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Parenti serpenti? Parenti serpenti. E anche particolarmente velenosi. Serpenti a sonagli. Crotali. Vipere cornute.
Evitate Pioggia sottile di Luis Landero – in libreria per Fazi con la traduzione di Giulia Zavagna –, se mal tollerate la gente che litiga o se somigliate un po’ ad Aurora… lei ascolta tutti con infinita mitezza, è paziente e ragionevole. Un po’ remissiva, certo, forse eccessivamente mansueta e fiduciosa, ma disponibile. Tollerantissima. Così brava ad ascoltare e ad offrire sempre una spalla su cui piangere che prima o poi ogni lagnanza finisce per esserle sottoposta. Solo tu mi capisci, Aurora. Solo tu mi dai retta. E Aurora capisce e ascolta… ma per quanto, ancora?

La famiglia in cui approda non è originariamente la sua. Sposa Gabriel e vince anche gli altri. Anzi, le altre. Gabriel è il figlio più piccolo di una stirpe in origine felice, fantasiosa e allegra. Le sorelle, Sonia e Andrea, non hanno mai smesso di rimpiangere il solarissimo padre, scomparso troppo presto per lasciare campo libero a una madre gelida, malmostosa e arcigna. Dedita al lavoro e perennemente terrorizzata dall’indigenza, ha allevato il trio con severità marziale, poche smancerie e lugubre efficienza. Le sorelle le attribuiscono l’origine di ogni infelicità e scelta sbagliata delle loro vite e Gabriel, che ha deciso di votarsi alla filosofia, non si sa bene chi sia diventato e si sospetta sia ancora il figlio prediletto. Sarà lui, innescando una catena di eventi (e conversazioni) irreparabili, a imbarcarsi in un tentativo di riconciliazione: cosa dite se ci rivediamo per festeggiare gli ottant’anni della mamma? GRANDE IDEA GABRIEL LASCIATELO DIRE.

Il romanzo “copre” le giornate campali dell’organizzazione di questo benedetto pranzo di famiglia. A raccontarcelo sarà Aurora che, in qualità di confidente e sfogatoio di Sonia, Andrea e pure dell’anziana madre, si trasformerà suo malgrado nel crocevia definitivo di ogni rissa. Mentre osserva con crescente perplessità lo scorrere della sua vita – a fianco di un uomo che ha saputo deluderla, nonostante lei fosse di ben poche pretese -, le sorelle la subissano di telefonate, messaggi e resoconti che partono dai torti dell’infanzia per approdare alle fratture scomposte – e guarite storte – dell’età adulta. Il risultato è una storia corale piena di miti fondativi “di casa”, testimoni inattendibili, punti di vista discrepanti, rancori grevi ed eterne ruminazioni per stabilire chi merita maggior compassione, chi ha sofferto di più, chi ha sacrificato di più.

Al di là delle specifiche beghe – che si propagano come un’infezione e si fanno via via sempre più grottesche, paradossali, turpi e inquietanti -, Pioggia sottile ci offre anche la prova del potere devastante delle narrazioni. Che siano racconti collettivi – che plasmano identità, intenti e orientamenti di masse altrimenti informi – o mitologie domestiche, le storie non sono mai neutre, innocue, prive di conseguenze. Landero consegna ad Aurora la terribile responsabilità di custodire quelle di tutti i suoi congiunti, in ogni tempo, in ogni versione. Quello che osserviamo è il progressivo sfaldamento del concetto stesso di realtà, perché ciascun componente dello scalognato clan non può che rivomitarle addosso il proprio pezzettino del puzzle, una soggettività che mescola i fatti all’emotività, ricordo nitido a invenzione. Il contesto comune scompare e sparisce anche ogni ricerca del dato di fatto, perché la memoria sopravvive solo nel racconto e il racconto è terreno instabile, influenzato da quello che vogliamo ficcarci dentro per prevalere, per magnificarci, per chiedere vendetta, per far riemergere quello che abbiamo provato e che anche a distanza di anni non smettiamo di provare – aggiungendoci pure qualche sensazione o conclusione inedita, maturata gradualmente o deflagrata all’improvviso. Quello che per una sorella può essere un episodio indelebile e campale per l’altra si riduce a una stupidaggine mai successa e ognuno di questi innumerevoli frammenti produce nuovo materiale da commentare, nuove opportunità di edificazione narrativa, nuove armi, nuovi segreti da sfoderare al momento giusto e da brandire come oggetti contundenti. Aurora, nel mezzo, è l’unica che tace. È un recipiente che capta e contiene. Ma ben sappiamo che anche il recipiente più volenteroso ha pur sempre una capienza limitata…

