I libri non fanno tutti lo stesso lavoro. Ci sono libri che vogliono mostrarci quello che non c’è – portandoci anche molto lontano – e ci sono libri che sembrano accontentarsi di quello che abbiamo già. I primi, spesso, costruiscono per noi interi universi dalle caratteristiche più o meno fantasiose e spericolate. I secondi, invece, fanno i modesti – ma può capitare che ci raccontino qualcosa di ancor più prezioso, scegliendo forse il modo più difficile. Perché lo sappiamo tutti com’è fatta una Panda. Sappiamo tutti com’è una casa piena di soprammobili o com’è fatto un paio di anfibi. Non sembra, ma raccontare il quotidiano in maniera meticolosa e “credibile”, con i suoi dettagli, le sue minuscole epifanie e le sue piccolezze, è molto complicato. Ma ogni tanto ci vuole.
Ecco, Il giro del miele di Sandro Campani è proprio uno di quei libri lì. Racconta la storia di una manciata di abitanti di un paese dell’Appennino tosco-emiliano. Ci sono boschi pieni di funghi da raccogliere, cani nevrastenici che abbaiano senza sosta, una falegnameria mandata avanti da due artigiani, abiti da sposa cuciti a mano, il bar in piazza. Tutto comincia – o ritorna – quando Davide bussa alla porta di Giampiero nel cuore della notte, finalmente pronto a raccontargli che cosa è andato storto. Giampiero era l’apprendista di Uliano, il padre di Davide, nella falegnameria dove lui giocava da piccolo ma che non ha voluto (o saputo) ereditare una volta diventato grande. Giampiero ha visto Davide innamorarsi di Silvia, sposarsi con lei – nonostante fossero così diversi – e vivere qualche anno di luminosissima felicità. E Davide ha visto gli affari di Giampiero rallentare sempre di più, fino a un incendio che gli ha portato via una mano e parecchie speranze. Chi si sfoghi con chi davanti al camino acceso non è chiaro e non è nemmeno importante. Ma c’è una bottiglia di grappa e la volontà, almeno da parte di Davide, di non arrendersi. Perché ha molto da farsi perdonare. E le parole giuste, spesso, vengono in mente sempre troppo tardi.
È una storia comune, una storia di provincia. C’è un matrimonio che si sfascia, una lince in agguato nel bosco, una lunga serie di discorsi mai affrontati, soldi che non bastano e che finiscono per metterti nei guai. Ci sono mogli, mariti, figli e sorelle che lavano la macchina, partono per un pic-nic in riva al lago, lavorano in una fabbrica di torte, incontrano soci poco raccomandabili, comprano un’ape regina che governi le nuove arnie o fanno trenta chilometri tutti i sabati per andare in piscina. Potremmo esserci tutti quanti, in questo libro. E parlare proprio come Campani fa parlare i suoi personaggi. La lingua è bellissima. Pulita, semplice, punteggiata di modi di dire e sfumature dialettali che sembrano invitarti al tavolo con Davide e Giampiero, come se da un momento all’altro arrivasse qualcuno a offrirti una fetta di torta. Non è un romanzo fatto di avventure sconvolgenti e luoghi impossibili – …insomma, si arriva appena fuori Bologna, un po’ in collina. Ma di strada, senza spostarsi troppo dal soggiorno di Giampiero, se ne fa parecchia.
Una sorpresa meravigliosa.
DISCLAIMER: in questo post utilizzerò (finalmente) tutte le parolacce che vi ho risparmiato in sei anni di blog.
Diciamocelo, i coloring book hanno rotto i coglioni. E le forme geometriche, e la natura, e i film, e i paesaggi, e le città e gli animali. A tediarmi oltre ogni immaginazione, però, non sono tanto i temi, ma l’immancabile premessa: colora, che ti fa bene. Colora e placati. Colora e recupera la serenità perduta. Colorare è terapeutico, è un’attività rilassante. È come fare yoga, ma senza la puzza di piedi. Colora e salvati dal male e dai tormenti!
Certo, come no.
Se penso a una cosa in grado di farmi venire un nervoso senza fine è un’immensa pagina piena di piume di pavone e maestosi tulipani che dovrei mettermi lì a colorare. Spazietti piccolissimi. Ansia da prestazione. Cento colori da decidere. Colorare mi fa imbestialire, santo cielo. Certo, magari non capisco niente io, ma mi sembra un approccio troppo generico. RITROVARE LA PACE. Perché mai un pavone gigante dovrebbe riuscire ad arginare le mie tribolazioni? Se sono arrivata ad accumulare un odio tale per l’umanità da aver bisogno di un libro da colorare, dubito fortemente che un pavone possa aiutarmi. Un pavone non può capirmi, così come non può capirmi un libro da colorare qualsiasi. Perché la rabbia – sacrosanta – che spesso ci sconvolge deve per forza essere soffocata? Qui non si parla di nuocere al prossimo, ma semplicemente di accettare la propria furia, scatenandola e incanalandola in modo da ricavarne un minimo di soddisfazione, senza maltrattare gli altri.
