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Il mio San Valentino con Ottone von Testimonial doveva andare diversamente. Purina, con grande dispiegamento di mezzi e di ottime intenzioni, ci aveva addirittura fornito un magico kit pieno di romanticherie. Avevamo un mazzo di fiori, gente. Era dal mio matrimonio che in casa nostra non entravano dei fiori. E, col senno di poi, non è difficile capire il perché.
Ottone von Edward Scissorhands adora i fiori.
Ma non per le ragioni giuste.

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Dopo aver prontamente divorato una porzione di Gourmet MonPetit ed essersi prestato a un brevissimo – ma intenso – SHOOTING fotografico all’insegna dell’abbracciosità e della felice interazione con un mucchio di nastrini colorati – nastrini che, come tutti potrete ben immaginare, contribuivano all’integrità del compianto omaggio floreale -, Ottone von Kratos si è avventato sui margheritoni, riducendoli a un ammasso informe e piangente di fogliame sminuzzato.
Erano belli, i nostri fiori. E vogliamo ricordarli così, all’apice della loro fugace avvenenza.

6ilmiosanvalentino fiori

I fiori, teoricamente, dovevano aiutarci a celebrare la festa degli innamorati con grande trasporto e coreografica dignità. E invece niente. Ottone non è sensibile. Ottone non comprende le smancerie. Se fosse un uomo, Ottone mi verrebbe a dire che non ho bisogno di un regalo di San Valentino. Per noi, amore, San Valentino è tutti i giorni. Che bisogno c’è di riempirsi la casa di cioccolatini? Neanche li mangi, i cioccolatini!
Ecco.
Ottone funziona così. Ma può permetterselo.
La prima cosa che mi sono domandata, quando Gourmet mi ha chiesto di festeggiare San Valentino col mio gatto – anzi, la seconda cosa che mi sono domandata. La prima-prima era “mi hanno forse presa per una gattara pazza?” – è stata la seguente: ma Ottone, alla fin fine, mi vorrà un po’ di bene? Cioè, ci sono almeno novemila cose al mondo che Ottone sembra apprezzare più di me. Ottone adora i sacchetti di carta, si diverte a grattare gli armadi alle 2 del mattino, ama follemente le falene, rompe con gusto bicchieri, vasi e piccoli soprammobili e, in generale, si venderebbe l’anima per una ciotola di carnina e pescetti in umido. Io, così a spanne, sono solo una comparsa nel vasto universo delle passioni ottonifere. Divento rilevante quando mi avvicino allo sportello dei mangiarini ma, per il resto, sono quasi completamente d’intralcio.
Dopo un attimo di discreto scoramento, però, mi è venuta in mente una cosa bellissima che succede tutte le mattine. 
Ho la fortuna di abitare molto vicino all’ufficio e, in pratica, quando Amore del Cuore è pronto per uscire di casa, io devo ancora trovare le forze di risorgere dalle coperte. Amore del Cuore, un po’ per incoraggiarmi ad alzarmi ad affrontare la vita e anche e un po’ perché gli sembra disdicevole andarsene senza salutarmi, viene sempre a sedersi sul bordo del letto. Mi abbraccia, mi saluta, mi coccola e mi dice una quantità di cose incredibilmente rassicuranti. Dopo quindici secondi, chissà poi perché, arriva anche Ottone. E ci ritroviamo lì tutti insieme ad augurarci buona giornata, gatti e umani, gente vestita e gente in pigiama, felini vispi e tizie addormentate, uomini grossi e gatti poffosi. Allegramente aggrovigliati in un angolo di letto.
E niente.
Non so perché Ottone lo faccia. E non credo che nessun gatto si azzarderebbe a chiamarlo “amore”. Ma a me, ogni mattina, la sensazione che arriva è proprio quella. Insieme all’idea che, da quando c’è Ottone, la mia “nuova” famiglia sia un po’ più grande e un po’ più bella.

Troppa tenerezza? Non preoccupatevi, c’è sempre un video – che Gourmet, nella sua infinita gentilezza, di sicuro non si merita.

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Portate pazienza. Siamo un po’ tutti degli Ottone.
Non regalateci dei fiori. Non li sappiamo gestire.
<3

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Sto continuando a numerare il Tegaminario dell’Avvento come se questo fosse veramente il sedicesimo post che ho sfornato. In realtà sono riuscita a proporvi solo un tripudio di taco coi razzi, degli origami da parete a forma di unicorno (più balena e cocorita), dei braccialetti fatti con le teiere rotte, dei cuscini di purissima seta pieni di bestiole e un vagone di gioielli di Sailor Moon. E basta. Non sono sedici, lo ben so. Ma procederò comunque a testa alta, sventolando il vessillo della disorganizzazione e del casualismo più spinto. Perché oggi, caroni tutti, è un giorno importante. Oggi si parla dell’assoluta gloria sprigionata da Sparkle Collective, un minuscolo progetto dall’infinito potenziale di poffosità valorosamente inventato da una ragazza di Toronto – che va continuamente in vacanza impedendoci di ordinare la sua roba su Etsy ogni sette minuti.
Osservate – cercando di non iperventilare violentissimamente.

Una foto pubblicata da Sparkle Collective (@sparkle.collective) in data:

 

Una foto pubblicata da Sparkle Collective (@sparkle.collective) in data:

 

Una foto pubblicata da Sparkle Collective (@sparkle.collective) in data:

Una foto pubblicata da Sparkle Collective (@sparkle.collective) in data:

Oltre a disegnare gattini-gelatini, bradipi che se ne infischiano, anguriette felici di vivere e unicorni grassottelli – rischiando ogni volta di farmi venire una crisi polmonare -, l’evanescente Britt ama prendersi delle lunghe (e per noi penosissime) pause. Per capire che cosa sta accadendo, dunque, vi conviene tenere d’occhio il profilo Instagram di Sparkle Collective, dove – di tanto in tanto – Britt si prende la briga di informarci che le spillette con le ciambelle feline sono di nuovo disponibili su Etsy. Da quel che ci ho capito, Britt sforna all’improvviso dei transatlantici pieni di aggeggini, li vende tutti e parte per la Polinesia. Quando finisce i soldi, Britt torna a casa, mette insieme una tonnellata di adesivi a forma di fetta di pizza con le orecchie, li vende tutti un’altra volta e va a fare trekking nella Terra del Fuoco. E via così. Per sempre. Come una maledizione Maya dall’immarcescibile circolarità. Se non bramassi ogni singolo sgorbiolino obeso che Britt ha mai disegnato in vita sua, le avrei probabilmente già augurato ogni male. Ma Britt deve continuare a prosperare. E a diffondere la poffosità nel cosmo. Una testolina di gatto per volta.
Lode e gloria a Britt.
Sempre sia miagolata.
Mettete dei bookmark. E mettetevi il cuore in pace.
…prima o poi dovrà pur riemergere dal cammino di Santiago.

