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Orbene, faccio parte di quella coraggiosa falange di lettrici tardive di Alba De Céspedes. Per ragioni anagrafiche non è che si potesse fare diversamente, mi viene da pensare, ma di sicuro posso accodarmi al recente movimento di riscoperta che sta interessando quest’autrice dall’indole spigolosa e dalla vita (altrettanto) romanzesca. Da dove ho cominciato? Da Quaderno proibito, che trovate in libreria per Mondadori o nel catalogo Storytel – dove l’ho ascoltato io.
Procediamo? Procediamo.

1950. Valeria Cossati compra un quaderno e comincia a usarlo per registrare gli accadimenti della sua vita. Scrive sentendosi in colpa, nascondendosi e nascondendolo, un po’ perché il tempo che dedica al quaderno è tempo sottratto ai doveri domestici e un po’ perché quello che scopre, scrivendo, è un grumo indigesto e contraddittorio di sincerità fin troppo limpide. Valeria ha di poco superato i quaranta e ha due figli grandi, un lavoro in ufficio e un marito. La famiglia la assorbe e la riassume, la definisce e la mangia, le garantisce un presente solido ma le impedisce di immaginarsi diversa… almeno fino all’arrivo di quel quaderno, comprato d’impulso e destinato a diventare l’unico posto in cui coltivare la solitudine necessaria a rimettere in moto i pensieri. Scrivere nel quaderno diventerà per Valeria un esercizio di identità, un’operazione di auto-smascheramento e di reazione autentica ai tanti urti minimi di una quotidianità fatta di automatismi, conformismi e rospi inghiottiti in silenzio.
La chiarezza che Valeria sembra raggiungere è paradossale, perché è un insieme di umanissime contraddizioni che mettono in crisi convinzioni radicate, ruoli predeterminati, aspettative di rispettabilità e costrutti sociali. Valeria è fiera di lavorare in un ufficio, ma vorrebbe non averne bisogno perché quale moglie davvero benestante (e con un marito di successo) è costretta a contribuire al bilancio domestico? È altrettanto fiera della sua indipendenza, ma quando si trova a bere il té con le sue antiche compagne di collegio – ricche – è quella vestita peggio e la più lontana dall’idea di “signora” che le piacerebbe incarnare. Vuole che sua figlia Mirella studi e sappia cavarsela da sola, ma la biasimerà spietatamente quando inizierà a fare quello che a lei è stato precluso. Rinuncia a una donna di servizio ma si sente schiacciata dalle faccende, anche se poter dire di mandare avanti la casa da sola la fa sentire indispensabile, importante, insostituibile.

È sgradevole, Valeria. Meschina, pure.
Con tutto quello che ho fatto per voi! Ho rinunciato a me stessa per permettervi di star meglio di me – ma adesso che siete diventati capaci di star meglio di me vi serberò rancore! I sacrifici! L’ingratitudine! Cosa dirà la gente? Senza di voi chissà chi sarei diventata!
Quella di Valeria è la crisi di una figura liminale ma anche la crisi di un paradigma femminile. Uno dei conflitti più significativi è potenti del libro è proprio quello con la figlia, che fa da portabandiera per una generazione “nuova” di ragazze. Valeria la ammira e la detesta, la invidia e la vorrebbe azzoppare, la guarda e si specchia nel suo fallimento, vede la gabbia che si è costruita e in cui ha imparato a sentirsi sicura e padrona. In questa perpetua sindrome di Stoccolma, Valeria incolpa i doveri famigliari della morte delle proprie ambizioni (sentimentali, economiche, materiali) ma è in quegli stessi doveri che si rifugia per sentirsi rilevante, “santa” e martire, unica e insuperabile.

Valeria è tutto quello che odio? Potete dirlo forte. Ma è anche un personaggio magnifico. Nel suo rancore, nel bisogno di far pesare come un macigno ogni gesto di cura che ha per gli altri c’è un rimpianto profondo e irrimediabile, c’è il confine invalicabile contro cui tante donne si sono schiantate, c’è la fatica di un’ingiustizia di fondo, ma c’è anche un autolesionismo deliberato, del compiacimento maligno, un gusto per il fallimento altrui che è lo specchio cattivo della propria ipocrisia. Sentitevi in debito con me, amatemi per tutto quello a cui ho rinunciato per voi, me lo dovete. E la cosa divertente – e superbamente giusta, nel senso proprio di giustizia cosmica – è che non interessa a nessuno. È una tragedia obliqua, che inizia e finisce nel quaderno.

Splendido, davvero.
Saranno anche gli anni Cinquanta, ma il conflitto tra generazioni, la difesa miope delle convenzioni, le dinamiche di famiglia, il discorso sui soldi, sul lavoro, sui ruoli, sull’ambizione e sulle “classi” sociali ha ancora parecchio da dirci. Valeria è vittima e supervillain, eroina minima e regina delle passivo aggressive, la suocera che non ci augureremmo per i nostri figli ma anche una povera illusa. Vorremmo tifare per lei… ma non lo facciamo, perché lei non tiferebbe mai e poi mai per noi. E la ruota continua a girare.

