La lotteria di Shirley Jackson è una delle short-story più celebri della letteratura americana. Pubblicato per la prima volta sul New Yorker nel giugno del 1948, il racconto scatenò un putiferio mastodontico e i lettori, sconvolti e scandalizzati, subissarono la rivista di lettere più o meno indignate. Perché? In estrema sintesi, La lotteria condensa in una manciata di pagine serratissime sia la crudeltà cieca del destino che l’emersione repentina, all’interno di un contesto di apparente civiltà, degli istinti umani più brutali.
Questa lotteria annuale – che si tiene in disciplinatissimo ordine in una piccola e decorosa comunità in cui tutti si conoscono – è un’esperienza catartica collettiva, un rito di passaggio che convoglia il male quotidiano su un unico bersaglio. Non si capisce bene che cosa faccia più paura, in fin dei conti. L’approccio estremamente pratico e funzionale alla faccenda? L’esito agghiacciante del sorteggio? I bambini che ammucchiano allegramente i sassi? L’ordinato svolgersi degli eventi?
La lotteria ha visto una nutrita schiera di trasposizioni. L’ultima versione è una graphic novel firmata da Miles Hyman – nipote di Shirley Jackson e artista eccelso – uscita per Adelphi nella traduzione di Franco Salvatorelli. La sua narrazione per immagini ci mostra i silenzi e tutto quello che si nasconde negli spazi bianchi del testo e fa, se è possibile, ancora più spavento. Un racconto magistrale e splendido… in tutte le versioni.
Inizi a tradurre e, come romanzo d’esordio, ti assegnano Le correzioni di Jonathan Franzen. Anzi, non proprio. Silvia Pareschi aveva firmato un contratto per Il guardiano del frutteto di Cormac McCarthy – un altro signore di scarsa rilevanza, insomma – e si era messa di gran lena a lavorarci, ma poi era spuntato Franzen e Marisa Caramella – l’editor Einaudi che aveva preso Pareschi sotto la sua ala durante il “praticantato” – le aveva intimato di piantare tutto lì e di cominciare subito a occuparsi delle splendide rogne della famiglia Lambert. Dev’essere andata più che bene, perché sono passati venticinque anni e Pareschi può fregiarsi di aver tradotto alcuni dei nomi più illustri della narrativa angloamericana contemporanea, mostri sacri e classici compresi. Visto che è dalle più brave che conviene industriarsi per imparare qualcosa, mi sono immediatamente procurata Fra le righe – in libreria per Laterza – e ci ho trovato dentro del confortante pragmatismo, insieme a un vivacissimo amore per una professione resa spesso ingrata da condizioni “ambientali” non proprio auspicabilissime ma sempre strabiliante per inventiva, rigore, sensibilità e cocciutaggine.
Tra autobiografia professionale e collezione di dilemmi (risoltissimi), Pareschi condensa in questo saggio parecchio di quello che succede quando si traduce un’opera letteraria nel “mondo reale” – dai giochi di parole agli ibridi linguistici, dall’addomesticamento ai dialetti, dall’approfondimento delle più minute circostanze fattuali all’importanza della revisione e, quando si può, del dialogo con autrici e autori. Non c’è scelta che non affiori sulla pagina come la minuscola puntina di un vasto iceberg sommerso, che resta invisibile ma deve esistere per consentire a ogni decisione “strategica” di non colare tragicamente a picco, trascinandosi dietro il resto del libro. La traduzione è una pratica guizzante, fatta di innumerevoli micro-decisioni a loro modo SEMPRE campali. Si fa il possibile per restituire quello che c’è scritto – la componente letterale del testo – ma anche come suona quello che c’è scritto, sia a livello stilistico che di contesto culturale, spostandosi lungo un continuum di senso molto più ingarbugliato, ricco e fascinoso della tritissima dicotomia che contrappone graniticamente una traduzione “bella” ma infedele o una “brutta” e fedele. E come si fa? L’unica risposta può essere un bel DIPENDE. Pareschi, qui, si fa le pulci da sola e ci dona una carrellata di gustose gatte da pelare incontrate nel corso della sua carriera, dalle freddure lapidarie all’arduo compito di ritradurre un classico – Il vecchio e il mare, in origine curato da Fernanda Pivano… una passeggiata di salute, ancora una volta.
Se il tema v’incuriosisce e se siete in cerca di riferimenti che ben bilanciano la teoria a un approccio “pratico”, il laboratorio di Pareschi potrà rivelarsi un ottimo punto di partenza. Magari continuerete a lamentarvi a caratteri cubitali delle traduzioni che “fanno schifo!111!!11”, ma prima di esprimere indignazioni così perentorie vi verrà voglia di ripensare al processo… e ci guadagnerete qualche riferimento critico in più, oltre a utili red flag per distinguere una traduzione “umana” da quella prodotta da una macchina. Perché sì, come ci racconta anche Pareschi nella sezione conclusiva del libro, le macchine sono abbondantemente qui. Spesso con risultati comici e maldestri… ma per quanto ancora? Ci raccontiamo storie per spiegarci il mondo e, per trasportarle lontano con amore, buonsenso e rispetto, potrebbe ancora aver senso sedersi qui e procedere con la calma che si deve alle cose preziose e importanti… una parola alla volta.
Ogni tanto saltano fuori quegli articoli coi consigli di viaggio a tema, con le stanze d’albergo ispirate ai grandi capolavori della letteratura o con la mappetta delle residenze-museo di scrittori e scrittrici che ogni bibliofilo degno di rispetto dovrebbe visitare. Ecco, in queste occasioni non posso fare a meno di pensare a Shirley Jackson. Un po’ perché, oltre a scrivere, Jackson mandava avanti il tran tran domestico praticamente da sola – con numerosi figli irruenti in un’epoca che non ancora poteva fregiarsi di Dyson superpotenti e infallibili sgrassatori universali – e un po’ perché tanta della sua abbondante produzione letteraria fa dello spazio domestico il teatro ombroso di un abisso strisciante. Le case di Shirley Jackson sono edificate sulla promessa di una minaccia costante e spesso inafferrabile: sono posti in cui ci si illude di essere al sicuro, labirinti relazionali che nascondono il terrore di un “fuori” dal quale difendersi, ambienti di conflitto mentale e personificazioni di un’instabilità individuale in bilico tra pazzia e rituali rassicuranti.
Insomma, il focolare domestico di Shirley Jackson somiglia più al falò di un sabba in grado di evocare incubi, diffidenze che intaccano la trama stessa del reale e, in questo specifico caso, un’apocalisse conclamata.
“La meridiana” potrebbe essere il degno gradino preparatorio per Hill House – la residenza stregata per eccellenza, nella vasta fantasmagonia di Jackson – ma ha anche i tratti di una partita di Cluedo disputata da giocatori svagatissimi e inclini agli esperimenti divinatori, per quanto amatoriali.
Il palcoscenico della vicenda è questo villone inaccessibile ai cittadini “comuni”, abitato dai superstiti della famiglia Halloran e da un manipolo di scrocconi che fungono da dame e damerini di compagnia – sono lì pure loro, ma nessuno pare davvero ricordarsi quale dovrebbe essere la funzione che svolgono, sempre che ci sia. La villa, con i rispettivi terreni e giardini di rappresentanza e un impenetrabile muro perimetrale, è stata progettata da un estroso patriarca a testimonianza imperitura della posizione raggiunta, per fungere da ipotetica isola felice per una stirpe di eletti rivelatasi poi scarsamente all’altezza delle aspettative. Attorno alla villa orbita una cittadina come tante – per quanto dotata di una ex scena del crimine trasformatasi in attrazione turistica -, che gli Halloran osservano con condiscendenza e che onorano di tanto in tanto ordinando provviste all’emporio locale, mantenendo però il doveroso distacco che immaginano debba ammantare una classe superiore.
Che succede? Succede che zia Fanny, figlia del costruttore della villa e relegata dalla “vera” padrona di casa – la tirannica moglie del fratello – al ruolo ancillare di vecchia bisbetica, riceve una visione mistica: il mondo sta per finire, me l’ha detto mio padre! Mi è apparso mentre vagavo nel labirinto! Nessuno si salverà, soltanto noi! Dobbiamo restare qui dentro, solo in casa nostra saremo al sicuro!
Stranamente, tutti sembrano prendere sul serio zia Fanny – un evento che già di per sé ha dell’eccezionale, dato il poco peso che le viene di solito attribuito. La prendono sul serio perché, forse, il suo vaticinio pare confermare in maniera finalmente “ufficiale” – cosa può esserci di più importante di una profezia? – il destino di prescelti che gli Halloran si attribuiscono sin dalla costruzione di quella casa eccessiva e surreale. Solo noi verremo risparmiati, perché solo noi siamo speciali e meritevoli. Ci faremo carico del reset della civiltà e da noi dipenderà la nascita di un mondo nuovo! ANDIAMO BENE.
Il libro, di fatto, copre con diabolica ironia ed esplorazioni di interiorità minate da vanaglorie e fissazioni l’arco temporale che separa la famiglia dall’arrivo di questo ipotetico armageddon. Non occorre precisare che non c’è un solo abitante di casa Halloran che non scaraventerei in una fossa colma di furetti mannari, ma nel loro insopportabile snobismo e nella loro insensibilità patologica – tratto caratteriale che non esitano a scatenare anche nei più basilari rapporti di convivenza, con esiti spesso esilaranti e godibilissimi per chi legge – si intravede un interrogativo tragico, che poi ci accomuna tutti quanti: che diamine ci facciamo qui? Perché siamo vivi? Che cosa mai ci si aspetta da noi? Possiamo ambire alla felicità?