***

Per gioire dell’esiguo – ma bellicosissimo – Tegaminario dell’Avvento, c’è anche un board Pinterest.

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Vorrei essere immune al sogno della “casa-Pinterest”, ma la mia esistenza è un susseguirsi di fallimenti. Qualche anno fa mi sarei accontentata di avere la lavastoviglie. Ora, invece, sono diventata ambiziosa. Faccio incorniciare i quadri. Ho due stendini. Ho dei vasi con dentro delle piante non completamente decomposte. Possiedo almeno tre tovaglie diverse e un mollettone. Usare il mollettone è un rito di passaggio. Usare il mollettone ti trasforma automaticamente in una persona che ci tiene a casa sua. Visto che, in realtà, mi vergogno moltissimo di tutti questi incomprensibili afflati domestici, cerco di auto-sabotarmi con una certa regolarità. Mi rifiuto di imparare a stirare, semino il disordine, butto i calzini in lavatrice senza spallottolarli e dedico scaffali interi della libreria numero tre a dinosauri di plastica, tazze con i dinosauri, dinosauri di legno, artigli di dinosauro, libri pop-up con i dinosauri. Il colpo d’occhio è agghiacciante e io mi sento al sicuro da me stessa. Non so, però, quanto durerà. Perché – grazie al diabolico potere di Instagram, ormai ancor più temibile di Pinterest – ho scoperto che esiste un brand londinese che produce ogni genere di assurdità… con un’execution straordinaria. Perché il problema è quello, alla fine della fiera. Vorrei una casa piena di unicorni, ma i pupazzi che si trovano in giro fanno regolarmente schifo. Vorrei una lampada a forma di aragosta, ma so benissimo di non potermi aspettare un capolavoro del design. Ebbene, Silken Favours (qui il sitone/shoppone e qui il profilo Instagram che vi strapperà l’anima) riesce a coniugare l’immaginario francamente improponibile che popola la mia multiforme fantasia con la capacità di sfornare oggetti indiscutibilmente belli. Tanto per cominciare, usano solo seta. Vuoi un cuscino a forma d’ananas? Vuoi un cuscino a forma di cavolfiore? Vuoi un cuscino a forma di Grumpy Cat? Che problema c’è. Il disegno lo sappiamo fare. E il cuscino lo foderiamo di seta al 100%. Che cosa potrebbe mai andare storto? Niente di niente, diamine.
Teniamoci per mano e sbaviamo copiosamente.

E niente.
Divani pieni di animalini – un po’ mitologici e un po’ no. FÚLAR tempestati di gattini, corgi, coniglietti e puffin. Top ricoperti di piccolissimi cactus. Silken Favours mi capisce. Sopravvaluta le mie possibilità economiche, ma mi capisce. Seppellitemi sotto a una montagna di setosi melograni. E tanti auguri di buon Natale.

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Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

Il mio gatto, come ormai ben saprete, è ufficialmente molto più importante di me. Per questa ragione, ogni cinque minuti arriva qualcuno che mi consiglia caldamente di aprirgli un profilo Instagram tutto suo. O una pagina Facebook. O un hotel di design con relativa linea di topi giocattolo. Forse dovrei dare retta a queste persone intelligenti e piene di saggezza (anche se un po’ sadiche), ma temo di non essere ancora pronta. Perché Ottone von Zoolander, se proprio vogliamo metterla sul numerico, piglia più cuori di me e di ogni altro contenuto che mai deciderò di condividere. Mai al mondo, dunque, gli darò la soddisfazione di superarmi, sbeffeggiandomi dalla sua pagina ufficiale – e sfruttando per altro la mia qualificatissima manodopera. Non ho la minima intenzione di diventare la sua Valentina Ferragni.
Oltre a ragioni di natura puramente filosofica, però, bisogna anche considerare faccende pratiche di primaria rilevanza. Perché, diciamocelo francamente, Ottone von Accidenti è un gatto siberiano di 7 chili, nero come la pece.
E fotografare un gigantesco gatto nero è molto difficile.

Parliamone.
– Ottone von Narcolessia ha l’abitudine di appisolarsi ogni volta che tento di immortalare la sua pingue beltà. Si è maestosamente raggomitolato sul divano? Molto bene. Potrebbe essere il momento giusto per lanciare il prezioso hashtag #COCCOLINE. Non appena vi avvicinerete, però, Ottone sprofonderà inesorabilmente nel sonno. Come un informe sacco di patate.
– Fotografare i gatti che dormono non è mica un reato, sia chiaro. A me, però, serve che Ottone stia sveglio… perché, se chiude gli occhi, si trasforma automaticamente in una specie di foca nera pelosissima e non si capisce più niente. Che cos’è? Dovrebbe essere un gatto. Ma dov’è la testa? Come dovrei interpretare questa celestiale distesa di morbida oscurità? Dove comincia? Dove finisce? Se Ottone non apre gli occhi, dare risposta a tutte queste sacrosante domande diventa impossibile. E tutto quello che resterà sarà un soffice mega-kebab color carbone.
– Ottone von Saturazione sballa la messa a fuoco di qualsiasi DEVAIS si utilizzi per fotografarlo. Quel che è peggio, però, è il problema della luce. Ottone non può essere ritratto su fondo scuro o, in generale, su un fondo cupo… perché scompare, molto semplicemente. Riesci a malapena a intuirlo, con uno sfondo del genere. Ottone su sfondo scuro è la perfetta trasposizione fotografica della maledizione di The Ring. Che fare, dunque? Fotografiamolo sul chiaro! Fantastico. Andrà tutto bene. E invece no, manco col chiaro. Non puoi metterlo a fuoco e ambire ad ottenere un effetto naturale e realistico, perché se ti concentri sul muso – NERO – o su una qualsiasi delle sue parti del corpo – NERA -, lo sfondo diventerà di una luminescenza ultraterrena, volatilizzandosi d’un tratto. Ottone su sfondo chiaro è una specie di barile di petrolio che galleggia – CON GLI OCCHI CHIUSI – in un mare di latte d’asina. E non sono ancora sufficientemente onirica per far funzionare una baggianata del genere.
– Ottone von Gigantezza non è interessato al formato quadrato. Ambire a fotografarlo per intero, dunque, è pura utopia. Perché non ci sta. Se vuoi che si veda tutto, devi allontanarti di dieci metri, correndo scientemente il rischio di ritrovarti con una macchia indistinta di nera poffosità – e nulla più. Il che è un peccato, visto che Ottone ama moltissimo trascorrere lunghi periodi disteso a pancia in su sul pavimento, come una boa. Tu ci provi, a farlo entrare in un’inquadratura ragionevole, ma ti perderai sempre la punta delle orecchie e un pezzo di coda. Quando non è a pancia in su, invece, è assolutamente improbabile che stia fermo, moltiplicando all’ennesima potenza le innumerevoli difficoltà già diffusamente raccontate.

