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Visto che siamo riusciti a preservare il primogenito fino ai cinque anni d’età e un po’ d’esperienza sul campo l’abbiamo guadagnata, ecco qua una raccolta ragionata – e sostenuta dal preziosissimo senno di poi – di COSE che si sono dimostrate indispensabili e utili per affrontare l’arrivo di un piccolo umano in famiglia. Perché mi metto qua a compilare un listone per neonati e neonate? Perché fra qualche settimana accoglieremo una creatura nuova e sto cercando di capire pure io cosa si può riciclare, cosa si può migliorare e cosa ci manca. Insomma, mi rinfresco le idee io e, incidentalmente, magari fornisco pure a voi qualche informazione sensata. In questo post troverete quello che abbiamo usato noi al primo giro – e che s’è dimostrato durevole – per affrontare i primissimi e primi tempi.

Procediamo.


Preparazione del terreno

LA FAMIGERATA BORSA DELL’OSPEDALE

Sì, le implacabili esigenze d’equipaggiamento iniziano dal parto e si configureranno in una borsa per voi e una borsa per chi nasce. Gli ospedali sono soliti fornire una lista di elementi indispensabili e/o caldamente richiesti o consigliati per la fase di ricovero – questa, per esempio, è quella dell’ospedale dove ho partorito e partorirò io – e visto che la vita è difficile, vi incoraggio a dar retta a chi tenta di semplificarvela. Cercatela o chiedetela, perché ogni reparto ha le sue “regole” organizzative e se date una mano nel farvi dare una mano filerà tutto più liscio.
Sì, i pannoloni post-parto sono grotteschi, ma facciamoci pace.
Sì, portatevi delle ZAVATTE che si possano lavare.
Sì, impacchettate la roba della prole separatamente, in modo che sia consegnabile al personale del reparto. Non partite con l’idea del “quando sono là smisto tutto”.
No, non prendete su ciucci, giocattoli, pupazzi e cazzate perché un bambino di due giorni non necessita di intrattenimento.
Sì, armatevi di vestaglia.

UNA RISORSA UTILE PER AGGIORNARE IL PARENTADO

Farete molte foto. Tutti vorranno riceverle. Voi non avrete voglia di mandarle a 30927209 gruppi di messaggistica diversi ogni sei minuti.
Come risolverla? Con un’app molto comoda che vi permette di caricare foto e video rendendoli consultabili da parenti e amici senza che vi rompano l’anima. Invitate chi volete e solo quelle persone potranno accedere ai materiali e caricarne. Altre utilità: precisissima misurazione del tempo, comodità di consultazione e, man mano che passano i mesi, “tesori” da ripescare. Lo spazio d’archiviazione è gratuito fino a una certa capienza e poi si paga un abbonamento mensile – noi li stiamo spendendo molto volentieri ormai da un lustro. L’app si chiama Back Then.


Mobilio domestico

Pinterest potrebbe avervi irrimediabilmente infuso un senso preventivo di sconfitta, ma facciamoci forza. Avrete tempo per allestire una cameretta degna di Downton Abbey e vi auguro di poterci riuscire, se le vostre ambizioni sono quelle. Noi, non vivendo in una magione sconfinata, abbiamo badato alla praticità e alla possibilità di allungare il più possibile la vita a quello che stavamo comprando. Sì, non ci siamo orientati sulla soluzione più economica del mercato, ma sono cinque anni che usiamo questa roba e ora ricominceremo il giro riciclando tutto per la creatura nuova… quindi sì, mi sento di dire che è stato un buon investimento.

Che vi serve, in estrema sintesi?
UNA CULLA.
UN FASCIATOIO.

Noi avevamo preso in blocco il sistema Stokke Home.
Com’era fatto? C’era una culletta e un cassettiera – predisposta per incastrarci sopra un piano aggiuntivo che fungeva da fasciatoio. A tendere, con il telaio della culletta e il piano del fasciatoio si assemblava una scrivania. L’abbiamo assemblata? Totale. Stiamo ancora usando la cassettiera? Totale 2.

La culla era così:

Sono molto triste perché pare non la producano più ma sono anche molto contenta perché riutilizzeremo la nostra. Per qual motivo? PERCHÉ BASCULA. C’è un telaio “fisso” ma la parte del materasso si può far dondolare, conciliando magistralmente il sonno dell’occupante.
Ci sono mille tipi di culla, là fuori. Io non ho optato per una di quelle che si attaccano direttamente al letto perché non sono mai stata in grado di allattare da coricata – andava già bene se ci riuscivo da seduta – e quel che mi premeva principalmente era avere il bambino in camera con noi per ridurre i pellegrinaggi notturni. Credo che Stokke non faccia più la culla Home perché mi pare abbiano “perfezionato” e allungato il potenziale utilizzo degli altri modelli – quelle celeberrime culle tonde con le sbarrette di legno che poi si allungano e si modificano per crescere col bambino senza imporvi di comprare prima una culla e poi un lettino.

Per quanto riguarda la cassettiera-fasciatoio, noi ci siamo trovati bene perché ci cambi e ci vesti sopra il bambino senza doverlo mollare lì per andare a frugare in un armadio. Mettevamo i pannolini nel primo cassetto, gli indumentini negli altri e le varie lozioni nello scomparto laterale del fasciatoio. È capiente? Non sembra, ma molto. Cesare ha un armadio suo da circa un mese ma fino ai cinque anni abbiamo usato quella cassettiera per tutti i suoi vestiti.

Collaterali utilità da fasciatoio: il nostro aveva il materassino imbottito “suo”, ovviamente lavabile. Una volta assicurata la morbidezza necessaria del piano d’appoggio, potete anche valutare di metterci su una traversina o un telo di più rapida gestione: si sporca e lo sostituite. È una soluzione che torna anche comoda quando si è in giro e magari non c’è sempre la possibilità di avvalersi di una “stazione di cambio” regolamentare.


Arnesi

Non arredano, ma soccorrono.

LA SDRAIETTA

Cielo, non posso allontanarmi nemmeno per lavarmi i capelli! Ebbene, è una menzogna. Armatevi di sdraietta. Placa le ansie, è facilmente spostabile, rimbalza e intrattiene, previene i ruzzoloni perché c’è la cintura e, con un opportuno riduttore che di solito vi vendono insieme al resto, la potete usare praticamente da subito. Perché no, i neonati non son capaci di stare seduti ma sono felicissimi di guardarsi attorno da spaparanzati.
Ma la piglio “motorizzata”? In giro ce ne sono parecchie che si muovono da sole ma, a mio parere, sono un po’ dei baracconi. La maggior parte sono dondolabilissime a mano e, nel caso scegliate uno di quei modelli che sono anche incastrabili sui seggioloni della medesima famiglia, tendete a prolungarne l’uso e le occasioni di utilità, variando anche l’inclinazione.
Noi avevamo preso la Steps, piazzabile anche sul seggiolone gemello.

IL MANGIAPANNOLINI

Dove gettare le scorie radioattive?
Ci sono degli appositi bidoncini. Sì, il fatto che esistano non è un mero esercizio di speculazione commerciale ma una buona invenzione. Sì, sono fatti apposta per non puzzare come la morte e per essere tenuti a portata di braccio. Col tempo imparerete anche a fare canestro con grande disinvoltura.
Ce ne sono di diversi tipi. C’è la tipologia dispendiosa ma a prova di disastro nucleare – ogni pannolino viene sigillato in un sacchetto tutto suo e poi finisce nel bidoncino – e c’è la tipologia onesta e snella tipo questo qua della Chicco che abbiamo usato noi. Nel primo caso vi dovete comprare il bidoncino e anche i sacchetti – perché funziona coi suoi e solo coi suoi, quindi periodicamente dovrete rifornirvi di ricariche -, nel secondo caso potrete benissimo avvalervi di un sacchetto della monnezza qualsiasi e basterà comprare il bidoncino per i fatti suoi.

LA VASCHETTA PER IL BAGNO

No, i neonati non sono scaraventabili nella vasca da bagno che usate voi. Sono minuscoli e scivolosi come anguille. Mia madre vi esorterebbe a immergerli senza indugi il catino del bucato, ma la civiltà ci fornisce qualche alternativa. Là fuori ci sono vaschette piccoline di ogni tipo. Noi avevamo scelto questa perché è pieghevole (e volendo anche trasportabile senza troppe cerimonie) e dotata di riduttore – una sorta di “cucchiaione” che si assicura al bordo e vi aiuta a sostenere la creatura nei mesi che precedono lo sviluppo dell’impagabile abilità dello stare seduti.

 

Altra cosa che può aiutare nelle abluzioni? Un termometro da bagno. Perché vogliamo bambini puliti ma non cotti.

LO STERILIZZATORE

Non fate come me, non mettetevi a bollire roba in una pentola piena d’acqua per settimane. Gli sterilizzatori esistono e sono nostri amici.
Allattate? Buon per voi. Vi servirà per eventuali ciucci, ammenicoli da morsicare nel periodo della dentizione, giochi scagliati in terra, componenti vari ed eventuali di un ipotetico tiralatte – contenitorini per il latte compresi.
Non allattate o fate allattamento misto? Benissimo per voi anche in questo caso: vi servirà ancora di più per i biberon, sia di vetro che di plastica.
Noi abbiamo la versione “vecchia” di questo, che sterilizza generando vapore, non si insozza, è capiente e può anche essere scomposto e ficcato nel microonde.

CUSCINI

Se allattate e non volete soccombere a dolori articolari incredibilmente avvincenti e insoliti, vi consiglio con tutto il cuore di trovare una seduta con uno schienale alto e confortevole e di munirvi di cuscino. Io avevo usato un classico Boppy della Chicco, che di certo non brilla per versatilità e potenziali impieghi alternativi, ma fa il suo. Sì, è comodo da sfoderare per i lavaggi e potete comprare delle federine aggiuntive.

Volete un cuscino concettualmente più “ricco”? C’è questo di Koala Babycare che può essere usato per allattare, come paracolpi in vista di futuri lettini, come nido-ciambellone o invalicabile muraglia di morbida ma implacabile sicurezza.

STRACCINI E COPERTINE

Che fungano da salviette, copertine o argini per bave, le mussole sono valide alleate. Sono tessuti morbidi, si lavano agevolmente, asciugano in fretta e resistono bene. Noi le abbiamo usate moltissimo sia in versione “lenzuolino” che in versione quadrata, tipo tovagliolo o straccino.

*

Ma la bilancia?
La bilancia per pesare i neonati è un oggetto di cui dotarsi se un medico vi dice che è indispensabile per monitorare la crescita (si possono noleggiare anche in farmacia) o di cui potete pensare di dotarvi spontaneamente se siete persone che gestiscono ragionevolmente le ansie. È uno strumento che può fornirvi un’informazione sul come sta procedendo la crescita, ma la gestione di quel dato – sempre nel caso non sia arrivato un* pediatra a ordinarvi di monitorare tutto con precisione marziale – sta poi al vostro equilibrio. Insomma, se vi dovete ossessionare tenderei a consigliarvi di evitarla.

Ma il tiralatte?
Io ne avevo preso uno “manuale” con cui mi sono trovata malissimo. Non ho allattato con particolare facilità e non ho collaudato tiralatte elettrici più sofisticati – che dovrebbero anche essere più comodi, quindi non mi addentrerò nell’argomento, che in generale è delicato e molto personale.


Andare in giro

Il TRIO

So bene quanto l’universo dei passeggini possa risultare disorientante, ma la prima cosa da fare è pigliare un metro e misurare la porta dell’ascensore. Aiuta nella scrematura iniziale: qualsiasi arnese sia dotato di un telaio più largo della porta dell’ascensore – o delle porte che abitualmente vi troverete a varcare nella vostra quotidianità – non è da prendere in considerazione.
Ciò detto, da che si inizia? La soluzione più lineare – per quanto possa apparire barocca – è il trio. C’è un telaio unico e sopra ci potrete incastrare tre supporti diversi: la navicella (per i civili: la culla), l’ovetto (per i civili: l’aggeggio per il trasporto in macchina) e il passeggino più comunemente inteso, che subentra quando gli infanti riescono a gestire un’anche vaga posizione seduta.
Sì, il trio è un baraccone e quando potrete finalmente optare per un passeggino “leggero” vi sentirete assai meglio, ma nostro malgrado ci vuole. Fattori ulteriori da considerare: come si ripiega? Quanto spazio occupa nel bagagliaio (da ripiegato)? Come si guida? Quanto pesa?
Il fattore compattezza è molto relativo. Il trio ha tendenzialmente un telaio grosso e di miracoli non ne accadono. Votate almeno per il sistema di “chiusura” che vi pare meno macchinoso e tenete presente che quelli col maniglione unico sono incomparabilmente più comodi da guidare (riuscite anche a spingerli con una mano sola) ma si chiudono con manovre più impervie e quelli con le due maniglie indipendenti (che da guidare per me sono scomodissimi) tendono a chiudersi “a ombrello” e sono un po’ più semplici. E il peso? Se siete soliti/solite uscire sempre con una dama di compagnia o con un valletto il problema potrebbe non tangervi, ma se programmate di fare cose per conto vostro assicuratevi di essere in grado di sollevare il maledetto passeggino in autonomia. Sì, potete chiedere aiuto ai passanti, ma dovendomi basare solo sull’altrui gentilezza in questo momento sarei ancora ad aspettare in cima alle scale della metropolitana.