Ebbene.
Adesso si può. Perché esistono i libri da colorare per gente incazzata.
Gli unici libri da colorare utili di questo mondo.
Gli unici libri da colorare per cui consumerei volentieri dei pennarelli.
MARCITE, TULIPANI!
VAI A CAGARE, PAVONE!
Non c’è più posto per voi, stronzi! Non ci servite più! Perché l’universo, finalmente, ha creato i libri da colorare degli insulti e delle parolacce… e sono strabilianti. Non hanno senso e sono pieni di cose orrende, offensive e cretine, ma sono bellissimi.
Dunque, c’è il libro degli insulti – da utilizzare quando vorreste mandare qualcuno a farsi fottere ma, purtroppo, non ve la sentite.
Rallegriamoci insieme con qualche illuminante esempio – mentre facciamo la punta ai pastelli.
E c’è il libro delle parolacce – perché dentro ognuno di noi alberga un bambino di sette anni che non vede l’ora di arrampicarsi sulla cima di una montagna e gridare fortissimo CULO! MERDA! FIGA PELOSA! Ma così, senza una ragione.
Anche in questo caso, la meraviglia è vasta – quasi quanto la necessità improvvisa di investire in una collezione sterminata di variopinte penne a punta fine.
Ogni libro contiene ben 40 espressioni agghiaccianti e versatilissime, da selezionare accuratamente in caso di bisogno, e le pagine sono molto robuste (che si calca, quando ci si incazza) e, oserei ipotizzare, agevolmente asportabili.
Non sapete come arredare l’ufficio? Colorate un bel SUCA e attaccatevelo sul muro. O sulla porta. La gente capirà subito come rapportarsi a voi. E magari vi verrà a rompere le palle un po’ di meno.
Sono libri assurdi, volgari e fondamentalmente imbecilli? Ovvio. Dobbiamo per questo amarli di meno? Non direi, anzi. Ci farebbero dell’autentico bene? Temo di sì.
Non vi garbano?
È un gran peccato.
…ma c’è qualcuno che vorrebbe comunque salutarvi.
Chi?
STOCAZZO.
Funziono così. Compro quasi tutti i miei libri online. Ma se entro fisicamente in libreria è praticamente impossibile che io esca a mani vuote. Vado a cercare di rado i libri che popolano le mie svariate wishlist, perché sono quasi sempre certa di non poterli trovare, ma qualcosa riesco sempre a pescarlo. Datemi un quarto d’ora per vagare felice e spensierata e riuscirò a farmi un regalo inaspettato. A scoprire un titolo che non conoscevo. O ad arrivare, chissà per quale strana associazione di idee, a una cosa bella che avevo dimenticato. Frugo, spulcio le quarte, guardo le copertine, mi scandalizzo per le fascette, finisco davanti a scaffali pieni di roba che mai al mondo potrebbe interessarmi – ma ci guardo lo stesso. Perché Amazon mi risolve – brillantemente – ogni genere di problema logistico e di approvvigionamento, ma la curiosità e il gusto dell’esplorazione sono un’altra faccenda. Ho circa millemila libri da leggere – in coda, come dal salumiere – ma quelli che compro in libreria saltano automaticamente la fila. Le librerie, per me, rimangono dei luoghi felici – nonostante tutto. E queste sono le mie librerie preferite di Milano.
Ristrutturata alla velocità della luce e riaperta al pubblico nel novembre del 2014, Rizzoli Galleria è l’unica libreria gigantesca della città che riesce a non terrorizzarmi… e a non farmi sentire al supermercato. Non ho ancora esplorato il piano dedicato agli infanti (si dice sia mirabile), ma ho apprezzato tantissimo la super sezione in lingua inglese al -1 (dove ho inaspettatamente scovato la mia edizione preferita di sempre della Scopa del sistema) e l’ottagono, una sala di rara bellezza dedicata agli illustrati d’arte, moda, fotografia e design. Cento punti a chi ha deciso di arredare con pezzi di Cassina, Vitra e Frau. E anche a chi è venuto in mente di fabbricare un’app piena di informazioni, novità e percorsi tematici (aggiornati settimanalmente).
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Verso Libri
Corso di Porta Ticinese 40 Martedì, mercoledì, domenica 10 > 21 Giovedì, venerdì, sabato 10 > 24
Tutte le (rare) volte che una libreria indipendente apre i battenti mi viene da pensarla più o meno così: ma che bello, una libreria nuova, piccolina, coraggiosissima e valorosa! …santo il cielo, ce la faranno? Speriamo bene. Ecco, con Verso è andata esattamente così. E, ormai a un annetto dall’inaugurazione, ogni volta che passo per Corso Porta Ticinese sono contenta di vederla popolata, vispa e aperta fino a tardi. Il catalogo è ricercato e avventuroso (io, per dire, mi ero comprata Lo splendore casuale delle meduse) e gli spazi assai piacevoli. C’è un baretto, un civilissimo wi-fi libero e un vasto calendario di eventi (tenendo a mente che non di sole presentazioni librarie vive l’uomo). Il posto perfetto per farsi cogliere di sorpresa da un bel libro. Sull’aperitivo, purtroppo, non ho ancora informazioni. Ma mi documenterò.