Cixin Liu e Il problema dei tre corpi ascoltabile su Storytel o in libreria per Mondadori con la traduzione di Benedetta Tavani – ci incoraggiano a maneggiare un notevole quesito esistenziale: si può apprezzare moltissimo un libro anche se abbiamo l’impressione di non averci capito una mazza? Ho deciso di sì.
Primo tomo di una trilogia che sfida i limiti della materia, dello spazio e anche dei nostri quattro neuroni ancora funzionanti, Il problema dei tre corpi diventerà fra qualche mese una serie Netflix e si confronta con un domandone che si colloca all’intersezione tra scienza e filosofia: SIAMO FORSE SOLI NELL’UNIVERSO? Corollario: che succede se si scopre che soli non siamo?

Stasera in tv Contact di Robert Zemeckis, con Jodie Foster e Matthew McConaughey — Mondospettacolo

La domanda è un po’ la stessa di Contact, un film che è piaciuto solo a mio padre – che si riguarda pure Interstellar due volte a settimana. Ai comandi del radiotelescopio di Arecibo troviamo una volenterosissima e appassionata Jodie Foster, sostenuta da un Matthew McConaughey palesemente troppo aitante per interpretare un teologo capace di edificare un solido ponte tra scienza e fede. Discorrendo della strutturale solitudine cosmica del genere umano, ripensano a quante galassie ci sono, quanti soli circondati da pianeti ancora non conosciamo, quanto è vasto l’universo e approdano a un NON POSSIAMO ESSERE SOLI, SAREBBE UNO SPRECO DI SPAZIO. Poi limonano, mi pare.

Cixin Liu si rifiuta di ricorrere a simili mezzucci, ma ci spappola le sinapsi con un epico intrigo su più piani narrativi che, dalla Cina della Rivoluzione Culturale, segue l’accidentato percorso di una scienziata bollata come Pericolosa Dissidente e mandata in esilio in una base militare segreta. Non ci fidiamo di te, scienziata, ma abbiamo giustiziato tutte le altre grandi menti che potrebbero aiutarci nel progetto Costa Rossa, quindi ti muriamo per un paio di decenni in questo avamposto sperduto e vediamo come gestire questa fastidiosa faccenda della scarsa devozione al sistema.
Quello che si fa davvero alla base Costa Rossa (dotata di un’immane parabola puntata verso gli abissi dello spazio) emergerà gradualmente, mentre il diabolico Cixin Liu ci traghetta verso un vicino presente pieno di studiosi che si ammazzano (sopraffatti dall’enormità dei fatti) e di gente che si infila tute matte per cimentarsi in un videogioco immersivo, ambientato su un pianeta vessato da condizioni estreme e da un’instabilità invalidante. CHE COSA DIAMINE STA ACCADENDO.

Non sono nelle condizioni di commentare l’accuratezza scientifica dell’impianto argomentativo di Cixin Liu, ma la sua straordinaria ambizione ha del prodigioso e il romanzo, nel complesso, funziona anche per noi che non abbiamo un dottorato. Una lunga tradizione di film catastrofici ci insegna che gli alieni vogliono solo spazzarci via, ma una fantascienza meno crudele ci ha anche esortati a stabilire un contatto, inseguendo un’idea di trascendenza che colma la sterminata solitudine galattica. Su una scala tra Spielberg e Independence Day, Cixin Liu sceglie un posizionamento interessante: immagina che i dilemmi etici ammorbino anche le civiltà aliene e ci mette nelle condizioni di “combattere” ad armi non proprio pari ma paragonabili, almeno in un’ottica di lungo periodo. Il terreno di gioco è la manipolazione della materia, la capacità di comprenderne il potere invisibile, lo slancio del progresso, ma anche quanto ci riteniamo degni di sopravvivere, di occupare meritatamente quello “spazio” così raro e prezioso.

Ani e Bianca si sono avvicinate per rendere più sopportabile il presente e per ricostruire un’idea di famiglia, in un posto dove si arriva spogliate di legami pregressi, identità e futuro. Sono raccoglitrici di sale, prigioniere di un gigantesco campo di lavoro in cui centinaia di altre donne “indesiderabili” (e pericolose per il rigido ordine pubblico del regime) si spaccano la schiena in un susseguirsi di giorni sempre uguali, guardate a vista da guardie armate e private di ogni prospettiva di fuga, cambiamento, libertà.
Fuori si sta peggio, si sentono ripetere. Qui almeno si mangia e abbiamo un tetto sopra la testa. Non siamo nessuno, ma siamo vive. E provvediamo all’approvvigionamento dell’unica risorsa energetica ancora disponibile… quale onore più grande può esistere? Rese inermi dalla fatica estrema e anestetizzate dalla paura, le donne del campo vivono in un limbo che cancella il tempo, piega la volontà e distorce la realtà… ma Ani e Bianca non hanno mai smesso di domandarsi cosa resti del mondo oltre i confini di quella prigione. E sarà la loro alleanza – sghemba come il loro modo di stare insieme, nonostante le differenze – a cambiare tutto e a spalancare nuovi scenari: si muore davvero quando si smette di sperare nella possibilità di cambiare le cose.