Gli Halloran accolgono la prospettiva dell’apocalisse quasi come un diversivo, un avvincente passatempo, un grande evento che finalmente donerà loro la prospettiva dell’attesa: anche noi ora abbiamo un traguardo da raggiungere, una promessa (per quanto potenzialmente orrenda per il resto degli abitanti del pianeta) di rilevanza e futuro. Non si agitano più di tanto perché vivono già in un dramma conclamato fatto di tangibilissima inutilità e mancanza di scopo. Nemmeno l’apocalisse farà la differenza, perché l’insoddisfazione meschina che provano nell’oggi – tra screzi futili e nessun vero interlocutore che possa farli sentire realizzati nella loro presunta superiorità – è la maledizione che si trascineranno in qualsiasi altra emanazione del mondo.
Il futuro apparterrà davvero a questo manipolo di personaggi spregevoli, opportunisti e sprezzanti, che fondamentalmente si sono inventati di essere più “su” degli altri per risparmiarsi la fatica di un confronto vero con una realtà che indubbiamente li smentirebbe? Shirley Jackson – che nell’edizione Adelphi trova magnifico specchio nella traduzione di Silvia Pareschi – ci lascia liberi di immaginarlo, avendo già ben tessuto la sua trappola. Che può esserci di peggio del continuare ad abitare nella villa degli Halloran, potendo contare solo sulla compagnia di altri Halloran, con i loro dispetti e le loro manie? Lasciatemi fuori, buttatemi oltre il muro – sempre che si possa davvero scappare: la vera apocalisse è un’eternità insieme a voi. Insomma, in uno splendido ribaltamento di prospettiva – che somiglia di più a una restituzione d’equilibrio all’ordine delle cose – non sono gli Halloran che si arroccano in una villa per sfuggire alla “gente”, ma la “gente” che ha trovato il modo di confinarli là dove possono nuocere il meno possibile – e auspicabilmente estinguersi, una buona volta. Shirley Jackson, signore e signori: regina del karma a lento rilascio e della più sublime cattiveria dialogica. Tiè!
Orbene, quest’anno non sono riuscita a organizzare i #LibriniRegalini, ma mi pare comunque opportuno sfornare una gioiosa lista di consigli per i doni natalizi. Mentre cerco di industriarmi per inventare qualcosa di divertente da combinare insieme nei primi mesi del 2020, ecco qua un po’ di suggerimenti per far felici voi e/o le vostre persone preferite. Sono stata poco sul romanzesco, privilegiando le pubblicazioni che vi faranno fare bella figura – oh, accidenti, che pregevole edizione! – o quelle meglio identificate da un tema – che son più facili da assegnare alla gente che ha già esplicitato un particolare interesse per qualche argomento specifico dello scibile umano.
Spero di generare utilità.
Partiamo!
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Alessandro Torcoli
In vino veritas
(Longanesi)
Editore e direttore di Civiltà del bere, Alessandro Torcoli è una delle personalità più autorevoli in Italia in materia di vino. Sta studiando per conquistare il titolo di Master of Wine – riconoscimento iperuranico internazionale che ancora nessun nostro connazionale è riuscito a guadagnarsi – e gestisce, insieme alla redazione della rivista, un’enoteca assai amena che organizza incontri di approfondimento e gradevoli chiacchiere periodiche col pubblico. In vino veritas è una panoramica accurata ma godibilissima della filiera produttiva del vino, dall’allevamento della vite (già, la vite non si coltiva – si alleva) allo scaffale. L’approccio è narrativo e gli obiettivi sono felicemente divulgativi: Torcoli ci racconta come funziona il mondo del vino con precisione e chiarezza, senza farci pesare la sua conoscenza enciclopedica. Anzi. Perché il vino è, prima di tutto, un tassello importante della nostra cultura.
A chi donarlo?
A chi beve con piacere e vorrebbe saperne di più. Ai fan dei “come è fatto”. A chi al ristorante ordina le bottiglie care per pavoneggiarsi ma in realtà ci capisce poco. A quelli che dicono sempre “io non ci capisco niente ma m’accorgo se un vino è buono”.
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Chiara Frugoni
Uomini e animali nel medioevo
(Il Mulino)
La sapienza di Chiara Frugoni si estende anche alla zoologia. In questo meraviglioso tomone illustrato, esploriamo la relazione tra gli animali e l’uomo del medioevo, che sulle bestie doveva per forza di cose fare affidamento (abitando una dimensione non ancora meccanizzata) e che nelle bestie trovava riferimenti allegorici capaci di assisterlo nella decodificazione di una realtà filtrata dalla lente di una fede pervasiva. L’uomo del medioevo contava sugli animali “addomesticati”, temeva quelli selvaggi (che rappresentavano un problema piuttosto concreto e pressante) e non esitava a considerare reali quelli mitologici. Era un mondo in cui l’asino e il drago non occupavano piani concettuali differenti, ma convivevano in una rappresentazione del creato al contempo trascendente e assai “pratica”. Un viaggio dotto e godibilissimo tra storia, simbologia e arte.
A chi donarlo?
Ai dotti estimatori della divulgazione storica. Agli appassionati di bestie e delle loro gesta. A chi ama esplorare i significati più o meno nascosti dell’arte.
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Lewis Carroll
Alice nel paese delle meraviglie
(L’Ippocampo)
Illustrato da Minalima
Bookcity mi ha donato una grande gioia, quest’anno. Ho avuto l’onore di chiacchierare con i Minalima in occasione dell’uscita dei due nuovi titoli che hanno curato, progettato e illustrato per L’Ippocampo. Il primo – Il giardino segreto – era uscito per il Salone del Libro e ora sono disponibili anche Alice e Il libro della giungla. Per chi necessitasse di una rinfrescata, i Minalima sono i due designer – Miraphora Mina e Eduardo Lima – che si sono occupati di inventare l’identità visiva del mondo di Harry Potter. La Mappa del Malandrino? L’han fatta i Minalima. I manifesti WANTED dei Mangiamorte? Sono dei Minalima. Insomma, tutto quello che c’è di cartaceo o visuale nei film (Animali fantastici compresi) è roba loro. E sono dei geni. Le loro edizioni di questi grandi classici sono piene zeppe di soluzioni cartotecniche imprevedibili e interattive, oltre che di splendidi disegni e di una gabbia grafica preziosa. L’Ippocampo pubblicherà gradualmente tutta la serie – il prossimo dovrebbe essere Pinocchio.
A chi donarli?
Ai piccoli (e ai grandi) che affrontano i classici per la prima volta. A chi colleziona edizioni preziose e insolite. A chi non ha più i libri dell’infanzia ma vorrebbe comunque mettere sullo scaffale una meraviglia. Ai feticisti dell'”oggetto libro”.
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Il meglio di Richard Scarry
(Mondadori)
Ho recentemente ripescato dai depositi sommersi di MADRE i miei vecchi libri di Richard Scarry e, lasciandomi travolgere da una grandiosa Operazione Nostalgia, li sto rileggendo con Cesare. Mondadori continua a tenere vivo il catalogo di Scarry e, se non disponete di una soffitta piena zeppa di antichi volumi, potete sempre lasciarvi sostenere dalle nuove edizioni. Il meglio di Richard Scarry è una raccoltona che contiene Il libro delle parole, In giro per il mondo, Il libro dei mestieri, Le più buffe storie e Tutto ruote.
A chi donarlo?
Ai bambini che vanno all’asilo. Ai genitori di piccoli lettori in cerca di efficaci strumenti per intrattenere la prole in maniera produttiva. A chi ha perso i “suoi” Scarry ma non ha mai smesso di amare Zigo Zago.
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Shirley Jackson
La lotteria
Adattamento grafico di Miles Hyman
(Adelphi)
Ne ho parlato poco tempo fa su Instagram. Ecco qua.
Prima di Battle Royale e degli Hunger Games c’era La lotteria di Shirley Jackson, una delle short stories più celebri della letteratura americana.
Pubblicato per la prima volta sul New Yorker nel giugno del 1948, il racconto scatenò un putiferio mastodontico e i lettori subissarono la rivista di lettere più o meno indignate. Perché? In estrema sintesi, La lotteria condensa in una manciata di pagine serratissime sia la crudeltà cieca del destino che l’emersione repentina, all’interno di un contesto di apparente civiltà, degli istinti umani più brutali. La lotteria annuale è un’esperienza catartica collettiva, un rito di passaggio che convoglia il male quotidiano su un unico bersaglio. Non si capisce bene che cosa faccia più paura, in fin dei conti. L’approccio estremamente pratico e funzionale alla faccenda? L’esito agghiacciante del sorteggio? I bambini che ammucchiano allegramente i sassi? L’ordinato svolgersi degli eventi? La lotteria ha visto anche una nutrita schiera di trasposizioni. L’ultima versione è una graphic novel firmata da Miles Hyman – nipote di Shirley Jackson e artista eccelso. La sua narrazione per immagini ci mostra i silenzi e tutto quello che si nasconde negli spazi bianchi del testo e fa, se è possibile, ancora più spavento. Bellissimo.
A chi donarlo?
Ai fan di Shirley Jackson. Agli amici della graphic novel d’autore. Ai coraggiosi.