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American Bookstore
via Camperio 14 Gli orari d’apertura sono misteriosi, anche se il sito dice “Il punto vendita è sempre aperto, anche ad agosto”. Rassicurante, no?
Il bannerone superTOP viene da http://www.americanbookstore.it/
L’American Bookstore è un luogo bizzarro, disordinato e stranamente accogliente – e forse anche l’unico posto a Milano dove posso sperare di scovare qualcosa che ho effettivamente messo in wishlist. La libreria è specializzata in narrativa anglosassone, dalle novità applaudite dal New Yorker ai paperback dimenticati da Dio. Ci sono chicche e rarità, ma anche i super bestseller in edizione economica. Il tutto è inspiegabilmente accompagnato da un esuberante assortimento di oggettistica. Tazze, scatole, galletti patchwork, biglietti d’auguri e ninnolame degno di una nonna del Wisconsin. Attendo con ansia un angolo dedicato alle torte di mele.
Ci ho passato secoli, all’Egea. Patendo come un cane. Quando facevo l’università, i libri li andavo a prendere lì, sfidando folle oceaniche di studenti esasperati e commessi trafelatissimi. Non l’ho mai percepita come una vera e propria libreria, era il posto dove bisognava andare a procurarsi la dispensa di Storia Economica o il malloppone di Diritto Privato. E vi assicuro che c’è ben poco da stare allegri, quando vi tocca comprare un libro di Diritto Privato. Anni dopo, però, complice la ristrutturazione massiccia (che ha contribuito a rendere l’intera faccenda un po’ più user-friendly), mi sono resa conto che l’Egea poteva anche essere un bel posto. Al piano inferiore ci sono addirittura la narrativa e un giocoso angolo-bambini, ma il punto forte è sempre la saggistica – non necessariamente iper specialistica. Oltre al super catalogo dedicato al management – sai com’è, è pur sempre la libreria della Bocconi -, gli argomenti frugabili sono i più disparati, dalla moda all’organizzazione aziendale, dalla sociologia ai pamphlet sulle brutture del mondo.
All’estero – così, GENERALIZZIAMO – i bookshop dei musei sono sempre strabilianti. In Italia un po’ meno. Magari si trovano i cataloghi della mostra in corso, più qualche volume di trent’anni fa vagamente inerente all’argomento. C’è qualche cartolina, ci sono i magneti pazzi da mettere sul frigo. Ed è morta lì. Il Bookstore della Triennale – gestito da Skira – non è sterminato, ma è sicuramente molto avvincente. Si trovano libri di architettura, design, arte moderna e contemporanea e una selezione di riviste di settore. Si vai dai puri coffee-table books (quelli da piazzare in salotto per fare bella figura e passare per persone raffinate) ai saggi con meno figure e più attenzione agli aspetti teorici della creatività. Per la gioia dell’universo mondo, poi, c’è anche una spassosa selezione di aggeggi e gadget insoliti – cosa che trovo sempre di grandissima consolazione, non potendo permettermi la lampada Arco di Achille Castiglioni.
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E niente, questi sono i posti dove amo girovagare. Visto che il tutto è assai soggettivo – e non c’è alcuna pretesa di esaustività, vi esorto ad allungare l’elenco con le vostre librerie preferite. Che si fa sempre in tempo ad imparare qualcosa.
Per farla breve, Lazzari riesce all’incirca a rappresentare tutto quello che amo.
Come avrete modo di sentire anche nel magistrale Snapchat-video che ho appiccicato un pochino più sotto, sono una di quelle classiche persone che ogni due giorni molesta pubblicamente Lazzari con esortazioni di questo tenore: CHE COS’HA IL VENETO CHE NOI NON ABBIAMO? PERCHÉ NON APRITE A MILANO, PERCHÉ! CHE COSA DOBBIAMO FARE PER CONVINCERVI? ANCHE NOI VI MERITIAMO. NON POSSO MICA VENIRE A VERONA OGNI TRE GIORNI.
Lazzari, il mio personalissimo Winner Taco.
Crociate per l’apertura di punti vendita milanesi a parte, di Lazzari amo con trasporto soprattutto le stampe. E l’attenzione un po’ folle per il dettaglio, soprattutto zoologico. La gonna-squalo? Ce l’ho ancora sul gozzo. I colletti con i narvalini? Svengo. Anna Kövecses che disegna alpaca e gattini neri che giocano coi gomitoli? LEGATEMI ALL’ALBERO MAESTRO. Per celebrare degnamente la collezione autunno-inverno, mi sono magicamente trasformata in una #LazzariGirl ricoperta di cigni e ho fatto l’unica cosa che sembro in grado di fare con una certa efficacia: consigliare dei libri da leggere. Possibilmente in tema con il mood ricercato, giocoso e originale del brand.