Non voglio spoilerare, perché meritate pure voi di godervi in santa pace i numerosissimi colpi di scena di Brucia la notte di Tiffany Vecchietti e Michela Monti – in libreria per Mondadori e in audiolibro su Storytel. Qualche tema lo nominerei, però.
Ci sono ragazze guerriere, ragazze rancorose, ragazze potenti e ragazze che si organizzano in nuovi modi antichissimi. Ragazze sradicate che resistono e provano a ripartire da un’idea di collettività che cerca di tornare umana, amica delle differenze e attraversata da prodigi insperati. C’è un’Italia “alternativa” e un’Italia leggendaria e mistica. È una storia che indaga il potere del pensiero – e la relazione ambivalente tra pensiero, autorità e comunità. È una storia di rivoluzione e di quanto “costa” credere in un’idea – o accettare quel che c’è scegliendo il silenzio. Che Bianca non stia mai zitta non è una coincidenza… e che Ani dica invece così poco – ma veda moltissimo – nemmeno. Spero le accompagnerete nel viaggio. Sarà lungo e difficile… ma tra strighe bisogna darsi una mano.

Di primo acchito, Clara legge Proust di Stéphane Carlier – tradotto da Ilaria Gaspari per i Supercoralli Einaudi – potrebbe sembrare un romanzo dell’ormai consolidato filone “piccola bottega in cui si approda un po’ a caso finendo però per trovarci il senso della vita grazie alle gioie sincere delle cose semplici e della gente tanto carina e piuttosto eccentrica che fa avanti e indietro” ma non siamo in Giappone e Clara, la protagonista, si è quasi già rotta le palle della piccola bottega in cui lavora. Le francesi di 23 anni funzionano diversamente dalle coetanee giapponesi che tanto volentieri importiamo, forse. La piccola bottega di Clara è un saloncino da parrucchiera di una cittadina come tante e lei passa le giornate ad acconciare chiome con discreta maestria ma senza particolare emozione o slancio. Tutta la sua esistenza gira un po’ così: un sereno tran tran che potrebbe proseguire immutato fino alla tomba – e nulla di male ci sarebbe, a patto di soffocare qua e là gli sbadigli. Clara intuisce un vago baratro esistenziale, ma tutto sommato le pare di cavarsela bene e non trova concrete ragioni per lamentarsi o per ambire a chissà quali sterzate nell’avventuroso ignoto.

Serpeggia insomma un’insoddisfazione blanda ma caparbia e le giornate si srotolano sempre uguali, con le chiacchiere tra una permanente e l’altra e le storie minute delle clienti. Un bel giorno, però, uno sconosciuto entra per farsi tagliare i capelli e si dimentica al salone il primo volume della Recherche di Proust. Clara non è una gran lettrice, ma si mette il libro in borsa e lo lascia a stagionare su uno scaffale di casa per qualche mese, senza badarci. JB, il suo aitantissimo fidanzato – per giunta pompiere -, è lì lì per usarlo come fermaporte, ma pure quella pare una decisione troppo ardita nel sonnecchioso ménage domestico. Un bel giorno 2, però, Clara piglia il libro e comincia a leggere… e MAGIA DELLA LETTERATURA tutto cambierà per sempre.

Il “risveglio” di Clara passa attraverso la lettura di un tomo multiforme, vasto e di difficile descrizione. Alla ricerca del tempo perduto credo sia in cima alle classifiche delle opere che fingiamo d’aver letto per darci un tono e per posizionarci fra i colti e i sapienti, ma l’unico moto di vera sincerità di Carlier – in un romanzo altrimenti MOLTO volpino – è l’assenza assoluta di barriere all’ingresso all’opera di Proust. Clara non si domanda se sarà capace di leggerlo, non si preoccupa di confrontarsi col Mostro Sacro, non ha nessuno da impressionare o nessuna prova d’intelligenza che le preme superare. Si siede lì e comincia a leggere, saltando probabilmente anche le 54 prefazioni che di solito accompagnano ogni edizione della Ricerca. Legge di gusto e per il gusto di percepire i personaggi come esseri umani suoi pari, in una bolla che per lei si dimostrerà rivelatoria e lontanissima da sovrastrutture o ansie da proiezione.

Io non ho ancora letto Proust e non so quanto Clara abbia scatenato in me desideri di emulazione. Ma sono contenta per lei, perché il suo approccio – anche al libro “difficile” per definizione – è molto sano. Clara legge Proust è una storia breve e piacevole, che forse si contraddice anche un po’, nonostante Clara non sia affatto spocchiosa: c’è un intento edificante, c’è l’idea antica della lettura che nobilita… e quest’idea “migliorativa” della lettura sottintende una certa gerarchia. O magari sono io, che non ho letto Proust e continuo a sentirmi in difetto… senza essere nemmeno capace di farmi la piega con disinvoltura.

[Segnalazioni pratiche di fruizione: su Storytel – dove l’ho ascoltato io – la lettrice che legge a voi Clara che legge Proust è Ilaria Gaspari, che ha tradotto il romanzo].

Il primo approccio con Georgette Heyer ha prodotto del sano svago e, come molti miei esperimenti, è passato per Storytel – lì lo trovate letto da Claudia Cassani, ma potete anche reperirlo nel catalogo Astoria. Heyer è nata nel 1902 ed è scomparsa negli anni Settanta, lasciandoci una nutrita eredità letteraria che probabilmente verrà saccheggiata a scopi televisivi quando anche l’ultimo rampollo del Bridgerton-verso convolerà a (giuste?) nozze. I suoi libri più fortunati sono ambientati nei salotti buoni dell’Inghilterra regency e, come vuole il canone, son pieni di signore linguacciute, nobiluomini che tornano inzaccherati dalla caccia e cameriere a cui affidare confidenze potenzialmente indecorose. Tutto questo è presente in Una donna di classe? Decisamente sì. E con un discreto piglio.