Dovete tenere conto di questi problemi di capitale importanza, quindi, quando osservate Ottone von Testimonial in compagnia dell’ennesimo carico di mangiarini prelibati che Gourmet decide di spedirgli al sorgere di ogni luna piena.

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Ottone, in questo proverbiale scatto, rotola stupito in mezzo alla gamma completa dei nuovi Gourmet Mon Petit. I Mon Petit suscitano nel mio gatto lo stesso entusiasmo che ogni sera allo scoccare della mezzanotte riusciamo a scatenare aprendo i Gourmet Perle – i suoi preferiti di ogni tempo.

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Ottone è sfocato, ma il trasporto con cui ha affrontato la merenda è palpabile.
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Ottone von Maiale reagisce finalmente alle mie implorazioni – “CUCHINO, ALZA IL CRANIO DALLA CIOTOLA PER UN MOMENTO! FALLO PER ME!” – e mi rivolge un’occhiata estremamente eloquente – “NON ROMPERE L’ANIMA. STO MANGIANDO I MON PETIT. I MON PETIT SONO LA COSA PIU’ IMPORTANTE DEL MONDO”.

 

Ma che sono, i Mon Petit? I Mon Petit sono sempre dei pezzettini di cicciotta sugosina – pardon, “raffinati filettini con carni o pesce cotti in una deliziosa salsa” -, ma in un formato più piccolo. Ottone ne ingurgiterebbe un tir, ma là fuori ci sono anche gatti più compassati che viaggiano serenamente sulle porzioni da 50g. Voi non dovrete buttare via niente e il vostro gatto apprezzerà la pappa che non si secca. Con Ottone – che vive in un universo in cui la roba da mangiare non può seccarsi, visto che trasloca nello stomaco dopo due minuti dall’apertura della confezione -, l’esperimento è stato più sulla felicità, che sul formato. Siamo gente disorganizzata e poco pratica, ma vogliamo che il gatto sia felice. E il gatto, in effetti, ha sprizzato gioia – ed è più che mai pronto a diventare un cat-foodblogger che venderebbe l’anima e la sua prima cucciolata a Gourmet. 
Cuori e tortine trionfanti.
E che qualcuno trovi un tutor capace d’insegnarmi a fotografare sensatamente il mio meraviglioso gatto nero di successo. Ve ne prego.

 

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Come ben sapete, Ottone von Testimonial è molto più importante di me. Nonostante la sua intrinseca amabilità, alcuni BIECHI gatti-ninja hanno cercato (con successo) di fregargli la cena. Da qui, l’intricato mistero della #ciotolapulita. Fortunatamente, però, il colpevole è stato ben presto smascherato… e condannato a un mese di REHAB in un centro per gatti sociopatici – un posto tutto rosa e batuffoloso, dove i felini meno malleabili vengono coccolati, amati, nutriti e vezzeggiati fino all’esasperazione. Per chi volesse augurare ogni bene a Rocky – ormai pronto a imboccare la via della rettitudine -, ecco qua il suo temibile mugshot.

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Per aiutare Ottone a riprendersi dal trauma, Felix ci ha donato una vagonata di pappa nuova. Il collaudo, ovviamente, è andato a buon fine. Un luminoso trionfo. Un tripudio di annusamenti, masticatine e code alzate. La buona notizia è che, questa volta, posso aiutare anche gli altri volenterosi padroni di gatti a nutrire le loro bestiolone. C’è tutto un meccanismo molto spassoso per ricevere a casa – AGGRATIS – un kit di cibone Felix Sensations. Perché mica solo Ottone può fare il testimonial, perbacco.
Come si fa?
Andate a fare un giro sul sito di Felix, compilate il mini-form e preparatevi all’arrivo dei mangiarini.
Per chi, invece, fosse qui solo per guardare foto di gatti, qua c’è Ottone che fa amicizia – con la circospezione tipica delle grandi menti – con Felix Sensations al manzo.

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Ci piace?
Ci piace.
Andate e nutrite i vostri gatti giganti.

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Dunque, in un passato non lontano, il voracissimo Ottone von Accidenti veniva copiosamente nutrito al mattino. Prima che uscissimo per andare al lavoro, Ottone riceveva l’attesissimo REFILL di crocchette – per un gatto, ciotola piena a metà = ciotola vuota = morirò di stenti – e l’adorato mappazzo di umidino. Nulla al mondo – a parte le falene – piace a Ottone quanto il benedetto mangiarino mollino. L’umido è il bene. L’umido è tutto. Per l’umido si organizzano parate, coreografie, esibizioni acrobatiche e salti – alquanto indesiderabili – sui fornelli. La situazione, comunque, è ben presto degenerata. Perché il tuo gatto – indipendentemente dal suo quoziente intellettivo – è del tutto inconsapevole dell’esistenza dei weekend. Il tuo gatto non ha mai una mazza da fare. Di conseguenza, non capirà che, di sabato e domenica, tu vuoi russare fino alle due del pomeriggio, senza un’anima che ti disturbi. Per quanto Ottone sia adorabile, poffoso, simpatico e generalmente amabilissimo, ritrovarselo in faccia alle 7 e 40 non è propriamente riposante. È una roba apocalittica, incostituzionale e terrificante. Soprattutto quando comincia a raspare porte, finestre, tappeti, bidoni della spazzatura, scarpe, mariti e interi universi per informarti che sei una brutta persona e che dovresti trascinarti quanto prima in cucina per dargli un vagone di cibo.
Per ovviare a questo tragico inconveniente, abbiamo deciso di cambiare strategia. Molto bene, Ottone von Accidenti, visto che insegnarti qualsiasi cosa è praticamente impossibile, mangerai di sera. Non hai imparato a usare la gattaiola, non sai aprire un armadio quando ti ci chiudi dentro e non sei in grado di distinguere un giorno lavorativo da un fine settimana, ma noi ti capiamo. E risolveremo questo problema. Viviamo con una cordicella che tiene aperta la porticina del balcone, accorriamo in tuo soccorso quando ci accorgiamo che sei rimasto intrappolato dietro a un mucchio di lenzuola e ti daremo da mangiare a mezzanotte – sperando di non scatenare una preoccupante invasione di gattini-Gremlin a pelo lungo. Non ce la puoi fare, Ottone von Accidenti, ma noi ti adoriamo. E non possiamo sgridarti, perché sei troppo carino.
Cioè, dai. Che dobbiamo fare.