Dopo aver girato per un po’ di negozi – cosa sensata perché vi fanno vedere materialmente come si incastrano e si chiudono le cose e potete anche cimentarvi in una prova di sollevamento – noi avevamo scelto un trio di Inglesina (il Trilogy) con telaio leggero e “stretto”, visto che il nostro vecchio ascensore era molto angusto. In questi cinque anni son cambiati colori e piccoli dettagli, ma il succo è questo:

UNA BORSA PER IL CAMBIO

Spesso i generosissimi produttori di sistemi trio tendono a omaggiarvi o a includere nei cento miliardi che gli darete anche una borsa per il cambio da agganciare al passeggino o da portarvi in giro. Sono quasi sempre delle specie di cartelle da postino bruttarelle e poco funzionali che vi penzolano davanti mentre spingete il trabiccolo e che a tracolla non vi metterete mai perché una roba pesante a tracolla mal si concilia con le tette – già piagate da problemi gestionali tutti loro.
Zaino? Meglio.
Uso potenzialmente eterno, mille scomparti comodi, tasche termiche, cerniere in posti impensabili ma saggi, lo aprite e sta in piedi da solo, capiente, possibilità di trovarne uno bellino, mettibile. Lo volete agganciare al maniglione? Si può. Volete buttarlo nelle retine-porta-cose dei passeggini? Si può. Ve lo volete portare sulla groppa o sbolognare a qualcuno? Si può.
Io avevo comprato questo – ma in una fantasia più giuggiolosa:

 

UN SACCOTTO TERMICO

L’inverno è laborioso, ma ce la si fa. Sarete comunque piagati da innumerevoli strati d’indumenti, ma la soluzione più lineare per uscire è avvalersi di un saccotto termico da ficcare nella navicella o da assicurare al passeggino (ci sono sempre delle fessure, dietro, per far passare gli spallacci delle cinture). Se posso, vi esorterei a propendere per i saccotti “interi” e non solo per quelli in cui infilare le gambe. Meglio ancora quelli con il cappuccio che si può stringere col cordino intorno alla facciotta dei bambini per riparare anche testa, collo e minuscole spalle.

*

Ma la fascia? Non ho informazioni intelligenti da elargire. Con Cesare non mi sentivo in grado di manovrarla e non ho mai provato. Ora che c’è un po’ più di fiducia magari mi cimento.


Bonus track finale?
Un libro, non posso esimermi. L’offerta di album di ricordi e/o diari per la registrazione di avvenimenti salienti nel percorso di crescita dei vostri neonati è molto estesa e spesso eccessivamente zuccherosa. Con Cesare non ho compilato un bel niente perché era già tanto se riuscivo a gestire la situazione, ma ora che brancolo un po’ meno nel buio mi piacerebbe imbarcarmi in un’impresa di documentazione. Uno spunto simpatico e poco “oneroso”? Ecco qua.

 

Bene, ho cercato il più possibile di razionalizzare e di sfrondare il superfluo… e dovrei aver finito. Serve comunque una barca di roba? Un po’ sì, ma mi auguro di aver limitato i danni e spero di cuorissimo che questa lista possa tornarvi utile nell’avvicinamento alla grande avventura genitoriale.
Ci aggiorniamo fra qualche tempo per uno spin-off dedicato ai primi giochi. :3
In bocca al lupo e PIGLIATELA CON TRANQUILLITÀ.

I fumetti si confermano un luogo efficace per affrontare l’argomento della maternità, soprattutto per quanto riguarda quel limbo complicato di trasformazione fisica e identitaria che si attraversa nei mesi immediatamente successivi a una nascita. Prendo spunto da una lettura recente, La sostituta di Sophie Adriansen e Mathou, per assemblare una piccola lista di narrazioni disegnate che in questi anni ho trovato preziose per esplorare il territorio della maternità e della genitorialità in generale.
Come spesso accade, non è necessario andare alla rigorosa ricerca dell’immedesimazione perfetta, ma mai come in quegli ambiti ancora soggetti a una forte attitudine collettiva al giudizio – più o meno corroborato dall’umana sensibilità e dall’empatia che ogni tema delicato meriterebbe – è prezioso poter contare su prospettive che sfiorano anche gli anfratti meno luminosi di uno specifico fenomeno. Siamo collettivamente educati ed educate a dimostrare competenza, padronanza della situazione, ottimismo e solide capacità, a impegnarci per superare le difficoltà e a non alzare disonorevoli bandiere bianche. Il trauma è un banco di prova, un’occasione per dar mostra di caparbietà, spirito di sacrificio e indomito coraggio. Si può fare tutto, se lo si desidera abbastanza e un’eventuale sconfitta (sovente assai più probabile di un trionfo) si trasforma in colpa, in una testimonianza di inadeguatezza o di demerito. In questo trappolone precipitano anche le neo-madri? Certamente, Vostro Onore. E probabilmente ci precipitano in maniera ancor più rovinosa e potenzialmente dannosa rispetto a quello che ci tocca in qualità di abitanti “normali” di quest’universo collettivo. Alle madri si fanno pochi sconti e perseveriamo nel trascinarci dietro un lungo e ingombrante retaggio popolato da angeli del focolare e sante martiri. Senza dilungarmi in ulteriori pipponi, ecco qua qualche potenziale lettura che può accompagnare – o aiutare a comprendere meglio – cosa succede mentre cerchiamo di assestarci e, soprattutto, di perdonarci quando non ci sentiamo brave abbastanza.

*

La sostituta - Sophie Adriansen-Mathou - copertinaCon La sostituta – in libreria per BeccoGiallo –, una scrittrice e un’illustratrice uniscono le forze per raccontare un periodo di assestamento non idilliaco o consolatorio, ma pieno di quei dubbi che sintetizzano lo scontro tra aspettative e realtà, senso d’inadeguatezza e nuove responsabilità, istinto e paura di non essere all’altezza, pressioni “esterne” e sensazioni intime.

Non si tratta di “vendercela” bene o male, di atterrire con un eccesso di franchezza le aspiranti madri volenterose o di metterla giù dura per amore della spettacolarizzazione anche traumatica di un momento complesso, ma di prestare ascolto e restituire dignità a quel che si discosta da romanticizazzioni forzate o dall’obbligo di nascondere una difficoltà per non sentirsi ancor più “sbagliate”.

Il celebre e sempre celebratissimo “istinto materno” è azionato da un infallibile interruttore che si attiva nell’istante esatto della nascita? Quella sicurezza inscalfibile nelle proprie capacità è un congegno che si innesca immediatamente?
Per la mamma di questa storia – che arriva “felice” al parto dopo una gravidanza desiderata, all’interno di una coppia solida e unita da un grande amore e da una quotidianità appagante – c’è ben poco di automatico. Marketa passa mesi in compagnia del fantasma di una mamma perfetta – “la sostituta” del titolo – che altro non è se non la proiezione ideale di quel che vorrebbe fare ma non le viene, il prototipo della puerpera radiosa e straripante d’affetto che non fa fatica ad assimilare i cambiamenti, accetta il suo corpo senza battere ciglio (anzi, torna praticamente subito “come prima”), pare immune a stanchezza e dolore fisico e, soprattutto, è capace di gestire la situazione con accecante ottimismo e mano ferma.

Oltre alla cronaca pratica di quel che capita a Marketa, Clovis e alla minuscola Zoe, al cuore di questo fumetto c’è uno dei più avvincenti misteri che si affacciano alla vigilia di ogni grande evento che altera lo status quo: come la prenderemo, chi diventeremo. Si ascolta più volentieri chi non alza la mano per manifestare un disagio e si accoglie con più semplicità chi “sta bene”, forse. Ammettere che questo “stare bene” non è necessariamente un merito o un fattore che ci connota come esseri umani migliori – dotati o non dotati di prole – credo sia un buon passo per dare spazio senza stigmi anche a chi non sta beneficiando del medesimo stato di grazia. Perché si è più propensi a chiedere l’aiuto che serve (e a riconoscere di averne bisogno) quando il contesto che ci ospita non tratta con sufficienza o con intransigenza una difficoltà, convincendo anche noi di sbagliare se non ci sentiamo sufficientemente capaci.
Non ce la fai? Va così perché non sei abbastanza brava, non perché stai oggettivamente facendo una cosa difficile che può metterti di fronte a ostacoli e intoppi.
Accogliere un’esperienza di maternità che ingrana superando scogli più ditti e aguzzi di quanto ci sembri più rassicurante ritenere “normale” non toglie nulla alle puerpere felici ma, di certo, alleggerisce il bagaglio di quelle a cui sta andando (o è andata) meno liscia.

*

Lucy Kinsley ha un tratto adorabile e la limpida capacità di scomporre con chiarezza e sentimento le cose “difficili”. In Molto più di nove mesi non racconta soltanto quello che accade dopo la nascita del suo biondissimo Pal, ma anche il percorso accidentato che ha preceduto il suo arrivo.
La narrazione è inframezzata da approfondimenti sul funzionamento del nostro corpo, informazioni sulla gravidanza e riflessioni sociologico-sistemiche sulla genitorialità e le trasformazioni della coppia. Per quanto si capisca già dalle prime pagine che un bambino alla fine è arrivato, Kinsley dedica ampio spazio alle fasi della gestazione e alle conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto spontaneo che ha subito prima dell’arrivo di Pal. Kinsley si concede il margine di manovra necessario a metabolizzare il colpo subito e, tra emotività da ricomporre e razionalizzazioni non sempre semplici da digerire, ci fa da guida in quel limbo di incertezza (e di fallimento) che precede il concepimento e che spesso le coppie affrontano isolandosi e negando dolori e legittima frustrazione.
È un libro che può contare su un senso dell’umorismo delicato, capace di rischiarare anche le parentesi meno liete. Ma è anche un libro spigoloso, che non indora la pillola e ha il coraggio di chiamare le cose orribili col loro nome.

*

Marion Fayolle è una disegnatrice di relazioni. Tra cespi d’insalata ed evocativi lumaconi si è già occupata di coppie e sessualità e, in questo silent-book, ci trasporta sul pianeta dei figli. Talvolta sono giganteschi e ingombranti, altre volte fungono da collante o erigono barriere, giocano con i nostri pezzi o ne portano alla luce di nuovi. Modificano il paesaggio attorno a loro e producono nuovi equilibri. Senza bisogno di parole ma avvalendosi di immagini evocative e argute, Fayolle mappa la cura e la crescita di una famiglia intera che si destreggia in un paesaggio affascinante, accidentato e complesso, tra istanze protettive, nevrosi che proiettiamo su chi ci circonda e serenità ritrovate.

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Cenni rapidi ma attinenti.
Di Pigiama computer biscotti parlo spesso perché Alberto Madrigal produce su di me un effetto rassicurante. Qua racconta il suo apprendistato da papà con candore benevolo e disarmante sincerità: chi può insegnarti a crescere un figlio? Sarò capace di dargli tutto l’amore che merita? Ha senso percepirmi come uno che si limita ad “aiutare”? Cosa succede alla routine lavorativa, soprattutto per chi fa un mestiere creativo? Tra ricerca di nuove fonti di ispirazione, riclassificazione delle priorità e momenti di limpida meraviglia, Madrigal riordina i ricordi e schiude per noi uno spiraglio di calore.

Visto che un papà l’abbiamo incontrato, mi viene spontaneo piazzare qui anche Bastava chiedere. Le dieci storie che Emma raccoglie in questo volume palano di femminismo e di assurdità quotidiane con cui ancora ci tocca scontrarci. Il capitolo più “famoso” e di cui forse si è discusso di più è quello sul carico mentale. Non c’è stortura mappata in questo libro in cui io possa dire di non essermi immedesimata, ma è stato il capitolo sul carico mentale a far scattare quella scintilla di riconoscimento ulteriore che mi ha aiutata ad esternare davvero alcuni bisogni che inconsciamente stavo insabbiando. Ed è capitato proprio negli anni successivi all’arrivo del mio bambino, un momento che penso per molte tenda ad accentuare disparità già presenti ma probabilmente meno pesanti da gestire. Discutere di una fatica è faticosissimo, farla riemergere dal sommerso e non darla più per scontata – o non assumersene la responsabilità in maniera automatica, quasi con determinismo biologico – può creare fratture e disarmonia, ma alla lunga può salvare davvero e creare mondo più abitabile (per mamme e non).

Mi sembrava scorretto produrre una lista di potenziali doni per lettori cresciuti e tralasciare le vaste praterie dell’infanzia. Eccoci dunque qua per rimediare a questa grave e lacunosa ingiustizia. Prima di cominciare con i suggerimenti “nuovi”, voterei per un rapido ricapitolone delle risorse già presenti e sempre utili per trarre ulteriore ispirazione. Cos’è già uscito? Ta-da:

Ciò detto, ecco qualche spunto da recapitare agli elfi di Babbo Natale per propiziare le letture delle creaturine che popolano le vostre vite. Precisazione sull’età di riferimento: il mio bambino ha cinque anni e troverete qua una rassegna di quello che ha apprezzato in questo periodo (o nel periodo dell’asilo, tanto per chiarirci). Legge autonomamente? No, ma siamo piuttosto dell’idea che anche proposte più “difficili”, se c’è qualcuno che spiega e accompagna, siano avventure felicemente affrontabili.

Vado.