Il risultato, come vi conviene moltissimo verificare qua sotto – se già non vi siete visti tutto quanto su Snapchat -, è una puntata speciale di #LibriniTegamini, con quattro nuovi consigli di lettura.
Quante parole servono per raccontare un grande classico della letteratura? Solo dodici, se ti impegni tantissimo. Un po’ come gli inventori dei Cozy Classics, i libri più morbidini di sempre. Prima di abbandonarmi senza ritegno alla tenerezza devastante che questo progetto mi ispira, conviene però fare un passettino indietro. Da dove vengono i Cozy Classics? A Vancouver ci sono due fratelli gemelli – Jack e Holman Wang – che da qualche anno si industriano per trasformare i romanzi più letti di ogni tempo in mini opere d’arte (e di sintesi) a beneficio di bambini grossi e piccoli.
Gli indefessi gemelli Wang hanno cominciato “da soli” e sono da poco entrati nel catalogo di Chronicle Books, che ha anche deciso di rilanciare la serie con nuove copertine e nuova grafica e si sta impegnando – con molta calma, purtroppo – a ristampare tutti i volumini già usciti. Fortunatamente per noi, però, nessuno si è azzardato a toccare i pupazzetti, che sono un po’ l’aspetto più commovente e speciale dell’intera faccenda.
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I coraggiosi Wang si sono cimentati, tra gli altri, con Guerra e pace, Moby Dick, Emma, I miserabili, Jane Eyre e Oliver Twist e, per la primavera del 2017, è già in programma Il mago di Oz – storia che, non lo nascondo, mi ha sempre fatto una paura boia.
Comunque.
Ogni pupazzetto è realizzato a mano con il needle felting, una tecnica complicatissima ed esasperante ma assolutamente FAVOLA. I pupazzetti – vestiti, pettinati e opportunamente agghindati – vengono poi fotografati all’interno di set lillipuziani che riproducono una scena o uno snodo fondamentale del capolavoro prescelto. Ogni libricino, si diceva, contiene dodici immagini e dodici parole a prova di bambino. Perché, in teoria, i Cozy Classics sarebbero destinati a minuscoli esseri umani che, tramite parole semplici, possono avvicinarsi ai concetti fondamentali dello stare al mondo (che ne so, l’amore, l’amicizia, le balene bianche, la sconfinata speranza nel genere maschile che Mr Darcy può restituirti), facendosi dare una mano da storie grandiose e figure belle.
Sono fermamente intenzionata a collezionare tutti i Cozy Classicse a sfogliarli senza pietà con Minicuore. Anzi, diciamo pure che la faccenda dei bambini è una palese scusa. Ovvio, Peppa Pig va combattuta con ogni mezzo… e non che sedersi lì con il vostro erede a raccontargli i raccordi narrativi tra le dodici paroline non sia nobile e saggio, MA VOLETE METTERE CIOÈ UNO SCAFFALE INTERO DI COCCOLOSI LIBRINI FELTRINI CON I VOSTRI CLASSICI DEL CUORE LEVATEVI BAMBINI. Quest’anno, poi, in occasione di un inequivocabile risveglio della Forza, gli instancabili Wang si sono cimentati anche con la saga di Star Wars, dedicando un volume a ogni episodio della trilogia “originale”. La mini-collana di Star Wars si chiama EPIC YARNS e si calcola che, solo per Chewbacca, siano stati utilizzati circa dodici chili di lanina.
E basta, credo di aver finito. Avete una wishlist? Fantastico. È il momento di riempirla. Per quanto mi riguarda, organizzerò una manifestazione di piazza per chiedere a gran voce la trasposizione-Cozy di Anna Karenina. Perché meritiamo di imbatterci in una cavalla Frou-Frou di lana che soccombe di fronte alla meglio nobiltà pietroburghese.
E tanti feltrini a tutti.
Il regno è in festa.
Unicorni grassissimi fluttuano serafici.
La pizza cresce sugli alberi.
Minicuore dorme una notte intera.
Ogni calza spaiata ritrova la sua compagna.
Le zanzare si estinguono.
Gli zucconi decidono – in massa – di abbandonare i social.
Tutti leggono un sacco.
Lazzari apre a Milano. E io sono in finale ai Macchianera Internet Awards 2016 in ben due categorie: “Miglior Snapchatter” e “Miglior sito letterario”.
Ma siete matti?
I Macchianera li ho sempre osservati con curiosità, ma anche con un certo distacco. Perché non mi è mai sembrato che potessero riguardarmi “direttamente”. Votavo gioisamente per i miei preferiti – perché si tifa volentieri – e tornavo a farmi gli affari miei. Cioè, nella vita ci vuole anche un po’ di realismo, no? Ai Macchianera c’è la Ferragni, c’è la gente che va in televisione, ci sono quelli seri. A te chi ti conosce, ma che cosa vuoi.
E niente. Anche quest’anno non mi sono posta il problema. Ma guarda, sono partite le candidature. Bene, divertitevi. Io sto qua, mangio un Saccottino e vi guardo. E poi, venerdì, è saltato fuori che in finale c’ero anch’io.