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Ma perché ci troviamo qui.
Ci troviamo qui perché, all’improvviso, un evento inaspettato ha sconvolto la pace della nostra già traballante routine serale. La leggenda narra che una banda di gatti alquanto agili e astuti si aggiri da qualche tempo la città. In barba alla buona creanza e alla civile convivenza felina, questi spregiudicati gatti-ninja si introducono furtivamente nelle case più disparate, spazzolando le ciotole altrui – al grido di O-O-O-OCCHI DI GATTO, O-O-O-OCCHI DI GATTO UN ALTRO COLPO È STATO FATTO. Sono rapidissimi. Sono invisibili. Sono dei geni. In poche parole, sono tutto quello che il mio gatto non sarà mai. Ottone von Accidenti, ovviamente, è stato tra le prime vittime del commando. Ciotola piena, ciotola vuota. E immensa costernazione dell’incolpevole Ottone. Le autorità, comunque, hanno già diramato un identikit – anzi, un identicat (AH, CHE GLORIOSA GAG) – dello squadrone criminale e le indagini procedono a ritmo serrato. Gli eventuali testimoni sono pregati di farsi avanti. Ogni avvistamento – o presunto tale – sarà prezioso per aiutarci a risolvere il fittissimo e deprecabile mistero. Ne va della felicità di Ottone. E della salvezza dell’intero mondo felino. Vi aggiornerò sui prossimi sviluppi – su Studio Aperto, probabilmente. Voi, nel frattempo, puntate il dito contro il vostro criminale felino preferito. Sembrano teneri, ma sono temibili.
GRANDE SUSPANCE.
GIALLO!
INQUIETUDINE!
CIOTOLE VUOTE!

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[Cuoretti a Felix e anche a Ottone von Testimonial, che è l’unico vero INFLUENCER di casa-Tegamini]

 

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MADRE, non si sa perché, non capisce le vacanze. Ami viaggiare? Ti piace visitare posti nuovi? Non vedi l’ora di passare del tempo lontano da casa – a scopo ludico-ricreativo? MADRE ti disapproverà. Non so che cosa le impedisca di intuire le innumerevoli ricadute positive che il viaggio può produrre sullo spirito umano, ma siamo messi così. Una persona che va in giro, per MADRE, è una persona che perde tempo, una persona frivola, superficiale e poco incline a comprendere il senso più autentico della vita. Perché la vita è sofferenza, sacrificio e stridore di denti. Allo stesso tempo, però, MADRE è in grado di esprimere dei desideri. Ad esempio, sono circa quindici anni che proclama di voler visitare la città di Perugia. Perugia, mica la Guyana Francese. C’è gente del West Virginia che prende l’aereo e attraversa appositamente un oceano per vedere Perugia. MADRE abita a Piacenza ed è pure in pensione, ma non ha ancora trovato il modo di raggiungere l’Umbria. Le ho chiesto se voleva che le prenotassi un albergo. Le ho chiesto se potevo guardarle i treni o stamparle un sapiente itinerario con le mappe di Google. Niente da fare. Eh… vediamo. Non adesso. C’è brutto tempo. Il papà non è molto in forma. Ho il fuoco di Sant’Antonio. Zero, non ci si riesce. È una roba che mi manda al manicomio. In fondo, però, credo che a MADRE vada bene così. Anzi, la faccenda di Perugia fa di lei un esempio di autentica abnegazione. “Ma hai visto quei due là? Sono sempre a spasso. Beati loro che hanno del tempo da perdere, guarda. Pensa che io non ho mai visto neanche Perugia!”. A quel punto, MADRE si aspetta di ricevere dei complimenti per la morigeratezza e la modestia che la contraddistinguono. E se proprio non vi viene da congratularvi, il minimo che potete fare è insultare insieme a lei tutte quelle persone che, invece, amano vagare per borghi, paeselli e remoti continenti in pace e tranquillità. Lo so, credetemi. A livello teorico, è un ragionamento che non ha alcun senso. In pratica, è il primo caso di Sindrome di Stoccolma auto-inflitta.
Comunque.
Il fatto che i miei genitori siano così poco inclini a spostarsi mi fa molto comodo. Perché, d’estate, so a chi lasciare il gatto. Sono ormai tre anni che Ottone von Accidenti va in ferie in campagna, dai nonni. MADRE, pur detestando le vacanze, non vede l’ora che io parta. E non perché viaggiare è bello, emozionante, istruttivo e interessante. Macché, MADRE mica è contenta per me. MADRE vuole che mi levi dai coglioni perché le piace tenere il gatto e informarmi, periodicamente, di quanto Ottone sia più felice lì con lei che a casa nostra. A me, di base, basterebbe sapere che è vivo e in buona salute, ma MADRE è convinta di dover fare di più. Oltre ad attribuire al gatto una vita interiore degna di William Blake, MADRE sente il bisogno di educare Ottone. Cerca a tutti i costi di dimostrare che il mio gatto è un genio e che, grazie ai suoi impareggiabili sforzi pedagogici, riesce finalmente a fare un casino di cose che, normalmente, non gli passerebbero neanche per l’anticamera del cervello. Le gloriose gesta che MADRE interpreta come miracoli, ovviamente, fanno parte delle dimostrazioni di follia-standard che ogni gatto regala giornalmente al suo padrone, ma non c’è verso di convincerla. Anzi, quando glielo facciamo timidamente notare, parte la sfida. Siamo noi che non gli dedichiamo abbastanza attenzioni. Siamo noi che non stimoliamo nella maniera più corretta la sua creatività. Siamo noi che non gli compriamo le tempere per fargli dipingere tramonti e paesaggi mozzafiato. Ah, che paesaggi vuoi che veda, poi, lì a Milano? Qua è tutta un’altra cosa. E il pelo? Quando è qui è molto più lucido. Bisogna spazzolarli, i gatti. Mica come fate voi.
I documenti fotografici che riceviamo dalla campagna, poi, non fanno che confermare i progressi di Ottone von Accidenti.