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Aina Bestard
Paesaggi perduti della terra
(L’ippocampo)

Di Aina Bestard avevamo già adorato Una nuova vita – Come nascono i bebè animali (sì, sono riuscita a piangere con i pinguini e le tartarughine) e ho accolto con la medesima ammirazione questo bellissimo volume dall’aria un po’ rétro. Sembra un atlante d’altri tempi, da sfogliare meravigliandosi delle illustrazioni e dei capitoli tematici che ripercorrono le tappe dell’evoluzione della terra, dalle rocce agli pteranodonti.

*

Andrea Antinori
Sulla vita dei lemuri – Breve trattato di storia naturale
(Corraini)

Dunque, Corraini si sta addentrando – con il consueto gusto per il surreale – in un fascinoso filone di storia naturale. Data la sua passione sconfinata per gli invertebrati, Cesare si è sciroppato con curiosità e partecipazione anche Sulla vita sfortunata dei vermi di Noemi Vola, che è un po’ il cugino meno sintetico di questo trattato illustrato sui lemuri. L’approccio è estroso: notizie zoologiche “realistiche” presentate con un pazzissimo approccio narrativo e illustrazioni mai banali.

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La nave cervo - Gallucci editore

Dashka Slater & The Fan Brothers
La nave cervo
(Gallucci)

Che meraviglia visiva. E che grande abilità nella navigazione ci nascondevano gli animali – nonostante l’assenza del pollice opponibile! Un inno alla curiosità e all’allargamento dei confini del proprio mondo, ma anche una rinfrancante conferma che l’amicizia e la collaborazione possono portarci dove mai avremmo immaginato di arrivare.

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Lara Albanese & Tommaso Vidus Rosin
Mappe spaziali
(Nord Sud)

Questo è l’atlante che ho fornito a mio padre – competente e assiduo astronomo amatoriale – per allietare suo nipote su un terreno familiare. Oltre alla presentazione (visivamente dinamica e molto d’impatto) degli elementi strutturali del cosmo, troverete anche i pianeti del nostro Sistema Solare e le nozioni base per avvicinare i più piccoli ai misteri dell’universo.
Intanto che ci siamo, segnalo volentieri anche Il sole e i pianeti di Patricia Geis. Ha uno squisito stile d’impaginazione “vintage” e si avvale di numerose soluzioni cartotecniche (alette, lancettine, finestrelle…) che animano le illustrazioni e sostengono l’impianto concettuale.

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I viaggi di Ulisse. Ediz. a colori - Ricardo Gòmez - copertina

Ricardo Gómez & Mariona Cabassa
I viaggi di Ulisse
(Nomos Bambini)

Cito questo titolo per ricordarvi in realtà un’intera collana che Nomos Bambini ha inaugurato – e già ben popolato – quest’anno. Si chiama Miti Classici e, dalle Amazzoni alle fatiche di Ercole, punta a rendere fruibili le grandi storie della tradizione mitologica “occidentale” anche ai più piccoli e alle più piccole. I libri sono tutti illustrati e sviluppano una narrazione compiuta che abbraccia uno specifico episodio mitologico. Alla fine di ogni volume troverete qualche pagina di inquadramento storico e letterario.

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Tom Froese
Mummie svelate
(Franco Cosimo Panini)

Che cosa c’è di più festoso e natalizio di una storia illustrata dell’imbalsamazione, mi chiedo! So bene che quella per l’antico Egitto è una fase quasi obbligata della curiosità infantile e, dopo puzzle, kit di scavo a forma di piramide che m’hanno intoppato pure l’aspirapolvere e momenti di autentico terrore semantico quando s’è trattato di descrivere la composizione morfologica del Dio Anubi, eccoci qua con le mummie e con un altro volume che arriva dalle splendide edizioni del British Museum. Dai vasi canopi al destino ultraterreno dei faraoni, una panoramica accurata e godibilissima di questo affascinante pilastro della civiltà egizia.

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Harry Potter – Il libro di cucina ufficiale
(Magazzini Salani)

Per la rubrica “giocose attività da svolgere con la prole ma che sarebbero molto più agevoli da svolgere se la prole si limitasse a mangiare ma vuoi mettere il divertimento che ci perderemmo”, ecco qua una nuova emanazione dell’universo potteriano. Dai grissini-bacchetta ai dolci di Mielandia, 40 ricette ispirate al mondo di Harry Potter per allietare i fan in erba e far felici pure noi vecchi bacucchi cresciuti con la saga. L’edizione, in tutta onestà, è magnifica.

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Mike Lowery
Cose pazzesche su dinosauri e altre bestie preistoriche
(Nord Sud)

Mike Lowery, volevo dirti che anch’io sono una tua grande fan. Sarà lo stile del disegno e la vispa organizzazione delle pagine, sarà quel senso dell’umorismo un po’ slapstick e la capacità di sintetizzare con giocosità anche concetti non immediatissimi, ma riesco a rendermi perfettamente conto del perché Cesare abbia apprezzato così tanto questo libro e torni periodicamente a sfogliarlo anche da solo. La struttura è piuttosto classica – da dove vengono i dinosauri? Come sono fatti? Come si collocano su un pianeta in evoluzione? – ma ben poco ci si annoia. Nozioni utili, umorismo, fracassonate!

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Sergeij Kozlov & Jurij Norstein | Illustrazioni di Francesca Yarbusova
Il riccio nella nebbia
(Adelphi)

Il riccio nella nebbia nasce negli anni Settanta come progetto d’animazione della premiatissima ditta – è proprio il caso di dirlo – Kozlow/Norstein/Yarbusova. Per curiosità, eccolo qua. La storia, poetica e onirica, è quella di un riccio che si smarrisce in una foresta impestata da una nebbia impenetrabile mentre tenta di raggiungere il suo amico orso. Quest’edizione è un prezioso adattamento “statico” della versione animata, diventata un classico sia per la narrativa russa per l’infanzia che per il pubblico internazionale – perché il viaggio dell’eroe è un concetto universale… ma non capita spesso di affidarlo a un riccio come questo.

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Tom Curtis
Allo zoo con papà
(il Saggiatore)

Tom Curtis è il detentore di una delle pagine Instagram più cretine e geniali di sempre: su @thingsihavedrawn raccoglie le versioni “realistiche”, da lui medesimo FOTOSCIOPPATE, dei disegni sbilenchi dei suoi bambini, prevalentemente a tema zoologico. È una roba esilarante, imbecille e dolcissima che ha ora trovato una sua versione narrativa: Allo zoo con papà raccoglie le perle più indimenticabili di questo bestiario assurdo, ma è anche una sorta di carrellata – raccontata in forma di filastrocca – degli incontri salienti di una gita padre-figli in mezzo agli animali.

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Si potrebbe come di consueto proseguire all’infinito, ma si fa quel che si può. Spero di essere riuscita a lanciare qualche spunto intrigante e vi auguro felicissime letture coi bambini e le bambine della vostra orbita – o pure per conto vostro, chi può dirlo. Un libro valente non ha età.

 

Sono sempre stata molto felice di leggere con Cesare. Quando stazionava ancora nella sdraietta come un garrulo sacco di patate si è pazientemente sorbito lunghe sessioni di declamazione a voce alta delle bozze delle traduzioni a cui stavo lavorando e, crescendo, si è rannicchiato con me e col papà per decifrare illustrazioni e per cominciare, gradualmente, ad ascoltare qualcosa di davvero adatto a lui.
Per ogni età ci sono strutture visive e narrative adatte ad accompagnarli in quel momento della loro scoperta del mondo e, in parallelo, iniziano ad emergere delle curiosità da soddisfare. Ora che Cesare ha cinque anni ci stiamo confrontando con parecchi di questi slanci esplorativi e imprevedibili bisogni di giocoso approfondimento del reale. Beccare i libri giusti ci aiuta spessissimo anche a disinnescare gli innumerevoli PERCHÉ, spacciandoci per gente che la sa lunghissima e, incidentalmente, imparando insieme a lui. Il tempo che passiamo insieme leggendo continua a sembrarmi una delle parentesi migliori che possiamo concederci.

Qui, approfittando di una sostanziosa campagna sconto, troverete una lista di proposte dal catalogo di Sassi Junior che, tra le tante “fonti” di lettura da cui abbiamo periodicamente attinto, ha sempre dimostrato di saperci ben intrattenere e “istruire”.  Mi auguro che la lista possa fornirvi spunti validi per leggere con bimbi e bimbe e per rispondere a un po’ dei PERCHÉ di casa vostra.
Al fondo trovate tutti gli estremi precisin-precisini della promozione.
Qua, invece, i multiformi titoli che abbiamo collaudato con successo in queste settimane.

Il treno delle avventure. Attraverso i continenti
I primi rudimenti geografici da assimilare a bordo di un treno assai speciale. Le pagine si aprono su mappone illustrate – e ricche di curiosità – dedicate ai cinque continenti.
Se il genere cartografico tende ad avvincere, ci sono numerose valigette per familiarizzare sia con la conformazione dell’Italia che dell’Europa. A questo giro abbiamo letto e costruito anche con Viagga, conosci, esplora – Europa.
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Cosa, come, perché – Lo spazio
Realizzato con la consulenza scientifica dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – perbacco! -, un atlante introduttivo per cominciare a indagare i misteri del cosmo, dai corpi celesti a noi più vicini al ciclo di vita di una stella, senza scordarci delle spedizioni umane.
Nel medesimo “filone” c’è anche La terraLa struttura è simile – le informazioni vengono introdotte da domande semplici ma ramificate – e qui troviamo un approfondimento ordinato su ecosistemi, ambiente e sul ciclo della vita nel suo complesso.
Per invasarvi del tutto con i Cosa, come, perché, mi sento in dovere di segnalarvi anche Le invenzioni: scienza applicata al quotidiano e una marea di curiosità, per non dare per scontate le conquiste tecniche e immaginative che utilizziamo ogni giorno.
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Drago 3D
Allora, avevamo già accumulato una significativa esperienza con il triceratopo 3D…come potevamo esimerci dal creare un drago, mi domando. Come molti dei “valigini” di Sassi, anche qui c’è un piccolo libro da leggere accompagnato da un’attività da svolgere. I modellini 3D sono facili da assemblare, sono assai belli da vedere e, nota a margine secondo me molto rilevante, sono solidi e utilizzabili anche nel gioco.
Per mantenerci in tema, c’è anche La foresta dei draghi. In questo caso, alla storia è abbinato un puzzle gestibile in autonomia anche da una creatura di cinque anni.
La foresta dei draghi
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Un’altra fissazione recente? L’antico Egitto. Rammento bene di aver avuto anch’io una fase-egizia, ma m’aspettavo si manifestasse un po’ più avanti. Nel dubbio, ci siamo attrezzati. Il puzzle di questo Viaggia, conosci, esplora è un po’ più complicato di quello dei draghi, ma presenta una gloriosa sagomatura che segue il profilo delle piramidi e che vi ricompenserà degli sforzi congiunti di ricomposizione. Il libro offre una panoramica sintetica ma esauriente sui temoni più fascinosi, tra mummie e divinità zoomorfe.
Viaggia, conosci, esplora. L'antico Egitto
Per ulteriori indagini archeologiche, esiste un’altra combinazione egizia: La maschera di Tutankhamon. La valigetta, in questo caso, è focalizzata sull’arte. Nel libro troverete una carrellata di opere emblematiche e il puzzle è dedicato proprio alla maschera dello iellatissimo giovane faraone.
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Il Curioso Caso del Mammut Scomparso
La rutilante vita segreta dei reperti di un museo di storia naturale: che cosa succede quando un piccolo mammut decide di abbandonare il suo diorama per farsi un giro insieme a un piccolo umano curioso? La loro rocambolesca amicizia è narrata nel Curioso caso del mammut scomparso, un meritevole illustrato dotato pure di finestrelle interattive.
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Sempre sul fronte delle narrazioni, ecco anche L’isola degli orsi polari: un pinguino-inventore sbarca su un isolotto di ghiaccio popolato da un clan di orsi polari estremamente abitudinari e poco accoglienti rispetto al “nuovo”… ma basterà qualche innovazione ben piazzata per far crollare le diffidenze e imparare a convivere in armonia.

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Informazioni pratiche – magari anche per mettervi avanti coi doni in vista del Natale?
Eccoci!

Fino al 12/11 tutto il catalogo di Sassi Junior sarà scontato del 20% – ad eccezione dei titoli usciti negli ultimi sei mesi (la legislazione funziona così, che devo dirvi).

Con il codice TEGAMINI potrete beneficiare di un dono aggiuntivo: con l’acquisto di almeno 2 libri riceverete in omaggio L’isola degli orsi polari. E ci sarà la spedizione gratuita.

Gli insetti sono i nuovi dinosauri? Non sono in grado di stabilirlo con certezza. Tutto quello che so è che il mio bambino – che veleggia spavaldo verso i 5 anni – ha sviluppato una passione irrefrenabile e capillare per l’entomologia dilettantistica. Abbiamo fatto del nostro meglio per presentargli soffici coniglietti, caprette salterine, goffi anatroccoli e morbidissimi alpaca, ma a lui interessano le scolopendre, gli scorpioni, gli aracnidi e gli insetti stecco. Di fronte a una predilezione così vivace e sincera, dunque, abbiamo messo da parte ogni istanza censoria e ci siamo adeguati. Qua, dunque, troverete alcuni dei libri a vario titolo dedicati agli insetti che Cesare ha maggiormente apprezzato in questi anni di militanza tra scarabei, cetonie, lombrichi e lumaconi bavosi. Sono libri che si prestano a diversi livelli di fruizione: Cesare non legge ancora da solo (quindi immaginatevi di dover intervenire per declamare le proprietà della blatta fischiante del Madagascar) ma sono quasi tutti volumi illustrati o fotografici che si possono anche sfogliare in autonomia, tra numerose esclamazioni d’entusiasmo. Spoiler: pensavamo non fosse possibile, ma alla fine ci siamo appassionati anche noi. La speranza è che, leggendo, possa ritenersi appagato e soddisfatto, rinunciando a chiedere a Santa Lucia una bella teca in cui riporre una tarantola grossa come uno scolapasta che so per certo battezzerebbe Giovanni.
COMUNQUE.
Ecco qua i preziosi tomi. E che il creato sempre preservi l’operosa ape.