In questo caso specifico, ci trasferiamo a Bath insieme alla signorina Wychwood che, ricca sfondata e stufa marcia di sorbirsi cognata, nipotini e un fratello maggiore che la tratta con asfissiante paternalismo, decide di fare i bagagli e traslocare nella dimora cittadina di famiglia. Per non destare scandalo – CIELO, UNA VENTINOVENNE NON ANCORA MARITATA CHE VIVE SOLA! – le appioppano una cugina pedantissima come dama di compagnia, ma l’allegra brigata è destinata ad allargarsi. Lungo la strada per Bath, infatti, Lady Wychwood si imbatte in una carrozza in panne (espressione non adatta all’epoca, ma rende l’idea) e si sorprenderà più che disposta ad assistere i passeggeri appiedati, una ragazza in fuga e il suo riluttante accompagnatore…

Lady Wychwood troverà l’amore o finirà per cavarsela più che bene anche da “zitella”? Quante signore cadranno vittima di letali infreddature? Come si annoda una cravatta? Perché si offendono tutti con così tanta facilità? Mi sono divertita? Direi di sì, anche se a tratti è estremamente ridondante – quante volte dobbiamo ricapitolare una disavventura o un legame di parentela? Mille, forse. Nonostante certe lungaggini, però, è un libro piacevolmente arguto e trito al punto giusto da risultare rassicurante. A Bath non c’è l’Esselunga, ma all’inesorabile “marriage plot” non si scappa.

Sono in difficoltà. Anzi, fatico ad elaborare un parere razionale PERCHÉ SONO TUTTI INTOLLERABILI. Mi capita raramente, ma ogni tanto capita. Un personaggio solo si salva – e ho a più riprese cercato di gridargli SCAPPA ANIMA BELLA TU PUOI FARCELA ALTROVE, pur sapendo che non poteva sentirmi. Il tema è spinoso ma non sconosciuto da queste parti: Quello che non sai di Susy Galluzzo – che ho ascoltato su Storytel ma che trovate anche in libreria per Fazi Editore – è una storia di maternità e di assimilazione difficoltosa del ruolo. Ci sono responsabilità enormi che andrebbero rette insieme ma che finiscono solo per alimentare dei grandi dossier immaginari del “te l’avevo detto”, c’è il tema di un distacco impossibile perché c’è la paura di non servire più, c’è l’adolescenza e c’è l’abitudine orrenda di misurare col bilancino quanto ci si vuole bene, quanto si fa per la famiglia e a quanto si rinuncia – e non perché ci fa felici, ma per avere abbastanza elementi da rinfacciare alla controparte.

Il nostro punto di vista è quello di Michela, ex cardiochirurga di sopraffino talento che ora fa la mamma quasi a tempo pieno e deve gestire sostanzialmente per conto suo – perché suo marito Aurelio è ancora un medico impegnatissimo – una figlia protoadolescente “difficile”. Leggiamo quello che Michela sceglie di affidare a una specie di diario scritto per la madre, ormai scomparsa da una quindicina d’anni ma ancora ben viva nella memoria e snodo fondamentale della vicenda.

Tutti, qua, vivono gestendo un rancore invalidante.
Michela e sua figlia sono intrappolate in una simbiosi che soffoca entrambe e che si incrina sul tramontare dell’infanzia, lasciando la madre alle prese col vuoto e con una serie di gelosie meschine e la figlia sempre più avviluppata in rituali compulsivi e scatti d’ira. Michela non ne pare consapevole, ma sta facendo penitenza. Ilaria paga altrettanto involontariamente il fatto di non corrispondere alle aspettative, trasformandosi anche nel ricordo perenne di un grande abisso.L’evento che scatena una reazione a catena di scenate, aggressività e ostilità asfissianti è una macchina che arriva e sta per mettere sotto Ilaria, mentre Michela resta a guardare senza muovere un muscolo – pur avendo ampio margine per intervenire. Da lì e tutto finito, non c’è meschinità o colpo basso che si risparmino.

È un romanzo davvero indigesto ma potente – sarà anche l’ottima lettura di Teresa Saponangelo, che resta espressiva ma ben calibrata – da cui si riemerge quasi con disgusto, perché contrasta ogni immagine felicemente stereotipata e ci proietta invece in una dinamica basata sul risentimento e sull’impotenza, sul senso di colpa e sul bisogno asfittico di controllare tutto per non rischiare di tornare più in un angolo molto buio. Non lo so, forse funzionerebbe meglio se le circostanze di Michela non fossero così estreme, peculiari e fin troppo ben apparecchiate per utilizzare il trauma come spiegazione “plausibile”. Nell’essere tremendo e claustrofobico, però, è anche un romanzo spericolato e pieno di pietà, nonostante le numerose ruvidezze e la generosa distribuzione di situazioni iperboliche.

Ho sempre avuto il terrore delle storie radicate nell’infanzia perché trovo inevitabile fare paragoni sciocchissimi e immotivati con l’infanzia che ho avuto io – a volte ci si sente in difetto e, ben che vada, ci si sente banali. Ora che ho dei figli è ancora peggio, perché insieme alle menate che riguardano me arriva anche la proiezione futura di quello che di me potrebbero pensare i miei bambini, una volta cresciuti (ma pure ora). Ci si chiede costantemente se quel che facciamo va bene, se è sufficiente a garantire loro serenità, pace, salute e allegria. Crescere delle altre persone espone a un genere di fallimento irrimediabile e, soprattutto, imprevedibile. Quel che ci segna non è governabile e sovrasta ogni buona intenzione di partenza, sia nel bene che nel male. Nulla è innocuo ma tutto è vita e, prima o poi, si farà ricordo. La mia unica ambizione è essere ricordata come una presenza benevola, come un essere umano che si frequentava volentieri e con fiducia, indipendentemente dagli obblighi di parentela.

