Olivia Laing è diventata una delle portabandiera di un genere letterario ibrido, che riesce a trascinarci in uno specifico spicchio del pensiero/delle tribolazioni umane ma anche a procedere per deviazioni e ramificazioni, finendo per somigliare a una versione più limpida e più “a fuoco” del disordine stratificato del nostro modo di informarci. INSOMMA, uno spunto autobiografico (in questo caso si tratta di un periodo di acuta solitudine attraversato da Laing a New York, in seguito a un amore naufragato) non diventa solo un’indagine universale, ma anche il centro di una ragnatela fatta di arte, storia, urbanistica, antropologia, cronaca, tecnologia e performance.
In Città sola – in libreria per il Saggiatore con la traduzione di Francesca Mastruzzo – Laing risale alle radici della solitudine riportandoci nella Manhattan degli anni ’70 e ’80, quando Times Square non era ancora un parco giochi per turisti, l’AIDS cominciava a mietere vittime e la Factory era a pieno regime. Ripercorrendo la storia personale e artistica di Edward Hopper, Andy Warhol, Henry Darger e David Wojnarowicz – tra gli altri – Laing utilizza l’arte, il “visivo” e gli oggetti che ci lasciamo alle spalle per esplorare, molecola per molecola, la struttura dell’isolamento, dello stigma, dell’invisibilità e del vuoto pneumatico in cui, in modo più o meno irreversibile, possiamo scivolare… ritrovandoci in un posto insospettabilmente affollato.
In tutta sincerità, Olivia Laing mi ha fatto venire una gran voglia di convertirmi eternamente alla narrative non-fiction. E di comprare tende più spesse da mettere alle finestre.
Che l’unico vero strumento a nostra disposizione sia la predisposizione a dubitare delle circostanze che strutturano il nostro mondo? In questa raccolta di auto-fiction tra realtà, media e incastri relazionali, Jia Tolentino convoglia verso i nostri cervelli sovraccarichi più domande che risposte… il che, credo, fa parte del gioco e contribuisce anche a definirlo.
Dal perché Internet sia diventato un posto (anche) mostruoso all’isteria collettiva per i matrimoni, dalle truffe a misura di millennial alla mania per l’ottimizzazione (che si riflette anche su quello che scegliamo di indossare o sull’insalata che ordiniamo per pranzo), Trick Mirror – uscito in italiano per NR Edizioni nella traduzione di Simona Siri – è una riflessione che parte dal personale per illuminare i nodi più problematici delle nostre illusioni collettive.
Che panzane ci raccontiamo per autoassolverci dalle mancanze che conosciamo fin troppo bene ma scegliamo di sorvolare per comodità, convenienza, appartenenza e ipotetica virtù? L’autoinganno – in cui anche l’autrice si riconosce come parte del “problema” – diventa una specie di strategia di sopravvivenza in un contesto di ingarbuglio estremo, in un’epoca fluida, spinosa e densissima in cui soldi, immagine e identità sono leve preziose ma anche tagliole affilate. Sceglieremo, in ultima istanza, di dare retta allo specchio che ci restituisce il riflesso più lusinghiero?
Parlare di viaggi – potenziali o ripescati dalla memoria – verso destinazioni ben tangibili non è mai privo di conseguenze. Può saltar fuori la nostalgia per quello che abbiamo visto e vissuto, può assalirci la frustrazione per quello che vorremmo vedere e vivere ma che ci è ancora precluso. Dove vogliamo andare? Ovunque! Dove è realistico che si arrivi? Spesso da nessuna parte. Ma girovagare per mondi che, indipendentemente dalle nostre circostanze pratiche, esistono già in una dimensione fantastica e sono raggiungibili, di base, solo con l’immaginazione mi pare assai meno impervio.
Che cosa succede quando uno strumento “esatto” e rigoroso come una mappa cerca di descrivere un posto che non esiste? Produce plausibilità. Ci aiuta a credere a quello che non c’è e a fare nostre le tribolazioni e le avventure dei personaggi che all’interno di quella mappa camminano, scagliano incantesimi, cavalcano draghi, edificano città, esplorano paludi, si amano con svariate complicanze o si stramaledicono vicendevolmente con foga inaudita.
Le terre immaginate è un ragguardevole atlante – curato per Salani a Huw Lewis-Jones e tradotto da Paolo Bianchi e Laura Serra – ma anche un trattato illustrato a più voci sulla geografia dei luoghi fittizi più vasti e vivi, da Narnia ai corridoi di Hogwarts. Un librone da leggere – e ammirare – per visitare di nuovo le storie che ormai albergano nel valigino del nostro cuore o per pianificare nuove rotte – perché c’è modo e modo di non andare da nessuna parte… e non è detto che ci si debba arrabbiare per forza.
Assegnato ogni anno a Capri a una personalità notevolissima del mondo letterario internazionale, il Premio Malaparte è stato conquistato nel 2024 da Rachel Cusk, pubblicata in Italia da Einaudi Stile Libero e particolarmente amata e nota per la trilogia di Resoconto – titolo a cui sono poi seguiti Transiti e Onori.
A Cusk piacerebbe molto trasformarsi in purissima immagine astratta ma, per il momento, possiamo ancora chiacchierare con lei. Da Coventry. Sulla vita, l’arte e la letteratura – raccolta di saggi e riflessioni autobiografiche di fresca uscita – al suo discusso memoir sulla maternità – Il lavoro di una vita, di cui ho già riflettuto qui – fino alle tante superfici parlanti a disposizione della narratrice quasi invisibile della trilogia, ecco un angolino di tempo che abbiamo trascorso insieme, durante le due giornate fittissime del Malaparte. Conversare con Cusk è come vederla scrivere… e spero che un po’ di quell’esattezza limpidissima mi rimanga appiccicata addosso.
[Al fondo o qui trovate una versione video dell’intervista. Vi va di leggerla? Proseguite in serenità qua di seguito.]
Leggendo e ripensando complessivamente al suo lavoro, ho trovato molto calzante la presenza di Natalia Ginzburg in uno dei saggi raccolti in Coventry. Credo che ci sia qualcosa che vi accomuna, quello sforzo di estrarre dai dettagli più minuti della realtà e dei fatti della quotidianità un collegamento più vasto a quel che può significare vivere ed esistere nel mondo. Ma anche negli aspetti legati alla posizione che vogliamo assumere, a cosa significa creare e scrivere per spiegarci meglio quello che non è immediatamente comprensibile o semplice da afferrare. Si sente vicina all’approccio di Ginzburg? E quanto spesso si convince di non essere abbastanza “brava”, come spesso capitava a lei?