Pioggia sottile è un libro crudele e incalzante, un piccolo gioiello dell’esasperazione e del conflitto. Ne esco rasserenata? Direi di no, ma il punto è proprio quello: le storie non sono mai innocenti. E nemmeno noi che le ascoltiamo. 

Sono in difficoltà. Anzi, fatico ad elaborare un parere razionale PERCHÉ SONO TUTTI INTOLLERABILI. Mi capita raramente, ma ogni tanto capita. Un personaggio solo si salva – e ho a più riprese cercato di gridargli SCAPPA ANIMA BELLA TU PUOI FARCELA ALTROVE, pur sapendo che non poteva sentirmi. Il tema è spinoso ma non sconosciuto da queste parti: Quello che non sai di Susy Galluzzo – che ho ascoltato su Storytel ma che trovate anche in libreria per Fazi Editore – è una storia di maternità e di assimilazione difficoltosa del ruolo. Ci sono responsabilità enormi che andrebbero rette insieme ma che finiscono solo per alimentare dei grandi dossier immaginari del “te l’avevo detto”, c’è il tema di un distacco impossibile perché c’è la paura di non servire più, c’è l’adolescenza e c’è l’abitudine orrenda di misurare col bilancino quanto ci si vuole bene, quanto si fa per la famiglia e a quanto si rinuncia – e non perché ci fa felici, ma per avere abbastanza elementi da rinfacciare alla controparte.

Il nostro punto di vista è quello di Michela, ex cardiochirurga di sopraffino talento che ora fa la mamma quasi a tempo pieno e deve gestire sostanzialmente per conto suo – perché suo marito Aurelio è ancora un medico impegnatissimo – una figlia protoadolescente “difficile”. Leggiamo quello che Michela sceglie di affidare a una specie di diario scritto per la madre, ormai scomparsa da una quindicina d’anni ma ancora ben viva nella memoria e snodo fondamentale della vicenda.

Tutti, qua, vivono gestendo un rancore invalidante.
Michela e sua figlia sono intrappolate in una simbiosi che soffoca entrambe e che si incrina sul tramontare dell’infanzia, lasciando la madre alle prese col vuoto e con una serie di gelosie meschine e la figlia sempre più avviluppata in rituali compulsivi e scatti d’ira. Michela non ne pare consapevole, ma sta facendo penitenza. Ilaria paga altrettanto involontariamente il fatto di non corrispondere alle aspettative, trasformandosi anche nel ricordo perenne di un grande abisso.L’evento che scatena una reazione a catena di scenate, aggressività e ostilità asfissianti è una macchina che arriva e sta per mettere sotto Ilaria, mentre Michela resta a guardare senza muovere un muscolo – pur avendo ampio margine per intervenire. Da lì e tutto finito, non c’è meschinità o colpo basso che si risparmino.

È un romanzo davvero indigesto ma potente – sarà anche l’ottima lettura di Teresa Saponangelo, che resta espressiva ma ben calibrata – da cui si riemerge quasi con disgusto, perché contrasta ogni immagine felicemente stereotipata e ci proietta invece in una dinamica basata sul risentimento e sull’impotenza, sul senso di colpa e sul bisogno asfittico di controllare tutto per non rischiare di tornare più in un angolo molto buio. Non lo so, forse funzionerebbe meglio se le circostanze di Michela non fossero così estreme, peculiari e fin troppo ben apparecchiate per utilizzare il trauma come spiegazione “plausibile”. Nell’essere tremendo e claustrofobico, però, è anche un romanzo spericolato e pieno di pietà, nonostante le numerose ruvidezze e la generosa distribuzione di situazioni iperboliche.