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tegamini

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Che c’è di meglio di una bella newsletter che t’avvisa delle promozioni nei negozi, degli allegri sconti pre-saldi, dell’arrivo delle nuove collezioni e di qualche gradevole concorso, che magari con una sana botta di culo due stracci gratis riesci pure a portarteli a casa?
Ecco. Credo che me ne arrivino millemila, di newsletter della moda. Dalla meraviglia di quelle di Miu Miu (che ho seriamente pensato di abbandonare perchè ogni volta che ne apro una mi fa male il cuore) alle giocose cretinate di Diesel (tipicamente, c’è un tizio in spiaggia che si riempie le mutande con delle palettate di sabbia gridando BE STUPID), è tutto piuttosto utile, carino a vedersi e spesso interessante per il portafoglio.
E poi, là dove il più nero degli abissi inghiotte una tragedia, ci sono le newsletter di Comptoir des cotonniers.

Ora, non so perchè tutto questo stia capitando e quali difficoltà affliggano questo elegante e amenissimo brand, ma ogni volta riescono a stupirmi con nuovi strafalcioni e inopportunità lessicali. A parte che se scrivi per due volte veluto invece di velluto vuol proprio dire che pensi di aver ragione te – e il problema diventa all’improvviso molto più grande -, ma la newsletter di Comptoir des maccherons trabocca di stupidaggini e bizzarri ibridi semantici che un po’ fanno ridere e un po’ ti fanno venire voglia d’invocare il dio Anubi, cane per metà.

Ma andiamo con ordine, che poi magari sono io che mi scandalizzo per niente.

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A parte il look ARTY BORGHESE – che è, per una figlia di papà coi pantaloni macchiati di vernice e un fazzoletto in testa? Per una signora ricca che si diverte a farsi mantenere mentre dipinge patacconi senza speranza? È un incoraggiamento all’acquisto aspirazionale dedicato al target proletario? -, ci avete mandato una newsletter, non un invito a palazzo. Che bisogno c’è di specificare “all’attenzione della signora“? Cosa pensano, che qua abbiam tutte la cameriera Esmeralda che ci controlla la posta in arrivo?

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Quel che so per certo è che i stilisti anelano banner ben curati. Poi possiamo anche andare tutti in giro nudi, al gelo.

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Fate largo, passa il pantalone più tendenza!

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Questa è una perla immortale.
INEVITABILE TWEED.
Non puoi sfuggire al tweed. Tenace come una blatta germanica, il tweed t’inseguirà per mari e monti, ti toglierà il sonno, importunerà i tuoi discendenti e verrà a incastrarsi in ogni interstizio della tua esistenza. Il tweed, lo stalker dell’autunno-inverno 2012.
Rassegnamoci al nostro destino, il tweed è inevitabile.

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Insomma, che dire. Auguro ai Cotonniers di ripigliarsi con celerità, perchè sfornano bei vestiti e non è saggio che perseverino con questo scempio settimanale. Coraggio gente, basta anche solo un Piccolo Palazzi.
E vi dirò di più, per contribuire all’assunzione a tempo indeterminato di qualcuno che conosca almeno cento vocaboli della lingua italiana, sono andata in visita al negozio di Torino e ho comprato una sciarpa molto allegra e questo bel maglione da dio Loki. Molto meglio del dio Anubi, patrono delle newsletter sbilenche.

 

PS. In realtà, la mia solidarietà è grande. E l’arte del refuso divertente è nobilissima. Per dire, una volta ho lasciato in una newsletter “IL PRINCIPE SPENDENTE” al posto di “IL PRINCIPE SPLENDENTE”. E son stati bei momenti.

 

 

Appena l’aveva vista, Robbie si era sentito martellare il cuore in petto come la prima volta in cui aveva azzoppato una volpe.

Stefania Bertola
Romanzo rosa
Super ET – Einaudi

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Dunque, in questa difficile estate, Christian Grey ha sculacciato così forte la sua derelitta partner da farci diventare tutti quanti sordi.
Personalmente, non ho avuto il piacere di ammirare nessuna delle cinquanta sfumature che sembrano comporre la complessissima e sfaccettata psiche del sadico – ma irresistibile, misterioso, affascinante, instancabile, superdotato, indomito e bello bello in modo assurdo – milionario di E.L. James, che il cielo la perdoni, nè ho tentato di documentarmi più del necessario. Quel che ho capito è che c’è una semprevergine ventenne che va a intervistare il Grey per il giornaletto dell’università e, senza manco accorgersene, dopo tredici pagine si ritrova incatenata alla zampa di un leopardo imbalsamato, nelle segrete di una qualche lussuosa dimora. Mentre è lì attaccata al leopardo – nuda, bendata e con le articolazioni sbriciolate – il Grey le gira intorno tirandole addosso secchiate di cera bollente, puntine e ghiaietta. Tra un’ustione e l’altra, Anastasia viene trombicchiata, malmenata, presa a parolacce e buttata in una cassapanca piena zeppa di furetti deformi. Perchè quel che non ti ammazza t’ispira durante l’accoppiamento.
Comunque, pare che i due si amino di un sentimento cristallino e sfavillante e che ora vivano felici in una mirabile villa nelle immediate adiacenze del pronto soccorso… e a me non potrebbe che far piacere. Insomma, alla fin fine gli sganassoni se li prende lei, chi siamo noi per polemizzare.
Nel rispettare con cortesia e benevolenza l’edificante storia d’amore e pedate nelle costole di Christian e Anastasia, però, non riesco bene a comprendere come si possa affrontare con serietà e autentica partecipazione emotiva una faccenda del genere.
Perchè io la vedo esattamente come Stefania Bertola, e non saprei fare altrimenti.

Giovanna ha problemi con il suo Hot Fire. Vorrebbe iniziare subito con una scena hard, ma Leonora Forneris le ha bocciato un semplice atto di sesso orale praticato dalla protagonista, Olean, nei confronti del protagonista, Kosak. Leonora obietta che al sesso orale ci arriveranno non prima del terzo o quarto capitolo, e che nel frattempo al massimo possono avere un rapporto solo apparentemente casuale nel deposito bagagli della nave da crociera su cui entrambi viaggiano. Solo apparentemente casuale perchè in seguito nessuno dei due potrà dimenticare quel momento, e questo impedirà a lui di sedurre, come programmato, la presidentessa della Indusrials Union del Canada.
– Che faccio? Lui la rovescia su una Samsonite?
– Troppo dura. Fai uno zaino.

Romanzo rosa è un piccolo libro immensamente spassoso. C’è questa bibliotecaria di quasi sessant’anni che decide di frequentare un corso del Circolo dei Lettori per imparare a scrivere un Melody. Ed è una poco abituata ad essere travolta dall’impeto della passione… quando proprio si emoziona è perchè va a mangiare al Flunch con la sua vicina di casa, che la sconfigge sempre a canasta. Insomma, va a questo corso. L’insegnante è la celeberrima Leonora Forneris, maestra del Melody e gran signora, una che si veste con colori mai sentiti, tipo l’ardesia. Nel libro ci sono la storia del corso, le dispense della Forneris (con dettagliate istruzioni su come strutturare un glorioso Melody capitolo per capitolo) e il romanzo della signora Olimpia.
Bene. In due diversi punti ho distintamente pianto dalle risate. E la sera che l’ho letto ho scordato che dovevo lavarmi i capelli ed è finita che ho dovuto rimediare alle tre di notte, in uno sconvolgimento totale di bioritmi. Insomma, sarebbe importantissimo prendere la signora Bertola, vestirla tutta di rosa confetto e mandarla a soccorrere le vittime di Christian Grey, che farsi una sonora e intelligente sghignazzata sui luoghi comuni è decisamente più salutare che farsi sfigurare a sberloni – anche se pieni di romanticismo – da giovani uomini con insondabili disordini della personalità.
E poi l’ardesia è la più nobile delle sfumatura di grigio.
Leggetevelo, valà, vi allungherete l’estate… e capirete che forse avete sbagliato il libro da spiaggia.