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Ottone von Keplero, dopo una proficua sessione di osservazioni astronomiche, si allontana dal telescopio per elaborare la Teoria Generale del Tutto.
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Ottone von Hugh Grant impara ad utilizzare l’ombrello come un vero gentiluomo.
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Ottone von Messner si avventura coraggiosamente in territori inesplorati, pronto a portare la civiltà là dove nessun gatto si è mai spinto prima. La tizia col maglione di Babbo Natale è, ovviamente, MADRE. O Vasco De Gama.
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Ottone von Cartografo, ignaro di avere le zampe cortissime, perlustra un fazzoletto di terra remoto ed impervio allo scopo di mapparlo con certosina precisione. Anche se è un gatto siberiano.

 

C’è chi sta peggio, comunque. Quest’anno, per dire, siamo andati in vacanza con il nostro amico Lorenzo. Lorenzo, da circa tredici anni, vive con Chicco. Chicco è un gigantesco norvegese delle foreste, bellissimo e incredibilmente irascibile. Chicco tollera solo Lorenzo, mangia come un frantoio, detesta essere disturbato e si butta a pancia per aria al solo scopo di artigliare le mani ai pochi incauti che ancora non lo conoscono bene. Lorenzo, come noi, ha fiduciosamente portato il gatto dai nonni. Al contrario di Ottone, però, Chicco non ha reagito granché bene al trasferimento. Oltre a cagarsi addosso nel trasportino, infatti, ha passato due giorni e mezzo ad ansimare come un mantice, nutrendosi esclusivamente dei brandelli di carne che riusciva a strappare dalle caviglie dei padroni di casa. La mamma di Lorenzo, tanto per farlo partire sereno, ha concluso l’opera con un commento da manuale: “Vai pure, ci mancherebbe… spero soltanto che il gatto non muoia di dolore”. La cosa interessante, però, è quello che è accaduto dopo. Mentre MADRE, nonostante le menate già abbondantemente descritte poco fa, mi illustrava vicende plausibili – Ottone ha preso un grillo! Ottone ha rotto una bottiglia! Ottone ci corre sulla pancia nel cuore della notte! -, la mamma di Lorenzo ha praticamente inventato un altro gatto. Da immane palla di pelo indemoniata, Chicco si è trasformato in un soave soprammobile da salotto. Tanto per cominciare, è diventato una femmina. Chicca sta molto bene. Segue tuo padre da tutte le parti. Corre da noi appena la chiamiamo. Sta in braccio e salta su e giù tutto il giorno. Ed è diventata BELLISSIMA… santo cielo, è così affettuosa!
Lorenzo, ad un certo punto, era convinto che Chicco fosse morto e che, per non farlo preoccupare, sua madre si fosse messa a raccontargli un mucchio di panzane rassicuranti e felici, finendo per peggiorare la situazione. Io, nel frattempo, ascoltavo il quotidiano – e dettagliatissimo – resoconto delle prodezze di Ottone von Villeggiante. Ha mangiato quasi tutte le crocchette! Ha cercato di catturare un calabrone, ma l’abbiamo salvato in tempo! Ha dormito sulla panchetta, nella vasca da bagno, sul tavolo fuori e sul comodino di tuo padre. Ha portato Paperella nella doccia. Ha raspato la porta. Ha miagolato nove volte in mezzo al salotto. Gli abbiamo dato l’umido alle 22 e 24. Ha giocato col topino del tiragraffi.
Quel che è peggio, come al solito, è che non possiamo lamentarci. Perché, innegabilmente, ci hanno fatto un favore. Nonostante adori prendere il gatto in ostaggio per due settimane, però, MADRE – la mia, almeno – farà sempre passare l’impresa come una dolorosa incombenza, offendendosi a morte ogni volta che ci viene in mente di contestare i suoi metodi – soprattutto quando le si fa notare che, forse, il regalo più grande che si può fare a un gatto è lasciarlo in pace per cinque minuti. E anche che, magari, quando si tratta di un gatto che vive con te da tre anni, ne sai un po’ più tu di lei. Ogni argomentazione, comunque, crollerà miseramente di fronte a una lucida e saldissima muraglia d’irrazionalità. Perché, qualunque cosa tenterete di spiegare a MADRE, lei risponderà sempre allo stesso modo: Sai cosa ti dico? La prossima volta il gatto te lo curi tu, visto che sei così brava. Anzi, fai come tua madre e stai a casa, che è meglio.

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Diciamolo. Gli animali ti guardano è una rubrica bellissima. Anzi, è la rubrica (senza alcun genere di pretesa scientifica) che ha sconvolto il web e la zoologia tutta. Non si sa perché, ma si sta riempiendo di pennuti. Dopo la sconfinata stupidità della sula dai piedi azzurri e la sorprendente espressività del becco a scarpa, oggi ci dedicheremo a una creatura imprevedibile, iraconda e intelligentissima. Parleremo di una bestia che potrebbe sbudellarvi, cavarvi gli occhi e sfondarvi lo sterno in sei secondi netti, lasciandovi orbi ed esanimi sul terreno insanguinato. Oggi narreremo le gesta del casuario, l’unico uccello temuto da Stalin, Boba Fett, Megatron e pure da mia MADRE.

