super anacronistico. In blu, però. Senza elmo e senza alabarda spaziale. Dicono ai cardinali dove parcheggiare e fotocopiano le Bibbie.
Anche i souvenir del Vaticano sono bellissimi. Ci sono i magneti con su i Papi. Ci sono i rosari. Gli strofinacci per la cucina. I portachiavi. Gli ombrelletti pieghevoli. Riproduzioni in gesso di ogni statua mai creata dall’ingegno italico – soprattutto capolavori che mai hanno toccato il suolo capitolino.
A livello strettamente ecclesiastico, il volume di gadget papali è così distribuito: 60% Papa Francesco, 30% SAN Giovanni Paolo II, 9% Giovanni XXIII, 1% Benedetto XVI (per la nicchia dei fan cattolici di Star Wars).
I calendari sono una cosa a parte.
Sui calendari c’è una segmentazione straordinaria. C’è il calendario dei gatti di Roma. Quello con le Sibille della Cappella Sistina. E c’è anche il calendario dei preti ammiccanti. Non l’ho sfogliato, ma in copertina c’è una specie di modello di Dolce & Gabbana con l’abito talare e lo sguardo birichino. Dovevamo comprarlo solo per capire che storia era, ma siamo degli stupidi.
Tra i grandi rimpianti della gita – oltre al calendario per casalinghe devote che mai hanno dimenticato Uccelli di rovo -, c’è anche la mega-colomba santa. La libreria San Paolo del Vaticano ha in vetrina una meraviglia indescrivibile. C’è questa colomba, grande come una gallina e scolpita con immensa maestria, che si libra ad ali spiegate. Dalla schiena della colomba-gallina si sprigionano dei maestosi raggi dorati tutti dentellati, fotonici e riflettenti. Sbucciate la colomba santa da tutto il suo complicato simbolismo e otterrete uno splendido oggetto d’arredamento. Sul serio, volevo comprarmi la colomba santa. La volevo appendere in salotto. Come la storia ci insegna, però, le reliquie e gli aggeggi di Dio non te li regalano mica. La colomba-gallina costava 320 euro. E l’abbiamo lasciata lì. Piangendo forte.
Al che, ci siamo consolati con la merenda. E con un’attività utile: debellare il mal di piedi di Amore del Cuore. Mio marito, il sempre ottimista, ha optato per il decoro sin dalla partenza. Non s’è messo le Nike Air con sotto il cuscinettone. No. Lui ha camminato per tutta Roma con le Timberland tarocche, riesumate dal mucchio delle calzature che già dieci anni fa aveva deciso di non mettersi mai più. Abbiamo dunque dedicato un’ora buona a scegliere un paio di scarpe da ginnastica che lo salvassero dalle vesciche. Le Nike costano un casino. Le Adidas erano tristi. Le Diadora pseudo-vintage, invece, sono piene di dignità.
Dopo aver risolto l’emergenza, ci siamo agilmente librati verso il regno dell’aperitivo. RIONE Monti. Ciottoli, salite, edera secca, stradine e sensi unici incomprensibili. Mi hanno spiegato che Monti è un rione, non un quartiere. E ha un suo gran bel perché. C’era anche un mercatino hipster con le collane a forma di dinosauro. Ci siamo seduti su una sbarra di ferro in una piazzetta, in mezzo a giovani autoctoni estremamente stilosi e sparuti drappelli di tifosi irlandesi in maniche corte. Quel giorno lì c’era il Sei Nazioni, mica bruschette.
Dopo l’aperitivo, ci siamo spostati a Testaccio, dove sembra ci siano tutti i ristoranti grezzi di Roma. Abbiamo messo giù la Enjoy in un posto loschissimo, demolendo le certezze del parcheggiatore abusivo che dominava quel tratto di strada.
BUONASERA, EH. DOVE PENSATE DI ANDARE?
Parcheggiatore, ci dispiace tanto, ma da noi non avrai un soldo. Vedi quella macchina lì? È una Enjoy. Vuol dire che è del comune, tipo. Non ti darò del danaro per impedirti di ammaccare orrendamente un’auto non mia. Quindi salutaci pure con aggressività e tracotanza, ma non ci farai cambiare idea. Sfrisala pure, sai che me ne frega. Sfrisa l’Enjoy, accomodati. E salutaci tanto tua sorella.