 

Piccola guida a insetti e altri piccoli animali
Illustrazioni di Tom Frost
Nomos edizioni

Quella delle “piccole guide” illustrate da Tom Frost è ormai una collana che comprende anche farfalle, foglie e uccelli. Ogni creatura – vegetale o animale che sia – è ritratta con un tratto preciso, modernissimo, vibrante e suggestivo e accompagnata da una piccola scheda che ne riassume le caratteristiche più salienti. Ogni volume raccoglie 40 schede per altrettanti esemplari, dallo scarabeo rinoceronte alla falena cometa.

 

Ape. Ediz. a colori - Britta Teckentrup - copertina

Ape. Una piccola meraviglia della natura
Betta Teckentrup
Sassi

Un racconto poetico ma dal rigore naturalistico ben individuabile che segue il volo di un’ape dalle perlustrazioni in cerca di fiori nettarini fino al ritorno all’alveare. Quella al centro del fiore è una finestrella che ritroverete anche nelle altre pagine del libro.

 

Il piccolo popolo del giardino
François Lasserre e Marion Vandenbroucke

L’Ippocampo

Parlare di insetti ci consente spesso di far luce sui funzionamenti meno “appariscenti” degli ecosistemi naturali, vicini e lontani. Questo volumone splendidamente illustrato e costruito a schede ha l’obiettivo di presentarci le 100 specie che popolano con maggiore frequenza i giardini delle nostre latitudini, dimostrandoci come anche il più insignificante degli angolini verdi nasconda in realtà un brulicare di attività fondamentali per l’equilibrio ambientale. I testi “principali” sono lunghetti, per i lettori più giovani, ma la pagina illustrata è sempre sfiziosa: al piede troverete una rappresentazione a grandezza naturale dell’insetto protagonista e anche una sintesi della catena alimentare in cui è inserito (AKA cosa mangia e chi lo mangia).

 

Insetti. Piccole creature spaventose
A cura di Susan Barraclough
Dix

Scordiamoci il nobile intento didattico e la raffinatezza del tratto per una parentesi di puro sensazionalismo. Presentati per famiglie – e in schede che non mancano di dettagli “tecnici”, gli insetti di questo libro ci appaiono come terrificanti kaiju di Pacific Rim e/o microscopici guerrieri dalle devastanti proprietà. Per le giornate – perché ci sono anche quelle – in cui l’entomologia incontra il B-Movie.

 

I bestiolini
Gek Tessaro
Franco Cosimo Panini

Per riappacificarci col creato, un maestro della parola e dell’illustrazione per l’infanzia. Con l’estro e la giocosità in rima che l’hanno reso celebre, Tessaro esplora la vita brulicante di prati e giardini per rammentarci che facciamo tutti parte di un grande meccanismo e che anche gli esseri più piccoli vanno rispettati, compresi e osservati con cura. Detta così pare di una pedanteria insopportabile, ma i testi son così squillanti e allegri da tenere alla larga il rischio di latte alle ginocchia.

 

Insetti e altri creature formidabili
Jess French
Gribaudo

Tra approcci poetico/narrativi o “cataloghi” di specie, quel che forse mancava era un volume dall’approccio più basilare al tema. Anche qui l’apparato iconografico è bello e vario, ma il punto forte credo sia la struttura: si parte dalla definizione e dall’inquadramento delle varie famiglie di insetti nel mondo naturale per poi indagarne anatomia, habitat e comportamenti. Insomma, infarinatura chiara e generale per poi approfondire temi più specifici.

 

Vivono tra noi. Ritratti straordinari di insetti ordinari
Daniel Kariko

Il Saggiatore

A metà tra iper-realismo e incomparabile prodezza tecnica, Vivono tra noi è un atlante fotografico dedicato a insetti “veri”, quelli che Daniel Kariko – docente di fotografia e autore di reportage naturalistici per riviste blasonatissime – si è messo in testa di immortalare dopo essersi insediato nella sua nuova casa. Dopo aver gradualmente raccolto gli esemplari, Kariko ha costruito una sorta di studio fotografico miniaturizzato nel  laboratorio di microscopia del dipartimento di biologia della East Carolina University. Il risultato di questo lavoro certosino è un volume fascinosissimo che pare uscito da una galleria d’arte del Secolo d’Oro olandese, ma con le falene iper ingrandite al posto delle ragazze con l’orecchino di perla. Pazzesco.

 

Inventario illustrato degli insetti
Emmanuelle Tchoukriel e Virginie Aladjidi

L’Ippocampo

Siamo molto affezionati a questa collana – ormai assai nutrita – e non potevamo di sicuro farci mancare il volume sugli insetti. Le illustrazioni sono affidate a un’acqurellista (Emmanuelle Tchoukriel) specializzata nel disegno naturalistico e gli insetti rappresentati nel volume (65) sono classificati in base al loro ordine scientifico, offrendo una panoramica delle specie più emblematiche dei cinque continenti.

 

Il piccolo Bruco Maisazio
Eric Carle

Mondadori

Qua servono poche presentazioni, visto che Il Bruco di Eric Carle ha da tempo divorato la concorrenza nel campo della narrazione entomologica per i più piccoli. Giustamente elevato al rango di classico, può sostenerci con un augurio conclusivo: che la curiosità del mio infante – come dei vostri e delle vostre – possa restare insaziabile come l’appetito del bruco.

 

Il Trentino sta diventando una consolidatissima abitudine estiva. Ci siamo avventurati per la prima volta quando l’infante andava per i due anni – a Moena e dintorni – e siamo tornati nel 2020 per un’esplorazione più approfondita della Val di Fiemme. Visto che ci troviamo sempre benone, c’è fresco, si mangia in maniera superba, il panorama è splendido, i bambini vengono abitualmente accolti con grande sensibilità e sollecitudine e Cesare può esercitare con baldanza le sue fissazioni da naturalista, abbiamo raccolto con entusiasmo la prospettiva di passare qualche giorno in Valsugana, approfittando di ambienti lacustri balneabili che ancora mancavano nel nostro grande puzzle delle esperienze trentine e delle consuete vette da scalare per le nostre passeggiate blande – il passeggino da trekking dei tempi di Moena è un lontano ricordo, ma pur sempre scarpiniamo con un bambino di quattro anni. Insomma, escursioni semplici e godibili in mezzo alla natura.
Senza preambolare ulteriormente, ecco qua una piccola guida di quello che abbiamo combinato durante la nostra permanenza in Valsugana. Troverete giretti, animalini, navigazioni, arte sorprendente e anche un po’ di storia.

LOGISTICA E CAMPO-BASE
Abbiamo alloggiato a Levico al Parc Hotel Du Lac, comodo sia come punto di partenza per le escursioni che come base per goderci il lago. L’albergo è proprio sul lago, anzi. Le camere affacciano sull’ameno specchio d’acqua e c’è anche una bellissima spiaggia ombrellonata con pontili, pratino e famiglie intere di folaghe con la testolina bianca che risiedono nei canneti circostanti e che non disdegnano zampettare sulla riva. Si può ovviamente fare il bagno – il lago è Bandiera Blu e, certificazioni istituzionali a parte, è limpido e soave.

La nostra stanza non era nell’edificio principale ma nella “dépendance” più vicina all’acqua, nell’edificino che ospita il ristorante e i tavoli all’aperto. Anche noi siamo stati dotati di balcone panoramico d’ordinanza e di tutto l’occorrente per usufruire sia della spiaggia che della piscina esterna. Abbiamo cenato spesso in albergo perché dopo le giornatone in giro non volevamo strapazzare troppo l’infante e siamo sempre stati ben alimentati. Il menu – sia quello per gli ospiti dell’albergo che quello del ristorante La Taverna, che è contiguo e risponde alla medesima cucina – è un mix moderno di specialità locali (vini compresi). Al bar della hall, poi, sapranno deliziarvi con un’avvincente selezione di gin trentini. Perché sì, esistono anche dei gin trentini. Ben trovati, gin trentini.
Parcheggio? Ci sono posti riservati per gli ospiti e anche un garage coperto gratuito che si apre e si chiude con la tessera della stanza. Molto utile, visto che la zona lacustre spiaggiaiola può diventare molto frequentata.

COSA FARE E DOVE MANGIARE

La strada del pescatore a Levico
Proprio dal nostro albergo parte una passeggiata praticabilissima che, potenzialmente, può portarvi a costeggiare tutto il lago di Levico. Io e Cesare non abbiamo completato l’anello ma ci siamo spinti fino all’estremità del lago, stordendo di chiacchiere un signore che voleva pescare in pace e ammirando la vegetazione che si tuffa nell’acqua con gran poesia. Abbiamo camminato per un paio d’ore in mattinata, aiutati dall’ombra piacevole degli alberi. Portatevi l’acqua perché non ci sono baretti o punti di ristoro lungo il sentiero.

Malga Sorgazza e boscosi dintorni
La Malga Sorgazza è crocevia di numerosi sentieri di difficoltà variabile, oltre che un ottimo posto dove mangiare specialità tipiche in un’atmosfera super tranquillona. Per arrivarci, partendo da Levico, occorrono più o meno tre quarti d’ora. Dovrete guardarvi da un galletto prepotente – che però ha lasciato dormire Cuore quando è crollato su una sdraio nel prato – ma verrete salutati con calore dall’oca Rosy e pure dai cavallini pezzati che brucano sereni nei dintorni. Oca Rosy, sei vita.

Dopo pranzo siamo tornati al piazzale dove si parcheggia e ci siamo addentrati nella foresta in cerca di cascate. È un percorso da escursionisti piuttosto vispi, che il nostro stambecco di un metro e dieci ha affrontato con grande piglio e interesse. Siamo scesi fino al primo ponte (che non si può più attraversare ma offre comunque scorci splendidi sul torrente e i salti d’acqua) e abbiamo proseguito verso la seconda cascata. Anche in questo caso, c’è un percorso che vi porta a sbucare sulla strada principale a un paio di km a valle della malga, ma abbiamo deciso di accorciarlo e di ritornare su senza uscire dal bosco.

Malga Montagna Granda e super pascoli
La Malga Montagna Granda – a una trentina di minuti in auto da Levico – è una delle numerose malghe della Valsugana che propongono attività e visite per raccontare meglio il lavoro quotidiano con gli animali e la preparazione delle cibarie più disparate, dai formaggi alle conserve di frutta. Volendo cercare nel calendario degli eventi, le esperienze di questo tipo sono etichettate come “Malghese per un giorno” ed è anche possibile adottare una mucca “conosciuta” in malga, ritirando poi la vostra fornitura di bontà casearie prodotte col suo latte.

La Malga Montagna Granda è gestita da un trio di ragazzi giovanissimi che fanno il formaggio e badano a una mandria di splendide mucche e di capre vispe – nessuna capra ha urlato in mia presenza, purtroppo, ma le ho amate lo stesso. La visita parte con un giro nel pascolo al seguito dei garruli bovini e prosegue con una piccola degustazione e un po’ di backstage sulle prime fasi della preparazione casearia. Mettetevi le scarpe brutte e godetevi panorama accarezzando la mucca Bianca e le sue colleghe.

Barchetta elettrica sul lago di Levico
Non sono una gran navigatrice, banalmente perché soffro il mal di mare e patisco troppo per godermela. MA IL LAGO DI LEVICO È INOFFENSIVO, VITTORIA! BENESSERE! ECCO COSA PROVA LA GENTE CHE PASSA I POMERIGGI ALL’ANCORA A BERSI DEI PROSECCHI!
Tralasciando i miei entusiasmi per aver sconfitto questa difficoltà che m’affligge da una vita, potete recarvi al casottino che amministra la spiaggia dell’hotel Du Lac per noleggiare una curiosa imbarcazione. È una specie di pedalò a motore, alimentato a pannelli solari ed equipaggiabile con un ottimo cestino del pranzo di cui vi doteranno felicemente al bar. Armati di cestino e secchiellone del ghiaccio per tenere in fresco le birrette siamo partiti sulla nostra barchetta/pedalò e abbiamo mangiato contenti in mezzo al lago.