Casuarius casuarius

Il casuario è una bestia in via d’estinzione che abita in Australia – patria di tutti gli animali strambi e potenzialmente letali. Dopo lo struzzo e l’emù, è il terzo uccello più grande del mondo. Le femmine possono arrivare a un metro e ottanta di altezza e sono più voluminose e colorate dei maschi. Grazie al cielo, il casuario non sa volare. Ma è in grado di inghiottire pompelmi interi senza battere ciglio.

casuario mandarino

Oltre alle lacrime dei loro nemici – e ai pompelmi giganti -, i casuari si nutrono di frutta, semi, funghi, invertebrati e piccoli vertebrati. Possono correre a una velocità di cinquanta chilometri orari, sono ottimi nuotatori, saltano come degli ossessi e sono ricoperti di roba affilata. Dove dovrebbero esserci le ali, il casuario ha dei moncherini fatti di scaglie corazzate di cheratina. Sulla testa ha una specie di cresta ossea grossa come una vanga e, sul secondo dito degli zamponi posteriori, un artiglio pugnaliforme lungo cinque centimetri. Data la predisposizione a servirsi in maniera olistica e armoniosa dei suoi numerosi talenti (corsa + salto + astuta malvagità), l’artiglio rende il casuario particolarmente temibile nel combattimento corpo a corpo, disciplina olimpica che l’ha visto più volte salire sul podio – dopo averlo forsennatamente demolito a testate.

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casuario pedate

I casuari sono uccelli estremamente riservati e schivi. I maschi amministrano un territorio di circa sette chilometri quadrati – l’estensione massima di forestina che sono in grado di difendere a zampate -, mentre le femmine (pur prediligendo una precisa area) sono un po’ più mobili. Le femmine di casuario, in realtà, sono avantissimo. Invadono a più riprese i territori dei maschi e li utilizzano come meri toy-boy. Alle femmine di casuario non interessa una fionda secca di tenere in ordine la casa e di preparare i muffin al mirtillo al proprio fidanzato. Dopo essersi accoppiate, le femmine di casuario sganciano le uova – uova BLU, amici, gloriose UOVA BLU – nel nido costruito dal maschio meno pirla del circondario, salutano caramente e se ne vanno – con le Spice Girls in sottofondo.
Stagione degli amori a parte, i casuari restano uccelli solitari, misantropi e scorbutici. Mal tollerano gli sconosciuti e non amano essere avvicinati… specialmente da una truppa di imbecilli armati di rastrello.

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La cosa più bella che so del casuario, comunque, me l’hanno raccontata i miei colleghi al caffè. Lo so, voi bevete il caffè con della gente che vi parla di come si mangia all’Expo, io prendo il caffè con persone splendide, persone che mi spiegano le abitudini del casuario australiano. Cambiate lavoro e non ammorbateci coi vostri problemi – che se volevate mangiare tantissimo e spendere poco dovevate andare alla Bocciofila Caccialanza, mica all’Expo. Comunque, grazie ai miei colleghi, ho scoperto che il casuario è uno dei pochi animali in grado di serbare rancore. Se incontrate un casuario e gli tirate un mango in faccia – o gli dite che il koala è più carino di lui, o gli pestate un uovo, o lo guardate in una maniera che potrebbe non essere di suo gradimento -, il casuario se lo ricorderà. E tramerà vendetta. Anni dopo, quando anche vostro marito avrà dimenticato che, in un’estate particolarmente dissennata, vi siete fatte trombare dal bagnino nella rimessa dei pedalò, il casuario rammenterà che gli avete tirato un mango sul becco e, alla prima occasione utile, vi sventrerà, infierirà sui vostri miserabili resti mortali e getterà il vostro scheletro putrefatto nella bocca ribollente di in un vulcano acceso, nella notte più fosca e tempestosa di ogni tempo. Perché i manghi non si tirano, diamine!
Pensate di cavarvela?
Eh, che sarà mai, il casuario.
Una volta ho acciaccato il porcellino d’India, ma mica mi ha strappato gli occhi. Va bene, il casuario è un po’ più pericoloso, ma quanto vuoi che campi? I criceti stanno al mondo quattro anni. I gatti e i cani, se proprio va bene, schiattano a quindici-diciotto anni. Un casuario quando starà al mondo?
Un casuario, cari tutti, vive cinquant’anni.
E vi seguirà in capo al mondo.
Come il Conte di Montecristo.

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Allora. Entro Natale, in teoria, avrei dovuto produrre un mezzo libro. Ma non “mezzo” nel senso di porcheria buttata lì mentre ti fai i piedi dai cinesi. “Mezzo” nel senso di quantità. Che divertente la roba che ci hai fatto leggere, riesci a riordinare un po’ le idee e mandarcene metà prima delle vacanze? Prova a fare così e così e poi vediamo cosa succede. Ma certo, non c’è problema. Facciamo che consegno la traduzione che devo finire per ottobre e poi mi ci metto. Capirai, mezzo libro lo metto insieme, in un paio di mesi. E che ci vuole.
Che ci vuole?
Ci vuole una piscina di Redbull. Ci vuole un frullato mela-banana-anfetamine ogni ventidue minuti. Ci vuole una cameriera a tempo pieno. Un cuoco. Della servitù. Dei professionisti che si occupino del tuo trasloco. Della gente seria da mandare in ufficio al posto tuo. Una macchina del tempo. Degli scemi da spedire all’IKEA a comprarti le seggiole. Degli gnomi che stiano le mezz’ore al telefono per farti le volture del gas e della luce. Uno stagista che non dorme mai. L’autista. Un dottore che si candidi spontaneamente per diventare il tuo medico della mutua. Qualcuno che capisca dove devi mettere il TFR quando cambi azienda. Una squadra di paggi. Uno psicologo che ti aiuti ad adattarti ai ritmi e ai costumi del nuovo posto di lavoro. La spesa a domicilio. Un cucciolo di foca da tenere in borsa, per superare i momenti difficili.
Voi fate, che io scrivo mezzo libro.

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Il problema è che questa cosa buffa devo assolutamente finirla. Ma proprio per orgoglio personale. Perché potrebbe essere divertente – e assai confortante – anche per gli altri. E perché, quando riesco a mettermici, fa gioia anche a me. Che mi sembra anche un po’ la ragione più valida, se proprio devo annichilirvi con un rigurgito di sincerità.
Nel tentativo di razionalizzare le mie difficoltà – al fine di superarle con un agilissimo Fosbury e/o di imbastire scuse sempre più sostanziose e plausibili – ho deciso di costruire una solida mappona cognitiva degli intoppi contingenti, psicologici e psicosomatici che mi stanno impedendo di mettere insieme un mezzo libro in relativa velocità. Il domandone che ci guiderà è il seguente. Che cosa succede a una persona normale e mediamente disorganizzata quando prova a scrivere qualcosa? Come sempre, ci faremo aiutare da un manipolo di volenterose bestiole.