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Merda
Colora e rilassati – 40 insulti da colorare con gattini severi ma giusti
(Magazzini Salani)
La serie dei libri da colorare ingiuriosi si arricchisce di un nuovo pregevole capitolo: i gattini sboccati. Teneri e spietati, i gattini che popolano questo album sono pronti a soccorrervi nei momenti di furore più acuto. Le pagine possono all’occorrenza essere staccate e donate a chi più vi sta sull’anima. Tiè, piglia un gattino, infame che non sei altro.
A chi donarlo?
Qua le opzioni sono molteplici. Potete regalarlo a qualcuno che ha bisogno di sfogarsi un po’ e di smaltire la tensione… ma anche a qualcuno che vorreste spellare vivo – così, come SOTTILISSIMO messaggio subliminale. O anche a chi cerca invano di rasserenarsi colorando paesaggi e vasi di fiori, senza ricavarne il minimo sollievo.
Concludo evidenziando l’ovvio: no, non sono libri da colorare per bambini. Cioè, se volete esortare i vostri figli a correre in giro gridando COGLIONAZZO ai passanti vanno benissimo, ci mancherebbe. Chi sono io per intromettermi nei vostri progetti educativi.
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Phoebe Waller-Bridge
Fleabag. The Scriptures
E qua scateniamo della fandom. Credo che nulla possa battere l’amore che ho sprigionato quest’anno per Fleabag. Sogno di andare a vedere lo spettacolo a teatro e non so bene se tifare per una terza stagione della serie (pare improbabile) o godermi quello che c’è, in tutta la sua complessa assurdità. Sono felice per Phoebe Waller-Bridge e per il grande consenso che il suo lavoro è riuscito a raccogliere. Fioccano premi e fioccano applausi… e secondo me se li merita tutti. The Scriptures è una sorta di compendio di Fleabag. Ci troveremo dentro la sceneggiatura completa, un nuovo scritto dell’autrice e le “stage directions”, mai pubblicate prima. Auspico un’edizione accresciuta con statuetta ignuda in allegato ma, per il momento, sono contenta anche così.
A chi donarlo?
A chi ha apprezzato la serie e/o lo spettacolo – non solo per la presenza dell’Hot Priest. Ai porcellini d’India. A chi legge in inglese – perché non mi risulta che sia già disponibile una traduzione italiana.
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I quaderni Fandango
Scrittura creativa – 20 grandi autori e 70 esercizi
(Fandango Libri)
Tra i battutoni che si continuano a sentire quando si parla di editoria dobbiamo sicuramente annoverare l’immarcescibile “Ah, signora mia… ormai ci son più scrittori che lettori!”. Come tutti i tormentoni, si basa su un vago fondo di verità. Al di là delle ambizioni letterarie che possiamo nutrire, scrivere meglio e riflettere su quel che si scrive è un’iniziativa meritoria perché, a mio modesto parere, ci rende più consapevoli e più bravi a spiegare quello che sentiamo. Questo Quaderno è un ibrido. Venti grandi autori vengono presentati in efficaci schede tematiche – tra la biografia e l’analisi dell’opera – e, a seguire, troviamo un ampio ventaglio di esercizi di scrittura che si allacciano alle tecniche più emblematiche dei singoli autori. È un’opportunità di apprendimento letterario e una palestra pratica per provare a scrivere riflettendo davvero su quel che facciamo.
A chi donarlo?
Agli aspiranti Nobel del domani, a chi subisce (giustamente) il fascino dei grandi autori e vorrebbe riportare alla luce gli strumenti del loro lavoro, a chi ha voglia di far funzionare il cervello o migliorare la propria scrittura senza dover per forza vincere lo Strega.
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Susan Harlan
Fare i bagagli
(Il Saggiatore)
Un’altra vecchia ma valente conoscenza. Ecco i pensierini:
Dall’ultima valigia sputata fuori dai nastri di riconsegna all’aeroporto – la vostra, ovviamente – ai bauli inestimabili dei passeggeri di prima classe del Titanic, Susan Harlan esplora le implicazioni pratiche e filosofiche del fare i bagagli. Il risultato è un saggio insolito e piacevolissimo, una specie di indagine sull’idea stessa di viaggio e sull’identità del viaggiatore, la cui storia si sovrappone a quello che decide di trascinarsi dietro, avvalendosi dei “recipienti” più disparati. Zaini scassati! Salmerie! Bauli della macchina che diventano succursali itineranti di casa nostra! Trolley spietatamente misurati dal personale di terra! E via così. Il multiforme universo della valigeria viene analizzato, in epoche diverse, dal punto di vista “industriale”, culturale e letterario, senza trascurare il cinema e l’ossessione (talvolta giustificatissima) per l’ottimizzazione degli spazi. Siamo quello che mettiamo in valigia? Chi lo sa. Forse somigliano di più a quello che ci dimentichiamo… e a quello che finiamo per riportare a casa – dogana permettendo.
A chi donarlo?
A chi non è alla ricerca di un manuale sul COME fare i bagagli ma è più propenso a indagare il PERCHÉ facciamo i bagagli. A chi ama i saggi storici “pop”. A chi viaggia cercando di farlo in modo il più possibile consapevole.
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Guida tascabile delle librerie italiane viventi
(Edizioni Clichy)
Per il titolo potevano ricorrere a “esistenti”, “aperte” o “attive”. Invece hanno scelto “viventi”. E funziona molto bene. Anzi, è un termine adattissimo se il tentativo è quello di mappare – per quanto possibile – le librerie italiane che rifiutano di scoraggiarsi e continuano ad animare i quartieri di città piccole e grandi. Sono fari dalla portata preziosa – per chi legge sono un riparo e un posto felice, ma “servono” a tutti, perché l’oscurità che può distorcere pensieri e sentimenti non fa distinzioni e punta alla massima diffusione… ma si attacca meglio dove il buio è già profondo. Tifiamo per voi, librerie viventi.
A chi donarlo?
Un libro che parla di librerie va inevitabilmente consegnato a chi ama sia i libri che le librerie, creando un terzo livello di INCEPTION. Va benissimo anche per chi ha la propensione alla letteratura e al viaggio… che ne sapete, potrebbe nascerne un tour mirabolante delle librerie italiane.
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Anna Starmer
I Love Color – L’arte di scegliere e abbinare i colori di casa
(Rizzoli)
Anna Starmer e Rossella Migliaccio si conosceranno? Chi può dirlo. Qua torniamo a parlare di colori, ma lo sforzo immaginifico è orientato all’arredamento domestico. Quando Pinterest incontra l’editoria, all’incirca. Il libro è un catalogo di suggestioni cromatiche suddivise per tinte dominanti e, oltre a suggerire abbinamenti creativi e anche decisamente appaganti dal punto di vista visivo, è anche una ricca collezione di “case belle” che, oltre a suscitarvi un’invidia funestissima, potrebbero anche fungere da ispirazione per risistemare o pensare da zero i vostri spazi.
A chi donarlo?
Ai campioni e alle campionesse dell’home decor, a chi deve ristrutturare e vuol solo morire, alla fandom di Paola Marella, a chi arreda anche con i libri perché ha dei tavolini stupendi in salotto su cui appoggiarli.
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Carlo M. Cipolla
Allegro ma non troppo
(Il Mulino)
Ridanciane annotazioni di qualche tempo fa:
Un gioiellino umoristico in due parti. Anzi, in due mini saggi. Il primo rilegge la storia europea – a partire dalla caduta dell’Impero Romano – mappando le conseguenze geopolitiche del commercio del pepe. Il secondo, invece, mira a fornirci gli strumenti per riconoscere “gli stupidi” come forza nefasta all’interno della nostra civiltà, senza relegarli all’ultimo gradino della scala di potere ma riconoscendo loro un ruolo di primo piano all’interno di ogni “livello” della struttura delle nostre società, indipendentemente da soldi, studi, prestigio, classe. Un testo nato quasi per scherzo – e passato di mano in mano fino a trasformarsi, dopo qualche revisione, in questo piccolo libro – per ghignarsela amaramente senza sentirsi Dio in terra. Chi è lo stupido? Chi si danneggia da solo (in maniera sistematica e felicemente inconsapevole) danneggiando, allo stesso tempo, anche chi ha intorno. Spesso in maniera irreparabile. In bocca al lupo!
A chi donarlo?
Non a uno stupido… perché non capirebbe. E no, non capirebbe nemmeno una frecciatina trasversale, quindi risparmiatevi i tentativi di ironia.
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Huw Lewis-Jones
Le terre immaginate – Un atlante di viaggi letterari
(Salani)
Narnia, Westeros, la Terra di Mezzo… e mille altri luoghi dell’immaginario fantastico. In questo robusto atlante illustrato, Huw Lewis-Jones raccoglie sapienti e illustri contributi – da Miraphora Mina a Philip Pullman – per mappare l’inestitente con precisione e fascino. I romanzi che iniziano con una mappa sono garanzia di avventura, ma ogni mappa presuppone la costruzione di un mondo “altro”. Ogni capitolo corrisponde a un luogo ed è affidato a un narratore che ne esplorerà insieme a noi i golfi, gli anfratti, i mari e le vette più scoscese.
A chi donarlo?
Ai cartografi più o meno dilettanti, a chi a cena vi fa abitualmente una testa così con Mercatore, a chi ama la letteratura fantastica e a chi non si accontenta di stazionare entro i confini del reale.
