Ho passato buona parte della mia infanzia a cercare di capire che cosa potevo o non potevo fare. In casa mia c’era la convinzione che quasi tutto – dai cartoni animati alle caramelle – potesse irreparabilmente trasformarmi in un’assassina. O in una trapezista dal coltello facile. O in una spregiudicata meretrice eroinomane. O in un politico che insulta le ragazzine su Twitter. È un casino, un genitore si gira un attimo e si ritrova con Pablo Escobar che fa merenda in cucina. La verità è che non ci si improvvisa presidenti degli Stati Uniti, astronauti, neurochirurghi, Newton e capitani d’industria così, in cinque minuti. Non ci si può affidare al caso, e non conviene nemmeno sperare in qualche provvidenziale miracolo genetico. Per tirare su fenomeni, intellettuali e premi Nobel serve un solido progetto pedagogico. Cielo, la nostra unica figlia bionda, la proteggeremo e la cresceremo come il piccolo Mozart! Stabiliremo regole severe ma giuste. Metteremo al bando i Cavalieri dello Zodiaco e la incoraggeremo a fare sport all’aria aperta e a leggere Proust. Evvai, salveremo la sua anima dalle sostanze psicotrope!
Ecco, l’andazzo era questo.
Il pc – incredibilmente – mi ricordo che lo potevo usare. Probabilmente perché c’era l’idea che facesse diventare intelligenti.
Il mio papà, per qualche esorbitante cifra, comprò subito un 386 della IBM. Avevo deciso di battezzarlo CIRILLO, il 386, perché in un Istrice della serie di Zio Albert – avete presente, no? Zio Albert e i quanti, Zio Albert e i buchi neri… otto anni e già dovevo star lì a farmi bonariamente intortare da Einstein sulla struttura della materia -, insomma, in questi libri qua c’era il nipotino-genio di Zio Albert che aveva questo computer senziente che si chiamava così. CIRILLO era un acronimo di non mi ricordo più cosa, ma eran tutti valori positivi e pieni di saggezza. E niente, mi sedevo lì davanti a Cirillo e mi sciroppavo centinaia di migliaia di enciclopedie didattiche con le pagine interattive sulla struttura riproduttiva della raganella blesa dell’Amazzonia sud-orientale. Preparavo anche i programmi del saggio di fine anno delle elementari. La grande sfida non era tanto impaginare sensatamente l’elenco delle canzoncine che dovevamo strillare o delle poesie che ci facevano recitare, la roba veramente interessante era escogitare il modo di cacciarci dentro più clip-art possibili. Insomma, potevo farci praticamente di tutto, col pc. Ma guai a me se giocavo a qualcosa.
I videogiochi no.
I videogiochi rimbecilliscono. I videogiochi sono delle stupidaggini, fanno perdere tempo, spiaccicano i neuroni e sono pieni di boiate di cattivo gusto.
Quindi no, piccolo Mozart, non giocherai sul computer, non giocherai col Game Boy e non sognarti neanche di chiedere a Santa Lucia il Nintendo o la Playstation. E intanto che ci siamo, dimenticati anche il motorino. La legge ti autorizzerà a guidarlo fra una decina d’anni, ma noi cominciamo a dirtelo subito, così ti abitui all’idea. Ecco. Visto che ero una bambina molto obbediente – e perennemente terrorizzata dalla possibilità che i miei genitori potessero smettere all’improvviso di volermi bene -, non mi sono battuta con sufficiente convinzione per rivendicare i miei diritti videoludici, e ho accettato la situazione. A parte Tetris, lo Street Fighter che c’era al bar della spiaggia e una sporadica avventura nel magico universo di Final Fantasy VII – c’è da dire che ho buongusto, se l’unico gioco che ho comprato nella vita è Final Fantasy VII – sono eroicamente cresciuta senza videogiochi. Quando ci penso mi viene in mente l’Isola di Pasqua. Mi sento come una prateria incontaminata. Un giacimento petrolifero che nessuno ha ancora scoperto. Mi sento come una caverna sottomarina piena zeppa di forme di vita misteriose che non s’è ancora capito bene che cosa siano. Mi specchio, e vedo un dodo di un metro e settanta. Ecco.
