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Non saprò far fare i salti ai sassi sul pelo dell’acqua, ma sono bravissima ad andare in giro.
C’è della gente che torna da qualsiasi tipo di esperienza gitesca con bagagli pieni di traumi, polemiche, recriminazioni e rimpianti… ma io no, zampetto felice mangiando ghiaccioli fotonici e mi guardo ben bene dal lamentarmi, anche se non mi porto mai i vestiti che davvero servirebbero e le giornate finiscono nel disagio della cecità, con le lenti a contatto croccanti e piene di polvere.
Ma chi se ne importa, vagare è un talento, c’è da essere capaci e ci vuole tutta un’indole.
Visto però che vantarsi a vanvera è poco elegante, vi delizierò con roba di lago ed edificanti prove fotografiche. Anche perchè va di moda guardare le figure, in questo periodo.

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Questo è l’asino Ugo. L’asino Ugo è dipendente dalle carotine e vive in un recinto un po’ in salita con un altro asino – dal nome fru–fru e impossibile da memorizzare – e un’asina gravida, larga come lo stato del Maine. Ugo è molto ospitale, anche se frequentemente frainteso: se decidete di avvicinarvi al suo recinto, Ugo vi darà il benvenuto con cinque minuti di rantoli e ragliate. Una cosa strana a vedersi, oltre che spiacevole per le orecchie. Perchè noi non ci si pensa, ma l’asino ci mette l’anima quando deve ragliare. C’è tutta un fase di riscaldamento, respiri profondi e nitriti casuali, prima che arrivi il celeberrimo I-OOOH-I-OOOH. Sarà sempre utile, dunque, avvicinarsi al recinto di Ugo in compagnia del coraggioso Amore del Cuore, perchè un’asino che raglia fa paura. E di sicuro non si capisce se stia ragliando perchè è contento o perchè si prepara a sferrare un combo-attacco calcio in faccia/morsi alle mani.

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Può capitare che animali che vivono in recinti limitrofi decidano di farsi fotografare nella medesima posa da teenager. Nel caso della capretta, l’adolescente è anche vicino al satanismo amatoriale.

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Perchè i turbo-ciliegi d’incredibile beltà non ci sono solo in Giappone. E quella montagna là dietro, che non so come si chiama ma è comunque illuminata benissimo dalla luce tramontina, non sarà il monte Fuji, ma fa comunque la sua figura.
Come variante del ciliegio sbruffone abbiamo anche il ciliegio sbruffone con piccola luna. E siamo subito tutti fotografi.

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Amici. Stimati lettori. Compagni di mille battaglie. Questo qua seduto è Amore del Cuore. Per cortesia, che qualcuno si commuova.

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Idee bizzarre, inopportune ed esteticamente orribili che ti vengono prima di dormire.

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L’applique di vimini è la nuova frontiera del design. Hai un’orrenda lampada a risparmio energetico – quelle che fanno davvero luce solo dopo trenta minuti e comunque emanano quello sgradevole bagliore freddo, da neon di macelleria di periferia – e vuoi renderla più amichevole e temperata senza ricorrere ad ingenti investimenti? Schiaffaci su un cestino di vimini, l’interior-design ti sorriderà!

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“Ciao, sono una persona su un cioppo di legno”.

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“Ciao, sono una persona incredibilmente allegra che fluttua via dalla limitante staticità dell’imbronciato cioppo di legno”.
E sì, le mie scarpe son fatte di filettini di salmone.

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Questo posto bucolicissimo e stipato di incredibili cibarie è la trattoria Robustello. Ci si arriva solo dopo dialoghi viabilistici di questo tenore:

TOMMASO: Buongiorno signore! Senta, l’agriturismo Robustello… è qua vicino?
ANZIANO SU SEGGIOLA DI PAGLIA: Sì.
TOMMASO: Ma… da che parte?
ANZIANO SU SEGGIOLA DI PAGLIA:  Su di là, poi a destra. Dovete guadare il torrente.
TOMMASO: …con la macchina?!

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Non si capisce niente, ma sono tortelli di castagne con sugo funghettoso, sommersi di formaggio grattato e copiose erbette sconosciute.

Questi altri cosi qua sono crostini e verdure grigliate con mirabili bocconcini di cervo. I bocconcini di cervo sono pezzi di cervo avvolti in un qualche tipo di salume obeso e croccante.

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E basta, mi sono divertita tanto.
Che c’è, è un post casuale… non ci sarà nessun tipo di sconvolgente rivelazione conclusiva. Asini, capre, fiorellini e lampade a cestino, che vi aspettavate?

Se vai al bar e chiedi una birra in bottiglia, la pagherai un casino piú cara rispetto alla medesima birra comprata al supermercato. Se poi apri il minibar della tua sontuosa camera d’albergo, la solita bottiglia ti costerà ancora e ancora di piú, diciamo quanto un cucciolo di koala di contrabbando, col pelo ancora un po’ appiccicato d’eucalipto. Il fenomeno sarebbe facilmente spiegabile facendo appello alle piú elementari teorie economiche, ma non sarebbe per nulla divertente. Quello che si potrebbe invece dire è qualcosa tipo “piú piccolo è il bar, piú la birra è cara”. È un problema di contenitore.