Per celebrare la vittoria sul potere intimidatorio della delinquenza, ci siamo ingozzati di carbonara e ci siamo fatti lasciare il menù, perché era meglio di un romanzo da top10 Nielsen.
Fuori dal ristorante c’era un gatto grigio molto simpatico. Purtroppo per lui, non avevo in tasca delle polpette al sugo.
A Trastevere ho visto una delle cose più strabilianti di sempre. Una MONTAGNA di sampietrini. Ci siamo messi lì – con le scarpe vecchie di Amore del Cuore in un sacchetto di carta e un gin tonic da studenti dallo stomaco di ferro in mano – ad ammirare questo cumulo incomprensibile di pietra smossa. Era alto tre metri buoni. Poeticissimo e solitario.
E comunque, anche a Roma fa freddo.
SELFI?
Un’altra roba che ho imparato a Roma è come funziona il Pantheon. Il Pantheon – oltre ad essere un posto dove si seppellisce la gente importante – è anche un edificio con un buco. La cupola ha questo foro in cima, largo ben nove metri. Come ogni bambina piccola, mi sono subito domandata MA CHE COSA SUCCEDE QUANDO PIOVE?
Amici, c’è un cartello che lo spiega. Non è bellissimo? Dopo un’infanzia trascorsa a sentirci rispondere perché sì, trovare un cartello capace di prenderci per mano e scacciare l’ignoranza è qualcosa di utile e semplicemente miracoloso.
Niente, capita così. Il pavimento del Pantheon, proprio sotto all’apertura circolare, ha ben 22 buchi per far defluire l’acqua.
Tutto lì.
E viva il re.
Non mi ricordavo, invece, che il Mosè andasse a gettoni. La chiesa di San Pietro in Vincoli è un luogo di raro interesse strategico, ma non è che sia il massino dell’allegria. Sobria. Scura. Quasi lugubre. Solo che, magimagia, in un angolo c’è la tomba di quel gran filibustiere di Giulio II, presidiata da una delle sculture più arroganti mai scolpite da Michelangelo. In quella chiesa lì c’è così buio, però, che per far riemergere il Mosè dalle tenebre devi buttare un euro in una macchinetta. La luce si accende e, finalmente, si può gridare PERCHÉ NON PARLI alla statua giusta. Sgomitando.
Chiedendoci come sia possibile impedire alla gente di scavallare quando c’è qualche concerto/manifestazione/HAPPENING/corsa delle bighe al Circo Massimo, poi, ci siamo arrampicati fino al Giardino degli Aranci. Ai piedi della collinetta c’era un raduno di Maggioloni vintage. In cima alla collinetta, invece, tra roseti e siepi d’ortica, c’era una signora che suonava l’arpa. I piccioni del Giardino degli Aranci sono i più vitaminici d’Italia, i gatti sono floridi e c’è pieno di coppiette che limonano.
Sempre là per aria, in una piazza piena di sole, c’è l’attrazione più surreale di Roma. È il buco della serratura del quartier generale dei Cavalieri di Malta. Ci si avvicina a questo portone verde, si guarda nel buco della serratura e – PERDIANA – appare il cupolone di San Pietro, in fondo a una galleria alberata. Non ho idea di tutte le faccende ottiche che ci siano dietro, ma l’effetto è un po’ quello della camera oscura. O di un cannocchiale comprato a Diagon Alley.
SELFI?
No, grazie. Preferiamo la carbonara. Fa niente se l’abbiamo mangiata anche ieri sera. E preferiamo anche stare a sentire i due magnifici ottantenni del tavolo accanto che complottano per farsi offrire un altro giro di grappette digestive senza fare la figura dei morti di fame.
Amore del Cuore, bisogna dirlo, ha fatto un errore madornale. Ha osato chiedere al cameriere che cosa dovevamo aspettarci dai primi. Le porzioni sono abbondanti o conviene pigliarne direttamente una in più? Offesissimo, il signor cameriere non l’ha più preso in considerazione per l’intera durata del pranzo. Siamo quasi morti di sete. E ben ci stava. Entriamo da Perilli e mettiamo in discussione le porzioni.
Per umiliarlo definitivamente – e peggiorare il nostro già considerevole livello di disidratazione – l’incorruttibile cameriere ha sbattuto davanti al mio sgomento consorte una ZUPPIERA di rigatoni. (Lo sappiamo, lì funziona così… ma in quel momento mi è sembrato un gesto di immensa coerenza).
Lo perdoni, distinto cameriere. Non è cattivo, è solo un po’ milanese.
Visto che non entravamo in un luogo sacro da circa venti minuti, ci siamo coraggiosamente spinti fino a San Giovanni in Laterano, dove i santi fanno i gradassi. San Giovanni in Laterano mi sa che è la mia basilica preferita. È un posto che riesce a far sembrare borioso anche San Bartolomeo, un personaggio così affabile da accettare la morte per scorticamento. I santi di San Giovanni sono dei supereroi, in pratica. Abitano dentro a nicchie ciclopiche, in un gran turbinare di vesti, barbe ricciolute e sopracciglioni aggrottati. Per dire, San Pietro ha in mano delle chiavi grosse come una Smart. L’abside somiglia alla sala del trono di Minas Tirith. L’aquila da compagnia di San Giovanni è un triceratopo… e uno di questi giorni dovrebbe mollargli la caviglia, saltare giù dal piedistallo e spazzare via dalla navata centrale tutte le orripilanti seggiolette di plastica che la infestano.
Presto, che qualcuno organizzi un crossover Marvel-San Giovanni in Laterano!
Nel frattempo, di fronte al Colosseo, minuscole spose cinesi col bolerino di pelliccia sintetica si facevano fotografare in compagnia di un vasto parentado. E gli sbirri suonavano l’inno di Mameli. Il Colosseo è un inferno. L’unico modo per non avere dei bragaloni che pascolano in mezzo alle tue volenterose fotografie è puntare all’immensità del cielo. E lanciarsi coraggiosamente su spigoli sbilenchi e scorci bizzarri che, lì così, non vogliono dire proprio niente.
http://instagram.com/p/zFciXjldCJ
http://instagram.com/p/y-Sa0sFdNo
Mi spiace dover concludere con tutti questi vigili, ma abbiamo proprio finito. Annichiliti dal torcicollo per aver cercato di ammirare troppo a lungo la volta della Cappella Sistina – la volta è il Sole, noialtri siamo Icaro – e tirandoci dietro dei borsoni sprovvisti di rotelle, ci siamo nuovamente imbarcati su un Frecciarossa. Il maledetto convoglio – ben sapendo che di domenica sera non abbiamo mai una cippa da fare, a parte intristirci – è arrivato in perfetto orario, senza regalarci nemmeno un po’ d’emozione. E no, amici delle rotaie roventi, per le sciagure subite mentre si viaggia con un biglietto-premio non è previsto alcun genere di rimborso.
La prossima volta – perché con Roma non può che esserci una prossima volta, più o meno all’infinito – si va a Rebibbia a cercare il mammut. E si farà il possibile per entrare in San Pietro a esultare sotto le tombe megagalattiche dei papi… quelle un po’ nascoste, immense, contorte. Quelle fatte col marmo nero degli incubi. Piene di scheletri, falci giganti e terrori senza nome.
Pepperepé.
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Ringraziamenti
Grazie ad Andrea per aver vegliato su Ottone von Accidenti mentre eravamo a spasso.
Ma Amore del Cuore ti ha pagato le crocchette al salmone? Non esiste che il nostro gatto mangi a spese tue, anche se sei il suo zio preferito.
Grazie ad Alberto, che ha smarrito una tessera del Car2Go per l’emozione di poterci incontrare a Trastevere.
Grazie a Fabiola per le preziose indicazioni da creatura autoctona che sa moltissime cose. Se abbiamo mangiato tutte quelle carbonare è soprattutto merito tuo.
Grazie a Canon per la Powershot G7x che ho finalmente potuto sperimentare per bene – nonostante lo scarso talento. L’avrei fatto prima, ma ho passato le vacanze di Natale all’Ikea. Tutte le foto di questo post (ma così come sono, proprio) vengono dalla strabiliante macchinetta, anche quelle di Instagram.
E grazie a Giuseppe – Salvatore di Tegamini – per averci affettuosamente invitati a vagare insieme. Se non ci siamo visti è solo colpa di Alberto. Come al solito.
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Per chi fosse ancora lì (in attesa della scena post-credits), ecco un gatto.
http://instagram.com/p/y4ycL3ldOP