Non so bene come dirlo, ma la verità è che a marzo faccio trent’anni. E la settimana scorsa ho giocato per la prima volta a Super Mario.
È successo perché Amore del Cuore è arrivato a casa con una immotivata Wii U. Così, all’improvviso. Amore del Cuore è un tipo risoluto. Io, se mi veniva in mente adesso che volevo una Wii, finiva che la compravo nel 2019, per i miei bambini. Lui no, è un uomo incisivo. L’ha tirata fuori dalla scatola, ha rubato al mio quattordicenne cognato ben 2 controllerini – con relativi volanti per Mario Kart -, si è seduto lì, ha appicciato Super Mario 3D World e in sette giorni scarsi l’ha spianato via. Ma in serenità. Così, la sera, tanto per fare qualcosa mentre si digerisce. Al che ho pensato, capirai, è facile. Salti di qua, corri di là, scansi una pianta carnivora e viva la gioventù. Ce la posso fare anch’io, che diamine. Ho trovato marito, sarò ben capace di governare i movimenti di un idraulico alto tre centimetri.
La verità è che giocare a Super Mario è difficilissimo, se non hai introiettato i principi-base del videogiocare sin dagli anni innocenti dell’infanzia. Non solo è difficile, ma è anche assurdo.
Super Mario, da quel che ho capito, è una persona perbene. Ha un collega ingiustamente sottovalutato che si chiama Luigi – o sono parenti? – e una passione evidentemente non corrisposta per una principessa vestita di rosa. È ben strano, ho pensato subito. Come si saranno conosciuti una principessa e due idraulici? Cielo, la vasca da bagno di porcellana si è crepata a metà! Aiuto, sudditi, soccorretemi! La principessa Peach, oltre agli idraulici, frequenta anche funghi semoventi, draghini col naso grosso e un casino di altri esserini-cianfrusaglia che le zompettano intorno incessantemente. Il nemico di tutti quanti è un tozzo incrocio tra un tartarugone spinoso e una specie di leone obeso e irascibile.
Amore del Cuore, ma chi è quello lì? Perché ha rapito le fatine campanneline? Che se ne fa. Dove le ha messe. E perché mai dovremmo aiutarle? Che ci frega, s’impicchino pure.
È il cattivo, cuchina. Si chiama Bowser.
Browser?
…seh, Internet Explorer.
Nel gioco che sto facendo io, Bowser Explorer cattura queste fatine imbecilli, le caccia in un barattolo e se le porta via. Mario, inspiegabilmente, sente il bisogno di salvare le scalognate fatine, si getta in un tubo insieme al suo seguito di funghi, principesse, ciafferini e minchiatine trotterellanti e parte all’inseguimento. E niente, ci sono i mondi. Dentro ad ogni mondo ci sono i livelli. E poi ci sono delle casine che, se ci entri, puoi vincere delle cose. Una roba che non sapevo è che, mentre cerchi di sopravvivere a un livello – scansando gli innumerevoli esseri nocivi che cercano in tutti i modi di saltarti addosso o evitando di gettarti accidentalmente in fondo a un dirupo -, è anche importante prendere le stelline verdi. Perché se non hai abbastanza stelline verdi non ti fanno entrare nel castello di Bowser Explorer e le fatine si attaccano al tram. La faccenda divertente è che nessuno te le illustra, queste leggi inconfutabili del mondo di Super Mario. Piglia più stelline verdi che puoi. Oppure, le campanelle forniscono a Mario un’inquietante tutina da gatto. Con la tutina da gatto ti puoi arrampicare meglio e puoi graffiare i malvagi. Ma GESOO, ditele, queste cose. Uno non può ritrovarsi all’improvviso con la principessa Peach che spara globi di fuoco dalle mani senza che appaia, che ne so, un amichevole pop-up con una dettagliata descrizione dei poteri magici di cui possiamo disporre. Cosa ne so che con la tutina-castoro-bianco sono invulnerabile. Che ne so che se tocco un fantasma MUOIO all’istante. Stimabile gioco, io so a malapena saltare, non puoi pensare che io possa introiettare la meccanica del tuo universo in dieci minuti. Fai così perché pensi che tutti quanti siano cresciuti con Super Mario, ma ti posso assicurare che non è così. Non costringermi a leggere il libretto delle istruzioni, ho trent’anni, è umiliante.