Artesella
Vale il viaggio intero? Secondo me sì.
Artesella è una sorta di museo a cielo aperto che, da ormai una trentina d’anni, indaga il rapporto tra arte, umano e natura. Artisti e architetti da tutto il mondo vengono periodicamente invitati ad aggiungere un’installazione o una struttura all’indagine collettiva, servendosi unicamente dei materiali messi a disposizione dall’ambiente circostante – legno, pietra, erba o la conformazione stessa dei luoghi. Una quarta dimensione che contribuisce a plasmare e a far evolvere le installazioni è anche quella del tempo – da intendersi sia come unità di misura di permanenza che come combinazione di condizioni atmosferiche. Il risultato è un vasto “parco” che cambia e si evolve col susseguirsi delle stagioni. Ci si passeggia senza mai smettere di stupirsi – quasi tutte le installazioni sono di grande impatto “dimensionale” e visivo – e di meditare sul posto che occupiamo in questo grande ciclo vitale.
La visita, se non volete correre e godervi un po’ l’atmosfera, dura un paio d’ore e vi conviene vivamente prenotare uno slot. Per arrivare, il parcheggio più vicino è rintracciabile su Maps con “Malga Costa/Parcheggio Carlon”. Si lascia la macchina lì e, seguendo le indicazioni, in una decina di minuti a piedi si raggiunge l’ingresso di Artesella.

Il pranzo ha sicuramente contribuito a non far afflosciare la meraviglia della mattinata. Proprio a fianco dell’entrata di Artesella c’è il ristorante Dall’Ersilia. Noi abbiamo avuto la fortuna di pranzare sotto al tunnel verde – che sembra un po’ una costola delle installazioni del museo vero e proprio – e, se capitate lì, vi esorterei a fare altrettanto. Il menu è piccolino ma basato su solidi caposaldi della cucina locale e, vuoi le cose buone assaggiate e vuoi l’atmosfera, credo sia stato il mio pasto preferito della vacanza.

Castel Pergine
Abbarbicato sul colle del Tegazzo, Castel Pergine è una fortezza risalente al XII secolo. A metà degli anni Cinquanta fu acquistato da un privato e, dal 2018, è di proprietà di una Fondazione che l’ha rimesso a disposizione della comunità locale e dei visitatori – con i suoi 800 sottoscrittori, è il primo bene storico d’Italia di proprietà collettiva. Il castello ospita frequentemente mostre, concerti e incontri e anche un hotel di grande charme. Si può visitare l’interno – rigoroso come ogni fortezza medievale che si rispetti – e il parco cintato dalle mura merlate. In tempi recenti è diventato meta di nidificazione per numerosi rapaci, che scambiano felicemente la pietra delle sue torri per pareti di roccia “naturali”.

Se volete fermarvi al castello per il pranzo, sempre all’interno della cinta muraria c’è la splendida Locanda Ca’Stalla, ospitata da un edificio del Cinquecento. Il tavolone di legno massiccio della sala interna è stato realizzato da un artigiano locale utilizzando il tronco di un albero cresciuto al castello e poi dipartito per cause naturali. Si può mangiare anche fuori, come vedette in agguato in cima alle merlature.

Il Forte Busa Granda e un bel panorama
Per chiudere in bellezza il nostro soggiornone e permettere al mio consorte di scatenare tutto il suo interesse da blasonato studente di storia per i conflitti mondiali, abbiamo passeggiato fino al Forte Busa Granda. Bisogna lasciare la macchina in Località Compet (da Levico ci si arriva in una ventina di minuti) e procedere per il sentiero – è ben indicato e si parte dal piazzale accanto all’Hotel Compet. Ci sono diverse alternative, in base alla “difficoltà” prescelta. Noi abbiamo optato per la camminata più lunga ma meno ripida (circa 1km), ma volendo ci si può anche arrampicare nel bosco dimezzando la distanza. Il forte è scavato nel fianco di un cocuzzolo e lo individuerete grazie a tre tettoie che riparano altrettanti sbocchi verso l’esterno. Si può visitare anche dentro per farsi un’idea decisamente vivida delle condizioni “logistiche” dei combattenti della Grande Guerra che presidiavano in quota la linea del fronte e amministravano il caposaldo d’artiglieria.
Una volta riemersi alla luce del sole non perdetevi il punto panoramico. Proseguite lungo il sentiero e arrivate in cima, c’è una vista splendida sui laghi di Levico e Caldonazzo.

Pranzo conclusivo prima di tornare a casa? Siamo stati in una sorta di istituzione della convivialità trentina – esportata anche in altri luoghi d’Italia -, la Fabbrica in Pedavena di Levico. Menu sterminato da birreria, allegria da birreria, cordialità da birreria e BIRRE DA BIRRERIA. Piattoni abbondanti e un consiglio spassionato: lasciate uno spazietto nello stomaco per assaggiare il birramisù.

Note più eno che gastronomiche
Per una degustazione (e un po’ di compere per rimpolpare le vostre scorte domestiche) in un luogo piacevolissimo a Levico, fate un salto alla Cantina Romanese, patria di un Trento Doc – il Lagorai – che viene affinato sott’acqua, sul fondo del lago. Giuro. Prendono le bottiglie, le imballano in una sorta di gabbione e le calano nel lago di Levico.
Per le grappe, sempre a Levico, nei pressi della via principale trovate Vettorazzi, istituzione locale.

Risorse aggiuntive? Eccole qua
Qui si possono rivedere tutte le Stories sfornate durante la visita in Valsugana. L’utile circoletto contiene anche i vari geotag e i recapiti dei luoghi, che a livello organizzativo di pare sempre comodo.
Sul profilo Instagram ci sono anche diverse testimonianze fotografiche, ma vi rimando con lena innanzitutto al Reel dedicato ad Artesella.
Gli account di riferimento per chiedere ulteriori informazioni e/o consigli pratici sono @visitvalsugana e l’ammiraglia @visittrentino. Ne approfitto anche per ringraziare il magico squadrone di Valsugana che si è preso cura di noi con sollecitudine, gentilezza e sapienza. È sempre una gioia passare del tempo da voi.

E ora, godetevi (e godiamoci) laghi, monti e malghe. :3

Il mondo dell’editoria per l’infanzia è un posto bellissimo. E non solo “visivamente”. I libri per i piccoli sono oggettivamente favolosi da vedere, ma rispondono anche a una vocazione progettuale e creativa che fa dell’invenzione il suo strumento principale. Il mio infante va per i tre anni e, dopo aver palpato e stropicciato tutto il palpabile e lo stropicciabile, è passato all’analisi meticolosa delle illustrazioni e all’ascolto (assai attivo) di una storia. Abbiamo accumulato tanti titoli che vengono ciclicamente amati con grande trasporto e che, in tutto il periodo del nido, si sono rivelati preziosi alleati nelle perenni operazioni di intrattenimento  della prole. Qui c’è qualche suggerimento per popolare le librerie dei vostri bambini – o quelle di amichetti, minuscoli parenti, nipotini e compagnia saltellante.
Lista – lacunosa ma collaudata.

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Marianna Coppo – Petra

La storia del sasso meno statico di sempre. Lanci! Avventure! Trasformazioni! Illustrazioni adorabili!

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Le mie prime 100 parole

Animali, oggetti domestici, cibo, operazioni quotidiane, veicoli… una specie di riassunto per immagini del mondo, per dare un nome alle cose. Esistono anche degli approfondimenti tematici, nella medesima collana. Cesare si è infervorato molto anche per I miei primi 100 animali e Numeri colori forme.

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Angela P. Arrhenius – Dove sei Signora Gallina?

Cavallo di battaglia assoluto durante il primo anno di nido, Dove sei Signora Gallina? è un libro interattivo con delle sagomine di feltro da sollevare per trovare bestie nascoste in luoghi PALESISSIMI. Grasse risate e diversi ambienti da esplorare, visto che la collana non si è fermata all’aia della Signora Gallina, ma ormai abbraccia gli ecosistemi più remoti. Per espandere la collezione, infatti, ci sono anche Dove sei Signora Zebra?Dove sei Signor Pinguino?Dove sei Signor Orso?Dove sei Signor Leone? Dove sei Signor Cane?. Ma non finisce qui, secondo me. DOVE DIAVOLO SIETE, BESTIOLE. DOVE!

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Mathew Neil – La mia prima biblioteca. I dinosauri

UN COFANETTO MIRABILE CON MONOGRAFIE ILLUSTRATE E RIMATE SUI DINOSAURI PIÙ EMINENTILa collana è ricca. Per dire, c’è anche il cofanetto Leggo e imparo con i numeri, le forme, le letterine… noi, ovviamente, ritenevamo prioritario insegnare a Cesare come campa uno stiracosauro.

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Agathe Demois & Vincent Godeau – Borgo nascondino

Qua serve molta guida da parte dei grandi, perché le illustrazioni sono stilizzatissime e anche la fruizione non è proprio elementare. Ciò detto, evviva. C’è una grossa lente da spostare sulla pagina per far apparire e scomparire pezzi di disegno, riportando alla luce particolari nascosti.

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Emilie Collet – Gli animali nella musica classica

Compositori celebri che raccontano, in musica, il mondo degli animali. Ogni pagina è dedicata a un brano, che si può ascoltare passando il polpastrellino su un bottone.

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Con un ditino – Nella notte blu

I libri con le finestrelle sono una pietra miliare dell’interattività analogica. Qua succede un po’ di tutto. Si possono far crescere i tulipani, viaggiare da una sponda all’altra del mare, cavalcare arcobaleni. Tutto con un ditino.

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Jo Lodge – Roar! Roar! Dinosauri!

Il principio del ditino può essere esteso anche ai grandi rettili della preistoria. Qui non ci sono millemila pagine, ma i dinosauri combinano cose avvincenti. Apatosauri che allungano il collo… pterodattili che sbattono le ali… stegosauri che pestano i piedi… alé.

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Agnese Baruzzi & Gabriele Clima – Buongiorno, pettirosso!

In pratica è un romanzo di formazione che ripercorre le vicende quotidiane di due pettirossi e dei loro genitori. Il libro è pieno di fustellature interessanti, che animano il bosco e aggiungono una dimensione ulteriore al racconto. Ci sono anche Buongiorno, leprotto! e Buongiorno, farfalla!.

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Galia Bernstein – Uno di voi

Grandi felini VS un gattino che sostiene di essere come loro… ma in piccolo. Un libro per imparare ad accantonare le differenze per pensare a quello che ci unisce.

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Eric Carle – Il piccolo Bruco Maisazio (Edizione pop-up)

Classico imprescindibile dell’editoria per l’infanzia, il Bruco Maisazio continua a prosperare, divorando tutto quello che si para sul suo cammino. Questa è un’edizione pop-up di grande impatto scenografico.

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Emilia Dziubak – Un anno nella foresta

Solo illustrazioni. Il medesimo scorcio di foresta, ridisegnato in maniera diversa per ogni mese dell’anno. Che cosa ci si può tirare fuori? Un ragionamento sulle stagioni e sul ciclo della natura. Ma può diventare anche una caccia al tesoro, perché gli animali appaiono e scompaiono – c’è anche una doppia pagina dedicata all’habitat notturno -, vivono la loro vita, si inseguono, si moltiplicano, vanno in letargo, si svegliano, FANNO COSE. Ricchissimo e super divertente da analizzare.

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I piccoli Montessori – Le forme da toccare

L’Ippocampo ha sfornato una piccola collana di scatoline montessoriane che esplorano diversi temi e che, per quel che ho visto giocandoci a più non posso, sono strutturate in maniera molto funzionale e coinvolgente per gli infanti. In questa dedicata alle forme, ad esempio, diverse tesserine con disegnati sopra oggetti quotidiani o “riconoscibili” (dal biscotto alla piramide, per dire) vanno associate alla forma corrispondente, stampata in rilievo ruvidino su un altro cartoncino.

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Che verso fai?

I libri coi buchi sono un’altra meritevole tradizione che vale la pena perpetrare. Quelli della Coccinella, poi, sono invariabilmente corredati da mirabili testi in rima – penso anche a Il gufo e gli altri – oltre che da disegni e soluzioni sceniche assai estrose.

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Hervé Tullet – Un libro

Semplicissimo e geniale. Ogni pagina offre delle istruzioni da eseguire. E alla pagina successiva bisogna vedere che cosa succede. Schiaccia il pallino! Soffia! Scuoti! Genera invasamento istantaneo, all’interno di una perfetta sospensione dell’incredulità.

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Tom Fletcher – C’è un mostro in questo libro

Stesso principio di Tullet, ma qui le cose succedono a un mostrino blu invece che a una schiera di pallini colorati.

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Britta Teckentrup – Ape

Illustrazioni pregevolissime e articolate peregrinazioni boschive alla scoperta della natura, seguendo il percorso dell’alacre ape operaia.

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Chris Hadfield – Il giorno della Luna

Hadfield è uno dei miei astronauti preferiti su Twitter e sono felice che la sua opera di divulgazione scientifica e spaziale sia arrivata anche ai più piccoli. Qui si parte dalla paura del buio (e dei mostri che si nascondono nell’ombra) per arrivare fin sulla superficie della Luna.

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Piccoli libri con adesivi – La fattoria

Gli adesivi sono una fonte perpetua di intrattenimento. Quelli di Usborne hanno un tratto gradevolissimo e, per quel che ho visto, procedono per aree tematiche. La fattoria è rappresentata in diversi ambienti, tutti da popolare con la corrispondente pagina di adesivi. In un momento di particolare machismo, Cesare ha anche preteso di manovrare dei camion.

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Emma Dodd – Quanti tesori!

Emma Dodd riesce immancabilmente a farmi piangere. Perché le sue sono storie di mamme e di papà che insegnano a cuccioli di ogni genere come si sta al mondo. Alla fine del libro tendo ad abbracciare Cesare con foga gridando che gli voglio bene. Di base, mi risponde ANCH’IO TI VOGLIO BENE MAMMINININA. Sì, gli è partita la fase del vezzeggiativo estremo. Comunque, Emma Dodd funziona. E ho amato anche Quel che conta di più.

