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Con gli audiolibri sono più propensa a fare esperimenti? Forse sì. Ho visto OVUNQUE Divini rivali di Rebecca Ross – tradotto da Stefano Andrea Cresti per Fazi – ma mi son poi decisa ad affrontare la faccenda quando è spuntato in catalogo su Storytel – e il fatto che leggano Martina Levato e Dario Sansalone ha aiutato, credo.
Vi infarino un attimo: Iris Winnow e Roman Kitt stanno facendo l’equivalente di uno stage malpagato nella redazione di un importante giornale. Il direttore ha un solo posto “fisso” da editorialista e se lo aggiudicherà chi tra i due ambiziosi virgulti produrrà i pezzi più strabilianti. Rivalità! Furiosi ticchettii di macchine da scrivere! Schermaglie! Che tra Iris e Roman debba divampare del sentimento è il tacito accordo di base di cui siamo inevitabilmente fin troppo consapevoli – e il trope procede con ineluttabile efficienza.

Come da canone, però, è previsto che subentrino difficoltà ulteriori rispetto a quella che potrebbe ridursi a un’antipatia professionale mista a VOGLIO FARTI LE SCARPE. Iris e Roman provengono da classi sociali agli antipodi – lei pezze al culo e lui rampollo facoltoso – e c’è pure la guerra. È ancora lontana dalla capitale ed è anche avvolta da una nebulosità piuttosto irritante. Sappiamo solo che due grandi divinità di un passato quasi mitologico – ma inspiegabilmente poco storicizzato o tramandato – hanno deciso di riesumare gli antichi rancori e di mettere insieme due eserciti. L’amatissimo fratello di Iris sceglie di arruolarsi per la dea Enva, fa fagotto e innesca una reazione a catena che di fatto demolirà la famiglia. E l’informazione? Il giornale di Iris e Roman tratta la guerra come una sorta di leggenda metropolitana. Che interessi giustificano questa linea editoriale? Non si sa.

Leggeremo mai un articolo di Iris o Roman? Macché. Leggeremo, in compenso, la loro corrispondenza privata. L’aspetto del romanzo epistolare è rilevantissimo nell’economia della storia e visto che è anche l’unico vero “colpo di scena” – telefonato come poche altre cose al mondo – non mi ci soffermo, ma ci arrivate. C’è un colpo di scena anche nell’ultima pagina, ma per il resto – e per quanto mi riguarda – si naviga in un mare di tedio. Loro due DEVONO detestarsi all’inizio per tenere in piedi la baracca, ma è una di quelle contrapposizioni basate su LO ODIO PERCHÉ È TROPPO PERFETTO e te sei lì che pensi MA SE VUOI TI PRESENTO I PAGLIACCI CHE HO CONOSCIUTO IO GUARDA. Dura poco, per fortuna, ma c’è comunque una gran flemma. I contesti sono sbozzati – sia del funzionamento di un giornale che di un fronte di guerra apprendiamo il minimo indispensabile e quel minimo è stereotipato – e ogni speranza di vedere le divinità fare qualcosa di spettacolare (almeno loro, perbacco) si inabissa all’istante. È scritto male? Ma no, ma nell’insieme è un po’ come guardare una lavatrice che gira.

Da giovane l’avrei amato? Forse sì, perché c’è questo cortese romanticismo di fondo – CORTESISSIMO – che un minimo fa il suo. Anche da piccola, però, mi sarei probabilmente aspettata più vivacità, più ricchezza di “mondo” e più ritmo. Pace, ci abbiamo provato.


[Se vi va di collaudare Storytel, vi rammento che qua si può attivare la prova gratuita “estesa” – 30 giorni invece delle canoniche due settimane.]

Dunque, Iron Flame è il secondo volume della saga dell’Empireo di Rebecca Yarros. Il primo si chiama Fourth Wing e ne ho parlato qua.
Iron Flame esce in italiano per Sperling & Kupfer a fine gennaio
– con la traduzione di Marta Lanfranco e Angela Ricci -, ma io ho scelto di avviarmi lungo il Parapetto con un po’ d’anticipo e l’ho letto in inglese, anche per la curiosità di comprendere com’è che gira in originale. E niente, anche in inglese è a tratti increscioso, quindi procedete un po’ come vi pare.
Visto poi che quest’introduzione è già un mescolone insopportabile, vi informo anche che i diritti per l’adattamento televisivo son già stati venduti ad Amazon Studios e alla casa di produzione di Michael B. Jordan, che spero ci grazierà con un cameo o anche solo con una timida apparizione. Da quel che si legge in giro, Yarros sarà coinvolta nella lavorazione – Rebecca ti va bene se mettiamo qua l’armadio di Violet o lo vuoi un po’ più accostato al muro? Rebecca vieni a berti un cappuccio, dai – ma non parteciperà alla sceneggiatura. Le parti più SPICY del copione verranno stampate su una particolare carta che aumenta di volume, nel pieno rispetto dei generosi turgori di Xaden Riorson.

Altra nota: nel primo post su Fourth Wing ho evitato spoiler, ma qua lasciatemi e lasciamoci reciprocamente vivere. No, non vi dirò come finisce Iron Flame e nemmeno starò qua a riassumere i fatti salienti, ma tutto quel che c’è in Fourth Wing lo diamo per assimilato

Ora, Fourth Wing è stato il mio primo tentativo col ROMANTASY… e non avevo capito bene le regole d’ingaggio, lì per lì. Non potendomi più ammantare di rossori come una vera educanda, mi sono rapidamente adeguata, anche se devo riconoscere di non riuscire a prendere molto sul serio le focose parentesi che ci vengono di tanto in tanto inflitte. Credo dipenda da come gestisco l’imbarazzo: io sono una di quelle persone che quando è in imbarazzo si mette a ridere e con Fourth Wing ho riso piuttosto spesso. Ridere, però, mi ha anche messa di buon umore e sono arrivata in fondo sentendomi assai intrattenuta. Ci sono i draghi, c’è questo posto nuovo, c’è questo amore fin troppo travolgente, ci sono delle menate geopolitiche, c’è la tragedia, c’è l’amicizia… insomma, presa bene. Il fatto che io mi sia divertita non fa chiaramente di Fourth Wing un capolavoro e di sicuro non fa di Iron Flame un seguito che può avvalersi di basi SOLIDERRIME. C’erano magagne e ce le ritroviamo anche qui, con una spolveratina di caos e di volponerie assortite.

Uno dei problemi di Fourth Wing – quello rilevante per quel che vorrei cercare d’esprimere adesso, almeno – è la struttura approssimativa del mondo. Scrivere un mondo “vago” è astuto e funzionale, perché puoi inventarti le regole strada facendo. Se il mondo che inventi naviga in questa conveniente opacità, tante “regole” e tanti fatti possono essere estratti dal cilindro a tempo debito per far procedere la narrazione senza spiacevoli intoppi. Le relazioni diplomatiche tra umani e draghi sono una gigantesca supercazzola – NOI DRAGHI NON SIAMO TENUTI A RENDER CONTO DI NULLA A VOI GRACILI UMANI NON IMPICCIATEVI E ANCHE VOI CHE LEGGETE FATEVI GLI AFFARACCI VOSTRI – e lo stesso vale per la gestione governativo/militare che tiene in piedi la baracca del regno. L’informazione è potere in entrambi i casi… e dona potere anche a chi racconta, perché lascia sempre aperta la possibilità di sparigliare le carte in tavola. La sensazione, con Iron Flame, è che ci siano un po’ troppi conigli che saltano fuori dal cilindro. Alcuni servono per puntellare colpi di scena ma tanti altri sono puri escamotage per colmare lacune o per allungare il brodo.

I secondi capitoli sono quasi sempre libri interlocutori, libri-ponte destinati ad apparecchiare per i capitoli successivi. Non godono dell’effetto sorpresa e della novità dei romanzi che aprono le saghe ma devono al contempo fornire combustibile alla storia, produrre conflitto e disarmonizzare gli equilibri, costruendo su quel che esiste per portarci verso sfide sconosciute. Fourth Wing aveva il suo buon carico di conti in sospeso da saldare – ed ecco perché sono andata avanti a leggere con sincera curiosità – e Iron Flame non manca di sorprese e sfiziosi momenti di svolta, ma ingrana tardi e risulta sia ridondante che confusionario.
La ridondanza un po’ dipende dal gran numero di cose già viste, già lette e già sentite che contribuiscono alla costruzione di Fourth Wing ma anche alla ripetitività “intrinseca” del secondo libro. C’è la sensazione ancora più palese che l’universo tirato in piedi qua sia una sintesi di tanti altri temi o situazioni che troviamo in storie già conosciute, ma a metterci il carico è che ciclicamente succedono le medesime cose. Dalle dinamiche tra Violet e Xaden alle manovre dell’accademia, dagli sforzi per gestire i “superpoteri” all’accoglienza del “diverso” – che si tratti di fanteria, marchiati o gente che cavalca i grifoni poco cambia -, dal pendolarismo a dorso di drago alla solfa devastante delle barriere anti-venin (che son lì da 600 anni ma nessuno pare avere la più pallida idea di come facciano a funzionare), il libro riesce ad essere densissimo di avvenimenti ma anche tedioso da matti. È inspiegabile, ma accade.

Un altro elemento di cui poco mi capacito è il gran casino che si percepisce. Non mi riferisco tanto alla meccanica di scontri e battaglie – per me risultano totalmente impenetrabili e assurdi, anche se ho tradotto due libri pieni di gente che si mena e si lancia raccapriccianti malefici necromantici estremamente barocchi -, ma alla disorganizzazione “gerarchica” di quello che succede. Roba che nell’economia generale finisce per contare poco occupa parecchio spazio, i personaggi si affastellano e si azzuffano per guadagnarsi una battuta qua e là, nessuno s’accorge di essere in classe col figlio del re ma dobbiamo vestirci di seta trasparente per presentarci a cena con una corte di sconosciuti doppiogiochisti che, dal nulla e senza un perché, custodiscono una fondamentale risorsa e sono importantissimi. Cosa vogliono i venin, a parte prosciugare la terra che loro stessi calpestano? Mi pare un obiettivo a lungo termine piuttosto imbecille, no? Non si sa. La loro è semplice e miope pulsione di conquista? L’avidità corrompe, ma c’è dell’altro? Chi erano? Son forse i cattivi più indefiniti di sempre? Sì. E la coppia d’oro? Xaden è via per lavoro. Spiace. Loro due vi interessano? Peccato. Li vedrete a sprazzi e ripeteranno la medesima schermaglia a intervalli regolari, ma eccovi tutta quest’altra paccottiglia riempitiva. E i draghi? Idem. Andarna? Dorme. Per sei mesi. Si potrebbe pensare che questa gestione della “scarsità” sia uno stratagemma ben architettato per tenere alta l’attenzione e per farci proseguire nella lettura – e in parte è verissimo – ma risulta innegabilmente frustrante e un po’ troppo evidente per risultare elegante e ben eseguito. 

Insomma, Iron Flame va letto? Ma che ne so, ho pescato questa saga proprio perché non voglio accollarmi ulteriori responsabilità. Sono io che mi impartisco una vacanza e grido MA LASCIATECI SVAGARE dalla cima di una rupe scoscesa. Posso provare a riassumere, però.
Pensavo meglio, ma si riprende a un quarto dalla fine e si chiude con un bel problema. Per certi versi è paradossalmente più moscio del primo – anche se Riorson MOSCIO MAI, lasciatemelo dire, lasciatemi buttare lì almeno un’allusione greve IL CONTESTO LO RICHIEDE – ma, fra un deficit strutturale e uno sbadiglio, ho scelto di continuare a crederci. È un peccato che si arrivi a quel buon finale corale dovendo zoppicare più di Violet dopo [inserisci attività fisica a caso, anche perché non si comprende più cosa possa concretamente nuocerle visto che pare in grado di sfondarsi il crociato scendendo dal letto ma anche di resistere per diciotto ore in groppa a un drago che vola alla velocità di un 747 senza rimediare manco una cervicalina] e mi auguro che Yarros s’approfitti un po’ di meno in futuro del nostro buon cuore e della nostra tolleranza, ma cucitemi pure sulla giubba un pataccone a scelta. Siamo in ballo, ormai. Se molli il tuo drago ci resti secca. Era improbabile, ma si è creato un solido legame. Coviamo queste uova. Difendiamo i confini – che fluttuano più della mia pazienza. Facciamo guizzare questi muscoli. Lanciamo pugnali! Quanti sono? Tantissimi. Dove diamine li tengono? Sospendiamo ancora una volta l’incredulità. E PRENDIAMOLA LA MIRA CON QUESTI FULMINI SANTO CIELO UNA COSA DEVI IMPARARE VIOLET UNA. Quando esce il terzo? Ci diamo una mossa?

Allora, farò del mio meglio, perché Fourth wing di Rebecca Yarros – tradotto da Marta Lanfranco per Sperling & Kupfer – mi ha fatto divertire tantissimo, ma a più riprese avrei davvero voluto cavarmi gli occhi e buttarli in una bacinella piena di trementina.

Violet Sorrengail arriva da un’illustre stirpe. Sua madre è la generalissima maxima del regno di Navarra e suo padre era uno scriba che nel nostro universo avrebbe vinto almeno un Nobel. Sia suo fratello – perito tragicamente in combattimento – che sua sorella Mira sono sopravvissuti all’Accademia Militare di Basgiath per diventare Cavalieri dei Draghi e han dimostrato di saper spaccare culi a destra e a sinistra. Violet, invece, ha sempre studiato da scriba perché è molto intelligente ma non può contare su una significativa prestanza fisica – nel senso che se starnutisce si incrina tre costole e se si spazzola i capelli troppo forte si lussa una spalla. MA MANDIAMO VIOLET NEL QUADRANTE DEI CAVALIERI DAI.
La generala Sorrengail non è interessata ai palesi deficit strutturali di sua figlia. La mia è una stirpe di guerrieri devastanti, cara la mia Violet, zitta e pedalare! Morirai dopo tre minuti? È possibile, ma almeno io non sarò disonorata! Una persona deliziosa, la generala Sorrengail.

Violet, con qualche comprensibilissima piva nel sacco e la certezza quasi matematica dell’annientamento, è costretta a obbedire e il romanzo la segue mentre fa del suo meglio per sopravvivere in quest’accademia piena di sadici, megalomani, rosiconi, attaccabrighe e traditori della patria. Anzi, di figli e figlie dei traditori della patria.
Cosa si impara in questo posto infernale e inutilmente pericoloso? A menarsi forte in vari modi – ma comunque MOLTO FORTE -, a tirarsi dei coltelli mirando in posti letali e a volare in groppa a dei draghi grossi e cattivi che san tutto loro e te devi starli a sentire se no ti danno fuoco.
UN’ATMOSFERA SPLENDIDA.
Non si capisce il perché, ma la gente fa la fila per iscriversi a Basgiath, anche se ben che vada ti mandano a difendere i confini del regno dai grifoni (non chiedete, smettete di farvi domande) e non mi pare che nessuno parli mai di soldi. Insomma, è un mistero, ma tutti vogliono fare i cavalieri. Gloria! Fama! Prestigio! Vite brevissime e difficili!

Vi risparmio un trattato sui dolori articolari di Violet, ma vi basti sapere che il suo ingegno non andrà sprecato. La competizione è spietata, anche perché i draghi che ogni anno accettano di prendere in groppa qualcuno – AKA di “legarsi” a un cavaliere – son sempre di meno e i confini di Navarra vacillano sempre più. I confini reggono proprio grazie alla magia dei draghi, che i cavalieri possono incanalare per fare pure loro numeri circensi utilissimi. 
Vi puzza di Grishaverse? BINGO, MA QUA ABBIAMO I DRAGHI.
Che altro c’è? Dei boni.
Esatto.
Voi direte MA ACCIDENTI CON TUTTA LA FATICA CHE SI DEVE FARE PER SOPRAVVIVERE ALLE LEZIONI, AGLI ESAMI, ALL’AMBIENTE NELLA SUA INTRINSECA E STRUTTURALE OSTILITÀ DOVE TROVANO LA FORZA DI SVILUPPARE PULSIONI e invece ne sviluppano. E con che piglio, signora mia.

Devo ammettere di non aver afferrato subito questo risvolto “romance”. Cioè, io ero convinta di avere per le mani un fantasy zarro e morta lì, anche se la descrizione del Bono Titolare della saga che Violet ci offre già a pagina 20 era un indizio piuttosto macroscopico. Io, però, che son riuscita a prendere un 30 e lode parlando di Jurgis Baltrušaitis non ho colto con la necessaria tempestività. Nonostante la mia farraginosità di comprendonio, è chiaro che Xaden Riorson sia estremamente prestante – e già sappiamo come andrà a finire. Perché sì, come volete che finisca. L’importante è scoprire come ci si arriva. Ci sono ostacoli? OVVIAMENTE. Xaden è figlio del capo della ribellione, giustiziato dalla madre di Violet insieme al resto degli insorti. Il regno di Navarra, in segno di clemenza – e con la speranza di farli crepare – ha però accettato che gli eredi dei separatisti si arruolino all’Accademia. Serpi in seno o risorse preziose? Chissà. Nel dubbio, però, Xaden andrebbe giudicato PERICOLOSISSIMO e assetato di vendetta. Pronto, Violet? Hai capito? Mi sa di no.

Non sto qua a menarvela ulteriormente per non levarvi sorprese e rovinarvi i copiosi colpi di scena. Tante cose sono mega telefonate, il fottutamentometro sfonda la soglia di guardia, la perenne tensione sessuale fa a tratti molto ridere e sì, pare un mischione tra Shadow & Bone, Hunger Games, Avatar e #REYLO – diade nella Forza, non scordiamoci questa perla -, ma mi sono innegabilmente divertita e non mi vergogno di dichiararlo. Al netto di quanto per me 10 pagine consecutive di amplessi (scritte come sono scritte) risultino comiche, avere un’eroina che non pare uscita dal Sacro Ordine delle Carmelitane Scalze è una componente di corroborante positività. Mi piace il temperamento di Violet – che è da subito decisa a non frignare e a sbrogliarsela da sola, anche se è piena di problemi – e trovo stupenda tutta la faccenda dei draghi e dei poteri. Xaden? È un bello che balla, quindi ci piace anche lui. Insomma, se volete leggere una roba TAMARRA, sentirvi intrattenute/i sia sul fronte dell’azione che dei sentimentoni travolgenti – cringe compreso – e v’accontentate di un world-building che mira a farvi capire l’essenziale senza chissà quali dissertazioni enciclopediche, penso che ve la spasserete. Ci sarebbe da trovarsi per bere quattro gin-tonic a testa e parlarne senza dover schivare gli spoiler, perché allora sì che ce la ghigneremmo davvero. Anzi, bisognerebbe proprio buttare in piedi un bingo o un drinking-game. “Violet ammira i muscoli scolpiti di Xaden”: giù un vodkino. “Violet non è capace di fare quello che fanno gli altri ma è troppo orgogliosa per ammetterlo e PIUTTOSTO DI ARRENDERSI CREPA”: giù una tequila. Le possibilità sono infinite… ma mai quanto le cicatrici che deturpano LA SCHIENA MARMOREA DI XADEN RIORSON. Gira così, io ve lo dico.