Le difficoltà sono numerose. Quelle più frustranti sono legate alla mia incapacità di ricordare che cosa fanno i bottoni. Devo saltare? Corro. Devo correre? Graffio, o sparo, o scodazzo (se mi trasformo chissà perché in un castoro). Devo graffiare? Parto a razzo, mi schianto contro il nemico e muoio. Muoio? Non me la prendo. Non me la prendo affatto.
Ma cuchina, cos’hai combinato?
MA CHE CAZZO NE SO! NON SI CAPISCE UN CAZZO IN QUESTO GIOCO DI MERDA! NON HAI UN SECONDO DI PACE, CONTINUANO AD ASSALIRTI E POI DIVENTI PICCOLO, E POI RIDIVENTI GRANDE, E POI CASCHI DALLE PIATTAFORME GIREVOLI PIENE DI PIANTE CARNIVORE E NON TI PUOI ARRAMPICARE E SI SPOSTA TUTTO E C’È ANCHE QUELL’OROLOGINO STRONZO CHE TI METTE L’ANSIA E NON SO QUANTE MONETE DEVO RACCOGLIERE E NESSUNO MI HA DETTO A CHE COSA SERVE NIENTE E CONTINUANO A SALTARMI ADDOSSO UN MILIONE DI AFFARINI CATTIVI, SONO DA TUTTE LE PARTI, MA CHE VADANO A FARSI FOTTERE! VAFFANCULO! VAFFANCULO!
Cuchina, stai tranquilla. È un gioco. Non l’hai mai fatto, è normale che ti confondi un po’, all’inizio.
MA NON ROMPERE I COGLIONI, SON QUA DA DUE GIORNI E NON SO ANCORA COME SI ENTRA NEI TUBI VERDI! NON C’È NEANCHE LA STORIA! A ME CHE COSA ME NE FREGA DI VAGARE PER QUESTI LIVELLI, CHE NON MI RACCONTANO NIENTE! MA CHE FATINE INUTILI SONO? CHE NON RIESCONO NEANCHE A USCIRE DA UN BARATTOLO? MA CHE POTERI HANNO? STRONZE! ESTINGUETEVI, FATINE DI MERDA! NON AVETE NEANCHE I PIEDI!
Amore, ci sono dei giochi con la storia e dei giochi…
DEI GIOCHI DEL CAZZO! BASTA! MI SONO ROTTA LE PALLE! PIGLIATI QUESTO CONTROLLER E CIAO. SEMBRA UNA PADELLA ANTIADERENTE, TRA LE ALTRE COSE, MA CHE BISOGNO C’ERA DI FARE UN CONTROLLER COSI’ GROSSO? MA VAI A PESCARE, SUPER MARIO, VAI A PESCARE. E PEACH NON TE LA DARA’ MAI!
E mezz’ora dopo sei di nuovo lì. Che cerchi invano di introdurti in un tubo. Sei di nuovo lì, ipnotizzata dalle musichine allegre, dai colorini vivaci, dai fiorellini, dai livelli pieni di tortine. Sei lì e detesti tutto quello che ti si para davanti, ma senti un’inspiegabile bisogno di proseguire.
Anzi.
Scopri addirittura di nutrire dei sentimenti per le cavolo di fatine. Le vuoi salvare per davvero. Arriverò in fondo, e le libererò dalla loro ingiusta prigionia! …ma non perché vuoi indiscriminatamente del bene alle fatine in difficoltà. Le vuoi salvare per poter essere tu a spiaccicarle con uno scarpone da sci.
È quello il segreto: trovare le giuste motivazioni. E imprecare moltissimo.