Tag

comunicazione

Browsing

C’è un’app che vi ordina di respirare e inspirare, di prendervi un momento per meditare e visualizzare nuvole veloci e verdi prati. L’app monitora il ritmo del vostro cuore, si sveglia con voi, conta le calorie di ogni gheriglio di noce che masticate, vi informa sulla quantità di CO2 che avete risparmiato all’ambiente pedalando in ufficio invece di optare per la macchina e sa quando è ora di mandarvi a letto. Offre incoraggianti mantra motivazionali, chiarisce dubbi sulla raccolta differenziata, vi offre un rifugio sicuro e rilassante nel punto magico d’intersezione tra gli universi GREEN, FIT, ECO e MINDFUL. Credo che sull’app possiate comprare anche tutine in bambù rigenerato, tappetini da yoga, candele ai semi di lavanda e gambi di segale, oltre a piani nutrizionali personalizzati e contenuti esclusivi dei vostri WELLNESS influencer preferiti. L’app l’hanno inventata Elsa e Nico per pANGEA… e un gran bene ha fatto alla loro carriera e al loro sodalizio sentimental/lavorativo. Le community CONSCIOUS crescono ad ogni nuovo aggiornamento, così come il valore dell’azienda che con così tanta sollecitudine intende renderci più sensibili alla causa ambientale, creando prodotti e campagne rivoluzionarie. L’essere umano è il motore finale del miglioramento planetario, l’unica via di scampo dalla devastazione incipiente. Ma i dipendenti di pANGEA possono essere considerati degli esseri umani, in fin dei conti?

In un paradigma generale in cui le risorse sono risorse (senza bisogno di aggiungerci “umane”), Gli straordinari di Edoardo Vitale – in libreria per Mondadori – ci intrappola nella routine aziendal-domestica di due persone che non avrebbero il diritto di lamentarsi di niente ma che ci appaiono profondamente sconfitte.
Mentre il rigore del ritmo lavorativo straborda fino a inghiottire la sfera privata – che risponde ai medesimi imperativi di efficienza, minuziosa pianificazione e necessità assoluta di controllo – i sogni gloriosi di poter cambiare radicalmente le cose facendosi assumere da una Grande Famiglia animata da una solida VISION condivisa si sbriciolano pian piano sotto al peso di imperativi produttivi che replicano, pur in uno scenario all’apparenza illuminatissimo e benevolo, quelli della più asfittica catena di montaggio. Cambia il contesto, ma non cambia la vera ambizione di fondo: pretendere dalle persone quello che andrebbe chiesto a una macchina. La grande differenza, forse, è che la macchina non ha bisogno di sentirsi dire che è speciale, più virtuosa della media. Al contrario di Elsa e Nico, la macchina non si lascia ingannare, non le serve credere di essere straordinaria.

In una Roma parallela in cui il caldo strutturalmente insostenibile scatena incendi a ripetizione, il nobile conglomerato pANGEA si appresta a festeggiare il p-DAY, l’occasione comunicativo-commerciale più importante dell’anno. Tra proclami filosofici di posizionamento, promesse di consulenza strategica per rendere anche le entità più impresentabili degne delle sensibilità di consumatori sempre più accorti e informati, Elsa e Nico cercano di non perdere il senno mentre governano il lancio della nuova versione della loro app, ancora convinti – o forse rassegnati – a salvare quel che rimane del mondo e dei loro ideali. La polizia, fuori dal loro BUILDING a impatto zero e dotato di molteplici pareti per l’arrampicata sportiva, sgombera a intervalli regolari tendopoli e bivacchi di attivisti climatici assai meno pettinati e decorosi dei dipendenti di pANGEA. La causa è giusta? Chiaro. Ma l’unica rivoluzione accettabile sembra essere quella corporate, quella che presuppone comunque che si compri e si venda qualcosa. Protestate pure, ma che la protesta sia monetizzabile e ordinata, insomma. O, se proprio non si fattura, che almeno ci sia modo di fare bella figura, di conquistare qualche punto sul tabellone dei Giusti.

Elsa e Nico sono due personaggi volutamente inchiodati sul posto. La loro paralisi è la nostra, così come molti dei loro tentativi di soffocare il dubbio sotto a tonnellate di sovrastrutture fatte di azioni minime e di rituali che ci illudono di governare quello che stiamo facendo. Ci si tiene impegnati dando retta a un’app che ci ordina di respirare, perché per cinque minuti è confortante pensare che quello sia davvero un gesto di cura verso noi stessi – e verso una collettività che ci preferisce docili, pacificati, inoffensivi. Troppo piccoli per tirare i sassi, troppo oberati per alzare la testa.
C’è soluzione? Ai fini del romanzo sì, tecnicamente. Vitale immagina un momento catartico e fa il possibile per portarci da qualche parte, anche se ho ricavato maggior soddisfazione – per quanto paradossale possa essere – dalla ricostruzione del contesto, dall’analisi accurata di quel tipo di struttura aziendale/umana. C’è soluzione per noi? Forse è troppo presto. Forse è troppo tardi. Forse ci pensiamo domani, che adesso ci sono ancora 472 e-mail da leggere. Fa niente se sono le undici di sera, un occhio ce lo buttiamo lo stesso. Mettersi avanti non ha mai ucciso nessuno, no?