Vero, lo diceva sempre! [sorride]
A me è sempre sembrato molto bizzarro, perché per quanto lo ripeta – e se lo ripeta di continuo – l’ho sempre trovata saggissima e mai presuntuosa o pretenziosa…
Credo che la mancanza di presunzione sia probabilmente la chiave dell’unicità della sua voce. Perché penso che, spesso, il sé intralci le sue stesse percezioni. E questa è davvero – e posso dirlo in base alla quantità notevole di libri che ho scritto – una presa di coscienza crescente: si vorrebbe assolutamente ridurre al minimo la presenza del sé, in un libro. Ad alcune persone – e lei era sicuramente una di queste – riusciva in maniera piuttosto naturale. L’umiltà è davvero una qualità artistica fondamentale, ed è un altro degli aspetti che si percepisce di lei. Perché ti consente di osservare ogni cosa e ogni luogo con un’obiettività straordinaria. Non cerchi di inserire te stessa e nemmeno di ritrovare necessariamente dei riflessi di te stessa, o di affermare la tua rilevanza. C’è qualcosa di davvero naturale nella sua presenza in un testo che nasce da questa posizione di umiltà.
Penso dipenda anche dal tono. Non “suona” mai minacciosa e sembra sempre fare uno sforzo sincero per mettere a proprio agio chi legge, ma senza scadere nella condiscendenza. Da dove può arrivare una scelta di modulazione così equilibrata dell’ego nella scrittura?
Mi chiedo se si sia trattato di una questione di semplice sopravvivenza. Sopravvivere a determinate esperienze può smorzare gli eccessi, immagino, eliminando ogni traccia di esagerazione dalla tua voce e da quello che stai creando. Suppongo che il fatto che sia sopravvissuta abbia generato una sorta di senso del dovere, immagino, per continuare a farsi testimone delle cose.
A proposito di ego… la leggenda vuole che la scrittura sia una mastodontica questione d’ego. L’autore arriva per mostrarti quello che non vedi! Ecco una pagina che illuminerà la tua anima! Ringraziami, lettrice, per la verità assoluta che ti sto rivelando! Scrittori e scrittrici ne sono ben consapevoli e penso che di tanto in tanto si approfittino con disinvoltura di questa leggenda. Specialmente nella trilogia di Resoconto, però, la sua scrittrice si trasforma in una sorta di contenitore per una molteplicità di opinioni, eventi e punti di vista che ci vengono presentati senza giudizi o senza la necessità di proporre risposte “guidate” o di far necessariamente “vincere” le sue convinzioni. La protagonista della trilogia è e rimane un’osservatrice, che ascolta senza il minimo desiderio di prevalere. Che fine fa, allora, tutto quel famigerato ego? È diventato finalmente superfluo?
[Ride.]
Ciascuno di noi può individuare delle esperienze nella propria vita che hanno radicalmente minacciato o messo in discussione o ridotto il proprio ego. Quindi, forse, è qualcosa con cui si nasce e che ci viene dato, o riguarda il processo di formazione del carattere, qualcosa che la vita a un certo punto ti comunica.
Per certi versi, fa anche un po’ paura pensare che gli scrittori – e anche gli artisti, ovviamente – siano in realtà protetti da quel processo, in qualche modo. E che il loro ego resti intatto ben oltre il momento in cui dovrebbe essere stato eroso almeno in parte dalla vita. [ride]
Ora credo di essermi del tutto staccata da quello scenario. E lo descriverei, immagino, come un processo di perdita di fede nella realtà – intendendo la realtà come qualcosa che il sé struttura deliberatamente e in cui crede. E quando si spegne davvero questo motore di fede che cosa ti rimane? Ti rimangono delle superfici che puoi interpretare, che non sono affatto al servizio della trama della tua vita e che magari restituiscono il tuo riflesso e il riflesso della storia della tua vita in maniera indipendente.
Dove scrive, ora? In Coventry si discute della famosa “stanza tutta per sé” e degli spazi in cui si esercita la creatività o ci si cala in diversi ruoli – dal lavoro alla maternità. Tradizionalmente siamo abituate ad attribuire un luogo specifico a ogni diverso ruolo che siamo chiamate ad assumere. Per lei esiste uno spazio creativo dedicato? Ce l’ha, questa “stanza”?
Ce l’ho, ho finalmente una stanza tutta per me. E lì dentro lavoro davvero. [sorride]
Uno dei temi che affronto in Coventry è quest’immagine che mi ha tormentata parecchio. La si trovava in quarta di copertina nei romanzi pubblicati nella seconda metà del XX Secolo e ci sono sempre degli uomini in poltrona, con le loro scrivanie rivestite in pelle e lo sguardo puntato verso l’alto…
Il problema delle stanze tutte per sé è che devi essere tu a metterti al servizio di quelle stanze, devi fare in modo che abbiano quell’aspetto e devi sederti in poltrona e presentarti anche come la persona che scrive.
C’è un racconto meraviglioso di Doris Lessing… parla essenzialmente di una donna che sta provando a creare qualcosa e si sposta per casa da una stanza all’altra cercando un posto che non sia pieno di faccende che deve sbrigare, di gente che la insegue per chiederle di fare delle cose e, appena trova un cantuccio adatto, tutti quanti decidono che anche a loro piacerebbe molto stare lì e usare quello spazio.
Nel mio nuovo libro si parla parecchio non solo di scrittrici donne ma anche di artiste donne e di come ci siano esigenze di spazio estremamente diverse – perché lo spazio in cui si crea un oggetto è ben diverso. Nel libro parlo di un’artista americana che aveva cinque figli e li teneva sempre nel suo studio. C’erano sempre dei bambini piccoli in giro e ogni tanto creavano qualcosa per conto loro, altre volte aiutavano lei e, in un certo senso, la soluzione al problema era diventata quella: incorporare i bambini nell’atto creativo. Capirai bene che con la scrittura non funziona e, nel libro, la persona che racconta questo aneddoto afferma che, per quanto adori quella storia, resta solo un’immagine… e che non si possa realmente fare così.
Volevo concludere con un ringraziamento per Il lavoro di una vita. Mi ha aiutata a venire a patti con quel tipo molto specifico di solitudine che può toccare le neo-madri. La riassumerei come una forma di scollamento dai ritmi e dalle esperienze del resto del “mondo” accompagnata da una metamorfosi identitaria molto onerosa da elaborare. Nel libro ho trovato una voce che parlava a me – … e non solo del bambino o di cosa dovevo fare per il bambino – e restituiva dignità alle mie domande meno “pratiche”, meno legate agli aspetti funzionali del mio nuovo ruolo. Con quel libro mi è stata amica, insomma, anche se nemmeno io sapevo troppo bene di averne bisogno.
Il lavoro di una vita è un libro interessante, per me. Mi ha insegnato che, nonostante tutti i discorsi che facciamo su come possiamo far leggere le persone, all’improvviso un libro riscuote grande successo e lo troviamo meraviglioso e tutti quanti si mettono a leggere questo libro… ma in fin dei conti continuo a credere che esista un libro in particolare per una persona specifica che si trova nella situazione in cui il libro che ha bisogno di leggere è proprio quello – e non l’ultima novità che stanno leggendo tutti gli altri. Il lavoro di una vita troverà sempre una donna che se la sta cavando da sola perché, in quell’esperienza, si è davvero da sole… e mi ricorda sempre di continuare ad avere fede, in un certo senso, in quell’idea. Non si tratta di inseguire la popolarità, ma di centrare il bersaglio a livello individuale.
Vi va di ascoltare tutto quanto dalla viva voce di Cusk? Ecco una versione video della nostra conversazione:
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Vi va di scoprire qualcosa in più sull’atmosfera del Premio Malaparte e su quello che è accaduto quest’anno in compagnia di Cusk? Ecco qua un “diario” basato su un ottimo esercizio d’osservazione che arriva per direttissima da Resoconto. 🙂
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Vi va di ascoltare ancora un po’ di Cusk? Ecco la puntata speciale di Comodino – il podcast del Post curato da Ludovica Lugli e Giulia Pilotti – dedicata all’autrice e registrata sempre a Capri per il Malaparte. Ho avuto il privilegio di godermi la chiacchierata in diretta, come potrei non linkarla? 🙂
Allora, qua devono proprio piacervi molto le piante… ma se vi garbano e vi interessano vi troverete a meraviglia. Non vi prometto che vi ricoprirete di possenti boccioli, ma qualche germoglio di curiosità di certo spunterà.
Con La confraternita dei giardinieri – tradotto da Federica Oddera per Ponte alle Grazie – Andrea Wulf esplora, sviscerando le gesta di una manciata di personaggi indubbiamente attratti dal verdeggiare delle frasche, un momento rivoluzionario per la botanica globale, localizzando nell’Inghilterra del Settecento il crocevia decisivo del cambiamento.
Nonostante la collettiva mitizazzione del “giardino all’inglese”, infatti, prima del Settecento non è che la piovosa Albione potesse vantare delle gran punte d’eccellenza. Prati stupendi e curati con scrupolo estremo, certo, ma la varietà botanica era relativamente scarsa, le fioriture “poche” e concentrate in periodi specifici e a guidare davvero i trend paesaggistici per le grandi dimore erano Francia e Italia.
Un bel giorno, però, un vivaista intraprendente sfidò la collera di Dio e osò modificare la creazione dell’Onnipotente, producendo il primo ibrido floreale “intenzionale”… e da lì tutto cambiò, inaugurando anche la mania per il giardinaggio che non smette di contraddistinguere la Gran Bretagna moderna. Wulf parte da Thomas Fairchild e arriva fino a Linneo – che tra molte resistenze riuscì con gradualità a introdurre un sistema di classificazione delle piante universalmente utilizzabile e finalmente “razionale” -, intrecciando la storia della botanica come nascente e rigorosa disciplina scientifica alla storia commerciale e culturale dell’Impero (e del mondo).
Tra gentiluomini dilettanti, viaggi d’esplorazione, collezionisti, allievi ingrati (ma favolosi), semi e talee trasportati da una sponda all’altra dell’Atlantico, specie scoperte e specie importate, Wulf costruisce un’avventura del pensiero – nella nascente epoca dei Lumi – splendidamente documentata e rigogliosissima, mi viene da dire.
Indicazioni di potenziale fruizione? Eccoci. Ho ascoltato Wulf su Storytel con la splendida lettura di Ginestra Paladino – se serve è sempre attivabile il nostro tradizionale periodo di prova gratuito del servizio di 30 giorni -, ma nulla vi vieta di optare per il libro-libro.
Inizi a tradurre e, come romanzo d’esordio, ti assegnano Le correzioni di Jonathan Franzen. Anzi, non proprio. Silvia Pareschi aveva firmato un contratto per Il guardiano del frutteto di Cormac McCarthy – un altro signore di scarsa rilevanza, insomma – e si era messa di gran lena a lavorarci, ma poi era spuntato Franzen e Marisa Caramella – l’editor Einaudi che aveva preso Pareschi sotto la sua ala durante il “praticantato” – le aveva intimato di piantare tutto lì e di cominciare subito a occuparsi delle splendide rogne della famiglia Lambert. Dev’essere andata più che bene, perché sono passati venticinque anni e Pareschi può fregiarsi di aver tradotto alcuni dei nomi più illustri della narrativa angloamericana contemporanea, mostri sacri e classici compresi. Visto che è dalle più brave che conviene industriarsi per imparare qualcosa, mi sono immediatamente procurata Fra le righe – in libreria per Laterza – e ci ho trovato dentro del confortante pragmatismo, insieme a un vivacissimo amore per una professione resa spesso ingrata da condizioni “ambientali” non proprio auspicabilissime ma sempre strabiliante per inventiva, rigore, sensibilità e cocciutaggine.
Tra autobiografia professionale e collezione di dilemmi (risoltissimi), Pareschi condensa in questo saggio parecchio di quello che succede quando si traduce un’opera letteraria nel “mondo reale” – dai giochi di parole agli ibridi linguistici, dall’addomesticamento ai dialetti, dall’approfondimento delle più minute circostanze fattuali all’importanza della revisione e, quando si può, del dialogo con autrici e autori. Non c’è scelta che non affiori sulla pagina come la minuscola puntina di un vasto iceberg sommerso, che resta invisibile ma deve esistere per consentire a ogni decisione “strategica” di non colare tragicamente a picco, trascinandosi dietro il resto del libro. La traduzione è una pratica guizzante, fatta di innumerevoli micro-decisioni a loro modo SEMPRE campali. Si fa il possibile per restituire quello che c’è scritto – la componente letterale del testo – ma anche come suona quello che c’è scritto, sia a livello stilistico che di contesto culturale, spostandosi lungo un continuum di senso molto più ingarbugliato, ricco e fascinoso della tritissima dicotomia che contrappone graniticamente una traduzione “bella” ma infedele o una “brutta” e fedele. E come si fa? L’unica risposta può essere un bel DIPENDE. Pareschi, qui, si fa le pulci da sola e ci dona una carrellata di gustose gatte da pelare incontrate nel corso della sua carriera, dalle freddure lapidarie all’arduo compito di ritradurre un classico – Il vecchio e il mare, in origine curato da Fernanda Pivano… una passeggiata di salute, ancora una volta.
Se il tema v’incuriosisce e se siete in cerca di riferimenti che ben bilanciano la teoria a un approccio “pratico”, il laboratorio di Pareschi potrà rivelarsi un ottimo punto di partenza. Magari continuerete a lamentarvi a caratteri cubitali delle traduzioni che “fanno schifo!111!!11”, ma prima di esprimere indignazioni così perentorie vi verrà voglia di ripensare al processo… e ci guadagnerete qualche riferimento critico in più, oltre a utili red flag per distinguere una traduzione “umana” da quella prodotta da una macchina. Perché sì, come ci racconta anche Pareschi nella sezione conclusiva del libro, le macchine sono abbondantemente qui. Spesso con risultati comici e maldestri… ma per quanto ancora? Ci raccontiamo storie per spiegarci il mondo e, per trasportarle lontano con amore, buonsenso e rispetto, potrebbe ancora aver senso sedersi qui e procedere con la calma che si deve alle cose preziose e importanti… una parola alla volta.
Cenni rapidissimi per una lettura altrettanto guizzante e curiosa.
Cos’è Souvenir di Rolf Potts – in libreria per il Saggiatore con la traduzione di Camilla Pieretti? Un saggio agile sulla storia e le origini dei souvenir.
Perché ci piace tornare dai posti che visitiamo con un ricordo tangibile?
Perché spesso non ci accontentiamo di rievocazioni “mentali” e di tutte le foto che scattiamo ma ci imbarchiamo in vere e proprie imprese collezionistiche?
Per chi lo facciamo?
Per chi lo si faceva?
Dalle principesche wunderkammer al Grand Tour – passando per la paccottiglia fatta in serie che infesta ogni località anche vagamente lambita dal turismo -, Potts cerca di spiegarci la valenza narrativa del souvenir all’interno dei nostri disparatissimi percorsi esperienziali – dai primi pellegrinaggi in Terra Santa alla più moderna rincorsa al viaggio come proiezione individuale e performance, come casellina da spuntare o impresa che deve “rendere” e giammai deluderci – o smentire le nostre già ben radicate convinzioni, spesso lontanissime dalla realtà dei fatti e dei luoghi altri.
Insomma, si colleziona per fissare chi siamo stati in un determinato posto e tempo… e per illuderci di avere un punto fermo sulla mappa del mondo, forse. Si raccolgono “feticci” per ricordare – come suggerisce l’etimologia stessa del termine souvenir – e per misurare le distanze fisiche e interiori che abbiamo percorso. Chi finiamo per diventare, una volta fatto ritorno, non è semplicissimo da stabilire, ma è probabile che in valigia ci sia qualcosa che non siamo stati capaci di lasciare dov’era. Volevamo rimanere là anche noi? Può darsi… ma per esprimere quel sentimento abbiamo a disposizione una valanga di # già frequentatissimi.
Un libro che potrebbe fare amicizia con questo?
Fare i bagagli di Susan Harlan.
No, non è un manuale per sfuggire alle policy draconiane delle compagnie low-cost, ma buon viaggio lo stesso.
I “libri-esperimento” mi piacciono quasi sempre. Che sono? Sono quei libri che raccontano un’impresa individuale e che, nel delinearne una sorta di cronaca o di diario di bordo, esplorano anche un tema specifico e cercano di documentare un percorso di trasformazione. L’esperimento che Pietro Minto si infligge in La seconda prova – in libreria per le Frontiere Einaudi – riguarda la matematica: da pessimo studente dello scientifico che è stato, Minto si mette in testa di imparare da capo e “da grande” la matematica delle superiori. Vuole scoprire che cos’è andato storto, vuole capire se ne sarà capace, vuole vendicarsi, cerca una rivincita o anche solo una risposta. Cos’è che non digerivo? Perché ho sempre fatto così fatica? Il mio cervello riuscirà finalmente a far pace con gli integrali?
Io e Minto abbiamo in comune la scelta scriteriata del liceo da frequentare. Era chiarissimo che le mie attitudini puntassero altrove e già dalle medie la matematica era la mia materia più debole, ma eccoci qua iscritte a una bella sperimentazione Brocca.
Vai, Francesca, vedrai che ti fortifica.
Mi son diplomata con 95 perché prendevo dei 6 risicati nelle materie d’indirizzo – con tanto di ripetizioni da due professoresse gemelle che insegnavano entrambe matematica e avevano sempre la casa piena di derelitti tipo me – ma andavo così bene in tutte le altre che in qualche modo ce la siamo cavata. In prima ho beccato il debito, in seconda no perché il professor Torre è andato in pensione e credo non avesse più voglia di pensare a noi. Dalla terza in poi son stata a galla riuscendo a padroneggiare il TEMA X esattamente un mese e mezzo dopo la verifica sul TEMA X. Insomma, non capivo col giusto tempismo e non ho mai capito niente, ma prima o poi riuscivo almeno a simulare una vaga padronanza dell’argomento: non so cosa sto facendo ma c’è della roba che posso imparare a memoria e piuttosto crepo ma è a quello che devo aggrapparmi. “Ma quindi… con voi è così? Scusatemi, non ci ho mai voluto credere” è stato a grande linee quel che ha detto la mia professoressa di italiano ai suoi colleghi delle materie d’indirizzo alla fine dell’orale della maturità. Io alla seconda prova ho preso un miracoloso 11/15, perché ho disegnato una funzione mostruosa ma immagino di aver avuto miglior fortuna coi problemi. E non ho pianto perché era già tutto totalmente irreparabile, cosa piangiamo a fare.