Non sono particolarmente portata per i discorsi strappalacrime, ma mi sono davvero commossa. Zero campagna elettorale, zero CIAO RAGA VOTATEMI, zero mobilitazioni di amici e parenti. Non ho dovuto stampare neanche un santino da sindaco di provincia. E in finale ci sono finita lo stesso, grazie a voi. Evidentemente, là fuori, siete numerosi, molto cari, super organizzati e, lasciatemelo dire, completamente pazzi.
A questo punto, dunque, direi che devo impegnarmi almeno un po’. Insomma, visto che fin qui mi ci avete portata mi pare il caso di vincere qualcosa.
Ecco un paio di fulminee istruzioni per l’uso, un mini “come voterò io” e la scheda per esprimere le vostre garbate preferenze.
Come si fa?
Vi rimando al regolamento, ma le cose importanti da sapere sono tre. Per votare ci vuole un indirizzo e-mail valido. Si può votare fino al 26 novembre. Bisogna votare per almeno 10 categorie. Io posso levarvi parzialmente d’impiccio: mi trovate nella 10 (“Miglior Snapchatter”) e nella 22 (“Miglior sito letterario”).
E le altre?
Io voterò così – categorie 10 e 22 a parte. Quelle sono per voi.
2. Miglior personaggio – Influencer: ALBERTO ANGELA
4. Miglior articolo: “Il reparto degli uomini rotti” di Enrico Sola
5. Miglior community: Team Divano
7. Miglior tweeter – Periscope: @dueditanelcuore (10. Miglior Snapchatter: SCEGLI ME SCEGLI ME)
12. Miglior trasmissione TV: Pechino Express
17. Miglior testata giornalistica online: Il Post
20. Miglior sito cinematografico: BadTaste (22. Miglior sito letterario: CI SONO IO CI SONO IO EVVIVA)
23. Miglior sito fashion&beauty: Stylosophique
25. Miglior foodblogger: Ilaria Mazzarotta
Ve la sentite? Ecco qua la scheda per votare. Se vi fa ansia, potete andare a compilarla anche qui.
E dovrei aver finito di ammorbarvi. Vi ringrazio ancora con trasporto – e un’incredulità che mai mi abbandonerà – e, per chi sarà nei paraggi, ci si vede il 3 dicembre alla premiazione. Io sarò quella che non aveva niente da mettersi.
Le ferie si avvicinano, le ciabatte di gomma non vedono l’ora di portarci in spiaggia e i parei sventolano all’orizzonte. Insieme al consueto mantra del “quest’estate non faccio niente: mangio, mi riposo, non guardo le mail dell’ufficio e nuoto con la tavoletta” riaffiora anche un grande classico, il sempreverdissimo LEGGERÒ UN CASINO. Perché, come al solito, siamo assolutamente convinti che d’estate si possa finalmente leggere tutto quello che in una vita intera abbiamo più o meno volontariamente trascurato. Non è detto che ci si riesca, ma quel che conta è partire con le migliori intenzioni – e una trolley pieno di romanzi da imbrattare di crema solare.
Visto che non di sola caccia ai Pokémon può vivere l’uomo, mi sento in dovere di sostenere i buoni propositi dei villeggianti di ogni latitudine spiattellando la mia ambiziosa reading list e illustrandovi molto volentieri quello che sto combinando su Snapchat.
Parto da Snapchat, che è la roba meno importante a livello geopolitico.
Pur continuando a detestare il filtro-cagna, Snapchat sta cominciando a piacermi davvero e – in barba ad ogni più rosea previsione – ho scoperto che è un buon posto dove parlare di libri. Anzi, dove consigliare cose da leggere agli altri esseri umani – esseri umani che, inspiegabilmente, sembrano fidarsi di quel che dico.
All’inizio mi limitavo a fare due chiacchiere sull’ultimo libro che avevo letto e a sistemarlo sullo scaffale – scatenando una reazione a catena di roba che si sposta e polvere che si alza – ma, in qualche settimana, l’intera faccenda si è trasformata in #LibriniTegamini, una rubrica giornaliera in cui frugo nella libreria di casa e faccio del mio meglio per rispondere alla precisa richiesta (o alle domande) di chi vuole scoprire letture nuove.
Chi vuole un consiglio può felicemente scrivermi un messaggio – spiegandomi in rapidità i suoi gusti e che cosa sta cercando – e io, nella prima “puntata” utile di #LibriniTegamini provo a scovare il libro giusto per quella persona.
Cioè, niente che un libraio normale non faccia già da millenni… ma tant’è: #LibriniTegamini prospera e la gente SCRINSCIOTTA copertine con un’abnegazione che non cessa di commuovermi.
Ma perché ve l’ho detto?
Un po’ perché sono felice che #LibriniTegamini funzioni, ma anche un po’ perché potrei soccorrervi tempestivamente mentre vi aggirate per la Feltrinelli di Finale Ligure in cerca di un libro capace di surclassare il Novella 2000 della vicina d’ombrellone.