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Douglas Adams
Guida galattica per gli autostoppisti
(Mondadori)
Consiglio la Guida galattica perché la Guida galattica è sempre un buon consiglio – soprattutto in questo caso… da una parte c’è la raccolta di tutti i romanzi e, dall’altra, c’è un saggio di Neil Gaiman sull’argomento -, ma quel che mi preme dire è che, se vi va di donare un’edizione pazza e preziosa di un classico fantasy, fantascientifico, gotico o tenebroso, vi conviene spulciare negli Oscar Draghi. Son dei tomoni assai curati e di sicuro impatto scenico.
Ah, è da poco uscito anche Piccole donne.
A chi donarlo?
I Draghi sono amici dei feticisti dell’oggetto libro e dei collezionisti accaniti. Ma anche un po’ dei signori delle tenebre, dei delfini e di chi non esce di casa senza asciugamano.
Spin-off
Approfitto di quest’area mondadoriana per segnalare un’altra impresa. Non penso di dovermi diffondere in spiegazioni sulle Storie della buonanotte per bambine ribelli… ecco, la piccola novità è che le Bambine ribelli esistono anche in forma più approfondita e hanno trovato rinnovato respiro in una collana dedicata. Non sono più “schede” ma piccoli romanzi illustrati che si soffermano, di volta in volta, su una donna che a suo modo ha combinato qualcosa di assai incisivo per cambiare il mondo – e per ispirare le generazioni future.
*
Petunia Ollister
Cocktail d’autore
(Slow Food)
La letteratura pullula di personaggi che bevono cose – con esiti più o meno infausti. Con la sua superba abilità fotografica, Petunia Ollister – ciao, amica! – assembla per noi un’esplorazione delle bevande “da romanzo” che sono ormai entrate a far parte dell’immaginario collettivo. Ogni scatto è accompagnato da un approfondimento sull’autore e dalla ricetta per riprodurre per conto vostro un cocktail degno di Gatsby. O di BONDJAMESBOND. E di moltissimi altri. Bibliotecarie, sfoderate gli shaker!
A chi donarlo?
A chi ha un bel mobile bar e non ha paura a usarlo. A chi legge e si diverte a sconfinare. A chi ama osservare oggetti ben disposti su un tavolo (con perfetti abbinamenti cromatico-concettuali). A chi brama un ricettario per fare cocktail favolosi.
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Akiko Miyakoshi
La strada verso casa
(Salani)
Una mamma coniglia prende in braccio il suo coniglietto e lo porta a casa mentre scende la sera. Animali di ogni forma e dimensione chiudono bottega e preparano la cena, le finestre si illuminano, il mondo cambia forma e l’ombra avvolge – invece di far paura. Un’autrice giapponese super premiata, disegni semplici e delicati, come l’istinto di coccolare un coniglietto assonnato.
A chi donarlo?
Ai bimbi che si addormentano sulle spalle dei papà e delle mamme che conoscete, agli amici dell’illustrazione e della narrazione giapponese, a chi ha bisogno di un sorriso rassicurante e pacioso.
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Leo Ortolani
Luna 2069
(Feltrinelli)
Leo Ortolani ha sfornato 46 libri, quest’anno. Potrei comodamente consigliarveli tutti, ma Luna 2069 – la storia di una fascinazione per lo spazio e per le sue promesse – mi pare speciale. L’astronauta Fortunato ha preso in prestito la faccia da Luca Parmitano e il fumetto è stato realizzato in collaborazione con l’Esa e con l’Agenzia Spaziale Italiana. Di che si parla? Si parla della colonizzazione della Luna – in un immaginario centesimo anniversario dallo sbarco di Neil Armstrong -, degli sforzi congiunti per continuare a superare l’atmosfera terrestre, di futuro e di scienza. Lo si fa ridacchiando – perché Rat Man torna in versione Mr Mask, un incrocio tra uno scienziato visionario e un presentatore da televendita -, ma senza rinunciare a confidare nel potere dell’ingegno umano.
A chi donarlo?
A chi tifa per la colonizzazione del nostro satellite – e di Marte -, a chi vorrebbe una Tesla, ai fan dell’esplorazione del Sistema Solare e ai vecchi amici di Leo Ortolani.
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Alberto Madrigal
Pigiama computer biscotti
(Bao)
Uno dei miei fumetti preferiti dell’anno. Ne avevo già parlato su Instagram, ecco qua.
Alberto Madrigal ha il raro dono di raccontare l’ansia senza fartela venire troppo. Non te la fa passare, intendiamoci, ma la sfuma e la scompone, ci pensa su insieme a te e la gestisce un pezzettino alla volta. In questo fumetto – che si costruisce sotto ai nostri occhi, perché dentro al fumetto c’è anche Madrigal che cerca di capire che fumetto fare – si parla di creatività, dei compromessi della vita adulta, di case che non si puliscono da sole, di traslochi – perché aiutiamo sempre tutti a traslocare e poi quando tocca a noi arrivano quattro gatti? -, di paternità, mal di testa inevitabili e colazioni al bar la domenica. È un magnifico distillato di quotidianità e dilemmi, di equilibri impossibili tra le esigenze della sopravvivenza e il lusso di poter perdere tempo. In questo libro c’è, soprattutto, la strada tortuosa che dobbiamo imboccare per riconciliarci con l’idea di responsabilità. C’è la frustrazione che spesso ci accompagna quando cerchiamo di far crescere un’idea che, spessissimo, si modifica sotto ai nostri occhi e cambia pelle quando pensiamo di averla ormai afferrata – un po’ come le abitudini dei bambini, che sono abitudini per due giorni e poi diventano altro e tu devi ricominciare da capo con tutti i tuoi processi di adattamento. C’è la routine che mangia le energie, ci sono quei due secondi limpidi di ispirazione e di gioia che ti convincono a non gettare via tutto – o magari sì. E c’è un bimbo che nasce e che, nel mondo nuovo che crea per te, attira nella sua orbita tutto quello che stai cercando di capire e te lo restituisce un po’ masticato e morbidino, ridimensionato ma anche spaventoso. Che vogliamo fare? Si procede. Inventando una pagina alla volta. Saggi e lievi, pacifici e preoccupati.
A chi donarlo?
Alle neo-mamme e ai neo-papà. A chi cerca di diventare grande senza perdere il cuore. A chi fa del suo meglio per affrontare con passione e dignità un lavoro creativo.
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Lilin Yang, Leah Ganse, Sara Jiménez
Beauty Secrets
(Vallardi)
Il mito moderno delle coreane con la pelle meravigliosa va affrontato in maniera strutturata. Nei momenti di pigrizia più acuta mi piace pensare che la pelle bella delle coreane sia una faccenda strutturale. Hanno la pelle bella perché, geneticamente, hanno la pelle bella. Nei momenti di maggior speranza, poi, cerco di convincermi che la pelle bella delle coreane sia, in realtà, frutto di una cura particolarmente assennata e replicabile anche a latitudini diverse. Ebbene, dev’esserci una via di mezzo… e l’intero pianeta pare averlo recepito. In questo libro, le tre fondatrici di Miin Cosmetics – istituzione sbarcata ormai un annetto anche a Milano per benedirci con la cosmesi coreana – sviscerano i dieci celeberrimi step della beauty routine coreana con piglio pratico e diretto, suggerendo prodotti e metodi, smascherando false convinzioni e, in generale, fornendoci qualche dritta per calibrare le nostre abitudini in modo da tirar fuori risultati più solidi dalla roba che ci spalmiamo ostinatamente in faccia.
A chi donarlo?
Alle fanatiche conclamate della beauty routine coreana, a chi è più in cerca di una metodologia che di una lista universale di prodotti da comprare, a chi ama informarsi per potersi trasformare in una “consumatrice” più consapevole.
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Kassia St Clair
La trama del mondo – I tessuti che hanno fatto la storia
(Utet)
Kassia St Clair, giornalista culturale britannica, ricostruisce la storia del mondo a partire dai tessuti che hanno ricoperto, di epoca in epoca, un ruolo emblematico. Dal merletto alle tute da astronauta, dalle origini della tessitura alla seta dell’antica Cina, quello che abbiamo scelto di indossare per coprirci o per raccontare chi siamo genera, da sempre, significati e implicazioni vastissime. Questo saggio – tradotto da Claudia Durastanti e arricchito da uno splendido apparato iconografico – analizza i tessuti in base all’impatto culturale, economico e sociologico che hanno generato, ricostruendo di volta in volta il quadro complesso di un preciso momento storico. Una lettura ricchissima, colta e suggestiva.
A chi donarlo?
A chi ama approfondire la storia in modo trasversale, a chi ama la moda e la concepisce come il prodotto di un’epoca o come il punto di convergenza di tante diverse componenti della storia umana, a chi analizza ossessivamente le etichette degli indumenti.
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Neil Gaiman
Questa non è la mia faccia
(Mondadori)
Neil Gaiman ha sempre avuto parecchio da dire. L’ha fatto nei suoi romanzi e nei suoi fumetti, ma anche in una miriade di saggi, articoli, diari, post e – probabilmente – pure sui tovaglioli di carta. Questa non è la mia faccia è una poderosa raccolta di scritti sparpagliati in cui Gaiman affronta all’incirca tutto lo scibile umano. Dal suo lavoro ai film, dal fascino delle librerie all’arte di raccontare storie, Gaiman costruisce un autoritratto per accumulo, aprendoci le porte del suo studio, del suo cervello e del suo cuore.
A chi donarlo?