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Nicky Benson & Jonny Lambert – Ti voglio bene, cucciolo mio

Non lo so, ho un debole per gli animali che insegnano teneramente quello che sanno ai rispettivi cuccioli, esplicitando con efficacia l’ampiezza del loro spettro emozionale.

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Tom Schamp – Il più folle libro illustrato del mondo

Da bambina abituata ai fasti di Richard Scarry, non posso che approvare questa specie di atlante più o meno immaginario dello scibile umano. C’è di tutto. Ci sono le stagioni, i mezzi di trasporto, i supermercati, gli strumenti musicali, gli abiti… ogni vasto insieme concettuale viene esplorato nei dettagli più minimi, aggiungendo personaggi immaginari zoomorfi a cui ne succedono di ogni. Un altro testo da esplorare insieme, spiegando e inventando collegamenti.

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Colorami – Chi c’è sott’acqua?

Una piccola collana di libri-bagno (solo illustrati) da far fluttuare nella vasca. I librini sono di plastica galleggiante e partono in bianco e nero. Si colorano quando vengono immersi… e le strategie possono essere molteplici. Cesare è passato da un repentino tuffo dei volumi nell’acqua a una fruizione più paziente, colorando con il ditino bagnato le pagine. Coccosissimi.

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Tupera Tupera – Le mutande di Orso Bianco

La transizione pannolino-mutanda (accompagnata dalla transizione mi faccio tutto addosso/mi siedo sul water) è una grande tappa evolutiva. Fior di testi affrontano la scottante tematica. Uno dei nostri preferiti è questo, che racconta la storia di un Orso Bianco che perde tragicamente le mutande e va a cercarle per mare e per terra con indomito coraggio.

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Claudio Gobbetti & Diyana Nikolova – Teniamoci stretti

Un trattato sull’utilità dell’abbraccio, pratica benefica che viene qui esplorata ripercorrendo le avventure di una famiglia di lontre particolarmente affettuose e affiatate.

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Gek Tessaro – I bestiolini

Che cosa succede quando si guarda da vicino un prato? Succede che si scopre un mondo, fatto di creaturine minuscole con un’identità ben definita. Un maestro della narrazione per l’infanzia che si diverte a raccontare la complessità della natura e la necessità di rispettare anche chi è più piccolino di noi.

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Mi sarò dimenticata qualcosa? È molto probabile. Ma buone letture lo stesso a tutti quanti. :3

Ah, Francesca! Tu a un anno recitavi a memoria le poesie! E quando andavi ai giardinetti con la tata sgridavi sempre gli altri bimbi che volevano tirare i sassi nella fontana. Sai cosa gli dicevi? SE BUTTI A SASSI A FUNTANA VIENE A CARAMBINIERI LEGA I MANI E METTE A PRIGIONE. Ma ti ricordi Bruno? Eri piccola, ma tutte le volte che lo vedevamo gli davi del nano. Bruno non è mai stato altissimo, ma tu niente, glielo dovevi chiedere. MA COME SEI BASSO BRUNO. MA BRUNO MA SEI UN NANO? Che figure che mi hai fatto fare, che figure. Anche coi nostri cugini di Chivasso. Ti ricordi, dalla zia per capodanno? Dovevi fare tre anni. C’è anche il filmino. Vero, Mimmo? L’avevi fatto il filmino. Avevamo il vestito di velluto uguale, io e la bambina. Quello nero con i fiori. Niente, non volevi stare nel seggiolone. Cercavo di farti sedere, ma tu ti eri stufata e volevi andare in giro. E a un certo punto ti sei girata e mi hai detto PUTTANA. Ma forte e chiaro. Si è capito proprio bene. Bello scandito. Pensa te, cosa mi è toccato sentire. Davanti a tutti, poi.

Ogni famiglia dispone della propria mitologia.
La nostra, come quella di tutti quanti, è zeppa di episodi discutibili di questo genere.
Pericolosi criminali alti un’ottantina di centimetri da consegnare alle forze dell’ordine. Malcapitati vicini di casa che, sull’onda dell’entusiasmo per Willow, venivano reclutati tra le fila degli eroici nani ribelli. E c’è, in effetti, una poesia antichissima che ancora mi ricordo – a spizzichi e bocconi -, ma dubito di averla declamata per mari e per terra prima ancora di imparare a camminare. Quanto al PUTTANA, MADRE di certo non se lo meritava, ma la provenienza dell’epiteto risale di certo ai viaggi in macchina con lei. MADRE ha sempre guidato molto bene, ma non si è mai dimostrata tenera con gli altri automobilisti, che venivano apostrofati nei modi più incredibili e con grande veemenza. Io, evidentemente, ero una passeggera molto ricettiva.

L’episodio più celebre, però, resta anche il più incomprensibile. Perché in casa mia non bestemmiava nessuno. Persino mio nonno e mia nonna si limitavano a ingiuriarsi in piacentino, senza però avvalersi di nulla di particolarmente blasfemo. L’unico che cristonava parecchio era il Nando, il nostro vicino in campagna, un signore altissimo e un po’ sdentato che ha passato la vita in canottiera bianca e salopette. Ma il Nando non bestemmiava con rabbia o con dell’autentico rancore verso il divino nel suo complesso, era più un intercalare. Quasi un gioviale apprezzamento nei confronti del cosmo e della sua benevolenza. C’è il sole? Il Nando non poteva limitarsi a dire “Che bellezza, c’è il sole!”, la Madonna (fantasiosamente deturpata) andava in qualche modo invocata per sancire l’estrema piacevolezza della giornata.
Anche se nessuno è mai riuscito a capire il perché, dunque, e sempre durante le fatidiche feste natalizie del PUTTANA, MADRE aveva deciso di portarmi a vedere questa sublime mostra di presepi nella cripta di un’antica chiesa cittadina.
Ettari di presepi. Presepi giganti, super complicati, accessoriatissimi e dotati di pecore quasi vive. Acqua corrente, lucette, dromedari, pastori devotissimi, angeli, chili di vera sabbia, muschio VIVO.
Uno di questi presepi artistici ospitava anche una grotta infestata da un piccolo demonio cornuto che appariva a intermittenza fra le fiamme. Credo fossero dei listellini di carta sospinti da un mini-ventilatore e illuminati come il set degli Occhi del cuore. Le fiamme si agitavano in pianta stabile, ma il piccolo Satana sbucava solo di tanto in tanto, allietandomi oltre ogni immaginazione. MADRE, che di certo non m’aveva portata alla mostra dei presepi per adorare il Maligno, doveva comunque star lì piantata davanti alla grotta per permettermi di gioire ogni volta che il demonio decideva di onorarci con la sua presenza, intoppando il passaggio e causando ingorghi fra i devoti visitatori. Non si sa bene quando accadde, perché MADRE non si è mai diffusa troppo sull’argomento, ma ad un certo punto, animata da un’incontenibile felicità per l’ennesima apparizione del diavoletto fiammeggiante, si narra che io, bionda e boccoluta, col ditino puntato in direzione della spelonca infestata dalle forze del male, abbia strillato fortissimo: IL DIAVOLINO PORCO ***!

Stacco.
Montaggio ravvicinato delle espressioni inorridite degli astanti.
Un prete, sullo sfondo, estrae il crocifisso.
Una signora anziana impugna il rosario come farebbe Wonder Woman col suo lazo magico.
E MADRE, vedendosi ormai accerchiata, mi trasporta di corsa fuori dalla chiesa, tenendomi come un pallone da rugby. O come una bomba pronta ad esplodere.

Cosa non darei per ricordarmelo.
Il diavolino, in realtà, ce l’ho in mente. È quel che ho detto che mi manca. Le concitate conseguenze della mia esclamazione devono aver generato un tale vortice di confusione da cancellare nella mia memoria ogni traccia verbale dell’episodio. E MADRE, ancora oggi, racconta la faccenda del diavolino con un misto d’orrore e divertimento, come una specie di sopravvissuta a una catastrofe (potenzialmente ben peggiore di quella che poi si è effettivamente verificata).

Perché è vero: i bambini dicono delle enormità. Anche se in casa loro, magari, son tutti dei poeti, dei santi o dei navigatori. No, magari dei navigatori no, che poi si sconfina subito nel gergo portuale.
Comunque.
Il bambino è, per definizione, imprevedibile. Perché non controlla i nessi causa-effetto, perché non sa ancora cosa aspettarsi dal mondo e perché i costrutti della socialità sono una faccenda complessa da amministrare. A me Bruno stava anche simpatico, ma a tre anni trovavo perfettamente legittimo investigare sulla sua altezza. C’è gente che sui social continua a comportarsi come mi comportavo io a tre anni con Bruno, ma il tatto verso gli altri esseri umani non è soltanto una qualità innata, c’è pure una considerevole componente sociale. Ci mettiamo un po’ a capire come stare insieme alla gente o a individuare il confine tra comportamenti accettabili e inaccettabili e, mentre prendiamo le misure, diciamo cazzate di ogni genere. Soprattutto se siamo piccoli e chiacchieroni.
Ecco.

Dati i miei vivaci trascorsi verbali infantili – nell’epoca precedente al sopraggiungere di una razionalità lievemente più strutturata -, vivo nel terrore. Perché ora un figlio ce l’ho io e, di certo, non sono pronta a sentirlo bestemmiare in chiesa. Nemmeno nei film esoterico-apocalittici con le mamme che scoprono di aver messo al mondo l’Anticristo c’è il piccolo Anticristo che bestemmia in chiesa (fosse anche in aramaico). Cesare si è approcciato al linguaggio con serena pigrizia. È da quando ha compiuto i due anni e rotti che ha deciso di parlarci oltrepassando la soglia dei suoi bisogni più immediati. Capiva tutto, ma non era particolarmente interessato a dircelo o a cimentarsi più di tanto nelle acrobazie dell’arte oratoria.

Ora, in compenso, non tace mai. Si esprime con un miscuglio di storpiature, termini precisissimi e onomatopee che lo fanno somigliare a una specie di Dario Fo a un passo dal coma etilico – ma più mobile. Assorbe tutto. Ripete tutto. Rielabora implacabilmente e, quando meno te lo aspetti, ti risputa fuori una roba che aveva sentito sei mesi prima in piazza a Rivergaro. E gli esiti non sono sempre edificanti.

Quand’è che bisogna bandire del tutto il turpiloquio dalle conversazioni domestiche?
Quand’è che va calata la scure della censura?
Quand’è che devi astenerti dal gridare CAZZO! quando t’arriva una multa?

Accidenti!
Caspita!
Perbacco!
…quando in realtà vorresti salire su una rupe e urlare VAFFANCULO STRONZI CHE NON SIETE ALTRO FICCATEVELA IN GOLA QUESTA MULTA DI MERDA!
O qualcosa del genere.

La risposta da vincitore delle Olimpiadi della Genitorialità dovrebbe essere la seguente: gli ultimi improperi vanno pronunciati in sala parto. Nulla di disdicevole, dal momento della nascita in poi, dovrà anche solo sfiorare le tenere orecchie della prole.
Ora, noi non so se mai ci qualificheremo per le Olimpiadi della Genitorialità. Va già bene se arriviamo alle selezioni provinciali. Milano è grande, mica è uno scherzo. Nel nostro piccolo, però, stiamo facendo il possibile per trasformarci negli sceneggiatori di Topolino. Innumerevoli personaggi di Topolino esternano a più riprese il loro disappunto, la loro rabbia e il loro legittimo furore senza scivolare nella trivialità più assoluta. Anzi. Non c’è nulla di più bello di un personaggio di Topolino che prorompe in una serie di esclamazioni desuete per prendersela con qualcuno. O che sceglie di canalizzare un dolore fisico LANCINANTE in una cascata di CORBEZZOLI e CORPO DI MILLE POLENE. Sempre con classe e pacatezza. Con dell’immaginazione. Con un lessico sublime, per quanto prestato a una situazione che fa incazzare.
Nonostante le nostre ottime intenzioni, però, ci troviamo spesso di fronte ad eventi imprevedibili. Perché il nostro infante, come tutti gli infanti, crea mostri anche là dove non c’era altro che innocenza. Tra le loro numerose qualità, infatti, i bambini hanno anche il dono della decontestualizzazione. Una roba “normale” viene presa, assimilata, processata e scomposta, per poi scaturire nuovamente da tuo figlio in un momento a caso, ubbidendo a una struttura che vive di vita propria e che tu non puoi governare.
Io, che qualche mese fa mi divertivo con PANDA che al plurale fa PANDI – o con UOVA/UOVI -, ora ho il terrore di sbucciare banane in presenza del mio erede perché, un pomeriggio, ho inconsapevolmente commesso un errore.
Adesso la mamma ti sbuccia la banana, Cece. Ecco qua. Togliamo tutto e… accidenti, si è rotto il culetto qua in fondo.
E per i quindici minuti successivi, Cesare ha urlato a pieni polmoni CULO ROTTO! CULO ROTTO!

Non c’è scampo.
Non c’è speranza.
Chiaro, potevo usare il termine “sederino” o buttarmi sul puntiglioso con un “accidenti, si è rotta la parte terminale della banana” e/o “l’estremità inferiore della banana”. Ma mica sono una tata-robot. Sono una madre che sbuccia banane al meglio delle sue possibilità. E ogni tanto i culi si rompono.