Non sono ancora abbastanza colta per sconfiggere la micidiale combo Gente più materassino gonfiabile in omaggio, ma se vi va di divertirvi con #LibriniTegamini (e di sorbirvi le fandonie che racconto quotidianamente), su Snapchat mi chiamo Tegamini e potete trovarmi qui.
Per il resto, c’è chi prende anche appunti.
Ma veniamo alla mia irrinunciabile wishlist estiva – ovvero, due settimane al mare e un irragionevole milione di pagine. Che cosa butterò in valigia – facendola poi portare ad Amore del Cuore? Ecco qua.
***
Julian Fellowes, Belgravia
Pubblicato a puntate su un’apposita applicazione a partire dal mese di gennaio di quest’anno – iniziativa assai vittoriana, devo dire -, Belgravia dovrebbe essere uno splendido polpettone storico-romantico pieno di balli, intrighi di società, collane di perle, uniformi tintinnanti, cannonate e personaggi arguti che si mandano a quel paese. L’autore è Julian Fellowes – quello di Downton Abbey e Gosford Park, per capirci -, quindi credo ci si possa fidare.
Io leggerò la versione “integrale” in inglese, ma il libro c’è anche in italiano – pubblicato da Neri Pozza e tradotto da Simona Fefè.
[tentblogger-youtube iv5yZ7Ui560]
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Elena Varvello, La vita felice
Per stemperare la spensieratezza delle barzellette del Cucciolone – che non fanno ridere, maledizione -, un romanzo di formazione dall’aria misteriosa e tagliente.
Il protagonista è un ragazzo di sedici anni che, ormai cresciuto, ricorda la fatidica estate che gli ha azzoppato per sempre la vita. Dovrebbero esserci rapimenti, un padre pazzo, cotte adolescenziali e oscuri segreti.
Gettiamo i Cuccioloni oltre l’ostacolo e vediamo che cosa succede.
***
Ransom Riggs, La casa per bambini speciali di Miss Peregrine
Una sperduta isola gallese, una schiera di scherzi della natura, un nonno che nessuno prende sul serio, mostri, nazisti e un ragazzo che parte dalla Florida per indagare sul passato bizzarro – e tremendamente reale – della sua famiglia.
Tim Burton ci ha fatto un film (in uscita a dicembre), ma voi potrete dire di essere arrivati prima… e criticare spietatamente tutto quello che vedrete – anche se, a dire il vero, l’atmosfera somiglia troppo a quella di Big Fish per trasformarsi in un conclamato schifo. In italiano lo trovate da Rizzoli, con la traduzione di Ilaria Katerinov.
***
Ben Lerner, 10:04
Va bene, di trentenni in crisi esistenziale che vivono a New York coltivando ambizioni letterarie e inanellando fallimenti amorosi e variegate goffaggini ne abbiamo visti passare parecchi, ma hanno sempre il loro fascino. Nello specifico, il trentenne di Ben Lerner riesce addirittura a sfondare come scrittore, ma ciò non basterà a metterlo al sicuro. Malattia potenzialmente mortale diagnosticata in un momento poco propizio? C’è. Migliore amica che vorrebbe essere fecondata senza però diventare la tua compagna? Presente. Certezze che si sgretolano? Ovvio.
Facciamoci venire l’ansia e buonanotte. Potete leggerlo in inglese o regalarvi l’edizione italiana di Sellerio.
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Elena Ferrante, Storia della bambina perduta
La serie dell’Amica geniale è piaciuta a così tanta gente che ci ho messo all’incirca vent’anni a decidere di cominciarla. Ero certa che avrei deplorato ogni pagina, ma mi sono tragicamente invasata. Dopo i primi tre romanzi, però, ho deciso di prendermi una pausa: l’odio per Nino Sarratore, infatti, era semplicemente troppo per proseguire. Riuscirò a scoprire come finisce la storia senza lanciare il libro in mare? Staremo a vedere.
***
La vostra sporta dei libri è ancora vuota e non sapete dove sbattere il cranio? Lasciatevi soccorrere da #LibriniTegamini.
La vostra wishlist finirà per somigliare alla mia? Felice di esservi stata utile.
Leggerete qualcosa di diverso? Raccontatemelo senza indugi.
Per il resto, tanti cuorini. Ricordatevi la protezione 30 e non buttatevi in acqua con la pancia piena di focaccia.
Un articolo di qualche anno fa – che vi linkerei volentieri, se solo non fosse protetto dal temibile paywall del Sunday Times -, sosteneva che i libri di Terry Pratchett fossero i più rubati nelle biblioteche britanniche. Per quanto il furto e il ladrocinio siano da deplorare, non posso fare a meno di apprezzare un lestofante che, quantomeno, dia prova di ottimi gusti letterari. Perché Terry Pratchett è la vita – ed è ora che troviate il modo di fargli posto anche nella vostra.