A chi già venera Gaiman,agli adepti del moderno genere fantastico e a chi cerca ispirazione e vorrebbe farsi spiegare “come si fa” – possibilmente da uno che è già molto bravo a inventare mondi.
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Nick Caruso & Dani Rabaiotti
Fa le puzze? – La guida definitiva alla flatulenza animale
(Vallardi)
Questo l’ho tradotto io, ma è l’informazione meno rilevante. Quel che vi sarà utile sapere è che non tutti gli animali scoreggiano e che, quando capita, la flatulenza è un fenomeno dalle numerosissime sfaccettature. Le sardine comunicano tra loro scoreggiando ad alta frequenza. I lamantini utilizzano i peti per gestire il galleggiamento. Ci sono animali che esplodono e serpenti che intimoriscono i predatori a suon di strombazzate posteriori. Questo libro, curato da due eminenti zoologi, è un’indagine spassosa ma rigorosissima su un fenomeno non ancora particolarmente esplorato dalla scienza. Per ogni bestia c’è una fascinosa scheda di approfondimento che ne indaga le abitudini digestive, comportamentali e scoreggifere. Che benessere.
A chi donarlo?
A chi si interessa di zoologia – in ogni sua manifestazione -, a chi scoreggia volentieri, a chi vuol farsi quattro risate e/o accumulare gustosi aneddoti da sciorinare in compagnia (meglio non a cena).
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La collana Ritrovare l’Italia
(Il Mulino)
Utile segnalazione di collana, perché Ritrovare l’Italia offre un vasto bacino di argomenti. Dai luoghi di Ulisse agli stadi, dalle stazioni ferroviarie alle città etrusche, Ritrovare l’Italia è una piccola biblioteca di viaggio che può sostenerci nella riscoperta di mete poco battute e/o può illuminare per noi rotte avvincenti. L’idea è quella di assemblare, di volta in volta, un itinerario tematico – attingendo dal grande bacino della storia, dell’enogastronomia, della natura… – capace di farsi espressione di un pezzettino della nostra cultura condivisa. Al di là delle indicazioni più pratiche, ogni percorso è accompagnato da un approfondimento che ci permetterà di affrontare le nostre mete con consapevolezza.
A chi donarlo?
A chi vi ripete sempre “ah ma cosa vai all’estero che qua da noi ci sono delle meraviglie” – ecco, piglia, parti -, a chi ama le esplorazioni alternative, a chi pensa che i viaggi siano anche (e forse soprattutto) cultura.
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Funzionale suggerimento conclusivo: un bell’abbonamento per gli audiolibri. Ecco qua la pagina di Storytel dedicata ai regali.
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Questo post potrebbe continuare all’infinito, ma non ambisco a sfidare la biblioteca di Borges. Spero di essere riuscita a tirare fuori dal cilindro qualcosa di utile e di avervi risolto anche un paio di “regali impossibili”. :3
Cuoroni!
Orbene, dopo due anni in agenzia sono diventata allergica ai contenuti tematici e pure alle cose legate a una specifica occasione di calendario. Ma proprio un odio che provoca anche reazioni psicosomatiche, mica solo un lieve fastidio. Orticaria visibile. Mal di stomaco da rigetto. Poi, però, mi sono accorta che nella mia libreria ci sono numerose (e valentissime) opere narrative che potrebbero ben adattarsi a una giornata che celebra mostri, spaventi vari, inquietudini, terrori e oscurità. E ho deciso di fare un esperimento. Anche perché, in questo caso, non ho clienti che non vedono l’ora di farmi correggere un copy chiedendomi FRANCESCA VA BENE È GIÀ MOLTO EFFICACE MA POSSIAMO FARLO UN PO’ PIÙ CREEPY?
Ecco.
Per la mia tenebrosa gioia e anche un po’ per la vostra – spero -, ecco qua una lista di letture più o meno recenti da abbinare alle vostre zucche. Ma qua c’è qualcuno che ha mai effettivamente mutilato una zucca a scopi decorativi? Io no di certo, ma per leggere non è necessario.
Di alcuni libri ho probabilmente già parlato su Instagram o qui sul blog, ma ho comunque deciso di inserirli nell’elenco perché mi sembrava che non potessero mancare all’appello.
Se li conoscete già siate tolleranti.
Se li vedete per la prima volta, invece, tanto meglio. Sarà una scoperta in più.
Se amate qualcosa che non è nella mia lista, poi, consigliatemelo caldamente nei commenti. Anch’io ho bisogno di suggerimenti, credetemi.
Procediamo!
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Joshua Foer, Dylan Thuras, Ella Morton
Atlas Obscura
(Mondadori)
Traduzione di T. Albanese, G. Cecchini e della mia amica Francesca Mastruzzo
L’Atlas Obscura non è propriamente un libro che fa paura o che contiene cose particolarmente inquietanti. È, più che altro, un libro per esploratori dell’ignoto e delle piste meno battute. Un grande atlante illustrato, diviso per aree geografiche, delle mete “oscure” in quanto poco conosciute. Un catalogo di meraviglie geografiche lontane dalle rotte classiche e di posti che nascondono storie spesso imprevedibili. Insomma, una guida di viaggio per chi non ha paura di spingersi là dove pochi sono già stati prima.
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David Almond
Skellig
(Salani)
Traduzione di P. A. Livorati
Skellig, secondo me, è uno di quei romanzi che non andrebbero rinchiusi nella categoria dei “libri per ragazzi”. Ci sono libri che parlano a tutti e che affrontano temi giganteschi, indipendentemente dall’etichetta “lettura consigliata dai 9 anni in su”. Freghiamocene altamente, dunque. Il protagonista di questa storia è un bambino che sta facendo del suo meglio per superare con coraggio un momento difficile, che non riesce nemmeno a decifrare completamente. La vita della sua sorellina è appesa a un filo e l’atmosfera, in casa, non è delle più spensierate. Servirebbe un miracolo, forse, ma il destino manda a Michael qualcos’altro. Una creatura fatta di piume e ombre che appare all’improvviso nel garage di casa. Non si sa da dove viene, non si sa che cosa vuole. Ha solo bisogno d’aiuto e di un po’ di tempo per riprendersi. E Michael decide di soccorrerlo, vincendo una paura molto più vasta e terrificante di quella del buio.
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Michail Bulgakov
Cuore di cane & Uova fatali
(Feltrinelli)
A cura di S. Prina
Dunque, potevo anche parlare del Maestro e Margherita – che in questa lista farebbe un figurone -, ma in un’esplorazione delle opere di Bulgakov e della letteratura fantastica in generale credo sia saggio riesumare anche queste due novelle lunghe. O romanzi brevi. O quello che sono, insomma. Gli argomenti sono all’apparenza molto diversi, ma esplorano in entrambi i casi il tema della metamorfosi, dell’ambizione umana e dell’imprevedibilità intrinseca di quello che speriamo di controllare, anima compresa. Cuore di cane racconta un orrido esperimento scientifico: trasformare un cane randagio in un essere umano, grazie a una specie di trapianto di cervello. Nelle Uova fatali, invece, incontriamo uno scienziato che progetta un raggio in grado di accelerare esponenzialmente la crescita delle cellule. Le conseguenze, in entrambe le vicende, saranno particolarmente catastrofiche… e sviscerate con dovizia di particolari e con l’intento, assai poco celato, di smascherare la natura repressiva e miope dell’ordine sovietico.
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Susanna Clarke
Jonathan Strange & il Signor Norrell
(TEA)
Traduzione di P. Merla
Visto che ai due maghi avevo addirittura dedicato un post, credo sia opportuno sfoderarlo di nuovo.
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Gipi
La terra dei figli
(Coconino Press)
Gipi racconta e disegna la fine della civiltà. Non conosciamo le origini del cataclisma, ma quel che sappiamo è che quasi nulla è rimasto. La narrazione segue le peregrinazioni di due fratelli in una terra devastata, dove anche la parola si è contratta, adattandosi a un nuovo sistema in cui la sopravvivenza più brutale è alla base di ogni rapporto “umano”. I fratelli, dopo aver perso il padre, vagano alla ricerca di una madre che forse hanno solo immaginato e che abita in un diario che non hanno il permesso o le capacità di leggere.
Un fumetto rarefatto, crudo e potentissimo.
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Neil Gaiman
Il figlio del cimitero
(Mondadori)
Traduzione di G. Iacobaci
Neil Gaiman meriterebbe una lista a parte, visto che quasi tutto quello che ha deciso di inventare rientra perfettamente nello spirito dell’impresa. Considerate Il figlio del cimitero come un degno apripista, dunque, e proseguite con le esplorazioni se ancora non vi siete soffermati particolarmente sul mondo di Gaiman. La storia è gustosa: sfuggito all’omicidio dei suoi genitori, Bod gattona fino a un cimitero e viene adottato e cresciuto dalla comunità dei defunti. La Morte gli dona la capacità di comunicare coi trapassati, che lo proteggeranno e lo alleveranno come se fosse figlio loro. Il destino di Bod, però, è in agguato oltre i cancelli del camposanto… là fuori c’è la vita che un “vivo” dovrebbe inseguire, ma ci sono anche degli assassini con un lavoro da completare. E la vendetta, un po’ come la Morte, può essere inesorabile. Mistero! Scheletri! Tombe! Cadaveri!