Ho detestato e invidiato Guadalupe Nettel per la sua tersa lucidità, per il modo in cui ha saputo rievocare lo scheletro dell’infanzia – pur avendone vissuta una disparatissima dalla mia, cerotto sull’occhio “pigro” a parte – e per la serenità antica con cui mostra di aver digerito le umanissime manchevolezze di chi l’ha cresciuta. Il corpo in cui sono nata – in libreria per La Nuova Frontiera con la traduzione di Federica Niola – è un memoir che parte da un “difetto” corporeo per farsi storia di formazione solitaria e ostinata, è la storia di una bambina sballottata che sembra vedersi sempre “da fuori” e che mai dispone al momento giusto delle informazioni vitali per decifrare quel che le capita.

Sono figlia e sono stata bambina, sono madre e non sarò mai Nettel e quel che si trova qui è un grande miscuglio di identità in flusso. A fare da sfondo c’è un’epoca non lontana che assume però una rilevanza per me relativa, perché i legami di prossimità creati dal prendersi cura di qualcuno – indipendentemente dal sangue – sono un assoluto. Quel che succede, anche, è il bisogno di interrogarsi sull’attendibilità della memoria, sul potere irriducibile del filtro del tempo e della nostra capacità di sopravvivere all’avverso o alle felicità che non sappiamo contenere. Nettel si domanda, a un certo punto, cosa può saperne lei di quel che le è successo davvero. Sembra un paradosso, ma è lì che incappiamo nei mostri che vale la pena temere: in quel dubbio c’è la consapevolezza di non poter ambire a una giustizia assoluta, a una verità impossibile da smentire. Siamo quello che ci ricordiamo… e ricordiamo a sentimento, per accumulo di reazioni e certezze che maturiamo in un dato istante con gli strumenti che abbiamo lì per lì a disposizione.

Raccontarsi nell’infanzia è un esercizio spietato e gioioso, perché si rimaneggia col senno di poi quello che a lungo è risultato misterioso. Lo si fa quando non c’è più nessuno che si occupa di omissioni atte a proteggerci o quando ci si rende conto che quella protezione non ci occorre più – perché abbiamo sviluppato un’utile armatura… o forse perché abbiamo deciso di far tutto esponendoci al peggio, nella convinzione di aver già saputo sopportare molto. Nettel sceglie una protezione minima e, nel coraggio drittissimo di quel che sceglie di condividere, c’è la grande libertà di riconoscersi carenti, inattendibili, persi. Come figli, genitori, ricordi.

“Regala un libro che non sbagli mai”: MADORNALE ERRORE, TRAGEDIA, MENZOGNA!
Donare un libro è potenzialmente meraviglioso, ma bisogna metterci del doveroso impegno e lasciarsi pervadere dalla nobile necessità di assecondare – o almeno di intuire – gli interessi altrui. È anche un po’ per favorire questa sana ricerca di argomenti e aree di curiosità che, specialmente a Natale, tendo a procedere per temi ben riconoscibili. Quando si può, provo anche a individuare delle edizioni “importanti”, perché mi preme farvi fare doppiamente bella figura. Ma guarda, questo libro è perfetto per me ed è pure MAGNIFICO a vedersi! Ecco, non sempre si arriverà a quest’intersezione eccellente tra contenuto e involucro – che poi è anche un po’ la definizione condivisa di “strenna” – ma vale la pena tentare.
Altre note metodologiche? Non necessariamente troverete solo novità freschissime – perché i libri, per nostra fortuna, non scadono. Sì, i link puntano ad Amazon – ma se non vi va di comprare lì e di convogliare ESORBITANTI % di affiliazione nella mia direzione potete felicemente segnare tutto e rivolgervi alla vostra libreria preferita.

Procediamo?
Procediamo, che queste premesse non ha mai voglia nessuno di leggerle.


Giampaolo Barosso
Dizionarietto illustrato della lingua italiana lussuosa

Elliot

Gramolazzo! Caccugnare! Lampasco! E suppergiù altre 2000 voci qui collezionate, spiegate e commentate con sagace ironia e un autentico gusto per la stravaganza linguistica.
Per chi coltiva una vivace passione per la lingua italiana ma – grazie al cielo – è immune da pretenziosità e parrucconerie.


Jenny Uglow
Il libro di Quentin Blake
L’ippocampo
(Traduzione di Paolo Bassotti)

Uno splendido compendio per immagini della carriera e della vita professionale (e non) di uno degli illustratori più amati della galassia tutta, dagli esordi al sodalizio leggendario con Roald Dahl.
Per chi ha voglia di curiosare nell’archivio di un artista che ha profondamente popolato il nostro immaginario, accompagnando le storie della nostra infanzia con estro e accuratissima crudeltà. 🙂


James Mottram
Jurassic Park – The Ultimate Visual History
Insight

Inaugurata nel 1993 da Spielberg – su materiale romanzesco di Michael Crichton – la saga di Jurassic Park ci ha accompagnato in varie vesti fino a pochi mesi fa, con il terzo e ultimo capitolo dell’inevitabile reboot che tocca a tutti i prodotti di successo delle nostre infanzie. Questo volume – che fa parte del catalogo favolosamente pop di Insight – è una gloriosa cronaca del backstage del primo film e chiude simbolicamente il cerchio ospitando anche i contributi di Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum, oltre a una valanga di fotografie inedite e “documenti” di lavorazione.
Per chi ama i libroni dedicati al cinema e continua a non accettare i dinosauri con le piume. Sì, vi sto specificamente segnalando l’edizione originale in inglese.