In Italia, non si sa bene il perché, i fan di Terry Pratchett sono all’incirca dodici – e hanno un bruttissimo carattere. Invece di girare per la strada elencando a gran voce i pregi della saga di Mondo Disco, passano le giornate a lamentarsi con virulenza sulla pagina Facebook di Salani. Ma con dell’astio serio. E le traduzioni. E le pubblicazioni disordinate. E la lunga attesa tra un libro e l’altro. E il riscaldamento globale. E la gente che ti spoilera i telefilm. E l’olio di palma. E l’intrinseca iniquità dell’umano vivere.
Al mondo c’è qualcosa che vi fa schifo e vi fa incazzare come crotali? Niente panico, un fan di Pratchett l’avrà già abbondantemente rinfacciato a Salani. Ma con la puntigliosità di un vegano crudista.
Comunque.
Per quanto incontentabili, i fan di Pratchett non hanno torto su tutta la linea.
Pratchett, nel nostro paese, resta una specie di tesoro inesplorato. Un po’ perché la vastità della sua produzione è di difficile gestione, ma anche un po’ perché non si capisce bene come collocarlo – e come spiegare alla gente che quello che scrive è veramente speciale e diverso da tutto il resto.
Per quel che ci ho capito io, il “pubblico” – qualsiasi cosa sia – è abituato al fantasy “classico” (= il drago Smaug dorme su un mucchio d’oro nelle viscere di una montagna) o alle recenti porcherie sovrannaturali di taglio young-adult (= ho 200 anni, Bella. Ma amo te che ne hai 16 e sei una palla al piede. Che c’è di strano?).
Pratchett, con tutto il bene che gli voglio, non è altrettanto incasellabile. E non somiglia a niente. Ha preso una tartaruga immensa, dei maghi cialtroni, quattro sassi incantati, un gruppetto di megere e la Morte… e ci ha costruito un’intera cosmologia fantastica. E non sto parlando di un universo ultra-complicato (che si regge in piedi solo se ogni atomo viene sviscerato in maniera esasperante) o di Tolkien che vi obbliga a imparare la grammatica elfica (altrimenti siete scarsi). Il solo scopo dell’universo di Pratchett è quello di farvi divertire come pazzi, autoalimentandosi ad ogni pagina. Mondo Disco ha delle leggi, ma anche degli angoli inesplorati e misteriosi. Mondo Disco ha una struttura così solida e viva da potersi permettere anche il paradosso e l’ironia. Anzi, da poter usare l’ironia e l’assurdo come collante.
È per quello che la gente ruba i libri di Pratchett. Perché sono una continua invenzione, una perenne ricerca del piacere vero della lettura. Un’avventura e un’esplorazione di uno spazio narrativo che cresce man mano che ci si cammina dentro – cercando di non rotolare a terra perché si ride troppo.
La buona notizia è che, dopo tante rotture d’anima e picchetti su Facebook, Salani sembrerebbe aver deciso di ricominciare a dedicarsi a Pratchett con una certa sistematicità. Tipo l’Algida col Winner Taco. Il 30 giugno arrivano in libreria i primi tre libri di Discoworld: Il colore della magia, La luce fantasticae L’arte della magia. Nuova grafica – cielo, una Pratchett-collana! -, copertina rigida e grande felicità. Come la maggior parte degli esseri umani, infatti, ho letto la saga di Mondo Disco – composta a sua volta da diversi sottocicli dedicati a specifici personaggi, aree geografiche o filoni narrativi – in maniera totalmente disordinata e tragicamente parziale. I romanzi sono una quarantina, dopotutto. E io ho solo due mani. L’idea, dunque, è di procedere per gradi e di colmare pian piano le lacune, iniziando da questi primi tre volumi – che, incidentalmente, non ho mai letto e che, ne sono certa, mi rallegreranno in ogni modo possibile.
Che fare, dunque?
Amate già – un po’ a caso – Terry Pratchett? Mettete ordine nella vostra adorazione.
Non avete mai letto Terry Pratchett? È un buon momento per cominciare.
Fate già parte della schiera dei dodici fan italiani di Pratchett? Ve ne prego, trovate pace. E aiutate il resto della penisola a divertirsi con voi.
Come si può tristemente constatare dalla categoria Cinema & TV di questo scalognato blog, le mie preferenze filmiche coincidono all’incirca con quelle di un bambino di nove anni che ha appena fatto la varicella. Adoro i robot giganti che prendono i mostri a petroliere sul muso, mi emoziono tantissimo appena vedo un velociraptor e osservo Tom Hiddleston con del vero sentimento.
Di film non capisco praticamente niente, ma adoro parlarne. E adoro leggere quello che dicono gli altri – metti mai che imparo qualcosa. Nel vasto universo dell’opinione cinematografica, il mio preferito è sempre stato Leo Ortolani. Di cose belle per il mondo ne ha disegnate tante, ma nulla riesce a farmi felice come una delle sue recensioni a fumetti sull’ultimo polpettone Marvel, o sull’ultima saga fantascientifica che qualcuno ha deciso di sbolognare a J. J. Abrams, o sull’ultimo disperato tentativo di fare un film con i Fantastici 4. Pur continuando a non comprendere come è riuscito ad apprezzare Prometheus, ho PRE-ORDINATO Il buio in sala – pubblicato da Bao – e l’ho atteso con lo stesso entusiasmo sprigionato da un biologo imbecille di fronte a una biscia spaziale dall’aria palesemente assassina.