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Emil Ferris
La mia cosa preferita sono i mostri
(Bao Publishing)
Traduzione di M. Foschini
Che libro stupefacente. Ne ho già parlato con grande trasporto su Instagram, ma ci tengo a sprigionare ammirazione anche qui. Emil Ferris è un’esordiente dalle vicende biografiche che rasentano l’assurdo. Dopo aver militato per lunghi anni nel mondo dell’illustrazione, rimanendo però sempre in una posizione un po’ defilata, ha deciso di presentarsi finalmente al grande pubblico con questa graphic-novel, un libro stratificato e complessissimo che, raccontando la quotidianità di una ragazzina di undici anni nelle periferie non proprio idilliache della Chicago del 1968, riesce a trasportarci nella Germania nazista e a frugare nei meandri più remoti dei nostri cuori. La grande metafora che la Ferris sceglie di utilizzare per accompagnarci in questo viaggio è quella del “mostro”, ma seguendo due filoni diversi. Ci sono i “mostri buoni”, che ci insegnano a difenderci e ci fanno compagnia quando sono gli altri a vedere in noi qualcosa che non capiscono. E ci sono i “mostri cattivi”, che soffocano la nostra voce e tramano per distruggere quello che di più umano possediamo. I disegni sono strabilianti – le penne a sfera possono fare magie, a quanto pare – e i riferimenti all’arte, al cinema e all’immaginario horror si sprecano. Attendo con trepidazione il secondo volume.
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Jonathan Hickman, Tomm Coker
Black Monday
(Mondadori)
Traduzione di L. Fusari
Esoterismo, sangue e alta finanza: che cosa c’è di meglio? Ecco qua l’approfondimento che avevo scritto per l’uscita del primo volume. Il secondo è disponibile già da un mesetto e l’ho ordinato ieri.
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Shirley Jackson
L’incubo di Hill House
(Adelphi)
Traduzione di M. Pareschi
Non ho la minima intenzione di vedere la serie di Netflix ispirata a questo romanzo. E non lo dico per snobismo. Lo dico perché quelle cose mi fanno una paura eccessiva e passerei i prossimi tre mesi ad accendere tutte le luci di casa anche solo per andare in bagno dopo le sette di sera. Il libro, per ammissione degli stessi produttori, è ben diverso dalla trasposizione televisiva. Ed è un racconto di follia, tormento psicologico, ricordi aggrovigliati e pavimenti che scricchiolano. Può un luogo portare alla pazzia? Certamente, se stiamo parlando di Hill House. Shirley Jackson – autrice con cui vi perseguito già da secoli con Abbiamo sempre vissuto nel castello, altra meraviglia degnissima di menzione in questo frangente – è abilissima nel manipolare la tensione e nel farci sentire continuamente minacciati, anche quando le cose sembrano assolutamente innocue. Ed è quello il vero prodigio del terrore più autentico: trasformare la paura in tarlo, la razionalità in sospetto, la solidità delle cose in dubbio strisciante. Sempre.
Per chi volesse approfondire il mondo dell’autrice o frugare nel suo stipetto dei ricordi, è da poco uscito anche Paranoia, una raccolta di pagine sparse, racconti brevi, riflessioni sul mestiere di scrivere e istantanee quotidiane.
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Richard Matheson
Io sono leggenda
(Fanucci)
Traduzione di S. Fefè
Dimenticate Will Smith, ve ne prego. Se c’è una cosa bella di questo libro è il finale. E il film riesce a sputarci su con una disinvoltura che rasenta l’inspiegabile, visto che è il finale a rendere speciale e sensata tutta questa narrazione. Non spoilero, giuro, ma è una roba che mi manda al manicomio.
Dunque. Robert Neville è l’ultimo essere umano rimasto sul nostro pianeta – per quel che ne sa. Gli altri, contagiati da una specie di virus, sono diventati vampiri. Il mondo che conosciamo non esiste più e Neville tira avanti come meglio può, cercando di studiare la mutazione che ha sconvolto l’ordine costituito e barricandosi nel suo rifugio di notte, quando i vampiri escono a dargli la caccia. Ma cosa succede quando l’aberrazione diventa normalità? Qual è la creatura che ha davvero il “diritto” di sopravvivere? Che cosa siamo tutti quanti, se non scherzi dell’evoluzione che hanno imparato a coesistere? Will Smith dei miei stivali.
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Michele Mari
Fantasmagonia
(Einaudi)
Anche Michele Mari sarebbe quasi da inserire in blocco qua dentro. Ma Fantasmagonia mi pare il libro più adatto. Perché è un compendio di tremori letterari e di immaginazioni sghembe, una collezione di creature da temere e luoghi da osservare con reverenza. E contiene anche la ricetta per creare un fantasma.
Per approfondire, ecco il post che avevo scritto qualche anno fa, all’uscita del Supercorallo.
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Gianluca Morozzi
Blackout
(TEA)
Non riesco a vedere le cose “horror” in tv, ma poi leggo serenamente Morozzi. Non so. C’è qualcosa di strano. È anche vero che Morozzi ha la capacità di carpire l’attenzione del lettore con un’efficacia rara, ma ci sono robe in questo libro che fanno venire da vomitare anche solo a pensarci e che non sopporterei mai e poi mai in un’ipotetica versione cinematografica – CHE SPERO VIVAMENTE NON VERRÀ MAI REALIZZATA PERDONAMI MOROZZI SO CHE I DIRITTI SULLA TV E SUI FILM SON SOLDI MA IO NON VOGLIO SAPERNE NIENTE PER CARITÀ. Comunque. La faccenda è relativamente semplice: quattro sconosciuti col loro personalissimo bagaglio di problemi, turbe e segreti si ritrovano intrappolati insieme in un ascensore angustissimo a Ferragosto. I telefoni non prendono, non c’è in giro un cane e le probabilità di ricevere soccorso appaiono assai remote. Che cosa succederà? Tutto il male possibile.
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Cees Nooteboom
Tumbas. Tombe di poeti e pensatori
(Iperborea)
Traduzione di F. Ferrari
Cees Nooteboom ha passato una trentina d’anni a viaggiare per il mondo alla ricerca delle tombe dei poeti, dei pensatori, dei filosofi e degli scrittori che più hanno segnato il suo percorso intellettuale. Tumbas raccoglie le sue fotografie e trasmette, per capitoli fulminei, l’eredità storica e artistica di chi occupa quelle sepolture. È un libro stranissimo, che sceglie di mantenere viva la memoria delle idee attraverso la lapide, uno dei manufatti più statici e definitivi che siamo riusciti a inventarci.
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Mervyn Peake
Tito di Gormenghast
(Adelphi)
Traduzione di A. Ravano
Giuro, non pensavo di aver già scritto così tante cose sulla frazione più temibile e fascinosa della mia biblioteca personale. Ecco qua un bel biglietto per Gormenghast!
Anne Rice
Intervista col vampiro
(TEA)
Traduzione di M. Bignardi
Anne Rice, una colonna della mia adolescenza. Non so se ringraziarla o stramaledirla. La saga delle Cronache dei vampiri è vasta e assai articolata… dopo averne letti diversi, negli anni, mi viene anche da dire che fermarsi a Intervista col vampiro potrebbe non essere una cattiva idea. Quello che di sicuro Anne Rice è riuscita a fare, però, è creare una sorta di versione “moderna” del vampiro. Non è la sola ad aver rivisitato e arricchito il mito originario, ma ha lasciato un’impronta molto potente nel nostro immaginario, costruendo per i suoi personaggi una sfera emotiva (e sentimental-comportamentale) molto specifica e persistente. Mi viene da dire che è quasi colpa di Anne Rice se, anni dopo, ci siamo ritrovati con Edward che luccica e con una miriade di sottoprodotti e calchi di Lestat, Louis, Armand e Claudia. Ma chi se ne importa. Ognuno è libero di scegliere il vampiro che preferisce. E i miei prediletti, anche a distanza di ere geologiche, saranno sempre quelli di Intervista col vampiro, coi loro pizzi stazzonati e il loro vasto terrore di trascorrere un’eternità di vuoto assoluto.
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Bonus track: libri che ho sfogliato ma che non ho ancora letto
Vasti festeggiamenti per il bicentenario di Frankenstein: Utet ha pubblicato da poco una corposa biografia di Mary Shelley (La ragazza che scrisse Frankenstein di Fiona Sampson), mentre il Castoro ha dedicato alla scrittrice un romanzo illustrato di rara bellezza: Mary e il Mostro di Lita Judge.
Per chi poi volesse farsi una cultura solidissima del macabro – anche nelle sue sfumature storico-religiose più solide – o gustarsi fumetti spaventosamente spensierati il consiglio è di consultare il vasto catalogo di Logos Edizioni. Io ho intenzione di cominciare da un corroborante volume fotografico sugli ossari. E dall’edizione illustrata di Carmilla.
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Niente. Sono certissima di aver scordato cose fondamentali o di aver citato opere che ormai hanno già letto tutti, ma spero comunque di aver fornito qualche spunto avvincente. Se così non fosse, consoliamoci con secchi di cioccolato estorto ai vicini di casa. :3
Ebbene, l’intero catalogo Adelphi è in promozione fino al 15 febbraio. C’è il -25% su tutto quanto e, visto che gli Adelphi costano spesso una fucilata, la notizia è da accogliere con gioia e vaste celebrazioni. Non ho letto ogni titolo mai pubblicato da Adelphi, mio malgrado, ma un paio di preferiti vorrei comunque provare a consigliarli. Metti mai che possano servire d’ispirazione a qualcuno.