Omero
Odissea
Blackie Edizioni
(Traduzione di Daniel Russo)

Blackie inaugura con questa prima illustrissima uscita il suo filone dei “Classici Liberati” AKA un progetto che ambisce a conciliare rigore filologico e accessibilità, riconsegnandoci i testi fondanti della nostra cultura in una chiave ad alto tasso di godibilità, senza sminuirne la profondità o semplificarne la portata. Come si fa? Ottima domanda. Blackie si affida qui alla traduzione di Daniel Russo, basata sulla versione in prosa di Samuel Butler – celeberrima per la sua eleganza e leggibilità – e a un impianto iconografico giocoso e puntuale, senza tralasciare annotazioni e commento.
Per chi a scuola ha sofferto ma vuole rifarsi, per chi già ama i classici e vuole continuare coltivarli.

Bonus track: Daniel Russo che parla del lavoro sull’Odissea chez Tienimi Bordone.
Bonus track inevitabile, visto che parliamo di Blackie: il famigerato (e regalabilissimo) quaderno dei compiti delle vacanze per adulti c’è anche quest’inverno.
Bonus track correlato, visto che abbiamo tirato in ballo un libro “interattivo”: era uscito quest’estate per accompagnarci sotto l’ombrellone, ma i casi da risolvere di Scena del crimine continuano ad essere una valida idea per chi apprezza gialli e rompicapo.


Janina Ramirez
Divine – 50 storie meravigliose di dee, spiriti e streghe
Nord Sud Edizioni

Dalle valchirie a Medusa, da Rangda a Venere, un’indagine splendidamente illustrata sul rapporto tra femminilità e trascendenza. Il libro cataloga le sue cinquanta “dee” per aree tematiche – Guida e governo, Nuova vita, Morte e distruzione, Amore e conoscenza, Natura e animali -, passando in rassegna le mitologie e la storia di un ampio ventaglio di popoli e culture.
Per chi sta costruendo una biblioteca femminista, per le fattucchiere del vostro cuore e per chi apprezza leggende e folklore.


Barbara Sandri & Francesco Giubbilini
Progetto grafico di Camilla Pintonato

Il gallinario
Quinto Quarto

Dunque, vorrei in realtà segnalarvi Quinto Quarto in blocco, ma uso questa esaustiva enciclopedia delle galline come testa di ponte. Non so cosa ci sia nelle scelte grafico-visuali di Camilla Pintonato, ma questo libro mi mette addosso una serenità indescrivibile – e il serraglio è in via d’espansione, pure. Volete dedicarvi agli ovini? Perfetto, c’è Il pecorario. Vi piacciono i maiali? Ottimo, c’è Il porcellario.
Per chi sogna di governare una fattoria ma sta in 34mq a Milano e per chi ama la saggistica zoologica ben illustrata (in tutti i sensi).


Jean Giono (con le illustrazioni di Tullio Pericoli)
L’uomo che piantava gli alberi
Salani

Una caparbia impresa solitaria – portata avanti con l’unico intento di far tornare a vivere un territorio disgraziato – che non smette di scaldare il cuore e di generare edizioni stupende. Qui il testo di Giono è accompagnato dalle illustrazioni di Pericoli, che si trasformano in una sorta di narrazione parallela – con tanto di musica da ascoltare grazie a un QR.
Per chi non abbandona la speranza e crede ancora nel potere della generosità disinteressata.


Cecily Wong & Dylan Thuras
Food Obscura – Guida alle meraviglie gastronomiche del mondo
Mondadori
(Traduzione di Manuela Faimali e Teresa Albanese)

La versione gastronomica del beneamato Atlas Obscura promette di condurvi ai quattro angoli del globo alla scoperta dei cibi e delle specialità più intriganti.
Per chi ama viaggiare, sperimentare mangiando ed esplorare luoghi insoliti.


Craig A. Monson 
Suore che si comportano male
Il saggiatore

(Traduzione di Luisa Agnese Della Fontana)

Geniale copertina che rende omaggio a Cronaca Vera e contenuto di raro rigore storico, per quanto si parta da premesse indocili e riottose. Scandagliando registri e una vasta documentazione d’archivio, Monson costruisce qui una hall of fame delle monache italiane che fra il XVI e il XVIII secolo cercarono di ribellarsi – talvolta violentemente – alle imposizioni di una vita che non avevano scelto.
Per gli spiriti liberi di ogni tempo, per chi mal tollera soprusi e costrizioni, per chi ama la saggistica storica più spigliata.