A onor del vero, però, va specificato che Cesare dice anche cose bellissime.
Anzi, le cose bellissime sono quasi sempre la norma.
La prima volta che ha risposto a un “ti voglio bene” con ANCA IO MAMMA TANTO TANTO BENE credo di aver pianto per due ore e mezza, soffiandomi il naso a più riprese e spedendo messaggini di giubilo anche ai vicini di casa che non ho mai visto.
Tralasciando per un attimo il rischio di creare (anche accidentalmente) delle bombe a orologeria verbali, però, quello che forse mi sto chiedendo davvero è che cosa “arriva” di quello che dico.
Cosa assimilano questi infanti? Come elaborano e fanno proprie tutte le chiacchiere che ci scambiamo? Sarò capace di trasmettere a Cesare qualcosa di importante, come le coordinate basilari della felicità, della sicurezza nelle sue capacità, del rispetto per gli altri e dell’amore? Riusciremo a fare un po’ di luce sulla vastità delle faccende del mondo? Riusciremo, in sintesi, a trovare un modo per farci ascoltare, quando vorremo (e vogliamo) provare a spiegargli quello che conta di più?
Come al solito, non ne ho la più vaga idea. Ma persevero nel descrivergli anche le azioni più piccole. Parlo di mele, lamponi, talloni, apatosauri, castori, pettini, pigiami e bambù. Parlo di quello che si vede e di come mi sento, di come mi sembra che si senta lui, di come si coccolano i gatti e di che cosa è successo oggi, anche se non è successo niente di decisivo per le sorti del mondo. Che ne farà di tutte queste parole? Un gran pasticcio, probabilmente. Diventerà un piccolo calderone da cui usciranno periodicamente robe inaccettabili – CAZZO! -, robe tenere – APATOALLO MANGIA EBBA – e immagini di una certa specificità – PAVONE FA UOTA, NONNA! – mentre sul fondo rimarranno a bollire altre storie, i ricordi antichi, le scoperte nuove. E, magari, anche le cose “grandi”, i piccoli fari con cui speriamo di guidarlo. Nonostante i culi rotti.

Vi avviso, questa Wishlist parte bene… e poi sprofonda nel surrealismo. Ma il bello dei desideri è anche quello: coltivare l’assurdo, il bizzarro, il poco plausibile. Siamo bravi tutti a comprare le cose che servono. Ma sono quelle improbabili che ci rimettono in contatto con le nostre pulsioni più autentiche, libere e vitali.
POTERE ALLE COSE A CASO! CHI SE NE IMPORTA!
Ecco.
Dopo questa interpretazione filosofica assai traballante, ecco che cosa mi sta piacendo molto in questo periodo.

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La passione per gli orecchini GROSSI continua ad animarmi furiosamente. E si scatena in tutta la sua potenza quando si tratta di pezzi unici, ispirati all’arte, alla storia del costume e all’Oriente. Dunque, Lebole Gioielli sforna una quantità di collezioni quasi ingestibile – e vale la pena frugarle un po’ tutte – ma, complice Giorgio Amitrano, mi sono particolarmente invasata con gli orecchini Iro Iro. Pietre naturali e ottone galvanizzato oro, più sete di antichi kimono. Ogni orecchino è diverso dall’altro. E penso proprio che “Lady” Murasaki approverebbe.

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Quando è partito il pezzo “autunnale” del mio lavoro con Scholl, sono stata travolta da numerose indecisioni. Perché, per quanto io ami gli stivaletti in nappa, mi sono anche resa conto di non avere praticamente nulla di veramente antipioggia. C’è anche da dire, però, che tutti gli stivali di gomma che vedevo in giro mi sembravano scomodi. Di quelli che ti fanno venire le bolle perché ti balla dentro il piede e passi la giornata sentendoti una papera storpia. Scholl, però, ha fatto i Taty, un modello super impermeabile ma con la suola Memory Cushion, come tutte le sue altre calzature, e una ragionevolissima fodera interna in tessuto confortevole. E sono pure splendenti, di un gioioso PVC lucido come il cranio di Alien – cosa per me assolutamente favolosa. Il problema è che la selezione delle scarpe per la stagione gelida l’ho fatta più o meno ad agosto e, influenzata da un’ottimismo insensato, ho deciso che la pioggia non esisteva e ho preso le Peyton. Che sono valentissime e che uso praticamente tutti i giorni, ma rispondono a un bisogno differente rispetto ai Taty. Insomma, alla fine della fiera, i Taty vincono un posto in wishlist. E mi sono rimasti sul gozzo.

Non mi dilungo ulteriormente sui miei dilemmi, ma vi comunico volentieri che Scholl ha deciso di sfornare un codice sconto solo per noi. È la prima volta che l’azienda fa un esperimento di questo genere, quindi spero di fare un’ottima figura ma anche di risultare utile a voi che vedete passare queste scarpe ormai da qualche mese. Ma veniamo ai dettagli pratici. Con TEGAMINI20 ci sarà il 20% di sconto fino al 22/11 su tutta la collezione autunno-inverno che trovate sullo shop di Scholl. È valido solo online, non è cumulabile ad altre promozioni in corso e si può usare anche più volte. Evviva!

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So di essere un po’ ridicola, ma se posso vestire Cesare con cose dall’aspetto zoomorfo sono sempre molto contenta. Mi sbizzarrisco con calzine coi musetti, pantaloncini con creste di dinosauro e l’ho portato in giro per lungo tempo (quand’era piccolo piccolo) in una surreale tuta imbottita da orsacchiotto. Spero che qualcuno mi fermi – magari addirittura lui – ma, nel frattempo, mi godo queste assurdità. Ho scoperto Donsje, un brand di Amsterdam che produce vestiti basic di ottima qualità e accessori (con materiali altrettanto favolosi) a forma di bestia. Il mio suggerimento è di spulciarvi tutto lo shop – soprattutto LE SCARPE -, mentre io pondero sull’effettiva possibilità che i capelli del mio infante stiano tutti quanti sotto a una cuffia da koala.

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Desiderare libri come condizione mentale perenne. Sto attraversando una fase di folle (e doveroso) entusiasmo per l’Ippocampo e ho appena scoperto un nuovo Atlante. Là fuori ci sono atlanti di ogni genere. atlanti dei luoghi maledetti e/o immaginari, atlanti delle isole misteriose, ATLANTI. A fine ottobre è uscito anche l’Atlante delle zone extraterrestri di Bruno Fuligni, un volume illustrato che ci offre una rigorosa mappatura – tra leggende metropolitane, oggetti volanti non identificati e iniziative scientifico-governative – dei presunti punti di contatto tra umanità e intelligenze aliene.

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Visto che abbiamo già abbandonato il pianeta, direi di proseguire fino alla più lontana lontana delle galassie. Nelle mie peregrinazioni esplorative alla scoperta di Amazon Moda, ho scovato una valida alternativa alle vestaglie in cui mi avvolgo quotidianamente per lavorare a casa. Ebbene, perché limitarsi a una vestaglia quando puoi metterti un confortevole mantello di Darth Vader? VOGLIO DIRE.

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E per questa settimana è tutto. Che il Lato Oscuro possa sempre vegliare sul vostro salvadanaio. :3

Non so di preciso che cosa voglio dire, ma magari lo scopro se comincio a rifletterci.
Dunque, il mio bambino ha compiuto due anni da poche settimane – il che significa che anch’io, in qualità di mamma, ho compiuto due anni. Non sono tanti, ma neanche pochi. E ho il sospetto che, per capire fino in fondo che cosa vuol dire essere “una mamma”, occorrerà ancora parecchio tempo. Forse è un’identità che si costruisce pian piano, ogni volta che soffiamo un naso o prendiamo al volo un bicchiere di plastica con stampato sopra il pesce Dory – magari prima che si schianti sul pavimento. Ogni volta che sentiamo una parola nuova – che combacia, possibilmente, con quello che un ditino sta indicando – o che facciamo del nostro meglio per renderci conto che no, il sabato mattina non si dorme più fino a tardi.
Sono proprio quattro esempi in croce dei millemila esempi possibili. Perché gli esempi non ci mancano. E nemmeno le narrazioni.
In questi due anni, oltre ad interrogarmi sulla metamorfosi identitaria che mi ha investita, ho cominciato a fare molto più caso a come tendiamo a raccontare l’esperienza della maternità. Ma anche a come questi racconti vengono “accolti” e metabolizzati all’interno delle reti sociali (tridimensionali e non) che popoliamo.

Mi utilizzerò come esempio non perché io ho ragione e gli altri sono scemi, ma perché faccio parte della casistica e mi pare una metodologia agevole.

Se uno va a vedere il mio profilo Facebook – ma quello personale, proprio – sembro una che non solo non ha un marito, ma manco si è mai riprodotta. Anzi, sembro una in coma da cinque anni che ogni tanto condivide (per chissà quale miracolo medico) dei link a quello che scrive o che fa per lavoro. E gli altri miei social non sono molto diversi, come approccio – anche se li utilizzo in maniera decisamente molto più “umana” rispetto al profilo Facebook. Sulle Stories di Instagram parlo tanto, in generale. E parlo anche di Cesare. Ma non è una presenza preponderante. Così come non lo si incontra molto spesso nella gallery. Quando c’è, poi, non lo si vede in faccia, ma sempre impegnato a scatenare la sua magnifica assurdità su oggetti, giochi, balocchi e scenari naturali. Non sono neanche una che manda a raffica foto del figlio agli amici. O che, parlando, riconduce immancabilmente la conversazione alla prole. Sempre a livello di contenuti multimediali, invece, amministriamo i parenti stretti con un’applicazione di photo-sharing che ci consente di caricare su questo super cloud condiviso tutti i video e le foto del bambino – i nonni e gli zii (che vivono tutti a un’oretta da noi), quindi, finiscono per avere in mano una fotocopia delle gallerie di immagini che ci sono sui nostri DEVAIS… e il resto lo integriamo telefonandoci indefessamente durante la settimana. Visto che coi social ci lavoro, poi, mi sono anche accorta di non essermi riconvertita a “mamma blogger”. Ho scritto spesso di Cesare e di noi – e ho anche accettato di partecipare a qualche progetto “da mamma” – ma, se una persona volesse leggere dei suggerimenti per organizzare la festa di compleanno perfetta per degli umani che arrivano a stento al metro d’altezza, qui non troverebbe assolutamente nulla.

Ecco.


Io, ogni tanto, mi sento a disagio. Perché, da un lato, mi pare di non “esternare” a sufficienza l’amore e la felicità che provo – considerando soprattutto la frequenza standard con cui i bambini rientrano nelle narrazioni degli altri. Dall’altro lato, però, percepisco il fastidio – spesso manifesto e fiero – di chi si trova a intercettare questi racconti.
Per farla breve, il timore di rompere i coglioni al prossimo che provo quando salgo su un mezzo pubblico con un bambino piccolo che potrebbe mettersi a piangere all’improvviso e per un tempo imprecisato (nonostante i miei sforzi di tenerlo allegro, di intrattenerlo e di ammansirlo) è lo stesso timore che mi sfiora SEMPRE quando mi viene voglia di pubblicare una foto di mio figlio, di inserirlo in una conversazione con il mio prossimo o di scrivere qualcosa che lo riguarda.

L’indole è indole, penso. E sono anche sicura che sia più un problema mio che una vasta piaga sociale. Cioè, anche in un contesto tra i più bambino-friendly del pianeta forse non passerei le giornate a creare album su Facebook dedicati a Cesare o a scrivere pensierini sulle sue gesta nelle caption di Instagram. E non risponderei alla domanda “Che ore sono?” con “Le cinque… proprio il momento in cui Cesare ieri notte ha tossito per tre volte svegliandoci di soprassalto. Ci siamo alzati tutti, siamo andati a vedere se si era scoperto e gli abbiamo accarezzato la testolina”.
Io, semplicemente, sono una che non lo farebbe “così tanto”… ma forse un po’ di più sì.

È anche vero che ci sono narrazioni con cui fatico a empatizzare, nonostante la condizione comune della maternità sia un fattore di avvicinamento. Per esempio, non ho voglia di leggere nessun libro sulle avventure di mamme pasticcione che nella loro consolante imperfezione cronica dovrebbero farci sentire meno inadeguate e più sprint. Così come fatico a identificarmi nelle foto con le mamme ricoperte di veli d’organza che stringono neonati al cuore, accompagnati da un immancabile “6 l’amore della nostra vita, kucciolo”. O con la maggior parte delle caption “da blogger” che vedo su Instagram.

Se non apprezzo tutto questo sono dunque uguale a quelli che dichiarano apertamente di odiare i bambini, anche se ne ho uno? Non lo so, ma non credo.
Perché sono sinceramente felice di imbattermi negli aneddoti di tante persone che seguo volentieri e che condividono anche molto spesso le gesta dei loro infanti, foto comprese. Di sicuro, crescendo, ho anche imparato ad analizzare meglio le classiche situazioni in cui ti viene da stramaledire i bambini perché “disturbano” o non si adattano a uno specifico contesto come piccoli Lord. Chiaro, non sono Santa Rita… se un bambino mi prende a pedate per quindici minuti su un autobus senza che nessuno gli impedisca di malmenarmi tendo a indispettirmi, ma spesso mi accorgo che le madri e i racconti delle madri vengono quasi sempre recepiti con un velo di compatimento. Con un “rieccola qua, a menarcela coi figli”. E non mi soffermo sulla deriva di scherno che accompagna le famigerate “pancine” (nelle loro accezioni più o meno immaginarie o strumentali), perché lì si spalanca un abisso che ha come risultato finale “mamma = povera imbecille dell’alto medioevo”.