Insomma, questo sconclusionato amarcord serviva a esprimere la mia profonda vicinanza nei confronti di Pietro Minto. Io so chi sei, Pietro. Il tuo disorientamento è anche mio. Invece di farsi diagnosticare una sindrome discalculica – giuro, ci ho pensato, perché troverei conforto in una spiegazione clinica -, Minto ha deciso di riprovarci e si è messo a ristudiare da capo TUTTA la matematica della scuola. Pazzo? Masochista? Eroe? Chissà. E io, che con Ruffini al massimo mi sono scomposta la voglia di stare al mondo, ho letto con sincera partecipazione questa avventura assurda. Con una certa dose di tifo, addirittura. Mentirei se vi dicessi di aver capito delle cose che mi sono sfuggite in gioventù – mi dispiace, Pietro, tu sei stato molto chiaro nell’illustrare i concetti ma temo che il mio problema sia troppo profondo – ma ho apprezzato la componente “personale” e anche le incursioni storico-divulgative. Scorgere della passione, uno slancio risolutivo, il tentativo autentico di sconfiggere un demone antico è stato corroborante. Sono felice per Pietro Minto perché forse ha fatto – a scoppio ritardato – quello che mi è sempre stato rimproverato di non saper fare: metterci costanza, impegno, convinzione. Mai mi son sentita poco convinta come quando una ventina d’anni fa, alla lavagna, ho annunciato SCOMPONGO CON RUFFINI O ALMENO SPERO, ma che Minto lo sappia fare mi riempie di gioia. Io sto bene così. E spero che i miei bambini non mi chiedano mai di aiutarli coi compiti di matematica.
La premessa è sempre la solita, ma ci vuole sempre. Spero che il listone 2023 possa aiutarvi a beccare il libro giusto per la persona giusta – facendovi anche fare bella figura. Le strenne funzionano così: sono volumi che per costituzione “fisica” dell’oggetto si prestano particolarmente a trasformarsi in doni o che per buona delimitazione tematica riescono egregiamente a rispondere a uno spiccato interesse. Sono un disco rotto, ma mi piace sempre ricordare che i libri non sono mai scelte “neutre”. Perché possano trasformarsi in veri tesori ci vuole un po’ d’occhio per le inclinazioni altrui, insomma. Di potenziali fermaporte è già pieno il mondo, non aggiungiamone di nuovi procedendo senza metterci un po’ di cuore, affetto e raziocinio.
I miei listoni natalizi sono sempre estremamente eterogenei, nella speranza di fornire spunti il più possibile versatili e flessibili. Mi diverto io e mi auguro che l’approccio possa risultare “ricco” anche per voi.
[Disclaimer: i link ai volumi vi portano su Amazon e sono quelli del programma di affiliazione. Nulla vi vieta di procurarvi i libri altrove e di organizzarvi come meglio credete, ci mancherebbe altro.]
Visto poi che i libri non scadono – ma al massimo diventano un po’ più difficili da trovare perché le tirature si assottigliano e le ristampe si diradano -, al termine del post troverete anche un agile recap delle liste natalizie precedenti. Visto che son sempre consultabili, si può allegramente pescare anche da lì.
Procedo?
Procedo.
Non guardate solo le figure e i grassetti, perché in mezzo ai testi ci ho ficcato degli altri suggerimenti che man mano mi sono venuti in mente e che sono degni di essere analizzati anche se non c’è l’immagine di copertina. 🙂
Michael McDowell | Blackwater (il cofanetto con i 6 volumi della saga)
Neri Pozza
Era quasi matematico che la famigerata saga della famiglia Caskey si sarebbe prima o poi tramutata in un cofanetto degno della cura estetica dei singoli volumi – le illustrazioni di copertina sono di Pedro Oyarbide – e trovare il prezioso SCRIGNO in libreria in vista del Natale è una mossa strategica degna di MaryLove. Per cultori del gotico “rurale”, delle epopee di famiglia, del sud degli Stati Uniti, delle noci pecan e dei colpi di scena più imprevedibili, Blackwater è un astuto e godibile connubio tra sovrannaturale e mondano, leggenda e affari.
Per approfondire, ne ho parlato qui con la straordinaria Giulia Paganelli.
Un’altra saga che approda in cofanetto? I leoni di Sicilia di Stefania Auci.
Un romanzo molto letto (e molto discusso) che si guadagna un’edizione illustrata da Lorenzo Mattotti? I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni. E, visto che ci stiamo occupando di edizioni illustrate che ben si prestano a farsi donare, vi rammento anche dell’esistenza dell’Uomo che piantava gli alberi di Giono feat. Tullio Pericoli.
Per chiudere il cerchio, tra le 8053 edizioni di Harry Potter che potete acquistare, esistono anche quelle che fanno del campanilismo hogwartsiano la loro ragion d’essere. In parole povere: ci sono i cofanetti delle case.
Omero | Iliade
Blackie Edizioni
L’operazione “Classici liberati” di Blackie Edizioni è partita lo scorso anno con l’Odissea, volume gemello – per formato e intenzioni – di questa Iliade. Partendo dal presupposto che per far uscire un’Iliade o un’Odissea bisogna in primo luogo scegliere a quale “trascrizione” appoggiarsi (tra le tante possibili), da Blackie si son fatti dare una mano da Borges, che individua nella versione di Samuel Butler (scomparso nel 1902) quella più fedele, scorrevole, fruibile. Daniel Russo si è occupato della traduzione e l’opera è arricchita dalle illustrazioni di Calpurnio e da materiali aggiuntivi: un saggio di Andrea Marcolongo e Le Troiane di Euripide a cura di Alberto Conejero.
Caterina Zanzi | Conosco un posto anch’io
Magazzini Salani
Per chi abita a Milano o bazzica la città con una certa frequenza, Conoscounposto è un solido punto di riferimento per scovare luoghi dove mangiare bene, bere bene e sostentare numerose altre necessità dell’anima – dall’arte alla musica, dagli eventi allo shopping. Caterina e la redazione hanno già curato una guida alla città – che resta assai regalabile e ricca di suggerimenti – e, a questo giro, hanno deciso di produrre uno strumento utile e molto tenero a vedersi: un taccuino con schede da compilare per ricordare i “posti” e per tenere traccia di quelli ancora da visitare (tra le altre cose). Sì, la struttura è flessibile e non serve risiedere a Milano per poterlo usare con allegria. Sì, è perfetto per cartopazze/cartopazzi e per chi sente di poter competere con Alessandro Borghese.
Richard Thompson Ford | Dress code
Il Saggiatore
Dichiaro subito di essere in possesso della versione con fascetta tartan – sì, sono fascette, non sono pezzi “stampati” di copertina. In questo bel volumone, Ford affronta con estrema gradevolezza e notevolissimo sapere i risvolti politici, sociali, economici e comunicativi dell’abbigliamento. È una storia della moda raccontata per punti di svolta e capi emblematici, una mappa culturale per affermare con veemenza che IL CERULEO CONTA CARA LA MIA ANDY.
Bonus track in ambito moda? La collana Sfilate dell’Ippocampo vive e lotta con noi, espandendosi gradualmente e con implacabile efficienza. La novità più recente è il volume dedicato a Givenchy.
Gabriella Gilberti | Love song for a vampire – Etologia del vampiro
Bakemono Lab
Una cosa che ho scoperto solo di recente e che mi ha mandato in visibilio è la matrice più antica – anche se non remotissima – di What We Do In The Shadows, serie TV divertentissima e assurda che utilizza la struttura del mockumentary per raccontare il tran tran domestico di un gruppo di vampiri che si smazzano la quotidianità ai giorni nostri. Ebbene, parte tutto da un film di una decina d’anni fa di Taika Waititi. Così, ci tenevo a dirlo perché in questo saggio si arriva pure lì e penso sia un tomo estremamente regalabile a chi coltiva un’ossessione per la progenie di Dracula ma magari fatica a trovare saggi aggiornati o capaci di abbracciare diverse “arti”, senza tralasciare le sconfinate praterie del pop.
Steve Brusatte | Ascesa e trionfo dei mammiferi
UTET
Brusatte – che è IL giovane paleontologo di riferimento nel battagliero comparto della divulgazione planetaria – prosegue l’opera cominciata con Ascesa e caduta dei dinosauri dedicandosi a quello che è accaduto in seguito alla loro estinzione. Come siamo arrivati fin qui? Possiamo piantarla, una buona volta, di immalinconirci per la dipartita del brachiosauro? La risposta è no, ma Brusatte dedica ai mammiferi il rigore che meritano e ricostruisce qui il loro onorevole cammino evolutivo.
Paleontologi e paleontologhe da accontentare? Ecco Fossili fantastici e chi li ha trovati di Donald R. Prothero– una storia dei dinosauri in 25 scoperte campali – e I cercatori di ossa di Michael Crichton – un romanzo tratto dalla vera “corsa ai fossili” di fine Ottocento.
Irene Canino | Il grande libro degli yōkai – Storie e leggende del folklore giapponese
Mondadori
La fascinazione per il Giappone ci abbandonerà mai? Ne dubito. Ma quanto sappiamo risalire alla radice di molte immagini diventate mainstream? Forse poco. Irene Canino s’incarica di sistematizzare, in questo bel volumone, la longeva parabola degli yōkai, spiriti ambivalenti e potentissimi che vivono al nostro fianco, non visti (tendenzialmente) ma capaci di esercitare enormi influenze e far deragliare destini. Il libro non è solo una raccolta di storie e leggende particolarmente emblematiche o avvincenti, ma offre un ricco apparato storico-teorico per aiutarci a comprendere più a fondo le basi culturali del mito.
Sempre sul tema, un approccio decisamente più “figurativo” firmato da Benjamin Lacombe.
Per rimanere in territorio giapponese e lasciarsi irretire da una penna delicata e poetica, segnalerei con gioia e ammirazione anche Il Giappone a colori di Laura Imai Messina, un viaggio che attraversa l’arte, la storia, le leggende e la letteratura del paese rileggendole attraverso la lente dei colori. Perché anche quelli – e come li usiamo – sono il prodotto di un processo culturale.
A cura di Carlotta Sanzogni – Dove si scrive, come si scrive
Foto di Pietro Baroni
Rizzoli
Una domanda che faccio sempre quando mi capita di presentare il libro di qualcuno è “Ma tu, dov’è che scrivi? Quanto ci hai messo? Come lavori, di solito?”. Perché sì, a noi un libro arriva come oggetto compiuto, ma tutto quello che è servito per metterlo insieme resta sommerso e misterioso. E anche quelle sono storie degnissime di essere raccontate. Dove si scrive, come si scrive punta a soddisfare queste curiosità “di metodo”. Carlotta Sanzogni è riuscita a convincere 28 autori e autrici a spiegarci “come fanno” a scrivere e anche dove lo fanno – il dove è corroborato dai ritratti di Pietro Baroni. Da Chiara Valerio a Michele Masneri, da Licia Troisi a Jonathan Bazzi, da Walter Siti a Giacomo Papi, un’occasione ghiottissima per impicciarvi dei fatti lavorativi di tante penne amatissime del nostro presente.
Veronica Hinke | Titanic. Il libro di cucina ufficiale
Magazzini Salani
Non sono una gran patita di ricettari – o di cucina, a dirla tutta – ma negli anni ho sviluppato una discreta fissazione per i libri che trasportano prodotti filmico-televisivi in una dimensione d’applicazione quotidiana. Ho il libro di ricette di Hogwarts e ne ho ben TRE di Downton Abbey – quello ad ampio spettro, quello dei cocktail e quello col menu di Natale. Lo so, è inspiegabile, ma eccoci qua. Che caratteristiche hanno, questi assurdi volumi? Ci sono i piatti ben fotografati con tutto il loro bel procedimento di preparazione, ma ci sono anche un sacco di foto di scena e un pochino di ricostruzione “di contesto”. Questo ricettario del Titanic ci farà sentire come dei veri cagoni di Prima Classe anche se probabilmente avremmo tutti quanti diviso una cabina senza manco l’oblò in Terza.
Altri spunti culinari? Cucinava sempre di Sofia Fabiani per Mondadori – ciao Sofia, ti voglio bene – e Pranzi d’autore di Oretta Bongarzoni per Minimum Fax – una raccolta di ricette pescate da un sorprendente ventaglio di opere letterarie.
Volete specializzarvi in tè? Non c’è problema, Francesco Rossi è qui per assisterci.
Cucina milanese per gente che vuole sinceramente imparare a gestire il risotto con l’osso buco e/o per quelli che ci tengono tantissimo a dirvi che a Milano si vive meglio che a casa vostra? Eccovi La cucina milanese di Fabiano Guatteri, con le illustrazioni di Andrea Antinori.
Giuseppe Morici | Non solo soldi! – Parole e storie per capire l’economia
Feltrinelli
Un libro che tenta di spiegare le parole fondamentali dell’economia. Servendosi di esempi tratti da situazioni quotidiane e di un linguaggio rigoroso ma accessibile, Giuseppe Morici si rivolge a ragazzi e ragazze per provare a rendere meno “astratti” e impenetrabili i numerosi concetti che ruotano attorno ai soldi, dalla gestione aziendale alla finanza personale, dal commercio fino alle grandi questioni di Stato.
Qualche altra “guida” rivolta alla gioventù? Proviamo con due proposte di Quinto Quarto.
Ciclo di Natalie Byrne – AKA il libro che avrei voluto avere a disposizione quando mi sono venute le mestruazioni. E La camera buissima di Elisa Lauzana – una storia “interattiva” della fotografia. Già, oggi eclettica. Dalle ovaie al dagherrotipo.
Maria Giuseppina Muzzarelli – Luca Molà – Giorgio Riello
Tutte le perle del mondo – Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti
Il Mulino
Vi vedo, gazze ladre. So che ci siete. Questo volume MAGNIFICO – e riccamente illustrato, come è d’obbligo dire in questi casi – è una storia cultural-commerciale delle perle, dalla simbologia artistica ai linguaggi del potere, dalle rotte di approvvigionamento alle botteghe orafe che le lavoravano.
Her Majesty – A photographic history (1926-2022)
Taschen
Devo ammettere di aver smesso di seguire The Crown quando i fatti narrati hanno iniziato a sovrapporsi a un periodo che ho vissuto da “spettatrice” delle vicende della famiglia reale. Insomma, per quanto mi riguarda, la coppia reale è ancora formata da Matt Smith e Claire Foy e, in generale, devo dire di non nutrire una particolare simpatia per la monarchia britannica. Là fuori, però, può esserci qualcuno a cui garberebbe un libro fotografico che ripercorre i momenti più ICONICI della sovrana recentemente scomparsa. E chi sono io per obiettare.
Vogliamo rendere onore al catalogo Taschen con temi che sento più affini al mio cuore? Perfetto. Ecco Stregoneria e gatti BELLISSIMI. E le biblioteche incredibili di Massimo Listri.
Sabina Minardi | Il grande libro del vintage
Il Saggiatore
No, non è una guida ai dieci negozi più TOP di Milano per comprare capi PRELOVED, ma una poliedrica riflessione sul nostro rapporto con la nostalgia. Mentre l’universo intero si proietta verso il futuro – o del futuro dipinge scenari foschissimi che in qualche modo dovremo capire come disinnescare -, un passato nemmeno troppo remoto continua a riaffiorare. Dai feticci degli anni Novanta ai miti della TV, dai brand che non soccombono al tempo al perpetuo cosplay delle nostre lontane gioventù, una raccolta ragionata di tutto quello che non riusciamo a lasciar andare – e sul perché ci rifiutiamo strenuamente di farlo.
Visto che ci troviamo nel territorio del Saggiatore e che tutta la nostalgia che accumuliamo ci rende esseri zoppi, sbilenchi e disorientati, non posso non citare Teoria del disagio contemporaneo di Andrea Antoni – patron di Cose Brutte Impaginate Belle… e genio multiforme.
Zerocalcare | Enciclopaedia calcarea
Bao Publishing
Lo dice la copertina: guida ragionata all’universo di Zerocalcare. Con una storia inedita. DAJE MICHELE.
Se v’intriga il genere “backstage” e avete amato le due serie Netflix di Zerocalcare, vi rammento anche l’Animation art-book, che ripercorre proprio il processo di lavorazione di Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo.
Marin Montagut | Collezioni straordinarie
L’Ippocampo
Quanto mi fa rosicare la gente che nel corso di una vita intera è effettivamente riuscita ad allestire una wunderkammer o a dar seguito con eccelsi risultati estetici a un’ossessione estremamente specifica? MOLTO. Ma nonostante io m’incarognisca, dobbiamo rendere merito a Montagut per questa ricognizione fotografica fra le più sublimi collezioni di Francia. C’è di tutto, compresa un’ipnotica commistione tra illustrazione e ossessioni di catalogazione.
Sempre di Montagut – e per piantare la bandierina nel territorio delle guide, pure -, esiste anche Ricordi di Parigi. Sì, sono botteghe in cui si può andare davvero.
William Goldman | La principessa sposa
Marcos y Marcos
Non capita tutti gli anni che un romanzo così divertente, giocoso e folle festeggi il mezzo secolo dalla prima pubblicazione e mi pare estremamente opportuno che chi ancora non teme i veleni di Vizzini o non conosce la perseveranza che ogni vendetta richiede si avvicini a questo libro per rimediare senza indugi. Amori! Roditori aggressivi! Pirati! L’idea stessa di avventura! Un narratore invadente che leva le parti noiose e ci lascia solo il meglio e ce lo spiega senza problemi! Un capolavoro, in ogni tempo. Quest’edizione contiene diversi materiali “extra” che raccontano – tra le altre cose – la trasposizione cinematografica e indagano più a fondo la magia meta-narrativa che rende così speciale questo libro.
Bonus track: un busto parlante di Inigo Montoya. Se non avete ucciso suo padre, potete anche non prepararvi a morire. Altrimenti OCCHIO.
Matteo Bordone | L’invenzione del boomer
UTET
Userò quel filibustiere di Bordone come apripista della sezione “gente che cerca di riflettere sulle umane relazioni nel doloroso punto d’intersezione tra società e luoghi preposti alla comunicazione e/o alla grottesca rappresentazione di noi stessi medesimi”. Insomma: chi siamo insieme agli altri e chi diventiamo online, all’incirca. Bordone indaga il tentacolare simulacro del boomer, cercando di risalire alla fortuna vastissima di questo costrutto.
Altre idee? Pietro Minto con Come annoiarsi meglio – ora in un’edizione aggiornata che esplora il flop del metaverso -, Problemi di Jonathan Zenti, Sei vecchio di Vincenzo Marino e La correzione del mondo di Davide Piacenza,
Storie sotto l’albero
Panini Comics
Non sono una grande estimatrice della corrente “c’è questa festa, eccoti un libro che parla proprio di quella festa”, ma riconosco l’importanza capitale degli abitanti di Topolinia e di Paperopoli. Questo volume di generoso formato è una raccolta di storie di Natale dall’universo di Topolino – c’è scritto DISNEY da tutte le parti, ma se dico TOPOLINO capiamo meglio – e ben si adatta sia a lettori e lettrici di vecchia data che alle nuove generazioni da irretire (come è giusto che sia).
Vi piace la roba di Natale a Natale? Non c’è problema. L’ultimo numero di Cose spiegate bene del Post potrebbe farvi comodo. Un’antologia di Dickens nelle consuete edizioni arrogantissime di Oscar Vault? Ma pure La malizia del vischio di Kathleen Farrell, un astuto ripescaggio di Fazi pieno di PARENTISERPENTI che si ritrovano a Natale per detestarsi fortissimo.
MP5 ha sconfinato spesso e volentieri nella grafica editoriale – oltre ad aver firmato illustri copertine di podcast e la “visual identity” di molte cause estremamente pressanti e valenti. Questo art-book cataloga il “corpus” artistico di MP5 parlando proprio dei tanti corpi essenziali ma eloquentissimi che troviamo nel suo lavoro.
Leo Ortolani | Tarocchi
Feltrinelli Comics
C’è qualcosa che Leo Ortolani non sa fare? Chissà. In questo volume – che è più grande del tavolino da caffè che nell’immaginario collettivo dovrebbe servire a reggere proprio questo genere di libri – troviamo la sua rielaborazione artistica degli arcani. Ogni figura è accompagnata da un paragrafo esplicativo che fa immancabilmente ridere – ma anche riflettere sul destino. O forse anche solo ridere.
Se volete restare in territorio ortolanesco, non posso non rammentarvi le sue raccolte di recensioni cinematografiche a fumetti – Il buio in sala e Il buio colpisce ancora – e Dinosauri che ce l’hanno fatta. Vi va di esplorare lo spazio insieme a lui? Ecco qua.
Ancora tarocchi? Ci sono quelli di Dalì. Com’era Dalì? Ve lo racconta Amanda Lear.
Joshua Piven – David Borgenicht | Worst Case Scenario
Blackie Edizioni
Se sentite l’impellente necessità di produrvi in regali UTILI, cosa può esserci di più utile di un manuale di sopravvivenza multidisciplinare con tanto di disegnini esplicativi e istruzioni chiare e lineari? Ecco. Da come saltare da un’auto in corsa e come difendersi da uno squalo, passando per tracheotomie, paracaduti che non si aprono e fallout nucleari, Worst Case Scenario è il tomo che fa per noi. Non ci salverà, ma DIAMINE LASCIATECI ALMENO PROVARE.
Volete donare un abbonamento? Fate bene. Qualche spunto:
– il progetto Apri: racconti che giungono per corrispondenza e hanno proprio la forma di un plico di lettere/cartoline/biglietti scritti a mano. Poetico, magnifico, matto.
– la versione “di carta” di Rivista Studio (sono 4 numeri all’anno e ognuno sviluppa un tema specifico).
– L’Integrale: una rivista di cultura gastronomica che utilizza quel che mangiamo come meraviglioso pretesto per esplorare chi siamo.
– Brillo: un trimestrale interamente dedicato al mondo dell’illustrazione e della grafica.
– La Revue Dessinée: giornalismo a fumetti bellicosissimo.
– audiolibri in quantità su Storytel, come da tradizione.
Volete donare qualcosa di libresco che non è precisamente un libro?
Date un occhio alle tre box tematiche nate dall’immaginazione di Maddalena Notardonato. La costante è che contengano un quaderno rilegato artigianalmente (e illustrato da lei), più altre meraviglie fatte a mano, dalle candele alla ceramica. Ce ne sono tre: Poesia, Romanzo, Saggio.
O “il nécessaire libroso” di Elinor Marianne.
Ma ci sono altre liste come questa qua? Certo.
– il listone 2022
– il listone 2021
– il listone 2020
– il listone 2019
– libri per piccoli (con galassia di link ulteriori)
Ho finito.
Che Bublé v’accompagni anche se in copertina ho messo Mariah.
Gli studi che tentano di mappare il funzionamento dei nostri cervelli o anche solo di descrivere la “mente” o la nostra capacità di reagire al mondo e di muoverci su piani che aggiungono creatività, immaginazione e sentimento alla mera dimensione del reale sono numerosissimi, multidisciplinari, intricati. La carne al fuoco è tanta, ma su un assioma si tende a concordare: abbiamo capito parecchie cose, ma il cervello è ancora un mistero. Abbiamo scalfito la punta dell’iceberg, ma l’ignoto resta inconcepibilmente vasto.
Di cosa siamo davvero capaci? La mente “sa” qualcosa che sfugge alla nostra stessa consapevolezza? È possibile che alcune persone siano in contatto più diretto con queste ipotetiche “sacche” cognitive misteriose che ci permetterebbero di sbloccare chissà quale forma di conoscenza? Le coincidenze esistono e basta o ci sono cervelli portentosi che sanno unire i puntini e vedere quel che ancora non c’è? Non ci è dato saperlo e non lo sa nemmeno Sam Knight, che con Ufficio premonizioni – in libreria per Mondadori Strade Blu con la traduzione di Doriana Comerlati – ricostruisce la parabola professionale di un giovane psichiatra britannico e delle sue ricerche (insolite per gli anni Sessanta/Settanta come potrebbero risultarlo anche ai giorni nostri) al confine tra scienza, ragione e paranormale. Ambizioso e desideroso di affrancarsi dalla casa di cura – anche se sarebbe qua davvero più corretto usare il termine “manicomio”, con tutte le tetre accezioni che si tira dietro – in cui prestava servizio, John Barker comincia a interessarsi al tema della precognizione dopo il terrificante disastro di Aberfan – un cumulo di detriti minerari collassa e seppellisce una cittadina del Galles. La tragedia aveva delle cause spiegabili, ma meno spiegabili parevano essere i tanti presagi di sventura che qua e là per il paese erano stati “registrati”, con riferimenti precisi e circostanziati. CHE QUESTA GENTE ABBIA VISTO IL FUTURO? Riflettiamoci meglio, pensa Barker, strutturiamoci per mappare l’operato di questi presunti veggenti e per capire quanto spesso i fatti daranno loro ragione.
Insieme a un giornalista scientifico – che poi diventerà una voce celebre nel documentare il programma spaziale – Barker “apre” una casella postale per raccogliere premonizioni e si appoggia a una redattrice per catalogare e verificare quel che arriva. L’Ufficio Premonizioni abita una zona grigissima, a cavallo tra sensazionalismo, curiosità morbosa, mitomania e autentico interesse scientifico e, nella sua stramba ambiguità attira innumerevoli ciarlatani ma anche una manciata di “veggenti” che sembrano sapere il fatto loro con inquietante accuratezza.
E quindi? E quindi niente, mi vien da dire, perché Knight è un eccezionale catalogatore di informazioni ed è molto bravo a mappare fatti e a mettere in fila con dovizia di particolari una storia vera (e corale) fatta di numerosi stimoli e anime… ma finisce lì. Proprio quando l’abisso dell’inconoscibile potrebbe irretirci davvero finiamo un po’ in una palude compilatoria e smettiamo di farci domande. Non si tratta di prendere le parti – scienza o chiaroveggenza? FIGHT! – ma forse di metterla solo giù con un piglio più vispo, curioso, “vivo”. Forse esiste una via di mezzo tra una puntata di Mistero e il rigore implacabile della mia commercialista e sarebbe stato avvincentissimo percorrerla… ma forse è presto. Si sa, non usiamo ancora il nostro cervello al 100%.