Minicuore ha esordito al nido a metà settembre, con una certa spavalderia. Pur contraendo malattie di ogni genere a intervalli regolari di dieci giorni, la convivenza con la micro-comunità di infanti della sua classe sta procedendo bene. Io, mio malgrado, sono stata inserita in una chat di mamme votata alla diffusione di regolari bollettini pediatrici e all’organizzazione di acquisti collettivi di adorabili scarpine di foggia zoomorfa. Per il momento ho imparato i nomi dei bambini, ma continuo ad avere qualche problema ad associarli alle rispettive genitrici, ma conto di farcela entro le vacanze estive. Morbi e madri a parte, il nido richiede una certa organizzazione. Siamo andati a presentarci alle educatrici, verso la fine di agosto, e siamo usciti dalla riunione con una lista di cose da portare e procedure da rispettare lunga come i rotoli del Mar Morto. Il lavoro più laborioso, da ripetersi a scadenza settimanale, è quello di organizzazione dei cambi. Perché i bavaglini si sbrodolano e le cacche possono sfuggire dai pannolini. Quindi te, tutti i lunedì, devi rigenerare il parco-indumenti del tuo erede, inserendo tutto in ordinatissime sacche e premurandoti di etichettare ogni capo di vestiario col nome della creatura, affinché Cesare non se ne vada in giro con le calzamaglie di Allegra.
La faccenda dell’etichettatura era un vago terrore che già sospettavo di dover fronteggiare. E, sin dal giorno della complicatissima compilazione della domanda per avere un posto in un nido vagamente normale del comune di Milano, ho giurato di non fare la fine di MADRE.
Dovete sapere, infatti, che in seconda media sono andata al campo estivo di tennis. E MADRE ha deciso che il modo più razionale per affrontare la faccenda dell’etichettatura dei miei vestiti era il seguente: comprare minuscole cifre in merceria – fino a comporre il numero “4107”, la matricola che mi era stata assegnata – e cucirle su ogni singolo vestito che mi sarebbe servito per quelle due settimane.
NO, GRAZIE. MA MANCO MORTA.
PIUTTOSTO PAGO UNA TATA INGLESE A DOMICILIO PER I PROSSIMI SEI ANNI.
CI SARANNO BEN STATE DELLE INNOVAZIONI NEL FLORIDO SETTORE DELL’ETICHETTATURA DI INDUMENTI PER BAMBINI.
E sì, ci sono state. Con mio grande sollievo.
Ho chiesto qualche informazione a un po’ di mamme di Instagram che seguo con gioia e, visto che l’inizio del nido incombeva, ho deciso di fare un tentativo con Petit-Fernand, un sito specializzato nella stampa di etichette personalizzate di diversi tipi. Ci sono le etichette con nome termoadesive – che si attaccano ai vestiti con il ferro da stiro – e quelle adesive e basta – che vanno appiccicate, in un’inception di etichette, alle etichette degli indumentini. Quelle del colletto, per capirci. O, in alternativa, quelle con le indicazioni sulla composizione del tessuto e sul lavaggio. Visto che sono estremamente pigra e inetta, mi sono immediatamente orientata sulle etichette adesive, che promettevano di resistere in lavatrice fino a 60° (giro in asciugatrice compreso) e si potevano riempire di coccosità tipo piccoli dinosauri, sfondini pastello e font tondeggianti.
Ebbene, tre mesi dopo posso affermare con grande soddisfazione che le etichettine sono ancora tutte al loro posto. E di lavatrici ne faccio due a settimana – e pure con una certa irruenza.
Quand’ero lì lì per finire la prima mini-risma di etichette – le tengo nel cassettino del fasciatoio e le appiccico man mano sui vestiti che mi servono quando preparo la sacca per il lunedì. Ci vogliono tre secondi, non ci sono tempi tecnici di accensione di ferri da stiro e non esistono clausole vessatorie sull’utilizzo repentino, la vita – INSOMMA, quand’ero lì lì per finirle, Petit-Fernand mi ha scritto per chiedermi se volevo provare anche quelle per gli oggetti – perché vanno etichettati anche i biberon, che vi credete – e se mi andava di collaudare uno degli altri aggeggi personalizzabili dell’assortimento.
Visto che siamo in fase “impariamo a bere da recipienti diversi”, ho scelto la borraccia Petit-Fernand e ci ho istantaneamente schiaffato sopra un tirannosauro che va sullo skateboard nei pressi di Las Vegas. Così, perché gli va. Si possono scegliere 28 illustrazioni di sfondo e aggiungere una scrittina con il nome della vostra creatura – o quello che vi pare. Tutte le borracce sono in acciaio inox (completamente riciclabile) e mantengono i liquidi caldi per 12 ore o refrigeratissimi per una giornata intera. E L’ACQUA NON SI ROVESCIA. Sembrerà scontato, ma non lo è – credetemi.
Visto che le etichette vanno via come il pane – non perché sia necessario sostituire quelle che si staccano, ma perché gli infanti crescono e le stagioni trascorrono – Petit-Fernand ha pensato anche di sfornare dei pacchettini-risparmio e dei kit per affrontare le situazioni di socialità più disparate. I mix sono molto convenienti, le etichette possono diventare vergognosamente carine – ci sono un sacco di possibili combinazioni ornamentali da creare – e, cosa ancor più importante, sono coriacee e superbamente comode. Insomma, un’ottima scoperta-semplifica-vita e una gradita conferma a questo secondo giro di collaudo.
Se siete ridotte come MADRE e/o non avete ancora trovato una maniera sensata per sbrogliare l’annosa faccenda dell’identificazione dei capi d’abbigliamento della vostra prole, ecco qua un codice sconto che potete usare su Petit Fernand. Con tegamini17 avrete un -15% sulle etichette (per vestiti e oggetti) e sui pacchetti di etichette. Sarà valido dall’11 al 18 dicembre compreso. E spero possa tornarvi utile.
Che dire, felici operazioni di etichettatura a tutti. E… coraggio, supereremo brillantemente anche l’ennesima febbriciattola.