Ecco dunque una rapida e minuscola lista della spesa, in ordine casualissimo ma pieno di sentimento.
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Neil MacGregor, La storia del mondo in 100 oggetti
(Traduzione di Marco Sartori)
La storia “materiale” credo sia la mia preferita – insieme a quella simbolico-iconografica (sempre che una definizione del genere possa dirsi accettabile). Comunque, questo magnifico volumone di Neil MacGregor racconta i punti di svolta dell’evoluzione umana attraverso cento oggetti emblematici, oggetti che hanno saputo ridefinire un’epoca o cambiare per sempre la civiltà – più o meno antica – che li ha concepiti. La forbice temporale è molto ampia (si va dagli albori dell’umanità ai giorni nostri), così come lo spettro geografico (che non trascura continenti che spesso, da Europei, tendiamo a studiare solo come potenziali mete di colonizzazione).
Godibilissimo da leggere, curiosissimo ma assai rigoroso, pieno di splendide fotografie e sicuramente già presente sullo scaffale di Alberto Angela.
Andrew Sean Greer, La storia di un matrimonio
(Traduzione di Giuseppina Oneto)
Ecco qua un riassunto stringatissimo: Pearlie e Holland, San Francisco, 1953, quel che rimane della guerra, l’amore, quel che rimarrà di loro. Il romanzo racconta, mettendo alla prova in quasi tutti i modi possibili la coppia protagonista, l’impervio tentativo di conoscere davvero la persona che amiamo. E gli sforzi che siamo disposti a fare per riuscirci, o per rassegnarci al fallimento, o per vivere affrontando le conseguenze di quello che abbiamo scelto di sapere. Tanti punti di svolta, una voce narrante battagliera e disincantata e, sullo sfondo – anzi, mica tanto sullo sfondo – i pregiudizi che più hanno segnato la società americana.
Edward von Keyserling, Principesse
(Traduzione di Anna Rosa Azzone Zweifel)
Un romanzo che somiglia ai deliziosi salottini popolati dai suoi personaggi: preziosi, ordinati, eleganti, sfarzosi… ma, a guardar bene, potremmo notare la carta da parati un po’ stropicciata dall’umidità, in un angolo. O una frangia annodata del tappeto. O una poltrona col velluto leggermente liso sul bracciolo, dove si appoggiano i gomiti. Keyserling racconta è la storia di Roxane, Eleonore e Marie, tre principesse baltiche che attendono di capire, fondamentalmente, che cosa ne sarà di loro. Per rango e “posizione” non possono certo aspirare alla libertà di seguire il cuore e galleggiano, quindi, in una specie di stagno fatto di piccole e grandi malinconie, minuscole rivincite ed estemporanei moti di ribellione.
Guardi, signora mia, proprio una meraviglia d’atmosfera. E come mi sono commossa, non le dico.
Mervyn Peake, Tito di Gormenghast
(Traduzione di Anna Ravano)
Il primo capitolo di una poderosa trilogia gotico-fantastica che racconta le gesta dei superstiti di una dinastia di personaggi superbamente strambi, che si aggirano nella monumentale fortezza di Gormenghast, un maniero vivo come solo le costruzioni sinistre e labirintiche possono esserlo. Il punto di svolta di questo primo romanzo sarà la nascita di Tito, erede designato e ultima speranza della famiglia De’ Lamenti.
Immaginazione sconfinata, scrittura sontuosa e stanze piene zeppe di gatti bianchi.
Roberto Bolaño, La letteratura nazista in America
(Traduzione di Maria Nicola)
Dunque, secondo me bisognerebbe leggere anche 2666 e I detective selvaggi, ma si casca BENISSIMO anche pescando tra le opere meno mastodontiche di Bolaño. La letteratura nazista in America è un oggetto narrativo assurdo. È un’antologia critica che raccoglie una vasta schiera di scrittori nord e sudamericani che in qualche modo hanno simpatizzato con il nazismo. Ma c’è tutto, proprio. Biografie, bibliografie, vicissitudini editoriali, rivalità, sodalizi, imprese e catastrofi. È una specie di universo parallelo in cui osserviamo un intero movimento cultural-letterario fatto di autori che non sono mai esistiti e che Bolaño ha inventato per noi, creando un puzzle dal realismo maniacale. Ci sono episodi che fanno spaccare dal ridere, personaggi ripugnanti e meschini, disavventure paradossali. È una follia. Ed è stupefacente.
Benedetta Craveri, Amanti e regine
Sono una ferventissima fan di madame Craveri. Le sue ricostruzioni storiche sono di una grazia unica e di un acume raro. Amanti e regine è una raccolta di ritratti di donne di potere nella Francia dell’Antico Regime. Di potere perché effettivamente investite di una carica ufficiale o perché, “di fatto”, capaci di insediarsi con successo in uno snodo decisivo all’interno di un sistema prettamente maschile. Troni e camere da letto, insomma, ma soprattutto “gestione dell’influenza” e sprezzo delle convenzioni.
Altre segnalazioni dal Craveri-mondo: Maria Antonietta e lo scandalo della collana (dal titolo assai auto-esplicativo) e Gli ultimi libertini (che non ho ancora letto ma ho in wishlist da circa mille anni).
Theodore Sturgeon, Cristalli sognanti
(Traduzione di Gian Pietro Calasso)
Pubblicato nel 1950, Cristalli sognanti è un’avventura fantascientifico-onirica di ambientazione… circense? Un bambino di otto anni, con tre dita in meno alla mano sinistra, fugge dai genitori adottivi e trova rifugio presso il luna park dell’ex-medico Monetre, un tizio super sinistro e misantropo al punto da desiderare l’estinzione del genere umano. Come se ciò non bastasse, Monetre è pure ossessionato dai cristalli e intende utilizzarli per spazzare via il suo prossimo. Da dove vengono? Non ci è dato saperlo. Ma quel che sappiamo è che i cristalli custodiscono il potere di plasmare la vita e la materia e che possono obbedire a ordini telepatici. Serve un tramite, però. E chi se non il piccolo Horty – protetto da una nana assai premurosa – si scoprirà in grado di manovrarli?
E alé, pandemonio.
È un libro bizzarro, che gioca con la realtà (e con l’inconscio) per dimostrarci che sotto la superficie delle cose possono nascondersi meraviglie e mostri indicibili.
Jurgis Baltrušaitis, Il medioevo fantastico
(Traduzione di Zuliani-Bovoli)
Non mi ricordo per quale motivo, ma Il medioevo fantastico era una delle letture richieste per un esame non meglio identificato all’università. E l’ho amato molto, questo libro, anche se non dobbiamo pensare di trovarci di fronte alla limpidezza divulgativa di un Michel Pastoureau, per dire. Baltrušaitis è un po’ più contorto e puntiglioso, ma questo vastissimo saggio – pubblicato nel 1955 – continua ad essere un punto di riferimento per gli studi sull’arte gotica e sulle influenze iconografiche che ne hanno alimentato le imprevedibili diramazioni – più o meno grottesche, dall’antichità classica fino all’estremo Oriente.
Shirley Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello
(Traduzione di Monica Pareschi)
Di questo libro parlo spesso perché se lo merita. È una specie di passeggiata su un lago ghiacciato, in una bella giornata leggermente troppo calda per le medie stagionali. La narratrice è una spensierata diciottenne che vive con l’amatissima sorella e uno zio invalido nella grande casa di famiglia, in una specie di idilliaco microcosmo lontano dalla disprezzata cittadina dove ogni tanto diventa necessario recarsi a fare compere. E il resto della famiglia? Tutti morti avvelenati, sei anni prima. Chi sarà stato? Cos’è successo veramente? Che cosa ci nascondono Marty Katherine e Constance?
Mai un libro è riuscito a calibrare la tensione in una maniera così perfetta, secondo me. E mai l’orrore ha trovato il modo di mascherarsi così bene.
*
Diamine, pensavo fossero di più.
È meglio se vado a cercarmelo anch’io, qualche nuovo Adelphi da leggere.
:3
Se siete stati attenti e seduti belli dritti, saprete di certo che su Tegamini c’è una paginina con un elenco di libri ragguardevolissimi. Sono assai fiera delle mie recensioni delle cose da leggere… mi sembra di servire a qualcosa. Ecco, ma allora non passo proprio tutto il tempo a dire delle stupidaggini! Consiglio anche dei fantastici libri! Non sto qua a lagnarmi e basta, genero CULTURA. Dov’è il mio invito al party dell’Accademia dei Lincei?
Molto bene.
L’estate si avvicina, le celluliti fremono, le zanzare ci assalgono, i MOITI si moltiplicano e le pubblicità dei deodoranti impazzano – “Più sudi, più sai di fresco!”… Se qualcuno è riuscito a trasformare il sudore in freschezza me lo dica, poi, che la mia è proprio curiosità scientifica. Insieme all’eterno ritorno – su ogni genere di settimanale e mensile – dell’impraticabile e stupidissima Dieta del Gelato, in questo periodo salta fuori anche un’altra faccenda, che non si sa bene se sia vera o no. C’è questo mito che in vacanza tutti leggono perché – finalmente – hanno il tempo di farlo. Gente che non sfoglia neanche la Gazzetta al bar che, all’improvviso, sostiene di voler andare in ferie solo per spararsi un mattone di 800 pagine dopo l’altro. Vado a Ibiza coi miei amici. Niente, ci siamo io, Bomber, il Manfo, Poldino e il Lollo. Ma i culetti sodi non ci interessano. Andiamo a Ibiza per stare sul balcone a leggere il grande romanzo americano. O Guerra e pace, finalmente. Non si limonerà mai, ma sarà l’estate più bella di sempre. Ecco. Per risultare credibili, intanto che siete lì a dire delle enormità del genere, vi conviene pianificare un po’. Perché l’editoria è vasta e infida, e non potete mica telefonare a Baricco ogni volta che vi smarrite. Insomma, cosa sarebbe saggio leggere? Io non ne ho la più vaga idea, onestamente, ma posso dirvi che cosa è piaciuto a me (più o meno di recente). Allo scopo, potete andarvi pescare qualcosa dalla sempre fantasticissima Pagina Tegaminica della Suprema Utilità Letteraria o spulciare un po’ i libri che vi appiccicherò qua sotto. Ed è subito Pietro Citati.