N. B. Per offrirvi una riproduzione quanto più autentica e accurata possibile, i nostri fidi animaletti appariranno a caso, manifestando le più diverse emozioni senza alcun rispetto per le più basilari norme di causa ed effetto. Perché nulla è coerente e lineare, quando ci si imbarca in un’impresa del genere.

***

Ti è venuta un’idea. E, per una volta, è un’idea plausibile. Tutto è meraviglioso. Non vedi l’ora di iniziare. Sarà fantastico. Sarà divertente.
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Le muse sono dalla tua parte, lo senti. Le muse tifano per te. Pure quelle cieche, storpie e deformi. Soprattutto loro, probabilmente.
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Mezz’ora a smanettare e hai addirittura prodotto un indice. Vittoria imperitura! Vulcani che eruttano cuccioli! Parate e pasticcini! C’è l’indice… hai praticamente finito! Cioè, una volta che c’è la struttura sei a posto, devi solo metterti lì e scrivere i fatti tuoi in bell’ordine. Che sarà mai. L’indice esiste, la salvezza è tua!
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Che facciamo, la buttiamo giù l’introduzione? Insomma, lo sanno tutti che l’introduzione bisogna farla alla fine. Però è anche vero che senza introduzione non si capisce niente… c’è gente che dovrà leggere la bozza, come si fa senza introduzione. Ma servirà? Cioè, a livello narrativo? La diamine di introduzione ha un’effettiva utilità nell’economia del racconto che ci accingiamo a sviluppare? Farne una zoppa potrebbe essere peggio che non farla affatto. Non è che si può sempre dire “eh, ma poi la metto a posto, non vi preoccupate che arriva”… (per comodità, troncheremo qui le riflessioni sull’introduzione. Ma aggiungete un 4 giorni di ritardo al GANTT del vostro libro).
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Cos’è che suona. Cos’è. Che c’è ancora. Non sarà mica la lavatrice?
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Eh, è la lavatrice. Niente. Stendo e vado a letto, che è già mezzanotte e mezza. E domani è pure lunedì. L’indice, ho fatto. L’indice e basta.
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Ma ha senso che io ci perda del tempo? Voglio dire, non ci farò mai un soldo, scrivendo delle cose… né ora né mai. E ho fame. Vorrei una pizza con le olive. Per comprare le pizze ci vogliono delle risorse economiche, delle entrate stabili. Ma chi me lo fa fare? Mi attende un destino di povertà, frustrazioni e stenti. Se voglio piantare lì, questo è il momento giusto. Cioè, al massimo butto nel cesso un misero indice… capirai.
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…c’è anche da dire una cosa, però. Che mi frega. Sono ereditiera dentro. Dentro, sono una nobile rampolla che porta la 38. Suono l’arpa, ricamo, dipingo e scrivo. Procediamo, tanto ho una rendita annuale di 47 mila franchi!
Ah, la meraviglia dell’ispirazione ritrovata! Ah, l’entusiasmo di una storia che germoglia! Cielo, l’impetuoso potere di un animo saldo!
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Però fuori c’è il sole. C’è caldino. Fuori c’è il mercatino dell’antiquariato che sono sei mesi che ci voglio andare. E dovrei pure fare la spesa. Perché mi sono messa in testa di scrivere questa roba. Ma chi me lo fa fare. Ho ancora tutta la vita davanti.
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Ho tutta la vita davanti… ma che cosa ci farò? Ho trent’anni. Ormai non sono più una bambina prodigio. Sono un relitto. Non ho combinato niente. Non sto combinando niente. E non combinerò mai niente. Che scoramento. Ed è pure finito il Braulio.
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Che cretina! Sto scrivendo un libro, non sto mica fondando Google! È tutta un’altra faccenda! Anche a cinquant’anni compiuti, sarò comunque una GIOVANE SCRITTRICE! Ma è bellissimo! Sono praticamente una neonata! Dove sono i miei minipony! Portatemi un saccottino all’albicocca!
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Esultate, genti del mondo, ho finito un altro capitolo! Inchinatevi alla sfolgorante magnificenza della mia arte!
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Dai, questa qui è proprio una bella frase. Chissà come m’è uscita. Non ne ho memoria. Sono evidentemente posseduta da un irrefrenabile afflato d’ispirazione.
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Perché. Perché ogni volta che apro il file – specialmente se è passato qualche giorno dall’ultimo DECISIVO intervento – mi sento il dovere di rileggere sempre tutto da capo. Perché. Che qualcuno ci metta delle password.
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Non importa, non importa. Nulla mi scalfirà. Tutto questo è ridicolo, ma non fa niente. Ho perso un po’ di tempo… ma ho un piano corazzatissimo. Ed è il piano che conta. Lo vedo, è solido. Anzi, tridimensionale. Basta procedere un pezzettino alla volta, con pazienza.
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Mai. Non finirò mai. Solitudine e patimento.
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Puoi abbassare la TV, gentilmente? Qui c’è gente che CREA.
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Flavia, hai voglia di leggere il capitolo nuovo? Niente di che, non pigliarti male. Tanto per capire se ridi o se ti vengono le convulsioni. Senza rancori, davvero. No ma solo se vuoi, non voglio mica farti ansia, ci mancherebbe. Ti piglio il computer, ti metti lì sul divano e io finisco di preparare la pasta. Vado di là, ok? Così non ti disturbo…
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Cioè. La Flavia ride. Ma anche con una certa spontaneità. Che vorrà dire. Che devo pensare. Va bene, no? È una scoperta positiva… è un segno della benevolenza dei cieli. O magari ride perché è gentile. E sa che la sto spiando da dietro lo stipite della porta.
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Forse ci sono un po’ troppi neologismi. Non ne ho la certezza, ma il sospetto è assai fondato. Non sono mica Michele Mari… se vedono un altro “POFFOSO” mi mandano a stendere.
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Smettetela di invitarmi agli aperitivi. Dimenticatemi.
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Smettetela di invitarmi alle cene. In posti buonissimi. Che costano poco. E dove si mangia un botto. Smettetela e basta.
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Io ho sonno, capite? Ho bisogno di dormire, di riposarmi. Non invitatemi al Plastic. Questi weekend sono importanti. Mi serve TEMPO. Non posso sprecare le mie domeniche a boccheggiare sul divano, nel remoto tentativo di ripigliarmi da orrori, disavventure e panini pesantissimi ingurgitati alle sei del mattino.
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Scusami. Pensavo di avere qualcosa da mandarti, ma sono ancora troppo indietro. Non dimenticarmi, però. Io sono qui. Che m’impegno. Con scarsi risultati, ma m’impegno davvero. Non lasciarmi. Non abbandonarmi. Trattami come se fossi una persona seria. Con le traduzioni sono puntualissima… puoi chiederlo a chi ti pare. Giuro. Ce la farò, te lo prometto.
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“Cara Francesca, ci servirebbe la traduzione di questo nuovo romanzo per ragazzi. È un libro molto divertente e per noi si tratterà di un lancio importante. Sei libera? Pensi di farcela in un mese e mezzo? Ti ringrazio moltissimo”.
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HANNO BISOGNO DEI MIEI SERVIGI. E VOGLIONO PURE PAGARMI (A 60 GIORNI DALLA CONSEGNA DEL LAVORO). NON TEMERE, VALOROSO EDITOR, STO ARRIVANDO!
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Le vacanze… mi pagherò le vacanze senza andare in rovina. E in vacanza, finalmente, avrò un sacco di tempo da dedicare al mio libro. Che bel piano. Andrà tutto fantasticamente bene.
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Molto bene… sono passati due mesi. Dove eravamo rimasti?
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Non lo so. Non lo so più. È come se mi fossi appena svegliata da dieci anni di coma. Chissà come volevo andare avanti. Chissà quante idee MIRABILI si sono dissolte. Come lacrime nella pioggia. Come peli nello scarico.
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Ed eccoci qua. A ricominciare da capo per la ventesima volta.