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Il supermercato è in grado di contenere te, la tua mamma, il tuo papà, una falange intera di guerrieri macedoni – con cavalcature, vettovagliamenti e macchine da guerra, sempre utilissime quando si tratta di prendere qualcosa sullo scaffale alto -, creature nel passeggino, la sbruffonaggine del tuo fidanzato e, in buona sostanza, tutto quello che ti serve comprare. Ma di piú quello che non ti serve.
Il bar all’angolo è in grado di ospitare i vecchietti che si schiantano di banchini alle ore piú curiose del giorno – e che tra una bestemmia e l’altra sgomitano via le rispettive badanti perché la passeggiata sul viale alberato non la vogliono fare -, i tamarrini che segano scuola per tenere sulle ginocchia ragazzine con scarpe da ginnastica che non si capisce bene come riescano a sollevare da terra, con quelle gambette secche da cicogna. Il bar all’angolo ospita anche quelli che si trovano per un caffè, e basta. Questi consumano solo nei primi quindici secondi, rimanendo poi a raschiare la tazza con il cucchiaino per le sei ore successive, lagnandosi delle inguistizie della vita. A queste persone vorrei dire che potrebbero almeno fare lo sforzo di ordinare un succo, verso la terza ora e quaranta, cosí, come segno di benevolenza verso il gestore, ma anche come gesto carino nei confronti degli altri avventori, quelli che di riflesso saranno investiti dall’ostilità repressa di camerieri indispettiti e che riceveranno, con ogni probabilità, bevande e panini scaracchiati senza meritarlo. Comunque, nel bar all’angolo ci si sta, ma non cosí in tanti, anche perché ti sembra di no, ma i vecchietti occupano un casino di spazio e non puoi spintonarli per raggiungere il bancone o comprimerli in un angolo. Vivono di permalosità, sono delicati e di ossatura croccante, non li scolli da dove si piazzano.
E poi, c’è il minibar.
Nel minibar non ci entri. Non ci entra nessuno. È un posto talmente esclusivo che se non sei una bottiglia di qualcosa o un sacchetto di salatini sarai destinato all’emarginazione.
Il minibar non è nato per scopi di spasso o aggregazione, è un incrocio solipsistico tra un salvadanaio e un piccolo bunker, cioè una cassaforte. Della cassaforte, il minibar non condivide unicamente le dimensioni, ma anche la spiacevole sensazione di essere piú povero e vulnerabile ogni volta che la apri e tiri fuori qualcosa. Insomma, chiunque arrivi in camera alle due del mattino e si avventi su camparini e arachidi sarà soddisfatto e contento per un istante davvero fugace: dopo la prima sorsata e tre pistacchi, l’utente medio del minibar si metterà a pensare, si renderà conto di aver speso tipo quindici euro, da solo, sul terrazzo di un cazzo di albergo con il mare che manco si vede piú all’orizzonte perché è notte. È come quando qualcuno compra una fantasia a zigzag di Missoni, va a una festa col vestito nuovo e la gente non solo non capisce, ma sommerge sistematicamente di complimenti una scema ricoperta da uno zigzag molto simile, comprato da H&M per un qualche prezzo che termina per .99.
Grande stima per la scema di H&M, ci tengo a precisarlo.
Insomma, il minibar ti illude e ti inganna e non ti ci puoi nemmeno sedere dentro, al fresco. Prima ti fa sentire in qualche modo figo e poi ti ricorda con la spietatezza dei un bambino che tiene per il collo un criceto che sei un coglione senza speranza. Uno che si diverte ad aprire l’antina e a far tintinnare le mignon. Uno che magari trova spassoso il pranzo sull’aereo, perché l’efficienza di tutti quei piccoli contenitori di cibo è quasi commovente. I crackerini. I paninini. Le lasagnette in vaschettine ermetiche. Quelle minuscole carote. I panettini di burro. Il bricchino del latte da mettere nel caffè, che quando provi ad aprirlo ti rendi conto che in realtà è un petardo, e lo capisce anche il tuo vicino.
Quindi. L’ingiustificabile mark-up praticato dagli assortitori di minibar è in realtà frutto di una legge economico-comportamentale mirata a debellare il flagello della debosciaggine dal mondo attraverso il meccanismo della vergogna solitaria. E non c’è difesa, perché hai poco da sdrammatizzare disinvioltamente quando fai figure di merda con te stesso. Lo sai benissimo che non sei poi tutto questo gran burlone. Sai anche che non te lo dimenticherai, questo entusiasmo per gli adorabili succhetti di frutta, che guarda un po’ sono proprio dei tuoi gusti prediletti.
Pirla.
Pirla.
Pirla!

…è chiaro che, se siete in viaggio aziendale, tutto questo è un’eresia.