Procedo, và, che poi avete da comprare i solari e creiamo ingorgo.
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Aleksandar Hemon
Il libro delle mie vite
Einaudi
Traduzione di Maurizia Balmelli
Aleksandar Hemon è un po’ un miracolo, secondo me. Il libro delle mie vite è un’autobiografia a racconti, è un giro nella stranissima vita di una persona che ne vede di tutti i colori. C’è l’amore, c’è lo sradicamento, ci sono mille problemi d’identità, c’è la guerra e ci sono momenti di una gioia così limpida che ti siedi in terra e dici ma perché non ci vado anch’io, a giocare a pallone al parco con degli sconosciuti. E alla fine ci si commuove profondamente e ci si dispera come ci si dispererebbe per qualcuno a cui vogliamo bene. Hemon dice le cose in una strana maniera. Se vuole parlarti, che ne so, di un cuore, inizierà dai remoti capillari che ti si rompono dietro al ginocchio. Se vuole parlarti, che ne so, di Sarajevo che cade a pezzi, inizierà dai cani che ha avuto nella vita. E si capirà tutto lo stesso. Anzi, si capirà meglio.
Vi consiglio con passione e grandi scuotimenti di pon-pon anche Il progetto Lazarus, ma vi va di lusso anche se cominciate da qui. Che poi a settembre arriva Amore e ostacoli, che sarà altrettanto mirabile. Fate riscaldamento.
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Shirley Jackson
Abbiamo sempre vissuto nel castello
Adelphi
Traduzione di Monica Pareschi
Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni.
Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.
Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?
In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire!
Se la vostra famiglia vi sembra un casino, non siete ancora andati a cena a casa Blackwood. E se il vostro paese vi sembra un orripilante covo di bastardi ignoranti e impiccioni, non avete ancora conosciuto i concittadini di Merricat e Connie.
Uno spasso, insomma.
Perché, adesso che ci penso meglio, mi è tutto più chiaro. Questo qua è un libro sulla tortura psicologica, la follia, la solitudine, l’invidia e l’emarginazione. Solo che è bello da leggere e pieno zeppo di ammirevoli ingranaggi di una precisione quasi inquietante. Che è una discrepanza che può trarre in inganno, ogni tanto. Constance e Mary Katherine vi spaventeranno a morte – mica serve un’abbazia falciata dalle intemperie per inventarsi due perfette eroine gotiche -, ma sarete ben contenti di accompagnarle a raccogliere l’insalata mentre tutto precipita, si sbriciola e si fa sempre più intollerabile. Voi, in barba al senso di minaccia incombente (giuro, non ho mai visto tanta roba che incombe come in questo libro), gongolerete. Ma è meglio se non tirate sassi.
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Anthony Marra
La fragile costellazione della vita
Piemme
La guerra in Cecenia! Repressione! Povertà! Un freddo boia! Tortura! Soldati che ti bruciano la casa! Punti di sutura col filo interdentale! Spioni! Contrabbando!
Come potete chiaramente vedere, Piemme ha cercato di buttarla un po’ sul ridere. Bei colorini in copertina, bimbe e anemoni di mare. Che poi è tutto vero, tecnicamente, ma non è che regni proprio la spensieratezza. Lì per lì non c’è molto da stare allegri, ma vi accorgerete all’istante che saranno i protagonisti – nonostante abbiano già le loro belle sfighe – a tenervi su. Sono tre figure quasi mitologiche, nella loro forza, innocenza e imperfezione. E Marra fa dei numeri non indifferenti per farci capire chi sono davvero e come siano riusciti ad arrivare fin lì. Le strade, gli eventi e le coincidenze che li portano ad incontrarsi – con tutta la conoscenza e le cicatrici che comportano – riescono a dare un senso anche alla tragedia peggiore, riordinano sentimenti e idee. Perché tutti quanti – anche quelli che somigliano di più a delle comparse – sono personaggi ricchissimi, gente che ti interessa, che vorresti sapere come sta. Oltre all’ingente partecipazione umana che suscita, questo libro bisognerebbe leggerlo anche solo per la struttura. Ci sono degli incastri meravigliosi. Ti metti lì e dici proprio ma che bello, allora è così che è andata. Forse fa anche diventare coraggiosi, questo libro.
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Philipp Meyer
Il figlio
Einaudi
Traduzione di Cristiana Mennella
Oltre ad un affascinante corso accelerato su come diventare indiani e/o trovare il petrolio, questo libro è una specie di monumento. È un’avventura epica, la storia di una famiglia lungo tre generazioni e un ritratto dell’America che cambia. È brutale, schietto, nemicissimo dei luoghi comuni e delle polpettonate auto-consolatorie e scritto in una maniera straordinaria. Le voci sono tre – il capostipite, il figlio rinnegato e l’ultima erede dell’impero – e ogni capitolo è un nuovo frammento della loro vita e, insieme, dell’epoca che abitano. Anzi, ogni capitolo è un po’ un pozzo piantato in mezzo a una di quelle pianure vastissime, con il cielo che sembra fuori scala. E in fondo ai pozzi ci sono delle anime molto pesanti, che fanno di tutto per rimanere a galla.
Bonus track: per capire meglio che cosa si prova, Philipp Meyer ha davvero scuoiato un bisonte e mangiato non so più quale organo interno della derelitta bestiona. Si è anche costruito un arco. Nulla si sa su come abbia digerito o sulla sua mira, però.
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Sylvia Plath
The Bell Jar
(questa qua è l’edizione Harper dei cinquant’anni)
Di Sylvia Plath sapevo tre cose in croce (quelle che sanno tutti, immagino), ma non l’avevo mai letta. Neanche le poesie, Tumblr a parte. Sentendomi in difetto nei confronti di Lisa Simpson, che con The Bell Jar ci si sventolava alle elementari, ho deciso di cominciare da qui. E non mi aspettavo che fosse così bello. Così “vicino” e moderno, anzi. La Plath me l’immaginavo molto più parruccona e ingessata. Un po’ aulica, pure. Sono scema io, che associo la poesia a roba che fa fare fatica. Eh, il romanzo di una poetessa, sarà un pacco. E invece no, mi è piaciuto immensamente… e mi sono anche andata a cercare i rimandi autobiografici, con la mamma che scrive all’editore che sarà un casino, se lo pubblicheranno negli Stati Uniti, e tutta la faccenda delle giovani donne super promettenti che vanno a lavorare a New York. Sono così contenta di averlo letto che non voglio farvi prendere male con la storia – “brillante studentessa cerca d’ammazzarsi e finisce in manicomio”, vedo già partire la ola -, ma vi basterà sapere che anche le tristezze più nere, se raccontate così, diventano qualcosa che vale la pena affrontare.
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George Saunders
Dieci dicembre
minimum fax
Traduzione di Cristiana Mennella
Va bene, va bene, l’avete già letto tutti. Ma lasciatemi divertire. Lasciatemi dire che io Saunders già l’avevo scoperto con Il declino delle guerre civili americane, in un momento di folle e limpida lungimiranza. Le adoro le storie surreali. Mi piacciono le meditazioni sghembe su chi siamo e su cosa desideriamo. Mi piacciono i racconti con le persone “normali” che cercano di fare del proprio meglio – finendo solo per peggiorare le cose -, mi piacciono i racconti-boomerang, coi disastri che incombono nonostante l’impegno, il coraggio e l’amore. Sarà che mi aspetto sempre che un pianoforte mi precipiti sulla testa, sarà che Saunders ha un occhio magicissimo per gli eventi minuscoli pronti a trasformarsi in valanghe, sarà che inventarsi un mondo in cui le belle ragazze indigenti si fanno appendere agli alberi come decorazioni da giardino è piuttosto interessante, insomma, non so bene il perché, ma questa raccolta è speciale, indipendentemente da quello che vi mettono nella flebo.
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Può andare?
Vi garbano?
Vi sentite meno perduti?
Stavate bene anche prima?
Leggerete sul serio?
Farete buone vacanze?
Siete pronti a giurare solennemente che no, voi il magazine di Barbara D’Urso non lo comprerete mai?
Non so come finirlo, questo post.
Spero di avervi consigliato bene. Mi siete simpatici, ecco perché nell’agile lista non c’è neanche una polpettonata tipo Il cardellino. Tante cose mediamente rapide e assolutamente folgoranti da leggere a rullo, come meritano. Che fa anche un casino autostima, leggere a rullo (voi e i vostri amichetti sul balcone di Ibiza). Insomma, spero vi divertirete. E se avete voglia di raccontare al mondo che cosa metterete in valigia, ci sono sempre i rutilanti commenti.