 

Se mai ce la farò, sarete i primi a saperlo.

 

 

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Ottone von Testimonial, lo Zoolander del mondo felino.

 

Il sogno di una vita.
Un’utopia che diventa realtà.
Un miracolo.
Un evento di portata interplanetaria.
Giuro, sono commossa. E vorrei anche un po’ piangere. Vorrei piangere tantissimo perché il mio gatto – lo stesso felino che mi ha squartato innumerevoli carichini del telefono, che ha devastato ogni pianta mai entrata in casa, che ha abbattuto alberi di Natale e sfondato vasi di vetro giganti, sconvolgendo la mia esistenza con potentissimi tifoni a base di palle di pelo -, il mio gatto – Ottone von Accidenti, flagello poffoso delle costellazioni – è diventato testimonial Gourmet.

MA VI RENDETE CONTO.

Dopo aver passato quasi tre anni a nutrirlo con considerevoli quantità di Gourmet Perle – avvincente ammasso di proteiniche ciccionate tritate, che lui ama con tutta l’anima (anche più di quanto mai amerà noialtri) -, la Gourmet si è accorta di Ottone von Accidenti. Proprio loro. Quelli che fanno le pubblicità con questi gatti bianchi pettinatissimi, gonfi come nuvole, eleganti ed estremamente garbati. Gatti leggiadri, che non si trascinano i pezzi di tonno in soggiorno e che hanno capito come si usa la porticina per uscire sul balcone. Gatti che sanno leggere in latino e attraversano con la massima serenità immense distese – minate – ricoperte di soprammobili in fine porcellana dipinta a mano. Gatti che suonano l’arpa e declamano versi di Catullo al sorgere del sole. Ottone, al sorgere del sole, ci corre fortissimo sulla pancia, svegliandoci di soprassalto in preda ai terrori più imprevedibili. E pesa sette chili.
Nonostante questi inconvenienti comportamentali – in fondo è ancora un felino adolescente… e temiamo che presto ci chiederà il motorino, oltre al permesso di tatuarsi le gattine nude sul petto -, Ottone è una creatura quasi celestiale. E proprio perché è un irrecuperabile e tenerissimo imbecille. Date le premesse, ho affrontato l’unboxing dello scatolozzo di Gourmet Soup – il nuovo cibino per gatti che ci hanno adorabilmente chiesto di collaudare – con una certa apprensione. E se gli fa schifo? Se si ritrae terrorizzato? E se non dimostra un sufficiente entusiasmo?
Mille paranoie. Per niente.

 

Un luminoso successo. Una voracità senza pari. Mille linguine rosa che guizzano felici. Fortissime miagolate di apprezzamento – volevo trovare il modo di aggiungere dell’audio (una di quelle musichette felici tutte trillose), ma un po’ non sono in grado e un po’ mi spiaceva coprire i versi di Ottone. È come vivere con uno di quei giocattoli che fanno SQUIK quando li schiacci. Solo che lui si schiaccia da solo. Ogni tre minuti. Insomma, Gourmet Soup è Ottone-approved. E, a quanto pare, è in ottima compagnia. Gourmet – ho scoperto – ha una sezione sul sito piena zeppa di gatti che si abbioccano felici dopo aver assaltato una ciotola dei loro mangiarini. Noi, ho già deciso, contribuiremo con questo impagabile ritratto. Ottone von Testimonial, in modalità FOCA MONACA.

 

Ottone von Testimonial paciosamente adagiato – come una foca monaca – in mezzo agli amatissimi #GourmetSoup. Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

Perché un gatto a pancia all’aria vale più di mille parole.

Grazie, valorosi produttori di cibo felino. Ci siamo divertiti un sacco, abbiamo imparato come si montano i video – Steven Spielberg, stiamo arrivando – e abbiamo anche scoperto che, quando si tratta di buttarla sulla telegenia, Ottone è molto più efficace di me. Ottone è nato per essere scandalosamente avvenente, adorabile e tondeggiante. Beato lui. E anche buon per me. Con tutti i brodini-mangiarini che c’erano nella scatola, non dovrò più frequentare la corsia del cibo per animali per almeno un mese. Dopo, però, sarò per sempre condannata a tornare a casa con tonnellate di Gourmet Soup. Tonnellate. Montagne. Cordigliere. Continenti.
Per sempre.

 

Ora ho capito perché le pubblicità le fanno coi gatti bianchi. #GourmetSoup

Un video pubblicato da Francesca Crescentini (@tegamini) in data: