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Oggi è il compleanno di Cormac McCarthy e io, per fortuna, sono ancora indietro. Devo leggere la Trilogia della frontiera, vedermi Sunset Limited recitato da Samuel L. Jackson e Tommy Lee Jones, sedermi su una bella duna, mentre il mondo si sbriciola e diventa di cenere, magari con i piedi dentro a un paio di stivali seri. Rossi, se ci sono.
Probabilmente, dovrei spicciarmi a fare tutte queste cose… nel frattempo, però, è il caso di attaccare eventuali cavalli stanchi a qualche albero scheletrico in mezzo a desertoni gialli e fare gli auguri. Non ce lo vedo tanto, a saltellare con un cappellino di carta e cantare le canzoncine. Mi sembra più plausibile una serata a base di brodo di tartaruga. In ogni caso, è comunque una festa.

***

L’uomo si era portato dietro il libro del bambino, ma il bambino era troppo stanco per ascoltarlo leggere. Possiamo lasciare la lampada accesa finché non mi addormento?, disse. Sí. Certo che possiamo.

Prima di prendere sonno rimase sveglio a lungo. Dopo un po’ si girò a guardare l’uomo. Il suo volto rigato di nero dalla pioggia alla debole luce della lampada, come certi teatranti del vecchio mondo.
Ti posso chiedere una cosa?, disse.
Sí. Certo.
Noi moriremo?
Prima o poi sí. Ma non adesso.
E stiamo sempre andando a sud.
Sí.
Per stare piú caldi.
Sí.
Ok.
Ok cosa?
Niente. Cosí.
Adesso dormi.
Ok.
Ora spengo la lampada. Va bene?
Sí. Va bene.
E dopo un altro po’, nel buio: Ti posso chiedere una cosa?
Sí, certo che puoi.
Tu cosa faresti se io morissi?
Se tu morissi vorrei morire anch’io.
Per poter stare con me?
Sí. Per poter stare con te.
Ok.

Cormac McCarthy, La strada

***

Il giudice sedeva da solo nella cantina. Guardava anche lui la pioggia, con gli occhi piccoli nella grande faccia nuda. Si era riempito le tasche di dolcetti a testa di morto e se ne stava vicino alla porta e li offriva ai bambini che passavano sul marciapiede sotto il portico, ma i piccoli si allontanavano scartando come puledrini.

Cormac McCarthy, Meridiano di sangue

***

Suttree si alzò a sedere nella sua cuccetta e guardò fuori.
Vide una mano che sporgeva dal fiume ad aggrapparsi al ponte di casa sua. Rotolò giù dal letto e andò alla porta, girò l’angolo e rimase lì in mutande con gli occhi sul ratto di città.
Fico, eh?, disse Harrogate.
Sai nuotare?
Domani a quest’ora starai parlando con un uomo ricco.
O annegato. Dove diavolo hai trovato quell’affare?
L’ho costruito. Io e quel vecchio ubriacone di Harvey.
Cristo santo, disse Suttree.
Che te ne pare?
Mi pare che sei completamente fuori di testa.
Vuoi farti un giro?
No.
Eddài, ti porto io.
Gene, non salirei su quell’affare neanche sulla terraferma.

Cormac McCarthy, Suttree

***

Anni prima, eravamo stati in una piscina.
Non c’era quasi nessuno, era il nostro regno. Mio padre, mia madre e io. Abbiamo giocato per ore. Ricordo che a un certo punto decisi di salire su un’altalena. Mia madre mi spingeva da dietro, assieme ridevamo. Io guardavo il cielo del tardo pomeriggio ed era immenso e mi sembrava di poterci cadere dentro.
Cadere nel cielo.
Nell’azzurro infinito.
La più bella paura del mondo.
Poi lentamente l’altalena si è fermata.
Con mio papà e mia mamma siamo andati a prendere un gelato, era buono.

E’ un libro dove chi non vuole morire muore e chi vuole morire non muore. C’è questa idea della morte come di un’entità cretina e vagamente beffarda, che non conosce il tempismo. Si inizia con una famiglia alle prese con il cancro della mamma. Tutti si aspettano che muoia da un momento all’altro, ma muore prima il papà… e tutti non possono che prenderla come un’offesa personale. Dopo un po’, muore anche la mamma. Le cose perdono di significato. Anzi, l’accumulare cose, perde di significato. Tutto rallenta, diventa molto silenzioso e immobile, fa un rumore di ossa che rimane nelle orecchie e che rende impossibile pensare e capire cosa faccia la gente normale, o ricordarsi cosa significasse essere normali. E così, ordini una bombola del gas nuova e fai esplodere la casa. Ma non di proposito, capita perchè nel frattempo stavi cercando di ucciderti in modo meno diretto… e ci stavi quasi riuscendo. Le pagine dell’infanzia sono bellissime e perfettamente azzoppate da un senso di minaccia costante. Per rendere l’idea, sono belle come può essere bello un coniglietto dal pelo lungo che sgranocchia una minuscola carotina seduto in mezzo all’autostrada. Insomma, uscito dalla clinica e curato dalle ustioni, il “narratore” si iscrive all’università. Va a lezione tre volte, spiega fantasticamente che cosa sia la poesia, beve, dorme per giorni e poi va ai giardinetti e compra una quantità pachidermica di cocaina e giornali porno e si chiude nella sua stanza al patronato. Vorrebbe di nuovo tentare di morire, ma viene spinto in avanti da un’energia irrefrenabile, da impulsi allucinati che eliminano ogni capacità di pensare al di sopra della cintura. Tarantolatissimo, esce solo per comprare altri giornali porno e per andare a scopare a pagamento ai quattro angoli della città. Qui c’è un aggrovigliarsi di cose, liquidi, protuberanze, penetrazioni e così via che è preferibile immaginare come un gigantesco polpo viscido che si avviluppa intorno al protagonista e cerca di trascinarlo più sotto del fondo limaccioso del mare. E non si crede davvero che ci sia una via d’uscita.
E’ un libro che ben ritrae l’abiezione umana, il bisogno continuo di consumare, di muoversi, di scacciare lo spazio vuoto. Certo, è spiacevole, quasi com’era spiacevole Superwoobinda, ma ogni frase è brillante come una poesia intera.
Magari non leggetelo mentre mangiate, .