Comics & Science – Vol. 1 e 2
A cura di Roberto Natalini e Andrea Plazzi
Feltrinelli

I due volumoni di Comics & Science raccolgono l’immenso lavoro divulgativo portato avanti dal 2012 dal CNR in collaborazione con una folta schiera di straordinari fumettisti italiani. Le storie sono in precedenza uscite in fascicoli tematici ma trovano qui per la prima volta una dimora “complessiva”… e il risultato è davvero magnifico. Dalla matematica all’esplorazione spaziale, dalle scoperte informatiche al collasso delle stelle, il disegno incontra la ricerca per farsi accessibile, divertente, chiaro e limpido.
Per chi impara meglio quando se la spassa, per chi studia volentieri e per chi vuole capire meglio il presente per riuscire a intravedere il futuro.


Michael Leader & Jake Cunningham
Ghiblioteca – La storia dei capolavori dello Studio Ghibli
Magazzini Salani

Tornerei volentieri a rimpolpare il filone “backstage del cinema” con questa enciclopedia (necessariamente) illustrata della filmografia pluridecennale dello Studio Ghibli. Un eccellente tour guidato che approfondisce prodezze tecniche, significati e fonti d’ispirazione, da Totoro alla Città incantata.
Per chi ama Hayao Miyazaki, l’arte e l’animazione giapponese.


Francesco Costa
California
Mondadori

Che cosa sta succedendo alla California? Come è possibile che uno stato che produce così tanta ricchezza e sul quale abbiamo riversato così tanti sogni stia diventando un posto in cui si campa fondamentalmente male? Costa torna alla sua specialità – gli Stati Uniti del nostro presente – per cercare di districare una matassa di non facile interpretazione.
Per chi ascolta Morning con trasporto, per chi si interessa di macro-fenomeni “esteri” che riguardano pure noi (più del previsto) e per chi sta combattendo col mercato immobiliare delle nostre grandi città.

Bonus track a tema Costa-Il Post: la collana delle Cose spiegate bene co-prodotta con Iperborea è arrivata ormai al quarto volume. Se fra i destinatari dei vostri doni c’è chi vorrebbe approfondire il funzionamento della filiera editoriale o le droghe, la giustizia e le questioni di genere, dateci un occhio.


Mervyn Peake
Gormenghast – La trilogia
Adelphi

(Traduzione di Anna Ravano e Roberto Serrai)

Descrivere Gormenghast è un problema. Ci ho provato qui, partendo dal primo libro della trilogia. È un’opera folle, labirintica, terrificante e superba che non somiglia a niente e reinventa molto di quello che può risultarci noto. Adelphi, con uno slancio di notevole coraggio, ha deciso di far convergere i tre atti di Gormenghast in un unico volume che immagino possa tornarvi utile anche come elemento architettonico per edificare il vostro personalissimo torrione maledetto.
Per chi non teme nulla – e fa male -, per chi vuole revisionare completamente la sua idea di gotico, per chi ama i gatti bianchi in grandi quantità.


Alex Johnson & James Oses
Una stanza tutta per sé – Dove scrivono i grandi scrittori
L’ippocampo

Da Jane Austen a Paolo Cognetti, un’indagine illustrata sugli spazi creativi di chi amiamo leggere da tempi più o meno recenti. Ogni stanza è raccontata da Johnson e illustrata sapientemente da Oses, per dar vita a una grande residenza collettiva abitata da penne illustri.
Per chi legge volentieri storie e romanzi ma vuole anche sapere meglio da dove arrivano.

Corollario: se il titolo vi suscita moti d’amore per Virginia Woolf, c’è anche Stanze tutte per sé, che si concentra sulle dimore più significative per il gruppo Bloomsbury degli anni Venti (Edward e Vita Sackville-West in testa).


Valentina Divitini
Leggere i tarocchi – Una guida e molte idee per esperti e principianti
Magazzini Salani

Una guida lontana dal nozionismo per scacciare le diffidenze e padroneggiare uno strumento di ragionamento alternativo, tra immaginazione e simboli condivisi. Ne avevo parlato anche qua e vi incoraggio ad approfondire, se serve. 🙂
Per chi intuisce il fascino delle storie e vuole provare a farsi le domande giuste.

Bonus track illustre: Dizionario dei simboli di Juan-Eduardo Cirlot.


Gribaudo
La collana Straordinariamente

Vi fornisco un link approssimativo, ma sappiate che la collana Straordinariamente – popolata da questi volumi di grande formato dalla grafica di copertina assai riconoscibile – contiene suppergiù ogni branca dello scibile umano. Che vi interessiate di Black History o di medicina, di economia o di Sherlock Holmes, è assai probabile che ci sia un tomo per voi. L’idea di base è quella di rispondere ai quesiti fondamentali di una determinata “materia”, sviscerandone i casi esemplari e sintetizzando in maniera accessibile e graficamente vispa le curiosità e i fenomeni più rilevanti.
Per chi ama gli approfondimenti “verticali” e vuole umiliarci a Trivial Pursuit.


Nicolas Guillerat & John Scheid
Infografica della Roma antica
L’ippocampo

Tutte le volte che compilo questi listoni mi trovo a esclamare “diamine, stai mettendo troppi libri dell’Ippocampo!”. Ma come si fa? Sono perfetti per queste circostanze. Beccatevi dunque anche la storia di Roma raccontata per prodezze a base di data-visualization – dagli eventi bellici all’organizzazione della res publica, dall’economia ai divertimenti popolari. Se l’approccio vi affascina, i medesimi curatori hanno sfornato anche l’Infografica della Seconda Guerra Mondiale.
Per chi apprezza un approccio innovativo alla ricostruzione storica e per chi già vuol bene ad Alberto Angela.