Dunque, Walter Fontana per me – e sospetto per la mia generazione nel suo complesso – è stato il genio che ci ha donato Frattale e Carcarlo Pravettoni, tanto per citare i miei personaggi preferiti di quell’epoca SONTUOSA di Mai Dire Gol. Già lì si perculavano con immensa creatività i tic aziendali e le gloriose megastrutture, i rapporti surreali tra umili impiegati e onnipotenti dirigenti, i dispetti da scrivania e le iniquità macroscopiche che avvelenano l’aria di ogni ufficio. Di libri suoi, però, non ne avevo ancora letti… ma il mio cammino di redenzione è iniziato ed eccoci qua con L’uomo di marketing e la variante limone, che sono particolarmente felice di aver approcciato in versione audio su Storytelil libro è riapparso da Bompiani in una nuova edizione con un piccolo expansion-pack. Nell’audiolibro troviamo Fontana che ci legge prefazione e postfazione, mentre la narrazione complessiva è affidata a Luca Ravenna – voce adattissima.

La freschezza “contenutistica” è sorprendente e, per un libro uscito originariamente nel 1995 che ambisce a fare dell’umorismo su un’epoca e su un contesto molto specifici, il fenomeno sconfina nel prodigioso. Fontana ha a lungo militato in blasonate agenzie pubblicitarie e questa storia – che un po’ è un racconto corale e un po’ è uno studio antropologico – ci colloca tra i due fuochi “classici” dell’orrida dinamica. Da una parte troviamo il cliente – colossale conglomerato che ha un nuovo detersivo al limone da lanciare – e dall’altra creativi, account, copy e tutto il cucuzzaro che costituisce un’agenzia. Riusciranno i nostri eroi a mettere insieme una campagna per Bello Bellissimo Lemon Lemon o soccomberanno senza rimedio alla fumosità del brief e ai continui ripensamenti del cliente? Il resoconto che Fontana ci offre era e resta di un’accuratezza dolorosa – verso il terzo “siete dei geni e vi facciamo tantissimi complimenti ma non ci siamo ancora” ho manifestato una gamma completa di gastriti e tic psicosomatici -, anche se si comunica via fax e non ci sono slide spettacolari da proiettare.

Al caso di studio di Bello Bellissimo, Fontana alterna dialoghi al baretto in pausa pranzo e struggenti riflessioni impiegatizie. Si parla di soldi, di processi decisionali demenziali, di intoppi, di gerarchia, di carriera, di colleghi e del quotidiano sforzo per darsi un contegno, pur sapendo perfettamente di essere dei cialtroni – se non proprio delle canaglie conclamate. Si ride assai e, anche nei frangenti più surreali e grotteschi, ho il grande onore di comunicarvi – nonostante i tanti anni che ci separano dal ‘95 – CHE È TUTTO VERO. È COSÌ CHE VA. SUCCEDE SUL SERIO. E mai più guarderete un flacone di detersivo con gli stessi occhi.

[Come ogni volta che vi segnalo un audiolibro, vi segnalo anche la possibilità di collaudare Storytel. Qua trovate un periodo di prova gratuito di 30 giorni.]

Che di “storytelling” si cianci in ogni dove (prevalentemente a vanvera) è ormai assodato, penso, ma la cialtroneria in cui ci imbattiamo qua e là non fagocita la rilevanza che le storie e le narrazioni hanno sempre avuto per la nostra specie. Le “storie”, esordisce Jonathan Gottschall in Il lato oscuro delle storie – tradotto da Giuliana Olivero per Bollati Boringhieri –, hanno rappresentato per gli esseri umani di ogni epoca (dalle pitture rupestri alle piattaforme di streaming) un collante identitario, un veicolo di trasmissione valoriale, un mezzo per elaborare accadimenti complessi e un punto di riferimento culturale attorno a cui raccoglierci. Il fatto che la creazione e la diffusione di storie ci riesca così “naturale”, però, è una variabile necessariamente positiva?

Il nostro presente è narrativente lussureggiante. Come mai prima, forse, le storie ci circondano e, per certi versi, ci assediano. Ci sono fonti narrative a cui ci esponiamo per scelta e altre in cui incappiamo per ragioni “ambientali” e per l’accrescimento esponenziale delle opportunità di diffusione. È anche un momento storico in cui, accanto a possibilità senza precedenti di “esattezza” scientifica, convivono con rigoglio menzogne e distorsioni che sembrano sfidare il buonsenso e le evidenze fattuali. Le storie sono strumenti: possono fungere da collante culturale o da felice fonte di intrattenimento, ma possono anche incanalare la potenza con cui fisiologicamente fanno presa su di noi per perseguire scopi assai meno benevoli. Dalla diffamazione al complottismo, dalle fake news al marketing, la realtà si trasforma in un teatro perenne in cui ci ritroviamo – quasi sempre inconsciamente – a cercare buoni da contrapporre ai cattivi, eroi in viaggio, giustizia per i meritevoli e castighi per i non allineati. Che queste leve – capaci di fondere l’emotività a un’idea di morale comune – possano anche essere azionate per demolire un’idea scomoda o per destabilizzarci è un rischio che si è già concretizzato.

MA ALLORA È TUTTO ORRIBILE E BIECO! No, in realtà. Polarizzare ci aiuta a semplificare e a creare scorciatoie per governare questo “troppo” in cui dobbiamo muoverci, ma ci rende comparse spesso passive, altri pezzetti di una storia mastodontica che non ascoltiamo più per capirci vicendevolmente un po’ meglio ma solo per confermare quello che pensiamo già di sapere.
Da Platone alle elezioni USA, Gottschall tenta prima di tutto di farci prendere coscienza del ruolo fondamentale delle narrazioni e – con una certa inconcludenza, devo ammettere -, prepara il terreno per l’avvento di un’era narrativo-informativa dove gli archetipi del bene e del male non sono coltelli da lanciare ma bussole di nuovo “valide”.