 

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Da piccola piccola dormivo a stella marina, con le braccia per aria, fuori dalle coperte. Ad un certo punto, però, ho avuto molta paura e ho iniziato a dormire a siluro, con le braccia lungo i fianchi, le gambe strette strette e la coperta fin sul naso. Il siluro ha perseverato per buona parte dell’infanzia e per tutta l’adolescenza, salvo episodi di grave e scomposta ubriachezza. Poi sono andata a vivere da sola, in una casa molto silenziosa. A dormire quasi sempre da soli, in un letto matrimoniale di una casa che sai benissimo che non diventerà mai casa tua e pure in un’altra città, si peggiora. Il siluro è diventato un bruco e ho cominciato a dormire di fianco, arrotolata al secondo cuscino, o usando il secondo cuscino come una diga. Delle mattine mi svegliavo con le coperte di tutte e due le piazze sulla groppa e un ginocchio sotto l’ascella. Mi ricordo che in quella prima casa avevo paura della ventola, perchè gracchiava in momenti che non avevano senso, parecchio dopo che ero stata in bagno. Poi capitava che ci fossero delle falene grossissime che iniziavano a sbatacchiare tra il lampadario e il soffitto, solo che lì distesa al buio non lo sai che è una falena, pensi che è una cosa emersa dal più profondo e sconfortante dei pozzi del caos e ci metti un quarto d’ora a decidere di andare a vedere, brandendo una racchetta da tennis. Se lì, con solo una mano fuori dalle coperte per trovare l’interruttore della luce e ti domandi se colpendo qualcosa con una racchetta da tennis convenga utilizzare il manico o il telaio. Quando fai due metri e vedi che è una falena, poi, capisci che ha più senso se vai a prendere uno strofinaccio.
In questa seconda casa, invece, mi sono trovata meglio, perchè c’è il traffico. Anche chiudendo le persiane e la finestra, rimane il sottofondo di binari del tram e di macchine che ribaltano in pieno i tombini. C’è anche un portone pesantissimo che sbatte sempre, tipo ponte levatoio pieno di tarme, e parecchia gente che credo percuota il proprio cane mentre lo porta fuori a concimare la pista ciclabile, perchè questi cani fanno molti versi un po’ allarmanti. Nonostante il sottofondo, un po’ d’arancio del lampione e tutte le cose mie che avevo finalmente intorno senza troppa provvisorietà, però, le braccia ho continuato a tenerle sotto la coperta, in ogni tipo di stagione. L’estate è rassicurante, perchè ti sembra che la luce riesca a rimanere nell’aria più a lungo, ma l’inverno è meglio, perchè il piumone sconfigge il lenzuolo quando gli pare. E’ molto più corazzato, il piumone.
Poi mi sono innamorata davvero e sono due anni abbondanti che quando vado a letto ritrovo le braccia dove le avevo lasciate quand’ero piccola. Solo che adesso può succedere che si addormentino anche loro, messe lì sopra la testa. Fa piuttosto ridere, anche, soprattutto quando si addormentano tutte e due. Quando te ne parte uno solo non è grave, usi il braccio buono per agitare in giro quello che non ti senti più, ma quando ti partono entrambi ti devi mettere a sedere, puntarti i gomiti nella pancia e buttarti giù di schiena sul letto, tirandoti dietro tutte le braccia. Capita che ti arrivino due mani morte e formicolanti in faccia, ma lo fai un paio di volte e sei a posto, anche se non ti senti proprio benedetto dall’intelligenza. Comunque, ora non importa più dove sono, o la stagione, i motorini smarmittoni o i gatti arrabbiati o il silenzio più spaventoso, perchè dormire con le braccia fuori mi sembra una grande fortuna. Mi fa idea di famiglia, con tutti i bozzoli e le cose felici che ci sono dentro. Mi fa pensare che probabilmente sono dove dovrei essere. Mi fa casa, proprio.

Saltelliamo sul posto con inaudito entusiasmo, perchè gli animali tornano a fissarci con intensità!
Dopo il miracoloso alpaca, il narvalo spezzacuori, il provocante babirussa, quella cretina della sula e l’agghiacciante nerita peloronta, Gli animali ti guardano – la rubrica che salverà l’etologia moderna – ci delizia con una nuova bestia del mare, il gelatinoso clione, meglio (e più correttamente) conosciuto come Sea Angel (feat. Pitbull).

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o triste abitatore della terraferma, fluttua con noi, squiiiiiiiiii!

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Tecnicamente, l’angelo di mare è un gasteropode. Da qualche parte nel bel mezzo della magia dell’evoluzione, una lumaca ha perso il guscio ed è cascata in mare. Ben conscia di andare a fondo come una pietra, la nostra lumaca sgusciata ha pian piano cacciato fuori delle pinnette e, tanto per non essere individuata a milioni di miglia di distanza, è impallidita fino a diventare trasparente. La trasparenza, c’informano alcuni studi in gran parte apocrifi, sarebbe anche sopraggiunta a causa degli innumerevoli spaventi patiti dall’angelo di mare agli albori della sua esistenza subacquea, quando ancora aveva qualcosa in comune con le bavose lumache mangialattuga e non aveva la minima idea di cosa fare nell’immensità dell’ostile oceano.
Mai poi tutto è finito bene.
Gli angeli di mare sono una grande famiglia. Presenti a quasi tutte le latitudini (dal circolo polare alle acque danzerine dell’Equatore) possono raggiungere l’imponente lunghezza di cinque centimetri e sono strenui sostenitori di un modello esistenzial-economico a metà tra l’autarchia e la società schiavistica. Orgogliosamente ermafroditi, i Sea Angels sparpagliano uova a spruzzo e ci saltano in mezzo per fecondarle, senza una preoccupazione al mondo. Oh, dove sarà la metà del mio cuore, il clione della mia vita? Perbacco, ma sono sia maschio che femmina, a che mi servono queste scemenze romantiche, amerò me stesso nell’immensità del mare! La servitù della gleba, invece, subentra sul fronte alimentare. Non si sa bene come, ma i Sea Angels sono riusciti a convincere una specie a loro molto somigliante – le ghiotte farfallette di mare – a seguirli ovunque, come un carrello da buffet con le ruote. E così, senza manco un po’ di sudore o strategia predatoria, i Sea Angels vivono in armonia col loro cibo, che divorano con efficienza senza pari: dotati di boccuccia uncinata, i piccoli bastardi arpionano le farfalle di mare e succhiano il contenuto del loro fragile esoscheletro come ragazzine col Calippo, per poi tornare a fluttuare serafici in placide lagune increspate dai loro ruttini soddisfatti.
Ora, perchè la farfalla di mare si fa trattare così? Cosa la spinge a farsi svuotare le interiora da un dispotico e fluorescente mostricciattolo, senza opporre la minima resistenza, senza buttare in piedi una qualche manifestazione di protesta, senza uno straccio di sollevazione popolare?
La verità è che la farfalla di mare è vittima dei poteri ipnotici del Sea Angel. Per farvi capire, c’è pure un video dall’inestimabile contenuto didattico (con speaker già del tutto assuefatto).

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Guardare un Sea Angel in movimento spappola il cervello. Quelle adorabili pinne ad aluccia. Quell’ondeggiare pacifico e silenzioso. Quel ritmico frullare e andare alla deriva. E ciao, lobotomia, sistemi nervosi disgregati, bava alla bocca e occhio a palla.
Ma pensiamoci. Perchè magari non riusciremo a salvare le farfalle di mare dalla voracità dei Sea Angels, ma potremmo trasformarli in un business più redditizio delle pompe funebri.
Quel che servirà per cominciare è un acquario speciale per clioni. Costa 1500 dollari, ha le istruzioni solo in giapponese ed è l’unico recipiente che non ammazzerrà i vostri malefici Sea Angels, ma saranno soldi ben investiti… che diamine, dov’è il vostro spirito imprenditoriale. Perchè i clioni e le loro proprietà ipnotiche vi renderanno più ricchi di Gordon Gekko. Come? Ecco una pratica lista di possibili attività clioniche milionarie.

– pagate da anni una tata ubriacona o una giovane babysitter irresponsabile che passa le sue serate sul vostro divano mentre le creature che avete messo al mondo picchiano ripetutamente la testa contro gli spigoli senza che nessuno intervenga a salvarle? Tutto questo è superato, perchè i vostri bambini non avranno più bisogno di essere guardati a vista da gente che se ne frega: con i Sea Angels, l’incubo dell’iperattività potrà essere finalmente debellato. E poco importa se avete promesso un cagnolino in regalo, una bella tanica di clioni è quello che serve davvero a ripristinare la concordia in famiglia. Prendete i vostri figli, sedeteli davanti all’acquario e andate a farvi il giro dei bar… al vostro ritorno li troverete dove li avete lasciati, catatonici, mansueti e adorabili, pronti per andare a nanna come sacchi di patate.
Più economici di una tata (e sicuramente più intonati all’arredamento): Sea Angels, le babysitter del domani!

– l’open-space vi sembrava una grande idea, ma siete stanchi di guardare i vostri dipendenti che agonizzano in minuscoli cubicoli sotto la luce cimiteriale del neon? C’è gente che si alza in piedi e grida all’improvviso, ormai del tutto incapace di contenere la propria ansia tra quelle tre sconfortanti paretine piene di foto delle ferie e margheritoni a calamita? C’è agitazione e scoglionamento? Quello che vi serve non è una nuova macchina del caffè, ma un bell’acquario di clioni! Studi scientifici dimostrano che la produttività degli uffici che godono del benefico influsso dei Sea Angels è del 24,6% superiore rispetto agli spazi di lavoro tradizionali.
Regalate un’oasi di pace ai vostri impiegati, perchè un dipendente sereno è un dipendente più efficiente. Vasche per clioni, ora anche nel formato panoramico da dieci litri, per un open-space davvero a misura d’uomo!

