Tutte le signore della mia famiglia andavano regolarmente dalla sarta. Erano altri tempi, certo, e credo pure si trattasse (in parte) di imprinting domestico – mio nonno faceva il pellicciaio e l’idea che gli indumenti fossero roba che si confezionava a mano, su misura, era decisamente molto radicata – ma anche, di certo, di un approccio diverso alla “costruzione” del proprio guardaroba. Meno cose, ma cose belle. Che resistono. Che mi stanno bene. Che durano nel tempo perché, in un certo senso, sono fatte anche per quello.
Io, di base, sono pigra. E negli anni mi sono convinta di essere troppo povera per permettermi la sarta. Ma più che oggettiva e drammatica indigenza, la mia è una forma di scarsa oculatezza. Sbaglio il metodo, più che altro. E solo di recente sto imparando ad affrontare la faccenda-armadio con del sano raziocinio. Perché è vero che il fast-fashion ci salva e ci aiuta sotto innumerevoli punti di vista, ma ci spinge anche un po’ a sbragare, ad accumulare montagne di cose che ci stufano all’istante e che magari non ci convincono nemmeno molto – “mi sta un po’ sbilenca, ma non costava niente e l’ho presa lo stesso”. E tutti questi “non costava niente”, reiterati su milioni di schifezzuole che non ci convincono e ci intoppano gli armadi, finiscono per corrispondere al valore di un paio di cose belle per davvero. Che poi sono quelle che ti metti regolarmente e che ti fanno sentire FAVOLA, lasciando da parte il resto.
Orbene, qualche tempo fa mi ha scritto Caterina – che trovate in giro col nome di battaglia di Mis Katen -, per propormi un’incursione nel magico mondo del “su misura” e per raccontarmi il suo lavoro. Dopo aver a lungo militato nella moda – elargendo anche la sua saggezza alle nuove leve del domani – e aver gestito negozioni di abbigliamento, ha deciso di fare quello che le è sempre sembrato di dover fare: la sarta. Anzi, la sarta pop. Pure un po’ psicologa e/o consulente di stile, a dire la verità. Ma basta vederla. È una di quelle persone che vanno in giro con addosso solo cose dall’aria “speciale”. Non so bene come descrivere il fenomeno, ma è vero. La vedi e ti viene da pensare che sarà perfettamente in grado di farti sembrare molto più interessante di quello che sei – o che credi di essere – e di tirare fuori dal cilindro qualcosa che non somiglia a nient’altro… perché somiglia a te.
Ma come abbiamo cominciato?
Sono andata a trovare Caterina – che credo abbia la casa-laboratorio tra le più incredibili di Milano e mi domando sinceramente quand’è che qualche prestigiosa rivista di interior design o interiorqualcosa deciderà di dedicarle un numero intero – e abbiamo dato il via alle grandi manovre. Che poi, in realtà, non sono per niente complicate. Non più di un caffè con una tua amica, all’incirca.
Caterina ha un’idea ben precisa di quello che vuole fare con le fortunate che vanno a vestirsi da lei. Il suo obiettivo è inventare degli indumenti che possano raccontare davvero chi li porta, assecondando le più svariate esigenze funzionali e adattandosi – ma proprio dal punto di vista morfologico – al fisico delle sue fortunate clienti. Ah, la commovente magia del su misura! Non parliamo però di abiti dalla gestione complessa – “per carità, è bello ma non me lo metto che poi lo devo portare in tintoria e sai che sbattimento” o “no, guarda, è fantastico ma è troppo importante per uscirci di pomeriggio, lo lascio lì per quando si sposa la cugina Concetta” -, ma di vestiti super speciali per gente che la roba bella la può usare (e la vuole usare) sempre… e che ambirebbe anche a lavarli a 30° in lavatrice.
Come funziona, in soldoni? Caterina ti osserva e ti misura, si fa spiegare quello che ti serve e ti dice se è plausibile. Se le tue ambizioni sono poco realistiche, si producono alternative maggiormente in grado di assecondare spigoli, ciccette, braccia molicce, cosciotti poderosi o clavicole sporgenti. Perché puoi avere addosso anche la più inestimabile creazione da passerella ma, se non ti senti a tuo agio, sarai sicuramente meno baldanzosa. E sono le cose che ci stanno BENE che ci fanno sentire belle e in pace, c’è poco da raccontarsela.
Dopo aver elaborato qualche alternativa a livello di “taglio”, Caterina pensa ai tessuti. Ha una specie di fanta-armadietto che contiene chilometri di stoffe di ogni genere e composizione. Le prende e, in base all’abito che ha progettato – perché non tutti i vestiti “tengono” con tutte le stoffe, o producono il medesimo effetto – ti aiuta a sceglierne una. Io sono stata particolarmente rompicoglioni perché, nonostante avesse già in casa un mucchio di tessuti, è andata dal suo misterioso e onnipotente fornitore a cercarmene degli altri, in un posto che immagino come una specie di antro delle meraviglie dove vanno a finire gli scampoli della TROPPAMODA milanese. La mia unica indicazione: STAMPE PAZZE. MEGLIO SE CON ANIMALINI E/O NATURA.
E direi che ci ha preso.
C’è anche un festoso video in cui mi specchio per la prima volta con il vestito “finito”.
(Avvertenza: urletti).
Caterina, oltre ad occuparsi delle signore, pensa anche agli infanti. Il suo progetto Mini-Me, di solito, è per mamme e bimbe, ma per il Cuorino ha deciso di lanciarsi in un energico esperimento. E ora abbiamo anche un bellissimo pagliaccetto per l’estate pieno di minuscoli pugilini – stampa che ben si addice alla personalità della creatura. Anche qui, l’idea non è di mandare in giro mamme e figli/e con i vestiti identici, ma di creare un piccolo dialogo tra i due pezzi, usando colori e rimandi e vestendo – GRAZIE AL CIELO – i bambini da bambini.
Progetti futuri?
Per forza.
Sospinta da una felicità degna di una cotoletta impanata, mi farò confezionare un top. Anche in questo caso, indicazioni molto chiare. E pacate.
ALUCCE.
ALUCCE OVUNQUE.
E FIOCCHI.
FAI TU.
BASTA CHE CE NE SIANO MOLTI.
Sarò riuscita a rendere giustizia al processo?
Me lo auguro.
Caterina, secondo il mio modestissimo parere, è un talento raro. È creativa, ma realistica. È sincera, ma non ti traumatizza. È saggia, ma originalissima. È brava ad ascoltarti, ma riesce a sorprenderti con una versione “migliorata” di quello che potevi avere in mente. E poi è brava a fare la sarta, c’è poco da fare. Credo che persino l’esigentissima MADRE si farebbe vestire di buon grado da lei. E con questo potenziale scenario miracoloso mi sento autorizzata a concludere, lasciandovi un po’ di credits e contatti. Chiamate Caterina, fatela diventare ricca. E fatevi un regalo, che ve lo meritate.
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Le fotone sono del pazientissimo Christian Fregnan.
Non è colpa sua se guardo sempre in terra. Lui è bravone. Sono io che mi imbarazzo.