L’insensatezza di tutta questa HYPE non mi è sfuggita, credetemi.
Cretina, hai praticamente già letto i nove decimi di questo libro sul blog di Ortolani, che cosa speri mai di trovarci dentro?
Va bene, ci sarà pure qualche recensione inedita, ma non mi sembra il caso di agitarsi così tanto.
Cos’è, abbiamo all’improvviso diciassette euro da buttare? Taci, buonsenso. Taci e lasciami divertire.
Perché è di questo che si tratta.
Non vi siete mai imbattuti in una recensione di Ortolani? Stolti, vi invidio profondamente! Se vi piacciono i supereroi, le astronavi e avete (giustamente) paura dei vecchietti in coda alla posta, questo libro sarà per voi fonte di inesauribile sorpresa e probabili convulsioni. Siete convinti di sapere ormai a memoria l’intero blog? Vi sbagliate: avete trent’anni e il vostro cervello non è più quello di una volta. Il buio in sala riattiverà le vostre esauste sinapsi e vi farà ridere come la prima volta – o quasi. Insomma, dipende da quanto vi siete effettivamente rimbambiti. Io, per dire, sono stata scacciata dalla camera da letto alle due del mattino perché sghignazzavo con eccessiva foga (rischiando, probabilmente, di rompere le acque).
Nell’augurarvi un consorte più comprensivo di Amore del Cuore, vi esorto ad acquistare questo prezioso volume e a trovare un luogo appartato dove godervelo in santa pace. Che con diciassette euro, ormai, non ci comprate più manco un pezzo di pizza. Tanto vale buttarli via con stile.
Volevo fare un’introduzione seria, ma poi mi sono accorta che non so niente. Non è colpa mia, funziono così. Il laureato in storia è Amore del Cuore, mentre io sono quella che legge Le benevole in spiaggia. Lui si ricorda esattamente che cosa è successo al Congresso di Vienna, io mi entusiasmo per la macchinosa procedura di lavaggio-capelli della principessa Sissi. Lui ricostruisce agilmente fatti, cause, conseguenze (di breve e lungo periodo) e ripercussioni socio-economiche, io mi prendo bene coi problemi esistenziali delle favorite del Re Sole, voglio sapere che cosa mangiavano i Maya e iperventilo se becco Alberto Angela che spiega alla gente com’è che gli antichi romani fabbricavano le scarpe.
Che vi devo dire. Mi piacciono le cose – e tutto quello che possono raccontarci sul mondo che le conteneva. Datemi una montagna di usanze, rituali, suppellettili, manifesti propagandistici, uniformi, galatei, feste comandate e superstizioni… e sarò felice – anche di fronte allo sconcertante universo della Russia sovietica.
Qual è il valore simbolico del samovar?
Com’è che si campa senza carta igienica?
Perché a nessuno viene in mente di rubare il bicchiere “collettivo” di un distributore pubblico d’acqua?
Qual è la velocità accettabile per una scala mobile della metropolitana di Mosca?
Conviene diffidare delle kotlety?
Non esistono le sporte di plastica. E manco quelle di carta. Com’è che fate la spesa (sempre che ci sia qualcosa da comprare)?
Che cos’ha il rosso di così speciale?
Perché uno dovrebbe mettersi in casa una lampadina a forma di cranio di Stalin?
Volete richiudere una bottiglia di vodka e metterla via per la prossima volta? Non si può. E siete gente che non ci sta dentro.
Come si fa a pulire correttamente un pesce essiccato?
Perché c’è coda davanti a un ristorante vuoto?
Non lasciare il cappotto al guardaroba è da villanzoni. Ma perché al cinema si può serenamente tenere?
Dalle famigerate calze di nylon all’acqua di colonia Chypre (la preferita degli alcolizzati), in questo libro troverete l’ideologia e la propaganda, l’onnipresente conflitto tra spazio privato e spazio pubblico, una molecola di nostalgia, svariate badilate di brutale franchezza, numerosi tritacarne, un satellite (il primo) e un cadavere mummificato. La vita privata degli oggetti sovietici (Sironi) è un saggio super curioso, imprevedibile e godibilissimo. Anzi, molto meglio. È una specie di romanzo distopico di storia materiale.
Grazie ai 25 oggetti emblematici individuati da Gian Piero Piretto guadagnerete un punto di vista incredibilmente preciso e “pratico” sulla quotidianità sovietica, ritroverete il fascino per il surreale, imparerete qualcosa – anche se vi pare di saperne già abbastanza – e vi verrà da pensare che, in qualche meandro della lingua russa, debba per forza esistere un equivalente dell’espressione stranger than fiction – applicabile, però, a svariati decenni di vita di un’intera società.
Mentre ci pensate su, vi auguro buona lettura e vi lascio in eredità la formula corretta per un brindisi russo: Za vaše zdorov’e, caroni!
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