Seymour Chwast & Steven Heller
Hell – Guida illustrata agli inferi
Corraini

Va’ all’inferno! …sì, ma quale? Ogni cultura ha il suo, ogni cosmogonia ne ha immaginato uno, per non parlare dell’arte, della letteratura e delle religioni. Questa agile guida illustrata ci accompagna alla scoperta delle dimensioni infernali più emblematiche, tra ustioni e supplizio eterno.
Per chi ci finirebbe volentieri, perché si vocifera che la compagnia sia interessante.

Bonus track: per un approccio meno pop ma di sconfinato fascino e abissale terrore, ecco il catalogo di Inferno, la ragguardevole mostra del 2021 ospitata dalle Scuderie del Quirinale. 


Altre idee inerenti all’universo libresco-editoriale? Eccoci.

La Revue Dessinée Italia

È un progetto indipendente che “adatta” al nostro contesto l’omonima rivista francese e che ha ben debuttato quest’anno con i primi tre volumi – ricevendo anche il premio Gran Guinigi di Lucca Comics come miglior iniziativa editoriale del 2022. Esce ogni tre mesi, non s’avvale di pubblicità e ogni numero è frutto della collaborazione tra giornalist* e artist*. Il risultato è una raccolta di reportage, rubriche e inchieste a fumetti “multidisciplinari” che affrontano temi d’attualità e offrono un punto di vista critico su molte magagne o fenomeni rilevanti del presente.
Si possono acquistare qua i singoli numeri, abbonarsi o donare un felice abbonamento 2023.

Donare un abbonamento vi pare un’idea saggia? Concordo e vi rammento dell’esistenza di Storytel – scegliendo una gift-card che copre periodi medio-lunghetti c’è anche un buon margine di sconto.


Treccani Emporium

Treccani Emporium si presenta come “il negozio online della cultura italiana”… e se non scelgono loro una definizione adatta non so francamente chi mai potrebbe farlo. 🙂
Oltre alle proposte editoriali di Treccani troverete anche una selezione di oggetti di design e alto artigianato e una nutrita linea di cartoleria basata proprio sulle definizioni.


Altre risorse utili già pubblicate? Perché no. 
Ecco qua la lista natalizia del 2021.
E la lista del 2020.
Questa, invece, è la lista dello scorso anno dedicata ai bambini e alle bambine.
Vi rammento anche l’intera categoria Libri, che male non fa.
Per spiccati interessi naturalistici, vi rimando volentieri al catalogo di Aboca – qua c’erano i percorsi di lettura che avevo individuato qualche tempo fa e che ho aggiornato dopo il debutto della collana Kids.
Per un colpo d’occhio rapido, ecco la vetrina Amazon – segnalo in particolare la sezione degli atlanti e la grande sezione delle strenne. Sempre lì, parecchi spunti anche per l’infanzia.

Felici doni libreschi a voi! 🙂

Partirei con un piccolo cappello introduttivo da ascoltatrice dell’audiolibro – se vi interessa sentirlo, lo trovate su Storytel.
Ho scoperto che i suoni che appartengono alla vasta famiglia ASMR risultano più gradevoli ed “efficaci” in base alla struttura del cervello dei potenziali riceventi. Io, per dire, non traggo giovamento alcuno dall’ASMR – anzi, mi fa venire il nervoso -, ma mi sintonizzo a meraviglia sull’onda sonora di Daria Bignardi che legge le sue cose. Sto gradualmente ascoltando tutto quello che trovo di suo perché, oltre a garbarmi mediamente molto quello che scrive, la trovo piacevolissima da sentire. Calma, calorosa, pacata ma non pallosa, lieve e garbata. Così, ci tenevo a sottolinearlo perché sono convintissima che il “successo” di un audiolibro dipenda anche da chi lo legge e da come lo si legge. 

L’evento cardine, in Non vi lascerò orfani, è la scomparsa della madre. Una morte meticolosamente ripercorsa che serve però da spunto per un allargamento dell’orizzonte – e forse anche della prospettiva e dei punti di riferimento, muovendosi nel territorio accidentato dei legami più stretti, di quell’ingombranza difficile (e qualche volta felice) che si portano dietro i vincoli di famiglia.
Nella perdita, Bignardi si scopre parte di un vorticoso sistema solare di relazioni, parentele e storie, attitudini disparatissime e conflittuali, ansie tentacolari e invadenze che non sempre si son potute interpretare come sani impulsi di protezione. C’era già tutto, chiaramente, ma per mettersi a raccontarlo serve talvolta una cesura netta, un evento rivelatorio, una vita “importante” che tramonta, lasciandoci a gestire quel che rimane.
Permettendo alla perdita di attraversarla, Bignardi tratteggia il paesaggio quotidiano della sua condizione di “figlia”: un lessico famigliare divertito e malinconico, che la distanza e una fisiologica pulsione d’indipendenza hanno saputo rendere meno intransigente.
Si può ricordare “bene” una madre accogliendone i limiti, tenendoci vicino tutte le difficoltà che ci ha buttato addosso perché non sapeva fare diversamente. Si cresce grazie a una serie di rinforzi positivi, sembra dirci questa storia, ma si cresce anche in opposizione a quello che ci è stato riservato. Ma si cresce, nostro malgrado. E, qualche volta, lo sguardo che va affinandosi nel tempo ci permette un’indulgenza che non sospettavamo di possedere – e che ci fa bene, nonostante quello che si è passato insieme.