Nessuna mamma, forse, ha idea di come regolarsi quando comunica la sua esperienza, nel nostro specifico presente. In fin dei conti, non abbiamo punti di riferimento pregressi. Le nostre mamme non avevano questo problema, se così poi possiamo chiamarlo. Al massimo dovevano preoccuparsi della vicina di casa impicciona o dei parenti che dovevano per forza ficcare il naso nelle loro scelte educative. Non si mettevano a fare, a livello analogico, quello che facciamo noi con le storie e le immagini dei nostri bambini sui social (se abbiamo dei profili pubblici, ovviamente). Cioè, se ci pensiamo, è come se ci mettessimo in mezzo alla strada a distribuire fotografie della nostra prole (con tanto di didascalia) ai passanti. È un paragone scemo, perché i comportamenti si evolvono con i contesti e la normalità di quello che succede è misurata sulle abitudini che sviluppiamo (e che gravitano su un concetto di “accettabilità” che muta con le norme condivise in un certo periodo). Però ci penso, ogni tanto, a mia madre che si mette nel parcheggio della Società Canottieri Vittorino da Feltre a fare volantinaggio con le mie foto di Natale.
Noi, di contro, possiamo scegliere come approcciare la questione (nessuno ci obbliga a “comunicare” i nostri infanti), ma molto spesso continuiamo a non poterne controllare a pieno le conseguenze.
Io, per dire, quando voglio farmi del male vado a leggere cosa scrive la gente sotto ai post della Ferragni col figlio. Se voglio provare del furore vero apro i commenti sotto agli status di qualche amica che ha incautamente dichiarato di dover portare un neonato a fare l’esavalente o, peggio, che si è proclamata felice per il passaggio al latte artificiale.

Ma lasciando perdere i temi ritenuti scottanti o i personaggi famosi – che tirano sempre fuori il meglio dai frequentatori della rete, proprio -, nemmeno coi racconti più innocui e tranquilli si va via lisci. Perché in mezzo ai tanti “ma che bel bimbo!” e “ma che tenerezza!” c’è sempre, se ci fate caso, almeno una voce inopportuna che sceglie di staccarsi da coro per ricordarci che le vicine di casa rompicoglioni continuano a esistere. O per domandare con finto interessamento “ma scusa perché non fai così e così?”. O per farti notare una mancanza, un deficit, un “potevi farlo meglio”. O per esplicitare l’irritazione che i bambini suscitano immancabilmente quando vengono a contatto con situazioni non pienamente strutturate per loro, ma che comunque fanno parte della realtà e del vivere comune.

Racconti una marachella?
Non sei una persona responsabile, stai crescendo un criminale, siete un pericolo per l’ordine pubblico.
Racconti un momento di fatica?
Eh, capirai. Io ho scalato il K2 con due gemelli nello zaino da trekking. E avevo anche il cagotto.
Racconti un traguardo?
Awwww, che bello. Due righe sotto: ma scusa, ha un anno e mezzo e non camminava ancora?


Quando voglio raccontare qualcosa di felice mi chiedo sempre “ma non sarà TROPPO coccoloso?”. Perché è un attimo. Diventi LA MAMMA RIMBECILLITA.
È come se non ci fosse una via di mezzo ancora codificata.
Ci sono dei costrutti e dei nessi causa-effetto prestabiliti. Dei “modelli” di mamma che in un dato periodo sono da ritenersi più accettabili e digeribili – o meno fastidiosi – di altri.

Se ti lamenti troppo era meglio se i figli non li facevi, se non ti lamenti neanche un po’ stai sicuramente fingendo che la tua vita sia un idillio, se parli troppo di bambini sei pesante, se ne parli troppo poco vuol dire di certo che nascondi qualcosa o che non li ami abbastanza. Se dici che sei contenta di come te la stai cavando vuol dire che te la meni GUARDA CHE NOI QUA NON DORMIAMO DA SEI ANNI, se dici che sei scoraggiata stai sputando sul dono più grande che il cielo poteva farti, se lavori come hai sempre lavorato sei una che non sa dare la giusta priorità alle cose, se vai in vacanza lasciando il bambino ai nonni sei un’egoista, se vai in vacanza e ti porti il bambino dovresti prendere in considerazione che anche gli altri sono in vacanza e forse è meglio se stavi a casa tua con quel neonato che strilla, se non vai in vacanza stai chiaramente privando una giovane mente delle esperienze necessarie al suo arricchimento, se racconti tre delle ottantasei cose buffe che ha fatto tuo figlio durante la giornata sei una che se le inventa perché è in cerca di attenzione.
Tutto questo accade contemporaneamente.
E accade, soprattutto, quando sei sincera. Quando non stai cercando di dare spettacolo o di somigliare a un canovaccio noto.
In generale, mi pare che le mamme si dipingano con molto più cinismo e distacco di quello che provano veramente. O che, all’estremo opposto, entrino in modalità “mamma onnipotente” – quella sempre bella, attiva, che lavora, che va a pilates, che s’abbona a teatro, che ha tempo per la famiglia ma anche per farsi i fattacci suoi e che ha sfornato solo bambini prodigio.
Non escludo che nelle due categorie ci siano davvero mamme sinceramente ciniche o mamme sinceramente onnipotenti, ma entrambi gli schieramenti – nelle loro varie sfumature di autentica adesione al principio cardine – hanno il sacro terrore di poter in qualche modo ricascare nello standard della mamma lobotomizzata dalla prole, occupando un punto qualsiasi all’interno dello spettro che va da “sono due anni che proviamo a invitarla fuori ma sai… col bambino… dice sempre che non ce la fa” e finisce con “presa per il culo conclamata su tutte le piattaforme perché ha cucinato la placenta”.

Sembra che non esista nulla di più disdicevole di una donna precedentemente in grado di funzionare all’interno di un contesto socio-lavorativo che, dopo aver avuto un figlio, dà segni di essere in qualche modo stata modificata dall’esperienza. È come se, inconsciamente, cercassimo costantemente di dire “ah, sì, sono mamma. Ma sono ancora una persona normale! Non lasciatemi indietro!”.


Sono andata a rileggermi alcune cose che ho scritto in questi due anni sul tema della maternità. E lo ripeto anch’io, immancabilmente: un mio grande obiettivo, tra i tanti, è quello di rimanere NORMALE.
Che volevo dire? Forse che è importante non dimenticare come eravamo prima. Che possiamo far lievitare la nostra identità per creare dello spazio nuovo che la maternità possa occupare senza sovrascrivere tutto quello che c’era già. O che, per qualsiasi cosa, vogliamo poter continuare a contare sulla rete di fiducia e di rapporti sociali che coltivavamo da nullipare.
Sono ambizioni legittime, mi pare.
Ma in quel SONO ANCORA NORMALE credo si nasconda anche un “non preoccupatevi, non vi ammorberò notte e giorno parlando di cacca. Lo so che è una rottura intollerabile”. Perché io, quello slancio empatico lo faccio. “Sarò menosa?”. “Come posso rendere sereno questo viaggio in treno?”. Il fatto è che, spesso, non percepisco uno slancio simmetrico che proviene dalla direzione opposta.

Per me, che ho passato a casa con Cesare un anno intero, in pratica, conservare la presa sulla normalità rappresentava un obiettivo importante. Perché, di punto in bianco, ti ritrovi a gestire tutto quello che sei in una maniera completamente diversa. Certo, hai nove mesi di gravidanza a disposizione per immaginare il cambiamento di paradigma che ti aspetta… ma poi, quando ogni mattina la porta si chiude e tuo marito va in ufficio, le ore che ti separano da un nuovo contatto con un adulto che ti racconta cos’ha fatto quel giorno sono parecchie. Si diventerebbe un po’ autoreferenziali anche ritrovandosi a gestire una responsabilità minore o un senso di meraviglia molto più limitato. E nemmeno una persona che tende a over-analizzare tutto – salve, eccomi qua! – riesce a prevedere davvero come la prenderà, come reagirà e quale sarà la portata dei suoi sentimenti. Perché sì, gli esseri umani si riproducono dall’alba dei tempi e la faccenda non dovrebbe causare un particolare scalpore, ma per il singolo (e specialmente per la singola nuova mamma) l’evento rimane rivoluzionario. Ma non perché, magari, l’hai presa un po’ troppo sportivamente e sei una che non si rende conto della portata del compito – massì, facciamo un figlio, in qualche modo ce la caveremo -, ma perché un bambino che nasce È un evento rivoluzionario.
C’è chi scopre una vocazione all’accudimento che non pensava di avere.
C’è chi abbandona la modalità Erode e si candida a rappresentante di classe al nido.
C’è chi diventa ferocemente intollerante verso i ventenni spensierati.
C’è chi si mette a chiacchierare in mezzo alla strada con chiunque stia spingendo un altro passeggino.
C’è chi si lamenta delle difficoltà CONTINUAMENTE, ma è felice lo stesso.
C’è chi si lamenta e lo sta facendo per manifestare un grande disagio sommerso.
C’è chi scopre di avere a fianco un padre inadeguato o un uomo che, di contro, “migliora”.
C’è chi riconverte ogni sua narrazione personale alla narrazione della maternità.
Che ne sappiamo. Succede di tutto.

Ci sono tanti racconti lontani da me. Così come ci sono tante esperienze che sono diventate, nei mesi, fonte di incoraggiamento, di utilità pratica e di supporto emotivo. La “normalità” da conservare, per me, è sempre stata un po’ un’arma di difesa. Perché, specialmente all’inizio, ti rendi conto che il resto del mondo procede mentre tu ti trovi in una bolla di tempo sospeso dove esisti – a lungo – quasi esclusivamente in funzione del tuo ruolo di mamma. Ci sono donne più pronte a votarsi alla causa, donne che non sapevano di essere così “adatte” a un compito del genere e donne che si riconfigurano con più difficoltà. E ogni incontro che facciamo, mentre cerchiamo di capire come cavarcela, è un incontro che ci segna un po’. Nel calderone vanno a finire le amiche che insistono per sapere TUTTO quello che sta succedendo, ma anche i colleghi che alzano gli occhi al cielo quando ti suona il telefono e dall’asilo ti dicono che il bambino ha la febbre e devi andarlo a prendere. Ci sono i ragazzi che ti aiutano a portare il passeggino su per una scalinata ma ci sono anche quelli col cane al guinzaglio che, su un marciapiede stretto, si piantano in mezzo e ti guardano infastiditi, senza capire che dovrebbero scendere loro, non tu che hai una carrozzina ingombrante.


Quello che volevo dire, forse, è che mi piacerebbe percepire un po’ più di cameratismo tra esseri umani. Detestare i bambini è un diritto sacrosanto, ci mancherebbe. Non capisco tanto, però, come proclamare il proprio odio per un’intera categoria umana – anzi, per due categorie: i figli e i genitori – possa tramutarsi in un tratto desiderabile. Ciao, sto dichiarando con fierezza di non essere in grado di empatizzare con questa fetta di mondo. Wow… complimenti.
Mi rendo conto che, spesso, la paura che abbiamo di risultare fastidiose e inopportune
– sia mentre ci raccontiamo che mentre “viviamo”, a livello pratico – frena un po’ la possibilità di condividere il bello. Quello su cui inevitabilmente è più difficile allinearsi e concordare è tutta la parte “felice”. Siamo più propense a far venire fuori le menate, perché le menate sono invariabilmente condivisibili. A chi piace svegliarsi quattro volte a notte? A chi piace la scarlattina? A chi piace l’assoluta irrazionalità di un bambino di due anni che strilla come un condor perché non può portare in giro un cane di plastica di due chili e mezzo? A nessuno, porca miseria. Forse, allora, è anche per quello che la felicità viene sempre descritta in maniera esagerata e stereotipata. La madre “soddisfatta” è un susseguirsi di frasi da Baci Perugina, nomignoli ultra-stucchevoli, luoghi comuni di ogni epoca ed estrazione, feste di compleanno faraoniche. La felicità dev’essere ENORME, dev’essere DI PIÙ per riuscire a farsi sentire o a suscitare una reazione.

Io, mio malgrado, appartengo più al partito del cinismo lamentoso. È questione di attitudini. Quello che mi piacerebbe, però, è poter fare a meno sia di una che dell’altra narrazione. Non so che cosa contribuisca, a livello tecnico e formale, a trasmettere quella sensazione posticcia che ti assale quando leggi o ascolti una mamma super cinica o una mamma super orsachiottosa. Non lo capisco, ma lo percepisco. E non ne abbiamo bisogno. Così come non abbiamo bisogno di sviluppare strategie per reagire al compatimento o all’ostilità altrui. I bambini devono piacere a tutti? No. Ma magari noialtre potremmo fare a meno di provare a piacere a chi, esercitando un suo diritto – per quanto discutibile -, la pensa così. E potremmo ricominciare a raccontarci – se ne sentiamo il bisogno -, come ci pare e quanto ci pare. A usare parole vere, che molto più del teatrino che allestiamo sanno trasmettere la bellezza in mezzo alla discreta fatica che ogni tanto facciamo.
Di che parla la gente, alla fin fine?
La gente parla, da sempre, di quello che ama.
Così com’è.