– c’è la crisi, ci si agita e ci si allarma. E drogarsi è sempre più costoso, nonchè complicato dal punto di vista dell’approvvigionamento e delle rogne legali. Volete qualcosa che vi asfalti e vi aiuti a non pensare tutto il tempo al disastro della vostra esistenza? Buttate gli ultimi soldi che vi restano in una solida fornitura di Sea Angels. Placheranno i vostri sbalzi d’umore, vi stenderanno come la morfina e, nell’annullare le vostre capacità cognitive, risparmieranno il resto dei vostri organi dallo scempio.
Stupefacenti Sea Angels, nella variante strobo-acquario per un’esperienza piacevolmente allucinatoria!

Ma c’è di più. Sea-Angels antisommossa (la folla è in subbiglio? Mandate avanti una squadra di agenti con pettorine trasparenti, piene zeppe di clioni… e tutto quello che dovrete fare dopo sarà passare per strada con una benna e raccogliere i manifestanti rintronati), Sea-Angels per trasporti in ritardo (stufi dei pendolari inferociti? Vasche di clioni per stazioni!), Sea-Angels da diversivo (volete copiare ma la professoressa vigila con troppo zelo? Proponete l’acquisto di un acquario di classe!).
Diavolo, quei maledetti cosi sono il business del domani… e c’è pure una solida componente di social responsibility (liberiamo le farfalle di mare dal vorace giogo dei Sea Angels!) che piace tanto agli investitori. Insomma, ci sarà pure un qualche fondo dell’Unione Europea a cui potremmo appellarci per buttare in piedi una società per l’allevamento e la distribuzione di clioni. Già me la vedo, la quotazione in borsa, l’attico su Park Avenue, la cabina armadio retroilluminata. Un sogno, qua c’è un sogno! Porteremo gli invertebrati alle masse!
…e poi, sono così carini.

 


sono Spider-Man. e la tutina mi dona immensamente!

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Dopo avervi variamente deliziato con la delirante guida al fangirling degli Avengers, Tegamini torna a pascolare nella sempre avvincente prateria Marvel con il primo capitolo del molto necessario – o forse no – reboot della saga di Spider-Man, il supereroe più amato da chi rompe gli occhiali e li riappiccica con lo scotch.

Ora, la precedente trilogia non era partita male… ma si era conclusa con un disastro d’imbarazzanti proporzioni. Da una incoraggiante battaglia con Willem Dafoe che rideva a crepapelle a bordo di un aliante, il carrozzone si era spostato sul dottor Octopus di Alfred Molina – che non avrà avuto i capelli a scodella, ma era comunque davvero spiacevole da vedere – per arenarsi definitivamente in un insensato putiferio di Uomini Sabbia, abbozzi di Venom e James Franco volanti. Che poi James Franco sa fare tutto. Scrive, dipinge, recita, sceneggia, fotografa, si sega via le braccia. Di certo può anche fluttuare, ma ora chi se ne importa. Un po’ per l’assurda carloneria dell’ultimo episodio della saga e un po’ perchè Tobey Maguire perseverava nel ricordare a tutti quanti che lui al casting l’aveva detto che non sarebbe improvvisamente diventato longlineo e simpatico, si decise per una subitanea soppressione del franchise in attesa di tempi migliori. Insomma, speriamo che la gente si dimentichi di quello che è appena successo e vediamo se si può buttare in piedi qualcosa di più dignitoso, prima o poi. Ma che dite, ci proviamo dopo gli Avengers? Insomma, gli Avengers è così straordinario che anche se Spiderman fa un po’ schifo potrebbero non prendersela troppo. Massì, valà. Ed eccoci qui, sull’onda del generalizzato entusiasmo supereroistico con un nuovo Peter Parker, una nuova fidanzata, una zia May di svariati decenni più giovane e la saggia decisione di riavvicinare in qualche modo Spider-Man al suo originale fumettistico.

Che dire. The Amazing Spider-Man (o come qualcuno appena uscito dal servizio militare mi ha fatto trovare scritto sul biglietto del cinema: Spider-Man, The Amazing) non è una roba spiacevole, ma non mi ha nemmeno spettinata dall’entusiasmo. Ha il gigantesco svantaggio di dover per forza ripassare per roba che le moltitudini hanno già visto – e il ragno morsicone, e la strabiliante rivincita scolastica, e la morte con tonnellate di sensi di colpa dello zio Ben, e come mi faccio il costume, e caspiterina, so andare sui muri! – e la grande sfortuna di una sceneggiatura scaturita dalla mano sinistra di un opossum. Insomma, ci sono momenti che ti fanno esclamare “santo il cielo, questa è una cosa che direbbe Spider-Man!”, ma poi capita qualcosa di patetico che ti fa fare le bolle dentro al bicchiere della cocacola. Gwen, ti arpionerò una natica con la mia ragnatela, affinchè tu possa teatralmente finire tra le mie braccia! Ma anche, spero non ve ne accorgerete, ma qui smadonniamo da mesi per evitare assonanze con “da un grande potere derivano grandi responsabilità”, accidenti a quelli del primo film che si sono fatti venire una buona idea e adesso siamo qui nelle code di lucertola fin sopra i capelli. Insomma, pochi momenti davvero divertenti – tutti nel trailer o nei dieci secondi del mirabile cameo di Stan Lee – e un gran girovagare tra disperazioni, scienziati pazzi monodimensionali e la zia May che ha solo bisogno che qualcuno le vada a comprare le benedette uova.

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Quel che funziona – al di là di quello che gli tocca dire – è l’adorabile e adattissimo Andrew Garfield. A parte che non ci si spiega come faccia ad avere tutti quei capelli e che è molto gradevole da guardare mentre sgambetta in tutina rossa e blu, il Garfield è un buonissimo Peter Parker. Non so ancora che cosa lo spinga a vestirsi come Sheldon Cooper e come faccia a guarire spontaneamente da una ferita d’arma da fuoco al quadricipite femorale (esiste, il quadricipite femorale?), nè come possa sopportare il pendolarismo Queens-Midtown per andare a scuola tutte le sante mattine, ma mi è piaciuto… e si fa pure gli stunt da solo, come un cercopiteco del circo. Insomma, incoraggiamenti al Garfield e alle sue chiappette d’oro, sperando che le qualcuno riesca ad aggiustare un po’ il tiro sulle sbruffonaggini di Spider-Man – che dovrebbero risultare ironiche e spassose, invece che un po’ strane e imbarazzanti – e a fargli dire tre sillabe in più quando non è in costume. Per il resto, può continuare a stagliarsi sulla skyline e a vantarsi dei suoi piacevolissimi deltoidi.

Di Gwen e Lizard onestamente ci si riesce ad interessare poco, e non per colpa loro, poveroni. Emma Stone, a parte le parigine un po’ da studentessa sadomaso e la posa statica con pila di libri al petto, non è che sia memorabile… ma le riconosciamo il merito di essersi almeno fidanzata col Garfield e di aver conquistato un posto alla Oscorp ancor prima di finire il liceo, roba che se andava a far domanda Keplero gli dicevano di prendere la porta dei fattorini. E il dottor Connors? E’ diventato un cattivo scarso, come capita in quasi tutti i film di Spider-Man. Sarà che Spider-Man ha così tanti problemi da finire per occupare pure lo spazio degli altri, ma il vecchio rettilone riesce a toccarci ben poco il cuore e il suo bislacco piano finale di trasformare gli abitanti di Manhattan in lucertoloni verdi ci piove un po’ in testa. Sai che c’è, oggi diventate tutti quanti lucertole! I cattivi devono avere il tempo di macerare nei loro tormenti, soprattutto se non decidono di dedicarsi a una vendetta ben circoscritta. Un cattivo idealista tipo Lizard non puoi farlo arrampicare su un traliccio e sperare che ci aggradi, così, perchè è preso bene con l’erpetologia e s’è chiuso in una fogna a farsi ricrescere un arto monco. Che diamine, qua c’è gente quasi sofisticata.

Comunque, credo sia praticamente impossibile imbroccare uno Spider-Man. C’è sempre qualcosa che manca, roba strana nel posto sbagliato e l’affannosa ricerca – spesso fallimentare – di introdurre qualche innovazione nelle oscillazioni del nostro supereroe tra un grattacielo e l’altro – sbattetelo in mezzo alle casette del Village, voglio vedere che fa -, insomma, ancora non mi va bene. C’è Garfield dal gluteo aureo, è vero, ma il miracolo è ancora ben lungi dal capitare. E al quarto tentativo inizio un po’ a perdere le speranze. Ridere si ride poco, epicheggiare si epicheggia poco, il cattivo è solo grosso e manesco e la storia d’amore è molto tenera, va bene, ma non siamo mica qui per limonare.


Le renne non sono originarie dell’Islanda, ma vi furono importate tra il 1770 e il 1778. Il mostro più famoso dell’Islanda è il serpente di fiume Lagarflijòt dell’Egilsstadir. Il primo tentativo del mondo di frenare una colata lavica con l’acqua fu portato felicemente a termine nel 1974, durante l’eruzione delle isole Vastmannaeyjar. In Islanda non ci sono nè ferrovie nè treni. Il campionato del mondo di bridge fu vinto nel 1961 dalla nazionale islandese. Il nuoto è meteria obbligatoria per tutti nelle scuole elementari. Il merluzzo più grande mai pescato in acque islandesi pesava 50 chili, mentre il più grosso salmone mai catturato con la lenza era lungo 130 centimetri – fu pescato nel 1992 nel Bakkaà, aveva undici anni ed era immangiabile.
Oltre al mitologico serpente di fiume, alle renne d’importazione e ai merluzzi affetti da gigantismo, in Islanda c’è anche Auður Ava Ólafsdóttir, autrice di Rosa candida, un romanzo di rara e piacevolissima morbidosità.

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– Le verdure non sono mai state la mia passione, mio caro Lobbi. Piuttosto erano il pallino della mamma. Io riuscirei a mangiare al massimo un pomodoro alla settimana. Quanti pomodori hai detto che può dare ogni pianta?
– Almeno prova a regalarli.
– Non è che posso bussare di continuo alla porta dei vicini con i miei pomodori in mano.
– E se li dài a Bogga?
Glielo domando anche se ho il sospetto che la vecchia amica della mamma abbia gli stessi gusti di papà.
– Non ti aspetterai mica che vada a trovarla tutte le settimane con tre chili di pomodori. Insisterebbe per farmi rimanere a cena.

Dunque. Lobbi ha ventudue anni, un padre affettuoso e goffo che si ostina a cucinare anche se non è troppo capace, un fratello gemello autistico che non dimentica mai di indossare la cravatta e un talento autentico e pacifico per il giardinaggio, ereditato dalla mamma. Questa mamma, morta da poco in un incidente stradale, riusciva a far crescere gli alberi anche nello stravento ed era il tipo di donna straordinaria che esce di notte per andare a lavorare in pace nella sua serra super lussureggiante. Lobbi, alto, secco, coi capelli rossi e una sbilenchissima prospettiva sul mondo e gli altri esseri umani, passa parecchio tempo nella serra… ci va a leggere, a studiare le piante, a pensare e a fare l’amore con amiche di amici. Quando ci finisce con Anna, però, l’effetto imprevedibile di quelle poche ore trascorse insieme sarà una bambina bionda, curiosa e tranquilla. Lobbi non sa bene che cosa pensare. All’inizio la risolve imbarcandosi per qualche mese su un peschereccio – vomitando l’anima – e decidendo, una volta tornato in Islanda, di accettare un lavoro da giardiniere in un paese del Nord Europa dove non c’è lava congelata da tutte le parti e le rose possono crescere senza sbriciolarsi. E visto che con Anna non è che si stia proprio insieme, anzi, Lobbi compra un po’ di pigiamini per Flòra Sòl, saluta tutti quanti e inizia il suo viaggio verso il lontano giardino. L’avventura inizia con un attacco di appendicite, prosegue con un istruttivo tragitto in macchina e s’ingarbuglia in difficoltà linguistiche – che Lobbi risolve parlando a tutti di piante, possibilmente in latino -, fino all’approdo al monastero e al suo leggendario roseto, ormai invaso dai rovi e reso opaco dal decennale menefreghismo degli anziani frati. Tra un’aiuola, un bicchierino con padre Tommaso – appassionato di cinema d’autore – e il costante tentativo di far capire a chi vede la foto che Flòra Sòl ha tutti i capelli che dovrebbe avere una bambina di nove mesi, Lobbi cerca di fare a patti con la nostalgia e di ricordare che cosa mai l’abbia spinto a finire laggiù. A chiarirgli le idee, o forse ad aggrovigliarle ancora di più, arriva una telefonata improvvisa di Anna, che vorrebbe lasciargli Flora Sòl per qualche settimana, il tempo necessario a portare a termine la sua tesi di genetica…

– Come si capisce se una donna ti ama?
– In amore è difficile essere sicuri di qualcosa, – ribatte l’abate spostando la bambola verso Flóra Sól.
– E se una donna dice di avere paura che il suo uomo non torni piú, ma lui è uscito soltanto a fare la spesa?
– Allora può voler dire che chi ha voglia di andarsene via è lei.
Mentre si rivolge a me, osserva la bambina intenta a giocare.
– E quando una donna sembra assente? Significa che non è innamorata?
– O che è innamorata. Entrambe le cose.
– E se una donna dice a un uomo che è meglio che lui non s’innamori di lei?
– Allora può voler dire che è lei ad amare. Mi viene in mente un vecchio film italiano che magari t’interessa, affronta proprio queste problematiche. Il regista, in realtà, non utilizza quasi per niente i dialoghi: è per mettere in risalto i sentimenti.
– E se lei dice che non si sente pronta per una relazione?
Mia figlia mi passa la bambola pretendendo che le tolga l’abitino di filo.
– Allora può voler dire che lei è pronta, ma dubita che lo sia tu. Quindi teme di essere rifiutata.
– E se lei dice che ha intenzione di partire per starsene da sola?
– Allora può voler dire che desidera che tu la accompagni.
L’abate si alza e inizia a frugare tra le mensole.
– Esiste una carità ragionevole, recitano certi versi, – continua dall’altro lato della stanza, – ma non un amore ragionevole. Se si vivesse con la testa e basta, sarebbe impossibile incontrare l’amore, come sta scritto qui, da qualche parte… – conclude, e so che non si riferisce alla Bibbia.

Allora, il giardinaggio e i neonati sono esattamente i due temi che mai mi andrei a cercare di proposito. Non è il mio genere, non entro in libreria con la smania di leggere un bel romanzo pieno di concimi floreali e concimi prodotti da piccoli esseri umani, non è cosa. E cucinano anche un sacco… in Islanda è un continuo impanare rombi, mentre nel paesino del roseto c’è un gran spadellare tra fettine di vitello e grosse lepri selvatiche. E le confetture, e i budini. Insomma, anche chi se ne importa della salsa al vino rosso. È quindi con grandissima sorpresa nel cuore che v’informo che Rosa candida mi è piaciuto. È un libro che fa le coccole e ti porta a spasso per posti pensosi attaccato a dei palloncini. È una storia fatta di immagini semplici e rassicuranti, spezzetta le difficoltà in mattoncini che si possono controllare… e non ti cambierà la vita, ma di tanto in tanto fa bene farsi raccontare una cosa del genere. Non so poi che rapporto abbiate voi col romanzo islandese, ma a me non era mai capitato di farmi coccolare da un’islandese. Siamo abituati a storie di persone, famiglie, ricordi e compagnia tenute insieme da interminabili dialoghi, arguzie e macro-espedienti narrativi, qua uno si spoglia nudo all’improvviso e per uscire dall’imbarazzo propone di fare il tè. E basta, va bene così.

Insomma, se volete provare al mondo che anche il vostro cuore di ghiaccio è, in realtà, ripieno di morbida lava o se avete bisogno di leggere qualcosa di soffice e felice – per una volta -, Rosa candida vi farà contenti, anche se ammazzate puntualmente pure le piante grasse.

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Linkarama:

Lo speciale sul sito Einaudi

Il board su Pinterest

Per le straordinarie curiosità sull’Islanda si ringrazia il Consolato Generale

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Ci sono molte cose che non capisco. Non capisco come si fa ad andare sui pattini a rotelle e non ho mai risolto un problema di fisica senza demolire con la mia ignoranza qualsiasi genere di teoria su spazio, tempo e moto. Non capisco nemmeno come facciano i soffitti a stare su o per quale motivo gli aerei riescano a decollare, quindi potrete ben immaginare le enormi asperità cognitive che devo ogni volta superare quando inquadrano Don Draper.
Bene.
Per ora ho visto solo le prime tre stagioni di Mad Men, quindi potrei sbagliarmi molto e tanto e potrei anche farvi un po’ ridere perchè qua sapete tutti quanti che cosa succederà mentre a me al massimo è capitato d’inciampare in qualche spoiler mentre mi facevo tranquillamente i fatti miei, ma vorrei togliermi numerosi pesi dal cuore.
Perchè Don Draper è una brutta persona. E quel che è peggio è che fa finta di essere interessante.

A scanso di equivoci, dirò subito che Don Draper è pazzescamente un bell’uomo. Don Draper è il motivo che ha spinto l’universo a inventare i completi giacca-pantalone-camicia-cravatta. A nessuno al mondo stanno bene come a lui. Don Draper è così bello che gli unici muscoli facciali che ritiene valga la pena muovere sono quelli della fronte e delle sopracciglia… e ciao, ovaie, ciao. Rilevantissima, poi, nell’economia morfologica di Don Draper, è anche la sua cospicua massa: Don Draper è un grosso uomo. Alto, con le spallone, solido… tizi del genere sono fatti apposta per demolire dubbi e difficoltà con la sicurezza di una rompighiaccio artica. E se non ci riescono fa lo stesso, perchè si potrà sempre rannicchiarsi a piangere sul loro ampio torace, villoso al punto giusto. Don Draper è ben consapevole della sua vergognosa avvenenza e dell’affascinante ingombro che produce quando mette piede in una stanza e, come ogni bieco opportunista, si comporta di conseguenza. Perchè Don Draper non si siede su un divano, fa draping. E può farlo solo lui, perchè anche mezzo stravaccato e con l’inevitabile accenno di doppio mento che ti esce quando ti metti così, Don Draper ti fa capire che non solo non gliene frega una frolla di niente, ma anche che è così tanto meglio di te da poterti ricevere a pancia all’aria e continuare a fumarti in faccia in tutta tranquillità. E questo vale per gli uomini, perchè le donne vorranno semplicemente essere il divano e continuare a versargli da bere.

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back-draping


front-draping

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Ora, che altro ha Don Draper, oltre alla capacità di essere un figo che fa il figo? Parliamone, perchè qua diventa difficile.
Prima di tutto, mi pare che ci sia dell’invidia. Don Draper alza il telefono e lo ricoprono di dollari. Minaccia di andarsene e lo ricoprono di dollari. Fa una roba bene, senza nemmeno tanto impegnarsi, e lo ricompensano con un bonus d’indicibile sostanziosità. Arriva in ufficio a mezzogiorno e quaranta, s’addormenta in poltrona e scompare quando gli pare. È in grado di propinare qualsiasi tipo di fandonia alla moglie senza che lei sospetti minimamente – per lungo tempo – di essere la più cornificata del Nord America. Maltratta segretarie e sottoposti e non solo nessuno gli dice che è un stronzo, ma tutti continuano a pendere dalle sue labbra e a mettere la testa sul ceppo, pronti per farsela amputare. Non solo, Don Draper talmente poco incline a provare simpatia per qualcuno da spingere orde di personaggi primari e secondari a stendersi sui binari del treno pur di suscitargli anche solo una minima reazione di umana fraternità. Perchè se uno che non sorride mai decide di sorridere a te, vuol dire che hai capito tutto dalla vita.

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non esistono immagini di Don Draper che sorride anche con i denti. È come Posh Spice.

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Ora, invidiamo Don Draper per lo status di pubblicitario luccicante, per la famiglia all’apparenza perfetta e per le macchine via via sempre più sbruffone. E sul fatto che sia bello e ricco ci siamo, ma non so bene decidere se sia anche intelligente. Perchè Don Draper parla poco… e quando parla si esprime per aforismi, distillando perle di pessimismo cosmico che, onestamente, non credo siano poi troppo più interessanti di quello che viene da dire a me o a voi appena dopo aver pestato una cacca di cane mentre si passeggiava coi sandali. Tipo:

You want some respect? Go out there and get it for yourself.

I can’t decide… if you have everything… or nothing.

If you don’t like the conversation, change it.

I hate to break it to you, but there is no big lie, there is no system, the universe is indifferent.

Ecco. Sarebbe ora di sfatare un mito troppo ben radicato: non è vero che ogni volta che uno che parla poco decide di parlare sia solo per dire cose fondamentali e meravigliose. Magari uno parla poco e quando dice qualcosa è per regalarci una cazzata tonante. Non è che perchè non ci fa l’onore di farsi sentire più spesso vuol dire che sta lì seduto a cercare di portare ordine nell’immenso turbinare del suo animo profondissimo e tormentato. Ci sono scene interminabili in cui vediamo Don Draper seduto alla scrivania con un bicchiere in mano, o davanti alla finestra con un bicchiere in mano, o a fissare il vuoto con un bicchiere in mano… e lo vediamo lì, col suo cipiglio da reggo-il-mondo-sulle-vertebre-cervicali e diamo per scontato che nella sua mente si stia formando chissà quale brillantissima perla immortale. La verità è che quando Don Draper è cipigliato e immobile col bicchiere in mano forse sta solo pensando ai suoi calli.
Bisogna però ammettere che Don Draper se la cava molto bene nell’intortare i clienti e nel farsi venire improvvisi colpi di genio nel bel mezzo di riunioni fondamentali per la salvezza dell’intera isola di Manhattan. Sempre che servano, questi colpi di genio, perchè di solito basta insultare un po’ Peggy – facendola sentire grassa, inutile, inadeguata e perennemente in debito per essere stata promossa ad account – per spronarla a sfornare un miracolo della moderna pubblicità da sbandierare in giro come frutto delle fatiche congiunte del dipartimento creativo tutto. Che gli è venuto in mente a Don Draper, a parte modi sempre più raffinati per far scoppiare il fegato a Pete Campbell? Insomma, avrà carisma, che vi devo dire. Se mi alzo la mattina e appena arrivo vi regalo un concentrato di cinismo in sette parole mi verrete tutti quanti a rispondere che sono cupa e inopportuna. Lo fa Don Draper e volano i reggiseni. Carisma, sarà il carisma.
E questa cosa del parlare poco e fissare intensamente oggetti a caso, tanto per far pensare di essere assorti e di celare un iceberg sommerso di straordinaria lucentezza, è una di quelle cose che piacciono tanto alle donne. Oh, bel tenebroso, intravedo la tua sofferenza, scorgo in lontananza l’immane fardello che grava sul tuo grande cuore… ma con quanta virile discrezione sopporti tutto questo, devi veramente essere una creatura speciale! Tieni, mi leverò le mutande per esserti di qualche conforto. Oh, che onore essere al fianco di un uomo così complesso!

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Oh, me misera.

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La verità è che non comprendo molto bene nemmeno le scelte sentimentali di Don Draper. Perchè posso anche farmi andar bene che uno cambi identità e si faccia strada nel mondo a colpi di energiche spallate e frasi ad effetto, quel che non mi garba è l’apparente casualità del chi va a letto con chi. Ora, Betty Draper ha un sacco di problemi – è variamente nevrastenica, sempre inversa e risentita, vanesia e ipocrita -, ma non mi è mai sembrata peggio di molte amanti “stabili” del suo consorte. E se riesco a capire che con una moglie del genere ti possa anche venire spontaneo trombare una svagata e allegra illustratrice del Village o una vacchetta scarruffata che ti salta addosso in California, quello che non accetto sono le concubine che hanno più problemi della legittima consorte. O che sono pure più racchie. Che roba è, impelagarsi con una vecchia gallina ninfomane, moglie del comico più sgradevole e vendicativo del mondo? E la maestrina con la sindrome del cucciolo abbandonato che cerca però di farci credere di essere una donna indipendente e coraggiosa? Per carità, Don Draper poteva utilizzare la medesima quantità di sbattimento impiegata per far funzionare le sue storiacce extraconiugali per che ne so, dire sei parole in più a quella squinternata di sua moglie, invece che gridarle di andare dallo psicologo quando finalmente decide di ripudiarti.
Quello che mi fa più arrabbiare, però, è che a Don Draper non si può dire niente. E l’infanzia difficile, e la guerra, e la famiglia povera e cattiva. Prendersela con Don Draper è vietato, perchè ti fa sembrare una brutta persona, poco sensibile al travaglio dell’animo umano. In realtà tollero Don Draper perchè ho una motivazione ben più solida per guardare Mad Men…  sopporto Don Draper – consolandomi a tratti con la sua incommensurabile presenza scenica – perchè in Mad Men c’è anche Joan. E nel mio cuore spero che Joan spacchi un vaso in testa pure a lui.

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So tutto, sono fighissima e pure indispensabile. E se mi fate suonare la fisarmonica ancora una volta, giuro che vi cavo gli occhi con un cucchiaio.


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La verità è che i supereroi sono la cosa più bella del mondo. I supereroi e la fantascienza. I minipony e un po’ anche l’Happy Meal. Datemi una qualsiasi saga caciaron-avventurosa e mi divertirò per mille anni… ma anche se fa schifo tipo i Fantastici Quattro, Daredevil o Lanterna Verde, perchè se il film è brutto oltre ogni immaginazione sarà comunque bellissimo parlarne male. Insomma, i supereroi hanno uno scopo ben preciso e molto nobile: farci divertire come felini che rincorrono gomitoli di lana. E con me funziona tutto quanto. Gente dalla personalità strabordante vola in giro, fa esplodere le cose e passeggia per scenografie esteticamente strabilianti dicendo spacconate. Mantelli. Armature. Spadoni. Costumi complicati. Dimensioni parallele. Cuori grandi così. È tutto mescolato in una gigantesca cospirazione per farmi contenta. E ciao cultura (?!), addio saggezza (???) e saltiamo su un trenino per Asgard.

Bene.
Non era detto che con gli Avengers sarebbe andata a finire bene. Troppa ciccia da arrostire, un regista che si era principalmente cimentato solo con film poco capiti e serie tv (anche se gli sarò eternamente grata per Buffy, gioia sfavillante della mia infanzia) e aspettative irragionevoli di geek già pronti a scendere in piazza coi fucili laser. Poteva venir fuori un polpettone ripugnante e senza senso, ma per fortuna sono accadute manciate di cose belle. Ovvio, non è la perfezione e il 3D potrebbe anche andare a farsi benedire, ma è davvero uno dei film più divertenti e boriosi che mi sia capitato di vedere.
Ora, quello che non sospettavo – e che ho scoperto in un sabato di pioggia torrenziale e colpevole lontananza di Amore del Cuore – è che c’è tutto un mondo là fuori. Te vai al cinema, torni a casa, magari decidi che vuoi un bel figliolo coi superpoteri come sfondo nuovo del computer, ti riprometti di leggere un po’ più di fumetti e di recuperare decenni di conoscenza Marvel che ti sei persa per strada – più per ragioni anagrafiche che per negligenza -… e all’improvviso ti imbatti in una galassia d’amore infinito. Anzi, di sentimenti che sfiorano lo stalking. La fangirl moderna non ha più bisogno d’affannarsi vagando per edicole e rincorrendo apparizioni televisive, non sarà più emarginata perchè fa battute che nessuno capisce. Perchè ora c’è TUMBLR, con la sua armata di maestri della gif animata… e meno male che ho finito di studiare.

In questo post – già eccezionale ancor prima di cominciare – vi renderò partecipi dei prodigi che orbitano intorno al già ingombrante universo degli Avengers. Perchè c’è gente generosissima, psicotica e molto creativa che passa le sue giornate a cercare e ad assemblare spassosità, espandendo a dismisura le potenzialità di sollazzo del genere umano tutto.
Visto che non possiamo passarci la vita – o così mi ha raccomandato il dottore -, andremo per temi e applicheremo un criterio di selezione che sono certa sia il migliore tra tutti i possibili: ci dedicheremo a quello che ha fatto ridere me.

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ROBERT DOWNEY JR, GENIO, MILIARDARIO, PLAYBOY, FILANTROPO

Dunque. Superman è uno dei pochi supereroi che si traveste da umano. Se vogliamo estendere il concetto senza pensarci troppo su, anche Batman è un po’ così… Bruce Wayne è più un fastidio che un aiuto, per Batman – escludendo i trascurabili benefici: maggiordomo, molti soldi, giocattoli tecnologici. Sia Superman che Batman, però, la vivono male. E gli occhiali, e Lois Lane che inspiegabilmente non riesce a capire chi ha di fronte, e le cene di gala che sottraggono tempo prezioso alla lotta al crimine, Gordon che si fa il sangue marcio, miriadi di nemici molto ben caratterizzati.
Ecco, anche Tony Stark è continuamente costretto a fronteggiare il medesimo dilemma identitario, solo che a lui piace moltissimo essere Robert Downey Jr. Insieme si divertono come coniglietti festanti e, dopo le percentuali sugli incassi degli Avengers, sono finalmente riusciti a far collidere i rispettivi patrimoni in un fantastilione di dollari, da investire in completi su misura, scarpe un po’ alte, costruzioni, macchine e barbette accuratamente disegnate. A Robert Downey Jr non scrivono nemmeno il copione, lo chiamano in scena all’ultimo momento, gli dicono più o meno cosa deve capitare e lo lasciano lì a fare come vuole. E se si dimentica qualcosa c’è comunque Jarvis, sempre pronto a offrire pacati suggerimenti.
Lo sappiamo tutti che è così.
E come farebbe ogni sbruffone amico della coerenza, poi, lo splendido Downey Jr non si nasconde… perchè essere Iron Man è semplicemente troppo meraviglioso.

Salutare folle adoranti fa parte della job-description di Iron Man. E che problema c’è.


Probabilmente a causa di un qualcosa di scritto in piccolo in un contratto, Robert Downey Jr è di tanto in tanto costretto a insinuare il dubbio nell’opinione pubblica, ridacchiando sotto i baffi.

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HULK SPACCA, MA E’ COMUNQUE CONSIDERATO UN AUTOBUS

Hulk è stato la vera rivelazione degli Avengers. Gli avranno fatto magari comodo i mezzi fiaschi delle precedenti trasposizioni cinematografiche, ma dobbiamo battere le mani all’adorabile Mark Ruffalo, al suo stropicciato Bruce Banner e al motion-capture, che l’ha fatto diventare il primo mostro verde ad essere davvero comandato da un attore, anche se l’han tutti preso in giro perchè gli toccava ruggire con addosso una tutina strana, ma è andata a finire bene. Applausi a scena aperta per Hulk, applausi. Parla una volta sola e dice la battuta più divertente del film, senza mai dimenticare di percuotere Thor con costanza e gran scricchiolare di nocche. Per quanto mi riguarda, poteva anche picchiarlo di più, ma sono già piuttosto soddisfatta.
Purtroppo, non essendo Mark Ruffalo bello bello in modo assurdo ma, più modestamente, solo bello, Hulk è diventato il campo giochi degli illustratori, che amano fargli trasportare e prendere al volo qualsiasi cosa, dagli Avengers non volanti/non saltanti all’intero maledetto cast, che gli campeggia sulla schienona schiacciando pisolini. E inizio anche a pensare che, come tutti gli autobus di questo mondo, Hulk abbia anche un bottone da pigiare quando c’è bisogno di scendere.

L’ultima è di Scott C, illustratore sopraffino che credo abbia già disegnato il mio intero immaginario fantastico. Qua, come al solito, ci regala un’efficacissima metafora dell’intero film.

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THOR, IL POLPETTONE DI ASGARD

Non ne farò mistero, Thor è un personaggio che m’immagino geniale nei fumetti, ma che Chris Hemsworth fa sembrare uno stupidone. Uno che si mette le braghe al contrario e mangia la minestra rumorosamente, l’amicone grosso e scemo, tanto per intenderci. E no, non sono impressionata dai suoi immani arti superiori – che credo comprendano muscoli non ancora del tutto capiti dalla moderna anatomia – o dalla sua chioma fluente, mi piace solo quando tira giù i fulmini dal cielo col martello. Il martello è parecchio avvincente, anche se non credo venga utilizzato al pieno delle sue potenzialità… e no, non sto facendo del triviale umorismo. In Thor, a casa dei giganti di ghiaccio, il nostro Polpettone di Asgard si era cimentato in un’onda d’urto di tale meraviglia da far sprofondare mezzo pak, aveva trapassato a martellate un mostro orrendamente battagliero… ma negli Avengers poca roba, a parte irritanti discorsi sul bene dell’universo. Thor sta lì in piedi e si massaggia le braccia, con aria trasognata e una faccia di pietra che nemmeno la miglior Monica Bellucci. Gli hanno anche scritto tre cose crocifisse, è vero… non lo vediamo entrare in un negozio di animali per farsi dare un cavallo o almeno un cane sufficientemente grande da essere cavalcato e non si esibisce quasi per niente nell’umorismo involontario che è anche un po’ l’unica cosa che potrebbe mai fare per noi, tipo questa perla immortale – che non mi ricordo nemmeno se sia capitata davvero o se sia scomparsa con la traduzione italiana:

Insomma, Chris Hemsworth non si impegna abbastanza. E’ solo incredibilmente grosso e variamente inopportuno:

E maledizione, volevo tantissimo che ricapitasse qualcosa di anche solo lontanamente paragonabile, ma niente:

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STEVE ROGERS LO VA A DIRE ALLA MAESTRA

Captain America è stato per me difficile da digerire… il personaggio, anche se al compianto agente Coulson piaceva da matti, lo trovo migliorato, anche se sempre mortalmente retorico. Sarà che è rimasto in coma criogenico per diversi decenni, non ha ancora avuto modo di vederla, manca totalmente di senso dell’umorismo e ha sempre l’aria preoccupata di chi non ci sta capendo niente, ma il buon Rogers m’indispettisce e mi fa al contempo venire in mente la Torcia Umana. Insomma, se c’è in scena Captain America vivo con la segreta speranza che decida all’improvviso di prendere fuoco. E lo so, non dimostro una gran sensibilità, date la drammatica situazione della sua carriera militare:

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AVENGERS, GET THE FUCK TO SLEEP

Tutto quello che potrei mai dire su Nick Fury, per quanto arguto e interessante, non riuscirebbe comunque ad eguagliare la gloria dei memo che manda in giro. E no, non ci sono serpenti sulla portaerei volante dello SHIELD:

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LOKI, UN ESERCITO DI GATTINI E UN BELLISSIMO ESAURIMENTO NERVOSO

Pensavo di essere originale… e invece no, l’intero etere fangirlico adora Loki. Non credo ci sia personaggio che sia riuscito a scatenare una simile – e assurdissima – ondata di gridolini scomposti. Nel tentativo di capire come sia potuto accadere, ho elaborato uno sparuto drappello di teorie:

– secco, pallido, sveglio e interessante, Loki è cresciuto nell’ombra di un tizio che non fa altro che frantumare le cose e azzannare cinghiali, tra gli applausi dell’intero regno di Asgard.
– in Thor scopre cose orrende, piange e s’arrabbia. E poi gli mettono un martello addosso.
– gli sono toccati i costumi belli. Dalla tenuta da divinità ai cappottini con la sciarpetta, Loki ha stile. E non ha bisogno di perdere tempo con bottoni e cerniere, i vestiti gli si materializzano addosso.
– avrà anche la pettinatura delle nostre vecchie zie, ma il capello unto e l’attaccatura a metà cranio non ne scalfiscono il fascino. Sta comunque meglio con l’elmo cornuto.
– afferra al volo dardi letali, con aria scocciata.
– alterna momenti di magnifica arroganza a pessime figure, roba degna delle tribolate adolescenze di tutti quanti noi.
– gli zigomi. Ottimi zigomi.
– è cattivo, ma con riluttanza. Capito da nessuno e ignorato dai più, vaga per i mondi alla ricerca di qualcuno che l’abbracci e che gli faccia capire che sapere di chi è figlio non è poi così rilevante. E chi se ne importa del trono di Asgard, il palazzo reale sembra un ammasso di cannelloni dorati.
– tra gli innumerevoli personaggi che incontra sul suo cammino, Loki è l’unico in grado di produrre una gamma di espressioni normali, molte delle quali risultano adorabili. Frigna, ride a sproposito e ci detesta con grande duttilità… proprio come Thor.
– viene percosso da tutti, più e più volte. Nel caso di Hulk vale doppio, ma se lo meritava.
– sforna discorsi di ragguardevole perfidia, ma sa anche lui che è solo per farsi coraggio.
– Tom Hiddleston ha un suo bel perchè. Soffre della sindrome d’immedesimazione di Tony Stark, ma fatta meglio: dialoga abitualmente su Twitter con l’account del dio Loki, grida cose da macchine in corsa e va in giro a dire a tutti che ha un esercito.

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Nel vano tentativo di far comprendere al mondo la portata della Loki-Hiddleston follia, appiccico cose a caso. Tanto fanno ridere tutte.

I mortali vanno presi a bastonate:

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Bastava cooperare:

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Loki si vendica del Ridiculously Photogenic Guy:

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Loki si vendica di Punk’d… perchè han cercato di rubargli in lavoro:

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Loki insegna idiomi sconosciuti alle folle:

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L’ennesima menzogna:

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Gli attori, i veri martiri del nostro tempo:

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Se il figlio di Mark Ruffalo ti preferisce a Hulk (come uno scoglionatissimo Ruffalo ha più e più volte affermato), sei a posto:

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Se bambini che passano per caso vogliono utilizzarti come giostrina, sei a posto:

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Se Iron Man ama farsi gettare dai finestroni da te, sei a posto:

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Se Hulk non ti stritola, sei a posto:

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Se qualcuno decide che sei pronto ad essere disegnato insieme a dei gattini, sei a posto:

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Se capisci l’importanza dei gattini e ti lanci in spericolate analogie, sei a posto:

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Esosi giocattolai ti riproducono senza sfigurarti:

E la gioia è grande.

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Credo di non aver mai prodotto nulla di così fotografico e guizzante. Un post al passo coi tempi. Un post che dovrebbe spingermi ad aprirmi un Tumblr per sfogare lontano da qui i miei istinti più bassi. Ma è stato tutto per amore dell’esegesi della cultura pop… e perchè ho comunque un Hulk che ha giurato di proteggermi in caso di proteste. E comunque vorrei capire, ma la scena alla fine della fine dei titoli di coda, con gli Avengers che mangiano robaccia, voi l’avete vista? Perchè in fondo alla mia pellicola non c’era, ho controllato due volte.

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Tutte le corbellerie grafiche vengono da questi posti. Posti di gente presa bene.

http://fuckyeah-avengers.tumblr.com/
http://fuckyeahrdj.tumblr.com/
http://stacyjacks.tumblr.com/
http://thisisnthappiness.com
http://9gag.com
http://memosfromfury.tumblr.com
http://ren-ne-rei.tumblr.com
http://joannaestep.tumblr.com

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Per chi, invece, volesse donarmi la sublime statuina da collezione di Loki – che ha cento mani intercambiabili e più accessori della Barbie -, la può ordinare qui. Mi arriverebbe a Natale, così vi togliete anche il pensiero del regalo.

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Fare conversazione a tavola per me è difficile. Credo sia perchè mangio molto lentamente, mastico con grande concentrazione e non ho voglia di far perdere tempo agli altri, che spazzolano tutto con efficienza e poche cerimonie. Insomma, se mangio non parlo e, anche se parlo, finisce che non m’impegno e mi escono robe da nobildonna che va alla bettola di Gassman e Tognazzi per assaggiare l’orrendo zuppone alla porcara, mentre in cucina volano polipi e parrucchini.
Per tutte queste ragioni, mangiare da sola non mi dispiace. Mi porto un libro, sto in pace e ciao. Anzi, leggere mentre mangio mi piace tantissimo, soprattutto a pranzo.
Ultimamente, però, il mio felice isolamento biblioalimentare del mezzogiorno è disturbato da Niccolò Ammaniti.
Sono lì, incagnata nell’angolo vicino alla finestra col mio libro e il couscous pollo grigliato-nocciole. Tranquilla e contenta come una torta di mele, ma rido così forte che la gente viene a rompermi i coglioni per sapere che cosa sto leggendo.
Sto leggendo Il momento è delicato, accidenti a voi.

Che sensazione singolare, continuava a sentire il braccio al solito posto, addirittura gli pareva di poter stringere le dita eppure il gigante lo brandiva come una clava.
Che ci vuole fare?
La risposta gli arrivò subito quando venne colpito in faccia dal suo stesso bicipite per tre volte di seguito.

E no, non sono affatto disturbata da fratture, colonne vertebrali strappate dal tronco, cartilagini frantumate, guardoni obesi, seghe, Alba Parietti, piscio di santoni indiani e mostri mutaforma ghiotti di carne umana. La torta salata ricotta e spinaci non mi va di traverso, faccio solo delle gran brutte figure. C’è la gente lì, col completo da consulente, le ballerine pratiche ma eleganti e la vaschetta di verdure grigliate. Gente gioviale che si nutre coi colleghi. E a due metri ci sono io che m’imbatto in cose così:

Il vero problema era il letto. Che fare con le lenzuola? L’unica era coprire quel profumo con un odore più forte. E se accidentalmente gli fosse caduto sul letto qualcosa? Ecco! Tirò fuori dal congelatore dei sofficini al pomodoro e li gettò in padella ripetendosi: “Avevo fame e mi sono fatto dei sofficini e per sbaglio mi sono caduti sulle lenzuola”. Quando furono cotti, li versò sul letto con tutto l’olio che si fuse con il rivestimento del materasso di lattice generando un mezzo incendio e una nuvola di fumo nero e tossico, ma eliminando per sempre l’odore di Angela. Mara avrebbe pensato che era un coglione totale, non un fedifrago. Eccellente, si disse compiaciuto.

O in robe abominevoli, che non sai nemmeno tu perchè ti divertono così, tipo tutto quanto Fa un po’ male, racconto che mi ha fatto battere ogni record di rallentamenti per curiosi vicino al tavolo. E per un racconto che ha i pompini come snodo narrativo centrale, son belle soddisfazioni.
Produco i doverosi esempi:

Se Angela Milano, studentessa al terzo anno in odontoiatria, avesse fatto un pompino a Robbi Cafagna tutti questa triste vicenda non sarebbe mai avvenuta e io non starei qui a raccontarvela.
Ma una sorte amara volle che proprio quel pomeriggio Angela, dopo una lunga discussione con l’amica del cuore Verdiana Ceccherini, decise di cessare, almeno per un po’, quest’antica pratica orale che, a suo giudizio, rischiava di definirla solo per una delle sue innumerevoli qualità.

Robbi Cafagna è uno tra i più sventurati dell’intero libro. E se lo merita.
I suoi guai nascono, per la sacrosanta legge del contrappasso, da un’affermazione molto decisa ma poco lungimirante.

– Allora, che hai contro gli omosessuali, si può sapere?
Non mollava.
–  Niente. Assolutamente niente -. Quanto avrebbe voluto invece dirle: “I froci mi fanno schifo. E’ gente malata che si sente pure ‘sto cazzo e si credono artisti solo perchè lo prendono in culo”.

E dopo una roba del genere, ti siedi lì e ti godi tutto il disastro che si abbatterà sul Cafagna. Io ero solo dispiaciuta di non potermi togliere le scarpe al ristorante per stare più comoda, ma ero però ben contenta di vedere che il Tenaglia non faceva un bel niente per aiutare Robbi (che è pure spilorcio e genericamente razzista), scegliendo di rimanere sul divano ad ammirare la Cuccarini al Telethon.

All’inizio si era fatto delle seghe a caso, dissipando energie a cazzo, osservando il suo “amore” mentre introduceva gli ospiti, scherzava, guardava il tabellone e incitava la gente a casa a mandare soldi. Poi si era reso conto che aveva davanti a sè ancora tante ore di trasmissione e quindi aveva deciso di ottimizzare le seghe per arrivare a fine maratona vivo.
Se ne sarebbe fatta una per ogni miliardo che totalizzavano.

Qua m’è cascato in terra un panino. L’abbigliamento. L’abbigliamento male assortito con altro abbigliamento e ancor peggio con la situazione generale mi fa ridere da sempre:

Aprì il cofano. Dentro c’era il motore. Nero, sporco, pieno di fili, incomprensibile come un manufatto alieno.
Lo guardò.
– Se lo guardi non si aggiusta mica.
Robbi girò la testa.
C’era un travestito, abbronzatissimo, che assomigliava a Mara Venier, solo più femminile. Addosso aveva la maglia di Totti, Aveva le gambe lunghe e due scarpe argentate con delle zeppe alte venti centimetri. – E’ un problema elettrico. Controlla lo spinterogeno. A volte si stacca e non fa più contatto.

Facevo prima a fare le fotocopie del racconto, ma pazienza. Facciamo che vi risparmio la sinossi del film porno anelato da Robbi, anche se era molto bellina, con questa tribù di amazzoni che per una strana mutazione genetica sono costrette a nutrirsi solo di sperma. Povere creature. Dicevo, vi risparmio le voraci amazzoni, ma questa no. E poi basta, così vi andate a comprare il libro e mi lasciate mangiare in pace, col mio imbarazzo da giovane donna che ride da sola.

Robbi provò a scappare, a scavalcare la recinzione ma dietro aveva un piccoletto calvo con un cacciavite in mano. Glielo infilò nelle reni. Robbi urlò di dolore come un babbuino ferito. Una vecchia gli tirò una bottiglietta di Oransoda in testa.
Poi si sciolsero le corse e lo spinsero verso il centro dell’arena.
Provò di nuovo a uscire fuori ma il piccoletto lo colpì ancora col il cacciavite. Tutto intorno era un muro umano. Lo incitavano a combattere. Da dietro le fiamme apparve Django. Ruotava sopra la testa una corda a cui era legata una batteria Magneti Marelli.

Un’altra, dai. Ma giuro che è l’ultima. Così capite che non c’è niente di disdicevole a leggere una raccolta di racconti e potete inveire anche voi contro l’autore, se finisce che vi fermano mentre fumate una sigaretta prima di salire in ufficio e vi si accucciano sotto al libro per vedere il titolo. E’ imbarazzante anche la gente che non conosci e che all’improvviso ti si rannicchia vicino alle ginocchia, ve lo assicuro.

Sprofondò in un cumulo di immondizia senza farsi niente. Era finito tra buste, frutta marcia, poltrone di automobili, scatole di cartone. C’era una puzza da vomitare.
Doveva fare come Rambo quando era inseguito dall’esercito degli Stati Uniti.
Cominciò a coprirsi con bucce di banana, lische di pesce marcio, la carcassa di un pastore tedesco, giornali.

Ecco, io ho finito. Ma c’è tutto quanto il resto del libro. Ha una copertina nera con delle case e ci sono anche delle storie non trucide, se vi prendete male con gli orchi, le viscere che si srotolano e i denti aguzzi. Ci sono anche i racconti belli coi bambini. Coi cani da salvare sul raccordo anulare. Insomma, prendetevela con Ammaniti e fatemi masticare senza dovervi rispondere ficcando tutto nelle guance, come un cricetone.

***

 

 

***

MADRE – …ne aveva molti di più, ma tanto per farti capire…
AMORE DEL CUORE –  Più che in quel baule?
MADRE – Oooh! Un divano pieno. Guarda che roba.
AMORE DEL CUORE – …che belli, ma sono tantissimi.
MADRE – Dunque. Questo è Chiottino.
AMORE DEL CUORE – Ghiottino?
MADRE – CHIOTTINO!
AMORE DEL CUORE – Chiottino, Chiottino.
TEGAMINI – Chiottino è il mio preferito, vedi com’è tenero? E’ fatto apposta per abbracciarti, me lo portavo sempre in giro. Sta sulla mensola perchè è il più importante, non voglio che finisca schiacciato lì dentro.
AMORE DEL CUORE – In effetti…
TEGAMINI – FAI PIANO CON QUELLE MANONE! Non vedi che qua ha in collo pericolante?
MADRE – Invece quest’altro è Chiottone. Fratello maggiore di Chiottino. E’ arrivato dopo, perchè Chiottino ce l’aveva da quand’era molto piccola.
TEGAMINI – Mi ricordo di quando mi hai regalato Chiottone. Era sotto l’albero, da solo.
MADRE – Chiottone era più grosso di te. Tienilo, Marco, che qua ce ne sono degli altri.
AMORE DEL CUORE – …ok, tengo Chiottone.
MADRE – Questo qua è il drago Duncan. Vedi qua, la coda? Gliel’ha mangiata. Glielo mettevo vicino nel passeggino e lei gli masticava la coda. L’ho dovuta ricucire mille volte.
TEGAMINI – Povero drago Duncan.
MADRE – Poi, qua ci sono il gatto bianco e l’altro gatto, che gliel’aveva regalato la nonna Lelia quand’era all’ospedale per le tonsille… secondo me, è più bello il gatto bianco. Questo invece è Mabiglio.
TEGAMINI – IL CONIGLIO MABIGLIO! …no! Non darlo ad Amore del Cuore, non ti ricordi che ha un orecchio scucito?
MADRE – Ma non gli fa niente, faglielo tenere.
AMORE DEL CUORE – Non importa, davvero, ho già Chiottone, sto bene così… e poi mi guarda male.
TEGAMINI – Non è vero, Mabiglio è molto gentile, è solo il pelo che gli si è arruffato intorno agli occhi.
MADRE – Comunque. Ci sono anche un sacco d’uccelli. Questo è Culo di Penna. Quando andava a fare i tornei di tennis portavamo sempre Culo di Penna e lo mettevamo a sedere in panchina, così al cambio di campo si parlavano.
AMORE DEL CUORE – Giocavi a tennis con un fenicottero in panchina.
TEGAMINI – …avevo otto anni. E comunque lo rifarei.
MADRE – Culo di Penna l’avevano anche usato nella recita di Chichibio e la gru.
TEGAMINI – Si era deciso di farlo passare per una gru, visto che nessuno aveva pupazzi di gru.
MADRE – Marco, tieni Culo di Penna.
AMORE DEL CUORE – …eh, ciao, Culo di Penna.
MADRE – Bene. Questo qua è il millepiedi.
TEGAMINI – …METTILO VIA! MI FA PAURA!
AMORE DEL CUORE – …
MADRE – Santodio, è un millepiedi, guarda com’è tutto colorato, con le scarpe da ginnastica! Prendilo tu, Marco, che mia figlia è scema.
AMORE DEL CUORE – Lo devo nascondere dietro a Chiottone?
MADRE – Ooooh! La Signora Cruschin!
AMORE DEL CUORE – Cos’è, una gallina?
MADRE – E’ bellissima, la Cruschin. Vedi qua, ha la cerniera sotto la pancia perchè era piena di uova di cioccolato. Le abbiamo mangiate e lei poi ci infilava dentro i pulcini. Aveva tantissimi pulcini. Questa però è una papera…
TEGAMINI – CLARAMINDA!
MADRE – Claraminda ci è molto cara.
AMORE DEL CUORE – …bè, giustamente.
MADRE – Una volta abbiamo visto in un negozio una Claraminda gigante. Era uguale a lei, solo che era lunga un metro e mezzo. Siamo riusciti a convincerla che era diventata grande, altrimenti ci toccava pure portarci a casa la mutazione genetica di Claraminda, e di grosso avevamo già il delfino Maiemi. Vallo a prendere, che è sul divano di là.
AMORE DEL CUORE – No ma non importa, me lo ricordo, l’ho visto l’altra volta.
MADRE – …ah, va bene. Qua invece c’è l’aquilotto che ti ha mandato il tuo padrino dall’America, gli si spiegazzano sempre le ali… e questo qua è ET.
AMORE DEL CUORE – Ma è bruttissimo!
TEGAMINI – …ET bello bello non lo è mai stato. Poi vedi, si è tutto spelato, come gli zaini della Mandarina Duck, che dopo un po’ si appiccicavano tutti.
MADRE – E’ un peccato, perchè aveva tutto il cuore rosso, come il dito, vedi lì, che c’è ancora la plastichina rossa?
AMORE DEL CUORE – Molto realistico.
MADRE – Questo invece è l’ewok che ti abbiamo preso a Eurodisney.
AMORE DEL CUORE – …cos’è un ewok?
TEGAMINI – E’ un abitante della luna boscosa di Endor. E somigliava a mia nonna Aurelia.
MADRE – Poi c’è un pipistrello e quest’altro qua, il pistolero. Tieni, Marco, che se no non riusciamo.
AMORE DEL CUORE – Posso sedere Culo di Penna sul tavolo, magari?
TEGAMINI – Ma lascia perdere, che madre non si è accorta che è mezzanotte e quaranta…
AMORE DEL CUORE – Eh, già, caspita. E dobbiamo tornare anche a Milano.
MADRE – Si ma adesso non lasciatemeli tutti in giro a prendere la polvere, poverini.
TEGAMINI – Ma ci stanno?
MADRE – Certo, non vedi che è bombato, questo baule? E’ un baule intelligente. Mi spiace di non avere qui Tarta la tartaruga, però.
AMORE DEL CUORE – E’ un peccato, volevo conoscere anche lei.